Recensioni



Durand_Martinazzo



Per un “grado zero” delle forme. Il collage come metodologia compositiva




Durand incontra Balestrini a Venezia. Di primo acchito un libro ben confezionato, dalla grafica ricercata, che già dal titolo – erudito ed enigmatico a un tempo solo – rivela tutta la sua natura spiazzante, anfibia, che oscilla su vari piani di confine. Un libro che da subito si presenta come immaginario, inventato, borgesiano. Si tratta in effetti di un incontro impossibile, quello escogitato da Elvio Manganaro (con l’attenta curatela di Riccardo Rapparini), tra Jean-Nicholas-Luis Durand e Nanni Balestrini, a Venezia. Neoclassicismo e Neoavanguardia a confronto, potrebbe sembrare strano; e due metodi, entrambi contemplanti una norma e uno “scarto”, entrambi potremmo dire automatici, entrambi combinatòri: uno architettonico ed uno letterario. È lo spirito logico-matematico, l’aspetto ripetitivo e meccanico, a dominarne infatti le pagine, nonché la forma fisica. Viene in mente la lunga storia dell’Ars combinatoria: da Raimondo Lullo a Giulio Camillo, fino a Giordano Bruno e alle avanguardie del Novecento. Eppure, inaspettatamente, non una digressione sulle dinamiche di tale “incocciata” (tra Durand e Balestrini), ma un merzabau generato dai detriti della collisione. Solo rincantucciandoci, al “riparo”, in una delle “grotte” sedimentatesi dal pulviscolo, scopriamo che da quest’immagine cosmica, ellittica (fatta di citazioni letterarie, cinematografiche, poetiche o artistiche), poco a poco si rivela, via via snebbiato, che cosa sia effettivamente il libro, niente di più semplice (almeno all’apparenza): esso squaderna gli esiti (o meglio le lavorazioni) di un laboratorio di composizione architettonica (al Politecnico di Milano) del secondo anno del triennio.

Il lavoro del docente-autore con gli studenti prende infatti il via da un Deposito-magazzino di architetture veneziane: progetti costruiti o rimasti solo su carta, poi smontati, mutilati ed accostati (o sovrapposti) secondo logiche diverse (sempre però seguendo un metodo chiaro), e infine ricombinati tramite la tecnica del collage dentro l’impronta perimetrale delle geometrie del Primo prototipo di palazzo veneziano di Andrea Palladio (1570). Così i sette Palinsesti (o esercizi) che ne derivano, partendo dall’“astrazione ludica” del collage nella configurazione di piante, prospetti e sezioni; ritrovano un’attendibilità funzionale nel contesto di riferimento, testandone le possibilità come strumento operativo. Allora, a fronte di una disciplina sempre più tecnocentrica, dove il comporre sembra vincolato al profitto e all’estetizzazione che ne deriva, «Invece qui, per una volta, [scrive Manganaro] si sarebbe voluto presentare allo studente di architettura solo il metodo o il Procedimento, limitandosi alla strumentazione, ai meccanismi interni, ai dispositivi operativi, al libretto delle istruzioni insomma, castigando la malìa delle parole e le seduzioni della retorica. […] [Un] piccolo manuale di architettura automatica. Un prontuario per fare poesia a partire da altre poesie […]. È questa dimensione antisoggettiva a sembrarmi l’unica cosa che valga la pena oggi essere perseguita, facendo violenza ai nostri mondi interiori, che sono tutti uguali, appiattiti sulle medesime frustrazioni e vanità»[1]. Svincolarsi dunque da ogni causalità col “felice” disincanto del materialista dialettico, da ogni pulsione mercantilistica o storiografica. Questo sembrerebbe essere il punto: limitare il portato semantico delle immagini, tornare ad un grado zero delle forme, intese come segni svuotati di significato, prese per quelle che sono nelle loro combinazioni ed equilibrismi, nel rincorrersi del gioco dei significanti: «Queste reliquie eteroclite di una tassonomia scombinata, e perciò grifagne, museali, diventano gli attrezzi di un giocoliere»[2].

È qui l’aspetto di rottura, antiaccademico se volete. Se mi è concesso. Non è un libro che fornisce delle risposte o degli esiti chiari, schiva anzi con fare rocambolesco ogni velleità teleologica. Se infatti principi distintivi, ordine e dimostrabilità costituiscono i fondamenti del metodo, «[…] producono conoscenza, e non di rango inferiore, anche gli sviamenti, gli attimi di pura fascinazione per ciò che non stavamo cercando e che ci viene incontro con la felice impertinenza della casualità, interpellandoci come un enigma esigente»[3].

Resta infatti una domanda aperta, che il libro, quasi fosse un amuleto, ci pone, e che non sappiamo qual è. Potremmo dire, in senso Pasoliniano, che questo libro è uno “scandalo”, pur non essendo affatto scandaloso, in quanto la provocazione non serve più a nulla, viene sempre fagocitata dal sistema. Qui invece si assiste a questa ostinazione nel rifiutare ogni forma di stantio dottrinarismo, ogni pretesa di scientificità e ogni tassonomia incartapecorita. Assistiamo a una vera e propria dissacrazione, laddove anche il riferimento viene utilizzato non in modo biografico, né pertinente a qualcosa, ma allucinato, distorto, come inserito in un caleidoscopio impazzito. Allora, la disponibilità del frammento a porsi come apparizione, ad evocare interi mondi, la natura eteroclita del testo, il suo mettere in campo una “lettura palincestuosa” (cfr. Philippe Lejeune), persino dei maestri, siano essi architetti o poeti, e la transdisciplinarità che ne deriva, si configurano come luoghi di incertezza epistemologica in cui sprofondare, per esperire la loro stessa formazione, la loro composizione, la loro stratificazione. Non a caso la battaglia che il libro mette in atto si svolge sul piano estetico: a detrimento della “bulimia“ di immagini dalla quale siamo sommersi quotidianamente, che è atrofica, qui «Alla negatività del non-sense e dello sberleffo (DADA) si accompagna la volontà di costruzione, e quindi un modello di lavoro artistico metodico e scrupoloso»[4]. Cosa ne resta?

[1] Manganaro E. (2022) – Durand incontra Balestrini a Venezia, Lettera Ventidue, Siracusa, pp.11-12.

[2] Ripellino A. M. (1987) – Scontraffatte chimere, Pellicanolibri, Roma, p.7

[3] Tartarini C. (2011), presentazione del libro di Georges Didi-Huberman, La conoscenza accidentale. Apparizione e sparizione delle immagini, Bollati Boringhieri, Torino. [online] Disponibile a: https://r.cantook.com/edgt/sample/aHR0cHM6Ly9lZGlnaXRhLmNhbnRvb2subm V0L3NhbXBsZS83NTE1L3dlYl9yZWFkZXJfbWFuaWZlc3Q_Zm9ybWF0X25hdHVyZT1lcHVi [Ultimo accesso: 31 maggio 2023].

[4] Nicastri A. , citato in Cortellessa A. (2009), “Angoscia dello spazio”, in Grazioli E. (a cura di), Kurt Schwitters, «Riga» n.29, p.15.


Francesco Martinazzo



Scheda libro
Autore: Elvio Manganaro
A cura di: Riccardo Rapparini
Titolo: Durand incontra Balestrini a Venezia
Lingua del testo: Italiano/inglese
Editore: Lettera Ventidue Edizioni
Caratteristiche: 24x16,5 cm, 216 pagine, brossura, bianco e nero
ISBN: 978-88-6242-783-8
Anno: 2022