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Secchi



La meraviglia e le utopie concrete dell’architettura




Il libro di Roberto Secchi, Architettura. Bisogno di sognare si scompone in due capitoli per poi trarre delle conclusioni e il tutto si completa con la postfazione di Piero Ostilio Rossi. Dopo il prologo, in cui si sottolinea che le due sezioni saranno accomunate dal concetto di utopia concreta in quanto l’autore risalta «il bisogno di visioni del futuro costruite su una lettura critica attenta e radicale dell’attualità e la proiezione in progetti di trasformazione profonda», si inizia a parlare di meraviglia.
In questa paragrafo si ripercorre cosa questo termine abbia voluto dire, in ambito architettonico, nel corso dei secoli mediante un’analisi delle sette meraviglie dell’antichità e del mondo moderno, per poi passare al suo significato nella contemporaneità.
Si evince che la meraviglia si manifesta al verificarsi di quattro condizioni fondamentali: grandezza/grandiosità (sebbene questa con il passare dei secoli ha perso di valore perché sempre più diffusa), tecnica/innovazione tecnologica, valore simbolico/capacità comunicativa, bellezza dell’opera e
dei suoi ornamenti (sculture, decorazioni, ecc.).
Questi aspetti vengono ripresi anche nella postfazione dove Piero Ostilio Rossi puntualizza che «oggi, nel mondo globale dei media, la numerosità delle opere e la loro diffusione generano disincanto e la loro capacità di destare meraviglia e sorpresa è sempre più ridotta», e ancora «chi ha più la forza di meravigliarsi di qualcosa di fronte alla quantità e alla pervasività delle immagini che ci assalgono?».
La meraviglia, intesa come stupore, è oggi sempre più difficile da generare. Tanto in Secchi come in Rossi, questo aspetto apre la porta a una critica all’architettura contemporanea, la quale spesso, nel tentativo di suscitare meraviglia, si trasforma in un mero messaggio pubblicitario, risultando decontestualizzata, volutamente stravagante e priva di contenuti.
Tale situazione induce Secchi ad analizzare il concetto di bellezza, che insieme alla sorpresa è ciò che compone la meraviglia, ed attraverso la mitologia greca la collega alle cose della natura. Sebbene «la definizione di “bello” continua a sfuggire», e riallacciandosi alla questione estetica menzionata in precedenza, aggiunge che ciò che si salva da tale decadimento è la poesia. Anche in architettura.
Per l’autore la bellezza si trova nelle opere «prive di presunzione, arroganza, esibizione, ricche di umiltà, che facciano appena trapelare la tensione della ricerca che le ha prodotte» e in grado esaltare l’idea di povertà «non intesa ovviamente come indigenza, ma come qualità che sfugge al materialismo delle cose per assumerne la dimensione spirituale».
Quello che è stato affermato rappresenta non soltanto un concetto di bellezza, ma anche la visione di un mondo più comunitario e solidale, caratterizzato da stili di vita radicalmente diversi, orientati verso la riduzione del superfluo e meno incentrati sul consumo. Certamente, si tratta di utopie, ma, come suggerito dal titolo del libro, è ad esse che dobbiamo fare riferimento, come del resto l’umanità già ha fatto in altri periodi storici.
A tal proposito Secchi, proponendo il volutamente antitetico binomio linguistico di «utopie concrete», evidenzia come, solo durante il XX secolo, l’umanità è stata capace di compiere diverse di tali imprese.
In quanto ai singoli individui, l’autore ripercorre le visioni di Bruno Taut riscontrabili nel suo Die Auflösung der städte e nelle siedlungen, di Hans Scharoun nei suoi edifici pubblici, di Adriano Olivetti ad Ivrea, di Giovanni Michelucci in particolar modo nel suo progetto per il carcere di Sollicciano, e di Ludovico Quaroni e Saverio Muratori nelle ipotesi per il concorso per Le Barene di San Giuliano a Mestre del 1958. Di produzione collettiva e comunitaria invece, descrive i piani INA-Casa, la ricostruzione di Firenze dopo l’alluvione del 1966 e l’iniziativa di Gibellina a seguito del terremoto. In tal senso dichiara:

Sono molti i casi di utopie che hanno segnato la realtà futura della costruzione. Esse hanno il compito di fare da battistrada su sentieri non ancora esplorati, nella loro astrazione non possono, né devono, dar luogo all’imitazione, apporre principi, far intravedere il possibile non ancora divenuto è il loro compito.

Tuttavia, non sempre le utopie si sono concretizzate in modo così evidente; a volte sono rimaste idee astratte che, grazie alla loro irrealizzabilità, hanno suscitato reazioni e spinto a una riflessione. Un esempio ne sono le utopie urbane emerse negli anni ‘70, formulate da gruppi come Archizoom, Andrea Branzi, UFO, Zziggurat, Archigram, Metabolism, Lebbeus e altri.
La critica di Secchi si rivolge ai giorni nostri, poiché rileva una mancanza di utopia, la difficoltà nell’immaginare un futuro diverso e nel sognare. In tal senso, l’autore esamina il periodo del Neorealismo per evidenziare come, attraverso una rilettura della contemporaneità, sia stato possibile “concretizzare un’utopia”. Questo processo è particolarmente evidente in alcuni quartieri di Matera e Roma, nonché nei progetti macro-strutturali del Corviale, Gallaratese, Zen e altri.
Ciò che colpisce e si condivide particolarmente in questo testo sono le critiche rivolte al mondo in cui viviamo e alle situazioni che lo hanno generato, come la globalizzazione, le questioni ambientali e sociali, il modello economico e di sviluppo attuale, e altro ancora. Tuttavia, non mancano le conclusioni ottimistiche riguardo alla possibilità di un futuro migliore, basate sull’osservazione delle realtà positive che ci circondano. L’autore sottolinea l’associazionismo, il volontariato, i movimenti giovanili, le agenzie no-profit e altro, che riflettono la meraviglia del presente e le utopie concrete del futuro.

Cesare Dallatomasina



Scheda libro
Autore: Roberto Secchi
Postfazione: Piero Ostilio Rossi
Titolo: Architettura. Bisogno di sognare
Lingua del testo: Italiana
Editore: Tab, Roma
Collana: Bauhaus 101. Intercultural Dialogue Books
Caratteristiche: formato 14x20 cm, 192 pagine, brossura, colore
ISBN: 978-88-9295-597-4
Anno: 2022