L’architettura dei Balcani. Lontano da dove?

Enrico Prandi




Colpito dalla sventura un ebreo aveva deciso di fuggire. Si era disfatto dei suoi pochi averi, aveva preso commiato da parenti e amici e si era recato dal rabbino per riceverne l'ultima benedizione e una parola di conforto.
“Così la vostra scelta è fatta?”, chiese il buon rabbino. E dopo un poco:
“E ditemi: andate lontano?”
“Lontano da dove?”, rispose l'ebreo.
(Storiella ebraica)

Esistono dei territori che per quanto vicini geograficamente ci appaiono tanto distanti da appartenere ad un mondo lontano. E’ questo il caso della ex Jugoslavia e delle sue architetture a cui è dedicato questo numero curato da Marina Tornatora, Blagoja Bajkovski e Ottavio Amaro. A giustificazione di ciò non bastano le ragioni morfologiche con la presenza dell’Adriatico come elemento di isolamento. La realtà dei fatti è che siamo vittime di un (nostro) retaggio culturale che ci spinge verso nord piuttosto che a sud e verso ovest piuttosto che verso est. Ma a questa lontananza potremmo rispondere con la metafora utilizzata come titolo del libro da Claudio Magris, Lontano da dove?
Come ben illustrato dai curatori la condizione liminare di confine tra Occidente e Oriente, ha innescato un processo di autodefinizione tanto decisa quanto interessante che ha caratterizzato l’architettura di questi territori. Territori che, non bisogna dimenticarlo, sono stati oggetto di una recente suddivisione.
Quando riflettiamo su un argomento lo facciamo ponendoci al centro e misurando la distanza concettuale da una condizione che costituisce, appunto, il nostro metro di paragone. Se in passato la Jugoslavia si è faticosamente emancipata da un imperialismo architettonico, quello che imponeva canoni in nome di una ideologia politica, la divisione in entità autonome non fa che incentivare una diversità architettonica da intendere come arricchimento e non come impoverimento.
La molteplicità è da sempre sinonimo di scelta e di libertà. La costruzione (l’architettura) è sempre testimonianza di una cultura e la città che ne deriva è il palinsesto delle culture che si susseguono nel tempo.
Benché concentrati ad un determinato periodo storico del Novecento, gli articoli qui presentati restituiscono il tentativo di riportare l’attenzione degli studiosi di architettura ad un contesto tanto misconosciuto quanto vicino.
In un articolo pubblicato su questa rivista ormai dieci anni fa riflettevo sul concetto di identità europea dell’architettura ed in particolare sull’esistenza di un insieme di caratteri (o di prevalenza di caratteri comuni) in grado di meglio definire l’architettura. Mi rendo conto che un decennio di questo secolo, che sembra procedere a velocità moltiplicata rispetto ai precedenti, costituisce un periodo sufficientemente lungo affinché molte riflessioni possano apparire superate o addirittura anacronistiche. Mi chiedevo, allora se in analogia fosse possibile applicare l’interrogativo al territorio balcanico. In altre parole esiste un’architettura dei Balcani e, se si, quali sono i caratteri prevalenti?
Siamo convinti che il ruolo di una rivista come FAM sia quello di continuare a porre interrogativi piuttosto che fornire certezze e il numero sull’Architettura dei Balcani vada proprio in questa direzione.