Esistono dei territori che per quanto vicini geograficamente ci
appaiono tanto distanti da appartenere ad un mondo lontano. E’
questo
il caso della ex Jugoslavia e delle sue architetture a cui è
dedicato
questo numero curato da Marina Tornatora, Blagoja Bajkovski e Ottavio
Amaro. A giustificazione di ciò non bastano le ragioni
morfologiche con
la presenza dell’Adriatico come elemento di isolamento. La
realtà dei
fatti è che siamo vittime di un (nostro) retaggio culturale che
ci
spinge verso nord piuttosto che a sud e verso ovest piuttosto che verso
est. Ma a questa lontananza potremmo rispondere con la metafora
utilizzata come titolo del libro da Claudio Magris, Lontano da dove?
Come ben illustrato dai curatori la condizione liminare di confine tra
Occidente e Oriente, ha innescato un processo di autodefinizione tanto
decisa quanto interessante che ha caratterizzato l’architettura
di
questi territori. Territori che, non bisogna dimenticarlo, sono stati
oggetto di una recente suddivisione.
Quando riflettiamo su un
argomento lo facciamo ponendoci al centro e misurando la distanza
concettuale da una condizione che costituisce, appunto, il nostro metro
di paragone. Se in passato la Jugoslavia si è faticosamente
emancipata
da un imperialismo architettonico, quello che imponeva canoni in nome
di una ideologia politica, la divisione in entità autonome non
fa che
incentivare una diversità architettonica da intendere come
arricchimento e non come impoverimento.
La molteplicità è da sempre
sinonimo di scelta e di libertà. La costruzione
(l’architettura) è
sempre testimonianza di una cultura e la città che ne deriva
è il
palinsesto delle culture che si susseguono nel tempo.
Benché
concentrati ad un determinato periodo storico del Novecento, gli
articoli qui presentati restituiscono il tentativo di riportare
l’attenzione degli studiosi di architettura ad un contesto tanto
misconosciuto quanto vicino.
In un articolo pubblicato su questa
rivista ormai dieci anni fa riflettevo sul concetto di identità
europea
dell’architettura ed in particolare sull’esistenza di un
insieme di
caratteri (o di prevalenza di caratteri comuni) in grado di meglio
definire l’architettura. Mi rendo conto che un decennio di questo
secolo, che sembra procedere a velocità moltiplicata rispetto ai
precedenti, costituisce un periodo sufficientemente lungo
affinché
molte riflessioni possano apparire superate o addirittura
anacronistiche. Mi chiedevo, allora se in analogia fosse possibile
applicare l’interrogativo al territorio balcanico. In altre
parole
esiste un’architettura dei Balcani e, se si, quali sono i
caratteri
prevalenti?
Siamo convinti che il ruolo di una rivista come FAM sia
quello di continuare a porre interrogativi piuttosto che fornire
certezze e il numero sull’Architettura dei Balcani vada proprio
in
questa direzione.