Case della Salute e Case della Comunità in Italia: una prima ricognizione.

Alessia Simbari



Il concetto di Case della Salute in Italia trova origine dall’omonimo convegno ministeriale del 2007, segnando l’inizio di un percorso, guidato dalle modifiche al titolo V della Costituzione, che ha trasferito competenze nel campo sanitario alle Regioni. Di conseguenza, le Regioni hanno iniziato a legiferare sul tema, come dimostrato dalla Delibera della Giunta Regionale n. 291/2010 dell’Emilia-Romagna, intitolata Casa della Salute: indicazioni regionali per la realizzazione e l’organizzazione. (DGR 2010)
Nonostante siano trascorsi solo quindici anni dalla loro introduzione, nel 2021 risultano operativi 554 istituti con questa denominazione in Italia, un numero evidentemente insufficiente per strutture decentrate e diffuse di questo tipo (Pesaresi 2022).
Ma la questione preminente non risiede tanto o solo nella quantità a livello nazionale di CdS, piuttosto nella loro collocazione a scala urbana e di quartiere, nonché nella relazione con l’ambiente circostante e nella qualità architettonica e spaziale che le dovrebbe contraddistinguere.
L’epidemia da SARS-CoV-2 ha agito come catalizzatore per una riflessione profonda sulle strutture sociali e sanitarie, svelandone le fragilità e indicando la necessità di nuovi spazi e modelli di strutture sanitarie (Quintelli et altri 2020).
In risposta a queste problematiche, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si determinano i contenuti del Decreto Ministeriale n. 77/2022, intitolato “Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale” (DM 2022). Politiche di programmazione e di indirizzo normativo che definiscono le caratteristiche delle Case della Comunità e ne prevedono un significativo incremento numerico su scala nazionale.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stabilisce l’istituzione di 1.350 (Italiadomani 2021) Case della Comunità, poi diventate 1.430 (Openpolis 2023) a seguito delle istanze delle Regioni, entro la metà del 2026, utilizzando sia strutture preesistenti che di nuova costruzione, anche se, in seguito alla revisione del piano nell’estate del 2023, il numero viene ridotto di circa 400 unità, così ridimensionando significativamente la programmazione originaria. Tuttavia, l’analisi dei progetti finanziati finora ha evidenziato la scarsità di progetti architettonici qualificati e riconosciuti dalla critica attraverso pubblicazioni, sottolineando la necessità di un impegno più marcato nella progettazione, ancor prima che nella realizzazione, di queste strutture per garantirne il successo in termini di pieno conseguimento degli obiettivi.
È importante sottolineare che la presenza delle CdS e delle CdC è significativamente disomogenea nella geografia regionale, con una maggiore concentrazione nelle regioni settentrionali. In questo scenario, si nota un aumento della diffusione nella Regione Emilia-Romagna, tradizionalmente all’avanguardia nel campo sanitario.
Dall’analisi di una pur limitata casistica italiana, sono state selezionate alcune strutture comunque significative di CdS e CdC, nei confronti delle quali è possibile evidenziare qualche primo aspetto di caratterizzazione come di rilievo critico. Le strutture selezionate includono: la Casa della Salute di Carpaneto Piacentino (Provincia di Piacenza), la Casa della Comunità Lubiana-San Lazzaro (Parma), la Casa della Salute di Casalgrande (Provincia di Reggio Emilia), la Casa della Salute G.P. Vecchi (Modena), la Casa della Salute Navile (Bologna), la Casa della Comunità di Predazzo (Provincia di Trento) e la Casa della Comunità di Salò (Provincia di Brescia).

Il progetto della nuova Casa della Salute a Carpaneto Piacentino, realizzato da A+C_Architettura e Città nel 2017, ne prevede il posizionamento tra la struttura storica dell’ex Macello, la cui destinazione funzionale rimane al momento sospesa, e l’edificio postale, trovando al di là dell’area coinvolta la spaziosa piazza Rossi che, utilizzata principalmente come parcheggio, oltre che per il mercato, appare come uno spazio asfaltato privo di una qualità urbana distintiva nella vita di tutti i giorni e con scarsa attinenza alla CdS se non in termini di area di sosta.
L’edificio si caratterizza per una struttura semplice, monoplanare e lineare, con elementi distintivi come la forma a “L” e bracci prolungati che creano una suggestiva semi-corte verde di accesso, evidenziata dalla presenza rilevante di un albero preesistente. I corpi lineari prospicienti la corte, con prospetti vetrati protetti dalla luce solare e dalla pioggia attraverso uno sporto aggettante, accolgono l’intero sistema di distribuzione e attesa della struttura.
L’architettura è inserita nell’area in modo da agevolare la creazione di tre aree verdi e un parcheggio dedicato al personale. All’interno, due traiettorie di distribuzione si intersecano nell’angolo centrale, ospitando opportunamente in quello snodo uno spazio di accoglienza pur se di dimensioni ridotte, destinato anche a desk informativo e attesa. Una carenza dimensionale che mette in dubbio l’assolvimento delle funzioni previste secondo una condizione di reale accoglienza.
Il progetto architettonico sottolinea l’importanza del comfort visivo e della connessione con l’ambiente esterno da parte dei fruitori, enfatizzando tali aspetti soprattutto attraverso la realizzazione di corridoi di distribuzione ampiamente vetrati, secondo un linguaggio teso a restituire leggerezza ed eleganza formale a quello spazio. Le aree di attesa sono posizionate anche lungo i corridoi secondo una prassi purtroppo consolidata, a cui si aggiunge una scarsa attenzione nella collocazione delle sedute le quali, orientate con lo schienale contro la vetrata, non consentono agli utenti in attesa di avere una visione sullo spazio verde della corte. Inoltre, la presenza delle vetrate lungo lo spazio di distribuzione, sebbene contribuisca al comfort in termini visivi e di luminosità, non garantisce una sufficiente privacy agli utenti in attesa.
Considerata la dimensione limitata della Casa della Salute, la flessibilità dell’impianto anche in termini di ampliamento non è ipotizzabile se non sul versante della piazza Rossi.

Nel contesto parmense, il progetto per la nuova Casa della Comunità Lubiana-San Lazzaro, realizzato da Vincenzo Facchino (S.A.T.) nel 2022, si distingue attraverso un complesso architettonico articolato in quattro parti, ognuna con una chiara destinazione funzionale. Le prime tre parti, disposte in modo interconnesso a formare un unico corpo con struttura a “C”, sono concepite per ospitare le attività sanitarie e del Polo Sociale Territoriale. La quarta parte si identifica in un edificio in posizione posteriore e autonomo rispetto all’altro principalmente destinato a Centro Dialisi Territoriale, con ulteriori spazi dedicati alla Centrale Operativa 118.
Il nucleo centrale, identificato come il punto principale di accesso alla struttura, accoglie un ingresso caratterizzato da uno spazio di accoglienza che include un desk informativo e per il ritiro referti. Tuttavia, è evidente che le attuali ridotte dimensioni di questo spazio potrebbero costringere gli utenti a sostare in attesa sulla soglia d’ingresso o, in determinate occasioni, all’esterno della struttura, con evidenti problematiche di congestione dell’ambiente di accesso. Di fatto, la mancanza di spazi e servizi d’accoglienza, probabilmente a causa di una progettazione datata molto anteriore ai nuovi indirizzi normativi, rischia almeno in parte di compromettere il concetto stesso di Casa della Comunità.
Ai lati dell’ingresso i due corpi connessi al nucleo centrale ospitano, con una paritetica disponibilità di spazi, la componente sociale del Polo Territoriale Comunale e la parte sanitaria. Emergono chiaramente criticità legate a questa rigida distribuzione aldilà della superficie operativa. La parte sociale, rappresentata dal Polo Territoriale, gode di ampi e confortevoli spazi, mentre l’area dedicata alle attività sanitarie appare sottodimensionata e mediamente affollata. Si tratta di un impianto incentrato su un unico corridoio, mediamente affollato e con pochi riscontri verso l’esterno, che presenta dimensioni non adeguate a supportare in modo completo ed efficace la pur significativa e qualificata dotazione di prestazioni sanitarie presenti, creando un ambiente di lavoro non del tutto ottimale per il personale, con ricadute negative per gli utenti sotto molteplici punti di vista.
Le aree di attesa, spesso ottenute dall’utilizzo di un modulo ambulatoriale o dalla collocazione di sedute lungo il corridoio di distribuzione, contribuiscono ulteriormente alle problematiche fruitive all’interno di quest’area del complesso.
La struttura si sviluppa su un unico piano, realizzata ex novo su un’area precedentemente non edificata, priva di vincoli, e quindi originariamente suscettibile di un impianto ad alta qualità architettonica.
L’accessibilità al complesso è garantita sia attraverso un ingresso pedonale che conduce all’atrio comune rivolto sulla via 24 Maggio, sia attraverso un accesso carrabile che conduce a un parcheggio, posto a lato verso nord, dedicato a utenti e personale.
Nell’identità formale della struttura emerge un’evidente discrasia semantica tra l’immagine architettonica e la natura delle funzioni svolte al suo interno. In generale le scelte architettoniche non si preoccupano di rappresentare il valore civile ed urbano che tipizza anche sul piano iconico una Casa della Comunità.

Il progetto in corso di costruzione per la Nuova Casa della Salute di Casalgrande, in Provincia di Reggio-Emilia, progettato da Bertani & Vezzali nel 2017, secondo una tipologia definita come “padiglione nel verde”, è articolato attraverso blocchi funzionali che seguono la conformazione a triangolo acuto dell’area. Il carattere di organicità cellulare del complesso deriva dalla sequenza di diversi elementi correlati attraverso un ampio ed articolato percorso distributivo, che svolge anche la funzione di spazio di attesa, sino al punto nodale in cui si collocano l’ingresso e l’accoglienza.
La struttura presenta ingressi differenziati, uno principale per il pubblico, uno separato per la neuropsichiatria infantile ed uno di servizio laterale corrispondente all’accesso carrabile. Volumetricamente sviluppata su un solo piano, presenta un risalto in altezza nella parte dedicata alla zona di ingresso e accoglienza. L’area non occupata dall’edificio è destinata a verde pubblico protetto.
La disposizione degli ambulatori e delle sale di trattamento si sviluppa attraverso zone opposte al lato di accesso principale, garantendo spazi riservati e protetti. Al contempo l’area comune di distribuzione ai vari servizi offre spazi di attesa accoglienti e con duplice esposizione nord e sud, in grado di fornire alta luminosità e permeabilità visiva anche sotto il profilo della sicurezza.
Pur all’interno di uno spazio residuale dettato dalle infrastrutture stradali, gli architetti hanno voluto conferire identità architettonica e urbana all’edificio attraverso una rete di relazioni funzionali ed urbane, ricucendo il margine ovest con la campagna, le corti rurali vicine, l’ampliamento residenziale recente, i viali di distribuzione e le fasce a giardino pubblico e privato prossime al centro storico. Questa tessitura si estende a comprendere la biblioteca, il municipio, il teatro e il parco pubblico, creando una concatenazione di luoghi urbani integrati nelle dinamiche del borgo.
Attualmente, l’area include un parcheggio accessibile sia agli utenti che al personale ed è servita da un marciapiede ciclopedonale lungo l’intera via Carlo Marx, garantendo un collegamento eccellente per gli spostamenti a basso impatto ambientale verso il centro di Casalgrande.

Il progetto per la realizzazione della Casa della Salute G.P. Vecchi a Modena, realizzato dallo Studio Lenzi & Associati e ZPZ Partners e completato nel 2020, si sviluppa su quattro piani funzionali, con un piano interrato e un piano superiore dedicato alla gestione logistica e impiantistica. L’approccio progettuale si basa su un impianto a blocco, evidenziato al piano terra da un vasto ambiente, “piazza” centrale, sopra la quale, tramite uno spazio cavo verticale, si percepiscono i diversi livelli.
La “piazza” riveste un fondamentale ruolo ordinatore della struttura, fungendo da punto di ingresso, smistamento e passaggio per l’accesso anche ai piani superiori, nonché come area di attesa agli ambulatori. Questo spazio ottimizza la distribuzione interna dell’edificio ed è anche un punto informativo e di orientamento per gli utenti.
L’accoglienza e le relative attese sono distribuite su tutti i livelli dell’edificio a partire dalla “piazza”, con spazi arredati affacciati sulla cavità centrale. Un elemento distintivo è l’utilizzo del colore che varia in base alla sua funzione sanitaria o sociale; questo non solo facilita l’orientamento degli utenti ma contribuisce anche a creare un ambiente più “umanizzato” che si discosta dalle strutture sanitarie standardizzate caratterizzate storicamente dalla scarsa varietà cromatica.
Un’attenzione particolare è rivolta ai bambini, con una zona specificamente progettata al piano terra, vicino alla caffetteria, per intrattenerli durante l’attesa. Inoltre, ogni piano dispone di posti a sedere dedicati ai più piccoli, creando un ambiente accogliente e adatto alle loro necessità.
L’identità formale esterna dell’edificio appare semanticamente ambigua e rispecchia parzialmente la sua funzione sanitaria e comunitaria, a differenza della caratterizzazione sviluppata al proprio interno.

L’entità architettonica della Casa della Salute nel quartiere Navile a Bologna, realizzata da MATE Engineering nel 2018, emerge in modo significativo, quasi segnaletico, nel paesaggio urbano, grazie al carattere volumetrico e al rivestimento in pannelli di colore verde che avvolge completamente l’intera struttura. Aspetti distintivi che vorrebbero sottolineare l’importanza di questo grande centro di servizi sanitari afferente alla zona nord-ovest di Bologna.
La struttura della Casa della Salute Navile si denota per un’impostazione architettonica compatta a blocco, all’interno del quale è ricavata, a partire dal secondo piano, una cavità cortilizia aperta per avere riscontro di aria e luce, mentre ai primi due livelli si determina un ambiente centrale chiuso a doppia altezza, comprendente gli spazi di attesa, le aree di accoglienza e i servizi di prenotazione. Una disposizione su quattro piani fuori terra, capace di organizzare adeguatamente le diverse attività sanitarie e amministrative previste.
La scelta di utilizzare una sorta di hall interna coperta come fulcro delle attività riflette un approccio architettonico orientato a creare un unico ambiente distributivo centrale, accogliente e multifunzionale, sebbene presenti analogie con il carattere di una hall terziaria o di un mall commerciale come evidenziato dalla presenza di una scala mobile, elemento non del tutto idoneo in un contesto sanitario per ragioni funzionali e gestionali. La scala mobile, infatti, non contribuisce ad incentivare attività fisica, non favorisce l’accesso ad utenti con limitata mobilità motoria e presenta alti costi di gestione difficilmente ammortizzabili in mancanza di un forte flusso di utilizzatori.
Lo spazio di attesa presenta una concentrazione delle sedute con inevitabili conseguenze sul piano acustico, delle logiche sanitarie di distanziamento e della prossimità ai servizi ambulatoriali.
La fascia basamentale porticata di colore bianco in facciata svolge un ruolo importante nel segnalare i punti di accesso, dove il portico si pone come area di transito protetta e al tempo stesso capace di integrare l’edificio nel contesto urbano circostante.
Sull’esterno, l’ultimo piano coronato da un generoso cornicione aggettante si distingue per una finestra a nastro perimetrale di forte presa di luce. Una sommità anch’essa coinvolta nella preoccupazione segnaletica di un edificio pubblico che aspirerebbe a diventare un landmark all’interno del paesaggio urbano circostante.

L’approccio progettuale per la Casa della Comunità di Salò, progettata da Stefano Boeri nel 2022, adotta un impianto circolare, articolato su due livelli fuori terra e un piano interrato. Un edificio inoltre caratterizzato da due elementi distintivi: la corte aperta e la facciata verde, concepiti come tratti paesaggistici fondamentali del progetto.
La configurazione ad anello dell’impianto segna uno sviluppo di percorso oneroso, secondo un unico corridoio attraverso cui raggiungere i servizi localizzati alle estremità opposte.
I volumi che si affacciano sulla corte aperta sono destinati ad accogliere le aree di socialità, ristoro e attesa. La copertura di tali volumi si trasforma in una terrazza aperta, accessibile ai pazienti della struttura. La corte è concepita per offrire un ambiente protetto, ma privo di spazi di mediazione coperti ma aperti.
La facciata esterna della Casa della Comunità di Salò si distingue per ampie vetrate che favoriscono la permeabilità visiva tra gli spazi interni ed esterni, garantendo così un’adeguata illuminazione naturale all’interno della struttura, una scelta che però deve fare i conti con la privacy degli utenti e degli operatori sanitari. La facciata è integrata con una struttura in legno, ancorata al sistema principale, che agisce come sistema di ombreggiamento e sostegno della vegetazione chiamata ad un ruolo preponderante sino a quello che si definisce ormai di sovente effetto jungla.
Il progetto punta molto sull’immagine, nella fattispecie della sostenibilità e del ruolo del verde; tuttavia, è stato contestato dalla Soprintendenza in quanto la sua attuazione avrebbe inevitabilmente comportato lo «sventramento del declivio boscato» nel contesto di inserimento.

L’ultimo caso analizzato di questa provvisoria rassegna di confronto, la Casa della Comunità di Predazzo non ancora realizzata e progettata da Weber + Winterle architetti nel 2023, riguarda un progetto di edificio caratterizzato da un impianto a blocco che emerge attraverso la sua rilevante struttura su cinque livelli, compresi un piano interrato e un sottotetto, da cui si ricava l’entità delle dotazioni funzionali previste. Un edificio la cui immagine non coglie l’esigenza di denotazione semantica richiesta da una struttura sanitaria di tipo comunitario nel paesaggio urbano, rimanendo sospesa tra l’idea del condominio residenziale e la palazzina per uffici, priva oltretutto di riferimenti di natura contestuale.
La struttura presenta un ingresso principale e un ingresso secondario posizionato sul lato opposto, entrambi finalizzati a facilitare l’accesso allo spazio di accoglienza, il quale, concepito per fungere da cerniera per l’intera struttura, si trova tuttavia limitato in termini di dimensioni, risultando proporzionalmente ridotto rispetto al previsto afflusso di utenti che la Casa della Comunità dovrebbe recepire.
Definito dai progettisti come «hall / spazio attesa», questo ambiente, più assimilabile a un grande corridoio di disimpegno, viene riproposto su tutti i piani destinati a fornire specifici servizi e finisce per configurarsi principalmente come un luogo di attesa standardizzata, con un desk di accettazione, senza una differenziazione adeguata alle diverse tipologie di utenti.
Uno spazio chiave ma privo di riscontro con l’esterno se non per le funzioni di accesso e di affaccio sulla strada, quindi privo di caratteristiche capaci di tradurre situazioni di natura comunitaria, sia funzionali e percettive che simboliche. Una condizione questa, tra le altre di natura architettonica, che merita un’approfondita riflessione sugli aspetti determinanti la soddisfazione degli utenti all’interno di una struttura di servizio pubblico come la Casa della Comunità.

Conclusioni
Questo primo itinerario all’interno del contesto italiano, pur come già detto su un campione giocoforza limitato, ha sinora messo in luce una carenza di realizzazioni rilevanti in termini di qualità tipo-morfologica ed urbana delle Case della Salute e delle Case della Comunità costruite o in fase di progetto.
Tuttavia, è possibile identificare alcune criticità ricorrenti che possono essere considerate come paradigmatiche, insieme ad alcuni tentativi apprezzabili, riguardanti la progettazione degli spazi richiesti dal potenziale dei servizi integrati previsti.
Dalla raccolta e dall’analisi dei casi svolta emergono come problematiche predominanti relative a tali strutture la questione preminente della loro ubicazione a livello urbano e di quartiere, il rapporto con il contesto circostante, una tipologia distributiva e una definizione iconica ancora non ben focalizzate sull’innovazione funzionale e identitaria della Casa della Comunità.
Queste strutture spesso vengono posizionate all’interno del territorio in maniera casuale, selezionando aree a disposizione del Comune o di altro ente di competenza, a volte caratterizzate da limitata accessibilità specialmente in termini di percorsi ciclo-pedonali. Inoltre, presentano una scarsa connessione con gli spazi verdi e con i luoghi e i servizi pubblici caratterizzanti la condizione dell’aggregazione urbana. Spazi fondamentali di servizio pubblico che così non contribuiscono ai processi di concentrazione e di integrazione dei servizi essenziali per la comunità cittadina.
In altre parole, emerge a volte una scarsa consapevolezza di essere la Casa della Salute e ancor più di Comunità un centro di servizi pubblici che non si limita solamente alla prestazione sanitaria, ma che investe in modalità ben più ampia diverse necessità degli anziani, dei disabili, dei giovani, delle donne e delle famiglie all’interno della vita di quartiere nella città contemporanea.
Partendo da questo deficit interpretativo risulta difficile rappresentare funzionalmente, attraverso forme architettoniche, la concezione di “salute” indirizzata al miglioramento del benessere sia individuale che sociale. In questo contesto, è importante sottolineare come la qualità dello spazio costruito possa avere un impatto significativo sul funzionamento dei servizi offerti e, al contempo, sul senso di appartenenza, sulla rappresentatività e sull’inclusione dei cittadini che dovrebbero usufruire dei servizi socio-sanitari secondo un approccio sempre più orientato alla dimensione comunitaria.
Nella progettazione di strutture socio-sanitarie, l’architetto assume un ruolo di primaria importanza che si estende oltre la mera estetica e la conformità alle specifiche normative e osservanze tecniche. La concezione di un ambiente di cura ottimale richiede un approccio improntato all’identificazione diretta delle esigenze degli utilizzatori, intesi come soggetti culturalmente denotati, ponendo l’architetto in prima linea quale agente che si immedesima nel contesto sociale in cui opera.
Una prospettiva fondamentale non solo per comprendere le dinamiche funzionali, ma anche per immergersi profondamente nelle aspettative e nelle esperienze sia degli operatori che dei pazienti, da cui derivare una logica degli spazi che risponda in modo integrale e antropocentrico alle esigenze complesse inerenti la cura e il benessere.




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