Skopje: concrete vs fiction. Dall’internazionalismo all’etnonazionalismo

Marina Tornatora, Blagoja Bajkovski



L’intensa produzione architettonica jugoslava del secondo dopoguerra, rimane un capitolo poco conosciuto della storia dell'architettura, solo recentemente sottoposto a una rilettura che rivela la qualità e le specificità di un processo di modernizzazione nel quale l’architettura ha rappresentato la materializzazione di una visione di società. Un’architettura fortemente sperimentale su diversi livelli, dall’organizzazione spaziale alla relazione con il tessuto urbano, l'utilizzo dei materiali e alla coerenza tecnica. Tale esperimento includeva una connessione tra scelte urbane e architettoniche e l’interpretazione degli stili delle nazioni che configuravano la Jugoslavia.

Nel contesto balcanico la città di Skopje (Скопје), capitale della Macedonia del Nord, oggi con i suoi 526 500 abitanti, una delle principali tappe lungo il collegamento dall'Europa centrale fino ad Atene, rappresenta un caso unico non solo per le vicende storiche ma anche per la densità delle architetture che ne hanno ridefinito l’impianto e la struttura urbana negli anni ‘60 e ‘70.

Skopje è una città “interrotta”, il suo volto mostra i segni delle cancellazioni e delle diverse ri-riscritture, segni dove l’Oriente e l’Occidente si toccano e si contaminano, dove convivono etnie, macedoni, albanesi, serbi, turchi, bosniaci. Una città che negli anni ‘60 ha rappresentato l’occasione per mettere in atto i principi della cultura architettonica moderna così come è avvenuto per le più note Brasilia (1960) e Chandigarh (1953).

Dalle sue più remote origini, Scupi, insediamento illirico conquistato dall’Impero Romano, è stata terra di invasione dei turchi ottomani, bulgari, annessa alla Serbia e alla Jugoslavia, per infine nel 1991 diventare la capitale dello stato indipendente della Macedonia.

Sessant'anni fa, il 26 luglio del 1963, la città subiva un devastante terremoto magnitudo 6.1, nel quale morirono più di 1.000 persone, il 60% delle strutture urbane esistenti e l'80% delle abitazioni vennero colpite o gravemente danneggiate.

All'indomani del sisma, la strategia mediatica e la retorica della catastrofe, alimentate dalla figura carismatica di Josip Broz Tito, catturano l’attenzione internazionale con uno spiegamento imponente di aiuti umanitari che assegnarono a Skopje il ruolo di simbolo della cooperazione tra nazioni.

I soccorsi arrivati da tutto il mondo, trasformano, nella delicata fase della Guerra Fredda, la Macedonia in uno spazio di pace, dove sullo stesso terreno sbarca l’esercito americano inviato da Kennedy e gli esperti di sismologia dell'URSS inviati da Krusciov.

In questo clima, il Piano per la ri-fondazione della città diventa un'occasione unica per mostrare al mondo il modello del socialismo jugoslavo, trasformando Skopje in un laboratorio internazionale di riflessione concreta delle teorizzazioni urbane che avevano animato il dibattito attorno al CIAM, ma è anche l’opportunità per una generazione di architetti jugoslavi di entrare a pieno titolo nel dibattito architettonico internazionale.

Segno evidente dell’importanza assegnata alla ricostruzione è la presenza delle Nazioni Unite che patrocinano e coordinano il concorso internazionale per il Piano della Nuova Skopje (1965)[1], sotto la guida dell’architetto Ernst Weissmann (1913-2005), direttore dello United Nations Centre for Housing, Building and Planning, allievo di Le Corbusier.

Il terremoto rappresenta, dunque, un momento di crisi, di cancellazione ma anche l’occasione per la rifondazione di «una città mondiale, il simbolo della solidarietà internazionale, una città cosmopolita» (Tolić, 2012) come sostiene Weissmann, assegnando al Piano per la Nuova Skopje un forte valore simbolico con l’obiettivo di mostrare «l’organizzazione fisica e tecnica di un determinato modello politico, sociale, economico e culturale» (ibid).

Con l’idea che le soluzioni potessero essere fuse e rielaborate, risultano vincitrici le proposte di due gruppi, quello di Kenzo Tange con Arata Isozaki, Yoshio Taniguchi e Sadao Watanabe e quello dell’Istituto per l’urbanistica di Zagabria, guidato da Radovan Miscevic e Fedor Wenzler.

Questo articolo si propone di indagare il modello urbano introdotto dal Piano di Kenzo Tange (fig.1), che ha plasmato Skopje dalla sua rifondazione, e le relazioni con l’ultima trasformazione urbana della città a seguito del “Piano Skopje 2014”.

La Nuova Skopje di Kenzo Tange

Il Piano del team giapponese per la città di Skopje è concepito come un esperimento architettonico da realizzare in 40 anni, con l’anno di conclusione nel 2000, disegnato da un monumentale sistema infrastrutturale che organizza e struttura la città, come già sperimentato nel Piano per la baia di Tokyo (1960) e in quello dell’Unità Residenziale (1959) per 25.000 persone, elaborato al MIT di Boston. In questi progetti la città è disegnata da una rete di collegamenti continui, carrabili e pedonali, ai quali si innestano perfettamente riconoscibili «nuovi prototipi architettonici» (Tange, 1965) differenziati per destinazione d'uso.

Il dettaglio con il quale sono disegnate le architetture apre a una specifica dimensione scalare del progetto della città, nella quale la macro scala si coniuga con quella dell’oggetto architettonico. Un approccio evidente in altri progetti di Tange, come quello per le Olimpiadi di Tokyo (1964), il complesso a Hiroshima (1949-1959), gli Uffici a Kanagawa (1958) e il masterplan per l’Esposizione internazionale di Osaka (1970), nei quali

le tipologie funzionali hanno tutte una loro peculiarità volumetrica molto precisata che le fa agire spesso a contrasto nella composizione, e che le fanno diventare un vero e proprio laboratorio sperimentale e fonte d’ispirazione linguistica dei progetti successivi dell’architetto giapponese (Aymonino 2017)

In filigrana emergono anche i riferimenti alla Cluster City (1952-1953) di Alison e Peter Smithson, nel sistema a grappolo, ininterrotto e ramificato di corpi edilizi. A Skopje l’architetto giapponese parte da una tabula rasa, da un piano zero ottenuto demolendo le poche preesistenze sopravvissute al terremoto, in corrispondenza delle quali inserisce le aree verdi, e individuando nella collina Kale un parco sul quale oggi svettano il Museo di Arte Contemporanea, MoCa e il Monumento alla Libertà.

Gli elementi strutturanti del progetto sono individuati nella City Gate e nella City Wall: la “porta” e la “muraglia”, interventi architettonici e urbani che evocano la memoria delle città medievali balcaniche.

Utilizzando il concetto della ‘porta’, non solo miravamo a modellare una struttura con l'aspetto fisico di una porta, ma abbiamo anche ancorato nella coscienza delle persone l'idea che fosse una porta attraverso la quale si entra a Skopje. Se l’intervento non manterrà il suo nome simbolico, verrà rifiutato dalla popolazione. Anche la muraglia della città divenne famosa e sebbene alcuni sostenessero che il ‘muro’ fosse un ostacolo e dovesse essere eliminato, la gente si oppose all’idea di un progetto senza di esso. La muraglia della città, divenuta il centro della sua immagine iconica, suggeriva di non abbandonare l’idea del ‘muro’. Abbiamo imparato, attraverso l'esperienza, che era necessario individuare nel progetto una serie di processi simbolici. (Tange, 1976)

Collegando, dunque, la radicalità del progetto con l'identità storica di Skopje, sono identificati quali elementi simbolici la “porta” e il “muro” che strutturano il nuovo impianto urbano, diventando i segni emblematici connessi al contesto locale. Come nelle precedenti esperienze, Tange ribadisce la necessità di concepire «nuovi prototipi», attraverso un progetto che dalla scala territoriale e urbana propone soluzioni architettoniche, indagate con disegni di dettaglio e grandi plastici.

Inoltre, per realizzare quella «struttura aperta» a «crescita infinita» teorizzata nei progetti precedenti, il team giapponese propone la rotazione del sistema urbano in direzione Est-Ovest, ortogonale all’asse storico, andando a definire, così un decumano come un nuovo corridoio.

Tale strategia consente una maggiore connessione con il territorio circostante, la possibilità di crescita della città e l'eliminazione della fascia dei binari nella zona centrale, per ricollocarli nella nuova porta urbana.

Qui il City Gate (fig. 2), imponente polo terziario e infrastrutturale, con evidenti riferimenti al Piano di Tokyo, costruisce un nuovo suolo sopraelevato, separando i collegamenti pedonali dalla mobilità automobilistica e ferroviaria. Una megastruttura architettonica concepita come un «trasformatore» intermodale, che avrebbe dovuto ospitare negozi, uffici, alberghi, cinema, sale riunioni, solo parzialmente realizzato e sin da subito giudicato sovradimensionato per una realtà come quella di Skopje.

Il decumano è pensato come un asse amministrativo e commerciale con un sistema continuo e modulare di nuclei verticali, dove sono collocati gli impianti e i blocchi scala, connessi da corridoi sospesi orizzontalmente che chiaramente riecheggiano le architetture metaboliste di Kisho Kurokawa ma anche la «street in the air» degli Smithson.

Coppie di corpi scala delimitano i percorsi pedonali che conducono dalla Gateway Square, al blocco uffici e al parcheggio. La progettazione della porta urbana è stata guidata da due obiettivi fondamentali: creare un sistema coeso che integri le traiettorie di movimento orizzontale e verticale e progettare una articolazione spaziale che controlli visivamente il flusso, il movimento e la percezione umana. Allo stesso tempo, ogni spazio corrisponde a un’entità fisica, assegnando una funzione e una forma distinta tra gli allineamenti perpendicolari, dove sono ospitate le funzioni amministrative e direzionali, da quelli paralleli all’asse. Seguendo l'approccio visionario della pianificazione, Tange combina queste due dimensioni a livello spaziale attraverso l'inclusione di ponti pedonali e corpi scala che circondano gli edifici d'ingresso e si intrecciano con le strutture degli uffici. Laddove gli edifici sono strettamente collegati, corridoi sopraelevati consentono lo sviluppo organico di questi spazi a scala urbana. L’intero progetto è misurato da un modulo che guida le dimensioni orizzontali e verticali dei volumi, sino ai dettagli, usando un linguaggio comune che facilita la comunicazione tra progettisti e costruttori. L'uso estensivo di griglie tridimensionali consente la creazione di configurazioni spaziali complesse basate sul concetto di scala unificata.

Del progetto per il City Gate viene realizzato solo il Transportation Center (1971-1981) (fig.3) attraverso una straordinaria infrastruttura sopraelevata, elaborata dallo studio di Kenzo Tange in Giappone, nodo conclusivo del nuovo asse Est-Ovest, in direzione del territorio regionale.

La terza fase di sviluppo del Piano corrisponde alla costruzione del City Wall, probabilmente ispirato dalla muraglia della città di Dubrovnik, progettato come una doppia fascia residenziale lineare a forma di ferro di cavallo, che delimita il nuovo bordo del centro urbano, pensata per accogliere la futura crescita demografica della città.

La muraglia rappresenta il tentativo di coniugare il profondo spirito comunitario dei macedoni con le istanze della residenza collettiva moderna. Riconoscendo questa caratteristica unica, il team di pianificazione concepisce un’articolazione spaziale per preservare le relazioni di vicinato come qualità intrinseca nella comunità di Skopje. Il progetto originale del concorso che prevedeva complessi residenziali con negozi al piano terra, nella terza fase è modificato in gruppi di appartamenti integrati con l’introduzione di servizi comuni negli spazi interstiziali. La struttura architettonica è costituita da due distinte tipologie di edifici. La prima è rappresentata da una struttura lineare a terrazzamento alta 24 metri con appartamenti che si adattano all'altezza degli edifici esistenti, con balconi nei piani superiori protesi verso le corti interne. La seconda tipologia comprende complessi residenziali a torre, organizzati in gruppi di due o tre edifici, posti agli angoli o affacciati sulle strade che evocano l'immagine di un recinto fortificato, posizionate come sentinelle su entrambi i lati della strada. Nelle due tipologie, il piano terra ospita negozi per le necessità quotidiane, piccoli ristoranti, bar, uffici e sale riunioni. Inoltre è previsto un parcheggio self-service per i veicoli dei residenti, eliminando la carrabilità nelle corti e introducendo una fascia alberata lungo il lato esterno integrato al principale spazio verde urbano, dove sono ospitate le scuole primarie.

Ogni dettaglio ed elemento del complesso progetto di Tange aspirava a tradurre le dinamiche della società contemporanea in una disposizione spaziale concreta.

Skopje, béton brut cityscape

Se la fama di Tange ha contribuito a polarizzare l’attenzione sul Piano per la Nuova Skopje, proiettando in un contesto internazionale il processo di modernizzazione della Jugoslavia di Tito, in questa fase si sprigionano le energie di architetti e artisti impegnati sul territorio, di cui solo in tempi recenti se ne valuta l’importanza: Bogdan Bogdanović, Juraj Neidhardt, Svetlana Kana Radević, Edvard Ravnikar, Vjenceslav Richter e Milica Šterić, Mimoza Nestorova-Tomić, Georgi Konstantinovski, Janko Konstantinov.

Una generazione che ha rappresentato una vera e propria «avanguardia jugoslava» (Ignjatović), con esperienze internazionali che ha avuto la capacità di interpretare nel progetto architettonico le spinte alla modernizzazione della nazione.

Il clima di grande fermento, negli anni successivi al masterplan di Tange, trasforma Skopje in una «beton brut cityscape» (Lozanovska, 2015), un laboratorio di sperimentazione di architetture brutaliste che plasma il volto e l’identità della città.

L’Operative Atlas. Skopje Brutalism_Graphic Biography of 15 architectures (Tornatora, Bajkovski, 2019)[2], si configura come una prima ricerca organica e strutturata di tale patrimonio a partire dai disegni originali, custoditi presso gli Archivi della città. Materiali inediti, che hanno permesso di ricostruire la complessità e l’originalità di tale produzione nel tentativo di un suo posizionamento nel dibattito architettonico e di una congrua riconoscibilità.

Tra queste, il complesso della Banca Nazionale della Repubblica di Macedonia (1971-1975) di Olga Papesh (1930-2011) e Radomir Lalovikj (1933-2014), collocato vicino alla ferrovia, è il primo edificio costruito come segmento conclusivo del sistema del City Gate.

Il Centro delle telecomunicazioni (1972-1981), (fig.4) opera di un altro architetto e pittore macedone, Janko Konstantinov (1926-2010) contamina la visionarietà dell’architettura metabolista giapponese. L’intervento consiste in tre edifici, Palazzo amministrativo con torre e Ufficio postale, adagiati su una piattaforma unica che, collegando i diversi corpi di fabbrica, definisce una corte urbana. L’edificio rotondo dell'Ufficio postale sembra evocare una grande tenda con la copertura nervata, poggiata su elementi strutturali dalle forme antropomorfe, estroverse all’esterno andando a caratterizzare il manufatto come nella Cattedrale metropolitana di Brasilia (1970) di Oscar Niemeyer o ancora come nel Palazzetto dello Sport (1957) a Roma di Pier Luigi Nervi e Annibale Vitellozzi.

Disegna il lungo fiume Vardar, il Centro Commerciale (1967-1972) (fig.5) di Zivko Popovski (1934-2007), concepito come una complessa mega infrastruttura urbana, episodio conclusivo del nuovo asse Est–Ovest del Piano di Tange. Si tratta di una innovativa struttura tipologica che ibrida gli spazi commerciali, inseriti in una grande piastra orizzontale a più livelli, con gli edifici residenziali esistenti, integrati in una serie di torri.

Il complesso configura un modello diverso dagli shopping center di tipo americano, collocandosi nella zona centrale della città e risolvendo il collegamento tra la piazza principale e il parco urbano Zena Borec. Un nodo multiforme dove il sistema di rampe esterne e interne connettono le passeggiate nel verde alla piattaforma orizzontale, suolo stratificato della città con una serie di terrazze, vere e proprie piazze urbane, reinterpretazione moderna dell’idea del Bazaar tradizionale, nelle sue componenti di strada, negozio.

Sulla sponda opposta del fiume si distende il Macedonian Opera and Ballet (1972-1981) progettato dal gruppo sloveno Biro 71, unico edificio costruito del Centro Culturale previsto da Tange nel cuore della città. Gli architetti sloveni realizzano un’opera anticipatrice di quelle architetture contemporanee che declinano la forma nella modellazione tettonica del suolo come nel progetto per la Città della cultura (1999) a Santiago de Compostela di Peter Eisenman o il Teatro dell'Opera di Oslo (2007) di Snøhetta. L’edificio macedone si propone come una metamorfosi tettonica del terreno che modella una nuova topografia nella quale l’architettura e lo spazio pubblico si compenetrano, raggiungendo il tratto urbano del fiume Vardar. L’attenzione agli aspetti fenomenologici pervade tutti gli spazi che, mantenendo una distribuzione razionale delle funzioni, delinea delle forme plastiche dall'esterno fino all'interno.

Infine, il Museo della Macedonia (1971-1976) (fig.6), progettato da Mimoza Tomić (1929) e Kiril Muratovski (1930-2005), è un complesso di diversi spazi espositivi – Archeologia, Etnologia, Storia – che ridefinisce la topografia di un frammento del tessuto dell’Old Bazar nei pressi del Kurshumli Han, un caravanserraglio ottomano. L’intervento, attraverso una modellazione del suolo, configura un dispositivo di raccordo tra le diverse quote del tessuto stratificato esistente, dal quale si eleva un’architettura di cubi puri aggregati lungo le diagonali. Evocando la muratura bizantina, Mimoza riveste con tesserine di marmo bianco delle cave di Prilep la parte superiore dell’edificio, quasi a sospenderla da quella inferiore, più scura in cemento a faccia vista, riuscendo così a rafforzare l’astrattezza dei volumi cubici caratterizzanti sia la pianta che l’alzato. L’innesto dell’intervento contemporaneo nell’antico tessuto ottomano è filtrato dall’andamento della copertura, disegnata da falde di colore scuro in contrasto ai volumi di marmo bianco, le cui linee di colmo, ruotate lungo la diagonale, configurano un nuovo skyline in dialogo con il contesto.

In questo itinerario non si possono non citare le opere di Georgi Konstantinovski (1930-2022), architetto macedone, che completa la sua formazione all’Università di Yale con Paul Rudolph: l’Archivio (1966) e la Casa dello studente “Goce Delcev” (1969), prime architetture brutaliste di un architetto macedone proiettate in una dimensione internazionale, diventando un manifesto del processo di modernizzazione in corso.

Ancora oggi queste emergenze rappresentano la parte strutturante del sistema insediativo di Skopje, una città in forte trasformazione, in particolare dopo l’autonomia dalla Jugoslavia.

Negli ultimi dieci anni, i principi del Piano urbano di Tange e il patrimonio architettonico sono stati sottoposti a trasformazioni significative introdotte dal Piano di rinnovamento urbano, Skopje 2014. Quest’ultimo ha cancellato una parte notevole dell'eredità modernista e brutalista, alterando drasticamente l'aspetto del centro di Skopje. Il progetto, annunciato ufficialmente nel 2010 e finanziato dal precedente governo macedone, oggi parzialmente interrotto, ha portato a un diverso sviluppo del centro della città, prevedendo nuovi edifici, ponti, e circa 34 monumenti e sculture, e la ristrutturazione di oltre 10 strutture esistenti. Tutti interventi caratterizzati da un accentuato eclettismo, che si riflette prevalentemente nelle facciate e negli esterni.

Oltre a prevedere nuovi edifici in corrispondenza dei vuoti urbani, il nuovo Piano ha sviluppato un’azione di cancellazione dei segni identitari della fase socialista, trasformando il patrimonio architettonico esistente. Facciate eclettiche, realizzate con materiali effimeri hanno ricoperto alcuni edifici rappresentativi, mentre nuove emergenze pubbliche sono state realizzate senza relazione del contesto urbano.

In particolare il Centro spedizioni MEPSO (1987-89), (fig.8) di Zoran Shtaklev, è un esempio di modificazione di un’architettura moderna caratterizzata da un piano di copertura orizzontale a sbalzo su un volume trasparente in vetro, trasformato in un edificio grossolanamente riecheggiante un tempio greco, con trabeazione-colonne-basamento.

Nel caso del Macedonian Opera and Ballet (1972-1981), (fig.9) lo spazio pubblico tra l'edificio e il fiume Vardar è deliberatamente alterato con l’inserimento di una serie di interventi architettonici e urbani, tra cui edifici, monumenti e sculture. Questi hanno creato una cortina lineare eclettica sul riverfront che nasconde l’edificio esistente, alterando i rapporti urbani pensati dal Piano di Tange.

Nel caso degli interventi sul Campus Universitario Ss. Cyril and Methodius (1970-74), (fig.10) la mancanza di una strategia chiara ha portato alla collocazione di nuove strutture negli spazi aperti, mettendo in crisi l'integrità complessiva del campus. Il complesso, situato a Nord del fiume Vardar, rappresenta un nodo essenziale del centro culturale ed educativo proposto dal Piano di Kenzo Tange.

In conclusione, il progetto Skopje 2014 è stato un controverso tentativo di trasformare il paesaggio architettonico di Skopje attraverso parti e segni che sovrappongono finti codici “neoclassici” in nome di un passato estraneo alla storia della città. Tuttavia, il Piano è stato interrotto per le reazioni del mondo culturale, la mancanza di una autentica partecipazione pubblica e la percezione fuorviante del patrimonio della città. Questi interventi, privi di una strategia coerente, hanno alterato parte degli sforzi della ricostruzione. (fig.11-12)

In questo complesso tessuto, la produzione architettonica post terremoto ancora esprime una forte caratterizzazione in termini spaziali e urbani, originalità della forma, materialità, artigianalità ecc., tanto che il passato appare più moderno del presente, non solo in senso estetico. Si tratta di un paesaggio di architetture radicalmente moderne, nelle quali il beton brut è un materiale plastico usato come nelle opere di Giuseppe Uncini, per esprimere i processi di lavorazione e la materializzazione di una verità tra materia, forma e struttura. Le relazioni, i principi, le spazialità incorporate in tali architetture brutaliste, sebbene non si sia completata la visione “utopica” che animava il Piano di Tange, rappresentano non solo l’eredità del recente passato ma una riserva di idee per il futuro.

Forse l’occasione di Skopje capitale della cultura per il 2028 può rappresentare una nuova pagina capace di riappropriarsi del proprio passato per intersecare nuove dimensioni progettuali e riposizionare l’identità urbana della città.

Note

*Il sottotitolo di questo articolo è ispirato al testo di Slobodan Velevski e Marija Mano Velevska, pubblicato in Freeingspace: Macedonian Pavilion, 16a Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia 2018.

[1] Diversi sono i team internazionali che partecipano al concorso: Luigi Piccinato, Italia; Johannes van der Broek e Jacob Bakema, Olanda; Edvard Ravnikar, Slovenia; Maurice Rotival, Francia; Aleksandar Djordjevic, Serbia; Radovan Miscevic e Fedor Wenzler, Croazia; Slavko Brezovski, Macedonia; Kenzo Tange, Giappone.

[2]Operative Atlas of Skopje Brutalism_Graphic Biography of 15 Architectures, corrisponde a una parte del volume TORNATORA M., BLAJKOVSKI B. (2019) – 99FILES: Balkan Brutalism Skopje, MoCa, Museum of Contemporary Art, Skopje. La ricerca è un estratto della Tesi di dottorato di Blagoja Bajkovski, tutor prof. Marina Tornatora e co-tutor prof. Marija Mano Velevska, condotta nel Dottorato di Ricerca Architettura e Territorio, XXXII ciclo, Dipartimento dArTe, Università Mediterranea di Reggio Calabria, coordinato dal prof. Gianfranco Neri.

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