Il ruolo urbano di architetture e luoghi per i servizi decentrati
di salute comunitaria
Giuseppe Verterame
Lo shock provocato dalla
recente pandemia ha generato un desiderio comune di rinnovamento delle
politiche sociali in cui scorgere un avanzamento necessario. Infatti,
tra isolamento e chiusure forzate abbiamo sperimentato la solitudine,
il distanziamento fisico con ricadute sui comportamenti e con
conseguenze sulla socialità. Allo stesso tempo, il periodo di
reclusione domestica ha evidenziato fragilità e rafforzato la
consapevolezza dell’importanza delle relazioni personali, con
azioni di solidarietà delle comunità che si organizzavano
per sostenere i più fragili, con approvvigionamento di cibo,
medicinali e supporto emotivo.
L’emergenza sanitaria ha così messo in luce la
necessità di adottare nuovi approcci per il raggiungimento di
una migliore qualità di vita, tra cui anche un cambio di
paradigma nella sanità pubblica «passando da un modello
medico, focalizzato sull’individuo, a un modello sociale, in cui
la salute è considerata come il risultato di vari fattori
socio-economici, culturali e ambientali» (Capolongo, Buffoli,
Brambilla, Rebecchi 2020, p. 271). L’improvvisa diffusione del
virus ha portato a misure di contrasto tra le più rigide al
mondo nel contesto degli Stati democratici, adottate proprio
perché il sistema sanitario presentava criticità evidenti
nella mancanza di supporto decentrato alle strutture sanitarie
centrali, come gli ospedali.
Per rimediare alle carenze evidenziate, il Ministero della Salute nel
maggio del 2022, con il Decreto Ministeriale n. 77,1 ha concepito un
nuovo modello territoriale per il Servizio Sanitario, introducendo la
Casa della Comunità come fulcro di una rete di servizi sanitari
e sociali diffusi sul territorio. Derivato dalla matrice organizzativa
e funzionale della Casa della Salute ‒ che ha trovato applicazione
disomogenea nelle diverse regioni ‒ si caratterizza per un approccio
integrato e multidisciplinare tra professionisti dei settori sanitario,
socio-sanitario e sociale, con attenzione alla continuità
assistenziale e al supporto domiciliare delle fasce deboli, in
particolare con nuove figure professionali come il cosiddetto
infermiere di comunità.
Questo modello tenta di rispondere alla necessità di cambio di
paradigma cui si accennava precedentemente, che ovviamente non si
può risolvere esclusivamente nell’adozione di nuovi
modelli e standard ‒ così definiti dall’Allegato 1 del
Decreto precedentemente citato ‒ ma attraverso una visione allargata,
innanzitutto quella che comprende il suo ruolo strategico nei confronti
della città.
Già da parecchi decenni si insiste sulla intrinseca relazione
città-benessere e come da questo binomio dipenda la
qualità della vita delle persone, fin dalla Conferenza delle
Nazioni Unite sull’ambiente tenuta a Rio.2
Di recente, nel 2021, il Ministero della Salute ha pubblicato il
Documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica
di Salute Pubblica dove evidenzia che «il concetto di Healthy
City presuppone l’idea di una comunità conscia
dell’importanza della salute come bene collettivo»
(Ministero della Salute 2021, p. 6).
In questo modo si mette in evidenza l’importanza
dell’ambiente urbano per la salute, la quale non è
solamente associata alla sfera individuale, ma correlata al bene comune
e quindi all’idea di una salute comunitaria (ivi, p. 10).
Tuttavia, le varie raccomandazioni contenute nei documenti prodotti, a
partire dalla Conferenza fino alle recenti proposte, sono divenute
perlopiù slogan. Oggi, al di là di alcune attrezzature
collettive, lifting di aree urbane più o meno abbandonate,
prolungamenti di piste ciclabili e parchi con un ridotto effetto
urbano, non si rilevano interventi di rigenerazione urbana
caratterizzati da una visione olistica capace di restituire una
condizione di benessere di forte rilevanza sociale. Ancora una volta,
l’emergenza sanitaria ha evidenziato problematiche legate alle
attrezzature e agli spazi collettivi: a molti sembrava evidente
l’importanza di ripensare la città ‒ in quel periodo
negata a causa dei confinamenti ‒ esperita nelle prossimità
della propria casa per rivendicare quell’innato istinto di
espressione comunitaria e sociale, spesso disilluso perché quei
pochi e ridotti spazi praticabili non avevano qualità rilevanti.
Per una salute comunitaria: i
paradigmi di centralità
e di luogo urbano
Sembrava evidente la necessità di ripartire dalla città
come fenomeno collettivo e campo geografico della fenomenologia
comunitaria, in grado di ‒ come scrive Jean-Luc Nancy ‒ mettere in
relazione l’essere singolare plurale, ovvero quella scena in
grado di rappresentare il «buono spettacolo, l’essere
sociale o comunitario [che] presenta a se stesso la propria
interiorità, la propria origine (di per sé invisibile),
la fondazione del proprio diritto, la vita del proprio corpo»
(Nancy 2001, p. 77).
All’interno del paradigma necessario adottabile nel post-covid,
emerge quindi il tema della collettività, priorità
sociale basata sulla consapevolezza maturata dell’importanza del
ruolo della comunità in una chiave solidale, come manifestato da
vari enti durante il periodo di isolamento.
La sostituzione nominalistica da Casa della Salute a Casa della
Comunità, pur attuata solo per Decreto senza che in molti
contesti ne conseguisse un reale cambiamento in termini programmatori
ed operativi, sembra rientrare in quella maturata consapevolezza da
parte delle istituzioni prodotta durante la pandemia a cui si faceva
riferimento precedentemente.
Considerando l’attualità, i vantaggi della CdC sarebbero
numerosi, in particolare in relazione alle tematiche di inclusione e
diversità, solidarietà e assistenza delle fasce deboli,
partecipazione civica e educazione. Realmente, la comunità
può rappresentare un elemento chiave per affrontare le sfide
sociali, economiche e sanitarie, poiché collaborazione e
solidarietà sono fondamentali per costruire società
sostenibili nel lungo termine.
Adriano Olivetti sosteneva l’importanza della Comunità
all’interno della società per la costruzione di un senso
civico a partire dal basso e mettendo al centro responsabilità
individuale, solidarietà sociale, dignità e diritti delle
persone, interesse delle generazioni future (Olivetti 2013).
Olivetti ha applicato i valori comunitari a diversi contesti, dagli
insediamenti rurali del Canavese ‒ con la costruzione dei Centri
Comunitari ‒ al contesto lavorativo industriale e fino allo sviluppo di
Ivrea, dove ha integrato lavoro, residenza e servizi, promuovendo la
costruzione di case, scuole e servizio sanitario per migliorare la
qualità della vita dei dipendenti e delle loro famiglie (Renzi
2008). Egli ha dimostrato, inequivocabilmente, che non può
esserci sviluppo di una comunità disgiunta dalla costruzione di
un luogo, che riporta all’idea di città, come scena, al
contempo, di communitas
(Esposito 1998) ed immunitas
(Esposito 2002).
Tuttavia, tra le indicazioni ministeriali non ci si riferisce al
potenziale urbano di questi modelli di assistenza territoriale che
posseggono lo status di edificio pubblico. L’enfasi critica non
vuole risultare ovvia ma necessaria, considerate le proposte
metaprogettuali, i primi progetti e gli esemplari prodotti –
facendo rientrare anche le Case
della Salute – spesso carenti in
termini di articolazione tipologica e qualità rappresentative
all’interno della struttura urbana. Una visione lungimirante e,
quindi, sostenibile deve considerare la realizzazione della Casa della
Comunità secondo la vocazione collettiva tipica di
un’architettura civile, interpretandola come potenziale
distrettualità comunitaria di una determinata parte di
città e mezzo di una fenomenologia comunitaria.
In aggiunta, congegni architettonici e urbani così
caratterizzati ed adeguatamente attrezzati possono rivestire un ruolo
cruciale nella gestione delle emergenze che, come dimostrato nella
recente pandemia, risultano particolarmente concentrate nelle aree
urbane.
Pertanto, lavorare sulla città con la consapevolezza del
potenziale ruolo delle sue attrezzature può, da un lato,
efficacemente limitare gli impatti di future emergenze e,
dall’altro, sottolineare il ruolo centrale della comunità.
Alla luce dei più importanti eventi, la trasformazione della
città viene condizionata dalle urgenze imposte
dall’attualità, come la necessità rappresentata
dalla salute comunitaria. Secondo Antonio Monestiroli (1979, pp.
34-35), il progetto di architettura deve sperimentare nuove forme in
grando di rivelare la ragione collettiva dei temi che si succedono
lungo il corso della storia.
Viste le premesse, dovremmo, ora, chiederci quale sia la ragione
dell’architettura per la salute comunitaria, proprio in relazione
alla città che, come ritiene Carlo Quintelli (2010a, p. 9), va
considerata
una struttura
comunitaria, all’interno della quale i meccanismi
di riproduzione dell’intero e delle parti tendono a
reinterpretare e riprodurre il principio comunitario, conferma
necessaria del denotato urbano, ma secondo diverse declinazioni ed
elaborazioni di significato.
In questo senso, l’architettura della salute comunitaria non
può essere dissociata dalla sua dimensione collettiva, senza la
quale perderebbe senso.
Tuttavia, la dimensione collettiva non la si ritrova esclusivamente
nella realizzazione delle sue finalità pratiche in risposta alle
sue funzioni principali, come quelle per la salute, perché ci
ritroveremmo un involucro che soddisfa requisiti funzionali e fruitivi,
ma privo di qualità architettoniche in grado di rappresentarne
il ruolo urbano di edificio civile.
Così, nel tentativo di interpretare il senso di una tale opera
per la collettività, è opportuno approfondire quanto
sostenuto da Monestiroli (1979, pp. 34-35):
credo che la ragione di
ogni edificio si basi sulla sua funzione,
prenda origine da essa, tuttavia non coincida con essa. Ed è
propria questa non coincidenza a consentire il progresso
dell’architettura o per lo meno il progresso di un aspetto di
essa, quello della conoscenza del senso di ogni manufatto […] se
consideriamo la funzione ciò che lega l’architettura alla
realtà concreta in cui viene costruita, possiamo dire che la
conoscenza della funzione avviene tramite la conoscenza della
realtà nel suo complesso. Non è possibile quindi
arrestarsi alla funzione così come si dà ma è
necessario conoscerne gli aspetti profondi, legati ad una più
estesa e generale conoscenza della realtà. È questa
conoscenza che ci permette di andare oltre la funzione e di conoscere
la ragione degli edifici.
Definite alcune premesse di carattere analitico-critico, è
necessario, a questo punto, procedere in modo sintetico alla
definizione progettuale, anche in modo analogico,
dell’architettura per la salute comunitaria in senso urbano.
Se si osserva la città ‒ in particolare le periferie ‒ emerge
una diffusa assenza di caratterizzazione complessiva, che deriva da una
evidente indeterminazione formale. All’interno di uno stato di
necessità precedentemente determinato, da un lato sul piano
della fenomenologia urbana e dall’altro sul piano sociologico,
l’architettura per la salute comunitaria ritrova la sua ragione
se è in grado di rappresentarsi come fattore di
centralità urbana,3
edificio collettivo e congegno architettonico
composito, rilevante non solo a livello funzionale e fruitivo, ma
soprattutto per la sua capacità di farsi interprete del suo
senso civile di attrezzatura urbana con predisposizione alla
polifunzionalità, flessibile nei suoi diversi usi, facilmente
accessibile, dotato di spazi comuni aperti e socialmente contaminabile
grazie ai diversi servizi offerti. Così inteso, il contributo al
determinarsi della centralità,
oltre ad attuare specifici
programmi funzionali, può favorire lo scambio e la cooperazione
tra i vari enti e le istituzioni, generando sinergie tra gli attori
coinvolti nella promozione della salute così come della
socialità, materializzando uno dei significati di
comunità.
L’idea di centralità
risulta concettualmente adeguata sia
alla scala dell’architettura che a quella della città,
ambito fisico in cui l’architettura della salute comunitaria
pretende di instaurare relazioni. A questo proposito, potremmo valutare
l’appropriatezza dell’adozione del paradigma di luogo
urbano per tradurre concretamente quella dimensione della
centralità a cui
l’architettura concorre. Infatti, questo
duplice carattere può rappresentare una pluralità di
forme organizzate, come edifici per attività e servizi di vario
tipo, pubbliche o private ‒ comprese le residenze specializzate ‒ ma
allo stesso tempo esprimere un’immagine unitaria, riuscendo
meglio ad esprimere il suo potenziale ruolo urbano come spazio per la
comunità.
Così inteso, il luogo rappresenta un sistema architettonico
complesso, possiede qualità urbane strutturali e identitarie,
incentiva i fenomeni sociali e stabilisce relazioni multiple tra
architettura e città.
Secondo Rykwert, il concetto di luogo travalica i criteri razionali
fino a raggiungere aspetti simbolici tanto che i cittadini possono
provare orgoglio per l’appartenenza ad un determinato ambito,
sviluppando un senso di appartenenza. Si tratta di una forza intrinseca
che influenza la socialità dei suoi abitanti, attivando la
vitalità di una comunità. Inoltre, egli sostiene che la
presenza di luoghi di riferimento è cruciale perché
arricchisce l’esperienza urbana: intesi come punti di
riferimento, hanno un ruolo significativamente urbano e fungono da
catalizzatori delle attività umane, tanto da determinare un
carattere, per mezzo delle loro qualità rappresentative,
distintive nell’esperienza urbana (Rykwert 2003, p. 306).
A partire dall’esperienza storica, è la piazza il tipo di
luogo urbano che meglio traduce le qualità descritte: sul piano
rappresentativo, è uno spazio dotato di qualità
simboliche, identificabile come vuoto catalizzatore di attività
pubbliche e sociali. A questo proposito, Paolo Portoghesi (1990, pp.
13-14) sostiene che è «la piazza infatti, intesa come
cuore pulsante della città, centro motore e intelletto del
tessuto urbano […] il luogo privilegiato dell’incontro,
del dialogo dello scambio sociale» . Non solo, egli accoglie la
tesi di Nancy sulla necessità della comunità di
rappresentarsi in un teatro urbano:
scena e teatro entrano
nella progettazione della piazza non già
come apporti esterni, ma come esigenza connaturata al concetto stesso
di piazza: un luogo dove la presenza dell’uomo, sia essa
quotidiana o legata a particolari eventi, deve farsi spettacolo (ivi,
p. 24).
Secondo Carlo Aymonino, questa capacità trasforma lo spazio
pubblico della piazza in fatto urbano. Egli lo ha dimostrato in
numerose realizzazioni di piazze: superando l’assioma dello
spazio vuoto, la considerava come «un luogo urbano per
eccellenza» (Aymonino 1995, p.20). Egli utilizzava uno dei temi
archetipici dell’architettura e della costruzione della
città attraverso la composizione di una pluralità
architettonica, fatta di parti diverse ma convergenti
nell’espressione di un’unitarietà, in grado di
sublimare il concetto di luogo, sintesi concettuale e relazionale tra
la struttura urbana e la soluzione architettonica. Lo ha reso evidente
in numerosi suoi progetti: realizzazione di scuole, complessi
abitativi, teatri, centri direzionali. L’importanza del suo
contributo risiede nella dimostrazione che il progetto di architettura
non è solamente la soluzione di un singolo problema ‒ come
potrebbe essere la realizzazione di un edificio per la salute ‒ ma la
risposta ad una questione complessa. A conferma di ciò, per il
progetto di centro scolastico a Pesaro, racconta che nel contesto del
sito di progetto mancava «un luogo centrale, organizzato per la
vita civile, un’architettura che la rappresenti»
così allora suggerendo
di inserire un centro
civico, politico, culturale e commerciale nel
campus, luogo di incontro per la segregazione studentesca e la
realtà sociale del quartiere […] luogo di riferimento
visibile e riconoscibile di quella parte di città,
indifferenziata nei suoi risultati architettonici (ivi, p. 54).
Per esemplificare la capacità strutturale del ruolo urbano del
concetto di luogo, può essere utile rievocare anche
l’esperienza dell’Ina Casa, senza entrare specificatamente
nel dettaglio di esempi realizzati. A distanza di più di mezzo
secolo è ancora evidente la qualità architettonica e
urbana di quelle realizzazioni e la loro capacità di farsi
luogo. Molti quartieri costruiti, grazie al loro impianto, sono
riusciti a generare importanti relazioni urbane tanto da trasformarsi
da quartieri autonomi e autosufficienti in strutture urbane,
così da favorire costruzione di nuova città al loro
intorno. Questo è stato permesso soprattutto dalla forza del
sistema plurale caratterizzante il luogo centrale di questi quartieri,
dove confluivano vari servizi, attività e spazi pubblici in
grado di innescare identità e forte riconoscibilità anche
paesaggistica di quel pezzo di città. (Boccacci 2010, pp.
124-129).
Oggi, la necessità di realizzare architetture per la salute
può rappresentare, nel solco delle esperienze citate,
un’occasione per rigenerare le periferie, attribuire senso ai
loro brani irrisolti e renderle parti urbane formalmente compiute. Gli
elementi urbani preesistenti come parchi, scuole, attività
commerciali, biblioteche, possono entrare in sinergia con le componenti
architettoniche della salute comunitaria per determinare un luogo di
centralità urbana fortemente denotato.
In merito a questa importante ipotesi, altri studiosi, che di recente
hanno sviluppato il tema della Casa
della Comunità,4
concordano
sul ruolo urbano da attribuire alle nuove strutture per renderle
«tasselli di una strategia di rigenerazione atta a costituire
nuove trame di socialità e, al contempo, capace di sostanziare
nuove forme di urbanità» (Ugolini e Varvaro 2022, pp.
29-30).
Un’ipotesi di ricerca per la
progettazione alla scala urbana delle Case della Comunità5
Per soddisfare i requisiti di rappresentatività, di
strutturalità urbana e di caratterizzazione identitaria
attraverso l’adozione del paradigma architettonico-urbano
descritto, nell’ambito della ricerca su nuove tipologie costruite
per la salute comunitaria condotta da un gruppo
dell’Università di Parma, vengono ipotizzati alcuni
strumenti di natura metodologico-progettuale in grado di supportare la
prefigurazione di luoghi e centri dedicati a questi nuovi sviluppi del
servizio pubblico socio-sanitario. Si tratta di criteri e indicatori di
valutazione delle qualità insediative di luoghi e centri di
salute comunitaria, a supporto della loro progettazione alla scala
urbana, ancor prima che architettonica. In particolare, questa sezione,
ricompresa all’interno della ricerca in corso, si occupa del
rapporto strategico tra l’aggregato luogo di centralità e
la città intesa nella sua articolazione strutturale e
morfologica di quartiere. Per questo motivo, vengono considerati gli
aspetti strutturali dello spazio urbano, in particolare quelli deputati
all’uso pubblico e alle relative attrezzature, progettate in
rapporto alle altre componenti del tessuto insediativo,
infrastrutturali, con le aree verdi e i grandi vuoti attrezzati di
interesse collettivo ed ambientale.
In sintesi, la metodologia delineata all’interno della ricerca
valuta le condizioni e le risorse urbane preesistenti, tra cui
l’efficienza distributiva, la posizione, la relazione con gli
altri elementi urbani, la forma e le dimensioni del sito progettuale,
l’accessibilità, i vincoli urbanistici e le condizioni
potenzialmente dannose per la salubrità collettiva oltre che per
la fattibilità di realizzazione della Casa della Comunità.
Lo strumento metodologico si sviluppa attraverso i seguenti criteri
analitici e indicatori di valutazione:
1. Dotazione e sistematicità distributiva dei Centri di Salute Comunitaria alla
scala territoriale e urbana: il parametro permette di valutare la
distribuzione dei nuclei di servizio socio-sanitario alla scala urbana
e/o territoriale e di verificarne l’equilibrio distributivo e la
capillarità, in base alla scala considerata;
2. Posizione dell’area per il Luogo-Centro di Salute Comunitaria
nel quartiere/parte urbana: il parametro evidenzia la
possibilità di una localizzazione del Luogo-Centro di Salute Comunitaria
in posizione idonea ‒ a partire da quella baricentrica ‒ così da
ottenere i requisiti di accessibilità, fruibilità e
riconoscibilità necessari per la determinazione del luogo e
della centralità, a cui si faceva riferimento in precedenza;
3. Relazione tra i fattori
di centralità
rispetto al Luogo-Centro di Salute
Comunitaria: il parametro giustifica il posizionamento in
relazione alla presenza, alla capacità di relazione e di
prossemica dei fattori di
centralità preesistenti, come, ad
esempio, altri servizi pubblici o edifici per attività
collettive e di forte attrazione;
4. Entità dimensionali dell’area per il Luogo-Centro di Salute Comunitaria:
il parametro verifica l’adeguatezza dimensionale dell’area
in relazione alla possibilità di insediamento in termini di
luogo e centralità urbana;
5. Identità formale dell’area per il Luogo-Centro di Salute Comunitaria:
il parametro verifica l’idoneità morfologica a cogliere le
potenzialità funzionali, rappresentative e identitarie,
nonché la rilevanza percettiva del Luogo-Centro di Salute Comunitaria.
6. Accessibilità e mobilità relative al
Luogo-Centro di Salute Comunitaria:
il parametro verifica la presenza e l’efficacia delle diverse
modalità di accessibilità, in particolare quelle della
mobilità dolce
7. Fattori negativi di condizionamento per la
salubrità dell’area del Luogo-Centro
di Salute Comunitaria: il parametro verifica i vincoli
urbanistici, ambientali e infrastrutturali, nonché di ulteriori
condizioni dannose per la salubrità e per la fattibilità
di realizzazione del Centro di
Salute Comunitaria.
I parametri elencati vengono verificati per mezzo della sperimentazione
su aree suscettibili individuate all’interno della città
di Parma, utilizzata come caso studio.
La successione esposta permette di valutare parametricamente le aree
suscettibili e di inserirle in un quadro analitico complessivo da cui
dedurne sinteticamente le potenzialità e le criticità di
applicazione e sperimentazione progettuale.
L’applicazione dei sette criteri analitici e indicatori di
valutazione produce una graduatoria suddivisa in quattro soglie ‒
negativa, sufficiente, buona, ottimale ‒ che permette di definire un
ordine in relazione a diverse possibili aree suscettibili, in modo da
orientare le scelte di individuazione delle aree più congeniali
alla realizzazione di Luoghi e
Centri di Salute Comunitaria.
I Luoghi e Centri di Salute
Comunitaria fin qui descritti rappresentano i capisaldi sanitari
territoriali di un possibile ancor più ampio sistema di
assistenza sanitaria e sociale nella città, nel caso si ipotizzi
l’adozione di Punti di
Assistenza Sotto Casa (PASC), terminali dell’assistenza
urbana diffusa. Infatti, per soddisfare l’esigenza di un sistema
per l’assistenza sanitaria e sociale capillare, si prefigura
l’introduzione di ulteriori presidi, diffusi nei luoghi
dell’abitare all’interno del tessuto urbano, a supporto
delle strutture di rango superiore cioè i Centri di Salute Comunitaria.
Allo scopo di analizzare e governare la scala relativa al tessuto
urbano è opportuno introdurre il modello architettonico e urbano
del macroisolato,6 utile per l’organizzazione e la gestione di una
strategia urbana di servizi diffusa, capillare, facilmente accessibili
dalle abitazioni.
Il macroisolato è una
particella del tessuto urbano ottenuto
attraverso la fusione di più isolati ‒ il numero può
variare a seconda delle condizioni tipo-morfologiche degli isolati e
delle caratteristiche demografiche ‒ inserita nel sistema complessivo
del quartiere. Esso rappresenta un principio aggregativo
dell’organismo urbano e costituisce un’urbanità
minima significativa, in termini di massa critica demografica, che
coinvolgendo sul piano gestionale le singole unità abitative
propone spazi per la socialità, ripensa la mobilità
dolce, sperimenta una nuova organizzazione di welfare di
prossimità al proprio interno.
Il PASC, che per il proprio ruolo operativo di base risulta congeniale
alle fisiologie d’uso del macroisolato,
risponde alla richiesta
di un osservatorio oltre che di una vicinanza assistenziale che
corrisponde adeguatamente alle necessità quotidiane di persone
in condizioni di fragilità sanitaria e sociale, parzialmente
autosufficienti e spesso con limitate possibilità di accesso ai Centri di Salute Comunitaria. Il
PASC si avvale della presenza di portinerie multifunzione interne ad
ogni macroisolato, capaci di
svolgere ulteriori compiti per la
comunità urbana, come accoglienza e informazione, controllo
degli accessi e sicurezza, consegna pacchi, manutenzione e servizi
generali, gestione delle emergenze.
In generale le condizioni di servizi e spazi collettivi del
macroisolato contrastano il
degrado fisico e sociale e favoriscono la
costruzione di una comunità coesa. Inoltre, esse migliorano la
qualità della vita degli abitanti grazie all’introduzione
di nuove funzioni inserite come playgrounds,
giardini, piazze, orti, percorsi ciclo-pedonali. In aggiunta,
l’inserimento di servizi assistenziali come il PASC non solo
contribuisce al benessere generale della popolazione ma trasforma le
città in luoghi più salutari, attrattivi, confortevoli e
sicuri.
Note
1 Il Decreto Ministeriale n.
77/2022 approvato dal Ministero della Salute fornisce, per la prima
volta, standard per l’assistenza territoriale e introduce nuovi
modelli organizzativi, tra cui la Casa della Comunità.
2 Si tratta del cosiddetto Summit
della Terra e prima conferenza mondiale dei capi di Stato
sull’ambiente, tenutasi a Rio De Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992.
3 Per approfondire il concetto di centralità urbana, cfr.
STRINA P. (a cura di) (2023) ‒ La
Città Accorpata. Una ricerca sul progetto urbano, Il
Poligrafo, Padova.
4 Ricerca
“Coltivare_Salute.com”‒ responsabili Michele Ugolini,
Maddalena Buffoli.
5 Si tratta dello stato di
avanzamento della sperimentazione metodologica di criteri analitici per
la progettazione alla scala urbana delle Case della Comunità,
all’interno di una ricerca sulle centralità urbane di
salute comunitaria. Il gruppo di ricerca Urban & Architectural
Laboratory afferisce al Dipartimento di Ingegneria e Architettura
dell’Università di Parma, responsabile scientifico Carlo
Quintelli, co-responsabile scientifico Enrico Prandi con Giuseppe
Verterame, Alessia Simbari e Sahar Taheri.
6 Il macroisolato viene sviluppato
all’interno della tesi dottorale VERTERAME G. (2022) – Il macroisolato come strumento della
rigenerazione urbana. Spazi, forme e funzioni per la città di
medie dimensioni, Tesi di dottorato, Università di Parma,
tutor Carlo Quintelli. Per approfondire il macroisolato, cfr. VERTERAME G.,
“La città in quarantena. Prospettive di rigenerazione
urbana attraverso il modello sperimentale del macroisolato”. In
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“Declinazioni della centralità: strutturale il tessuto
attraverso lo strumento del macroisolato”. In STRINA P. (a cura
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