Il ruolo urbano di architetture e luoghi per i servizi decentrati di salute comunitaria

Giuseppe Verterame



Lo shock provocato dalla recente pandemia ha generato un desiderio comune di rinnovamento delle politiche sociali in cui scorgere un avanzamento necessario. Infatti, tra isolamento e chiusure forzate abbiamo sperimentato la solitudine, il distanziamento fisico con ricadute sui comportamenti e con conseguenze sulla socialità. Allo stesso tempo, il periodo di reclusione domestica ha evidenziato fragilità e rafforzato la consapevolezza dell’importanza delle relazioni personali, con azioni di solidarietà delle comunità che si organizzavano per sostenere i più fragili, con approvvigionamento di cibo, medicinali e supporto emotivo.
L’emergenza sanitaria ha così messo in luce la necessità di adottare nuovi approcci per il raggiungimento di una migliore qualità di vita, tra cui anche un cambio di paradigma nella sanità pubblica «passando da un modello medico, focalizzato sull’individuo, a un modello sociale, in cui la salute è considerata come il risultato di vari fattori socio-economici, culturali e ambientali» (Capolongo, Buffoli, Brambilla, Rebecchi 2020, p. 271). L’improvvisa diffusione del virus ha portato a misure di contrasto tra le più rigide al mondo nel contesto degli Stati democratici, adottate proprio perché il sistema sanitario presentava criticità evidenti nella mancanza di supporto decentrato alle strutture sanitarie centrali, come gli ospedali.
Per rimediare alle carenze evidenziate, il Ministero della Salute nel maggio del 2022, con il Decreto Ministeriale n. 77,1 ha concepito un nuovo modello territoriale per il Servizio Sanitario, introducendo la Casa della Comunità come fulcro di una rete di servizi sanitari e sociali diffusi sul territorio. Derivato dalla matrice organizzativa e funzionale della Casa della Salute ‒ che ha trovato applicazione disomogenea nelle diverse regioni ‒ si caratterizza per un approccio integrato e multidisciplinare tra professionisti dei settori sanitario, socio-sanitario e sociale, con attenzione alla continuità assistenziale e al supporto domiciliare delle fasce deboli, in particolare con nuove figure professionali come il cosiddetto infermiere di comunità.
Questo modello tenta di rispondere alla necessità di cambio di paradigma cui si accennava precedentemente, che ovviamente non si può risolvere esclusivamente nell’adozione di nuovi modelli e standard ‒ così definiti dall’Allegato 1 del Decreto precedentemente citato ‒ ma attraverso una visione allargata, innanzitutto quella che comprende il suo ruolo strategico nei confronti della città.
Già da parecchi decenni si insiste sulla intrinseca relazione città-benessere e come da questo binomio dipenda la qualità della vita delle persone, fin dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente tenuta a Rio.2
Di recente, nel 2021, il Ministero della Salute ha pubblicato il Documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica di Salute Pubblica dove evidenzia che «il concetto di Healthy City presuppone l’idea di una comunità conscia dell’importanza della salute come bene collettivo» (Ministero della Salute 2021, p. 6).
In questo modo si mette in evidenza l’importanza dell’ambiente urbano per la salute, la quale non è solamente associata alla sfera individuale, ma correlata al bene comune e quindi all’idea di una salute comunitaria (ivi, p. 10).
Tuttavia, le varie raccomandazioni contenute nei documenti prodotti, a partire dalla Conferenza fino alle recenti proposte, sono divenute perlopiù slogan. Oggi, al di là di alcune attrezzature collettive, lifting di aree urbane più o meno abbandonate, prolungamenti di piste ciclabili e parchi con un ridotto effetto urbano, non si rilevano interventi di rigenerazione urbana caratterizzati da una visione olistica capace di restituire una condizione di benessere di forte rilevanza sociale. Ancora una volta, l’emergenza sanitaria ha evidenziato problematiche legate alle attrezzature e agli spazi collettivi: a molti sembrava evidente l’importanza di ripensare la città ‒ in quel periodo negata a causa dei confinamenti ‒ esperita nelle prossimità della propria casa per rivendicare quell’innato istinto di espressione comunitaria e sociale, spesso disilluso perché quei pochi e ridotti spazi praticabili non avevano qualità rilevanti.

Per una salute comunitaria: i paradigmi di centralità e di luogo urbano
Sembrava evidente la necessità di ripartire dalla città come fenomeno collettivo e campo geografico della fenomenologia comunitaria, in grado di ‒ come scrive Jean-Luc Nancy ‒ mettere in relazione l’essere singolare plurale, ovvero quella scena in grado di rappresentare il «buono spettacolo, l’essere sociale o comunitario [che] presenta a se stesso la propria interiorità, la propria origine (di per sé invisibile), la fondazione del proprio diritto, la vita del proprio corpo» (Nancy 2001, p. 77).
All’interno del paradigma necessario adottabile nel post-covid, emerge quindi il tema della collettività, priorità sociale basata sulla consapevolezza maturata dell’importanza del ruolo della comunità in una chiave solidale, come manifestato da vari enti durante il periodo di isolamento.
La sostituzione nominalistica da Casa della Salute a Casa della Comunità, pur attuata solo per Decreto senza che in molti contesti ne conseguisse un reale cambiamento in termini programmatori ed operativi, sembra rientrare in quella maturata consapevolezza da parte delle istituzioni prodotta durante la pandemia a cui si faceva riferimento precedentemente.
Considerando l’attualità, i vantaggi della CdC sarebbero numerosi, in particolare in relazione alle tematiche di inclusione e diversità, solidarietà e assistenza delle fasce deboli, partecipazione civica e educazione. Realmente, la comunità può rappresentare un elemento chiave per affrontare le sfide sociali, economiche e sanitarie, poiché collaborazione e solidarietà sono fondamentali per costruire società sostenibili nel lungo termine.
Adriano Olivetti sosteneva l’importanza della Comunità all’interno della società per la costruzione di un senso civico a partire dal basso e mettendo al centro responsabilità individuale, solidarietà sociale, dignità e diritti delle persone, interesse delle generazioni future (Olivetti 2013).
Olivetti ha applicato i valori comunitari a diversi contesti, dagli insediamenti rurali del Canavese ‒ con la costruzione dei Centri Comunitari ‒ al contesto lavorativo industriale e fino allo sviluppo di Ivrea, dove ha integrato lavoro, residenza e servizi, promuovendo la costruzione di case, scuole e servizio sanitario per migliorare la qualità della vita dei dipendenti e delle loro famiglie (Renzi 2008). Egli ha dimostrato, inequivocabilmente, che non può esserci sviluppo di una comunità disgiunta dalla costruzione di un luogo, che riporta all’idea di città, come scena, al contempo, di communitas (Esposito 1998) ed immunitas (Esposito 2002).
Tuttavia, tra le indicazioni ministeriali non ci si riferisce al potenziale urbano di questi modelli di assistenza territoriale che posseggono lo status di edificio pubblico. L’enfasi critica non vuole risultare ovvia ma necessaria, considerate le proposte metaprogettuali, i primi progetti e gli esemplari prodotti – facendo rientrare anche le Case della Salute – spesso carenti in termini di articolazione tipologica e qualità rappresentative all’interno della struttura urbana. Una visione lungimirante e, quindi, sostenibile deve considerare la realizzazione della Casa della Comunità secondo la vocazione collettiva tipica di un’architettura civile, interpretandola come potenziale distrettualità comunitaria di una determinata parte di città e mezzo di una fenomenologia comunitaria.
In aggiunta, congegni architettonici e urbani così caratterizzati ed adeguatamente attrezzati possono rivestire un ruolo cruciale nella gestione delle emergenze che, come dimostrato nella recente pandemia, risultano particolarmente concentrate nelle aree urbane.
Pertanto, lavorare sulla città con la consapevolezza del potenziale ruolo delle sue attrezzature può, da un lato, efficacemente limitare gli impatti di future emergenze e, dall’altro, sottolineare il ruolo centrale della comunità.
Alla luce dei più importanti eventi, la trasformazione della città viene condizionata dalle urgenze imposte dall’attualità, come la necessità rappresentata dalla salute comunitaria. Secondo Antonio Monestiroli (1979, pp. 34-35), il progetto di architettura deve sperimentare nuove forme in grando di rivelare la ragione collettiva dei temi che si succedono lungo il corso della storia.
Viste le premesse, dovremmo, ora, chiederci quale sia la ragione dell’architettura per la salute comunitaria, proprio in relazione alla città che, come ritiene Carlo Quintelli (2010a, p. 9), va considerata

una struttura comunitaria, all’interno della quale i meccanismi di riproduzione dell’intero e delle parti tendono a reinterpretare e riprodurre il principio comunitario, conferma necessaria del denotato urbano, ma secondo diverse declinazioni ed elaborazioni di significato.
In questo senso, l’architettura della salute comunitaria non può essere dissociata dalla sua dimensione collettiva, senza la quale perderebbe senso.
Tuttavia, la dimensione collettiva non la si ritrova esclusivamente nella realizzazione delle sue finalità pratiche in risposta alle sue funzioni principali, come quelle per la salute, perché ci ritroveremmo un involucro che soddisfa requisiti funzionali e fruitivi, ma privo di qualità architettoniche in grado di rappresentarne il ruolo urbano di edificio civile.
Così, nel tentativo di interpretare il senso di una tale opera per la collettività, è opportuno approfondire quanto sostenuto da Monestiroli (1979, pp. 34-35):
credo che la ragione di ogni edificio si basi sulla sua funzione, prenda origine da essa, tuttavia non coincida con essa. Ed è propria questa non coincidenza a consentire il progresso dell’architettura o per lo meno il progresso di un aspetto di essa, quello della conoscenza del senso di ogni manufatto […] se consideriamo la funzione ciò che lega l’architettura alla realtà concreta in cui viene costruita, possiamo dire che la conoscenza della funzione avviene tramite la conoscenza della realtà nel suo complesso. Non è possibile quindi arrestarsi alla funzione così come si dà ma è necessario conoscerne gli aspetti profondi, legati ad una più estesa e generale conoscenza della realtà. È questa conoscenza che ci permette di andare oltre la funzione e di conoscere la ragione degli edifici.
Definite alcune premesse di carattere analitico-critico, è necessario, a questo punto, procedere in modo sintetico alla definizione progettuale, anche in modo analogico, dell’architettura per la salute comunitaria in senso urbano.
Se si osserva la città ‒ in particolare le periferie ‒ emerge una diffusa assenza di caratterizzazione complessiva, che deriva da una evidente indeterminazione formale. All’interno di uno stato di necessità precedentemente determinato, da un lato sul piano della fenomenologia urbana e dall’altro sul piano sociologico, l’architettura per la salute comunitaria ritrova la sua ragione se è in grado di rappresentarsi come fattore di centralità urbana,3 edificio collettivo e congegno architettonico composito, rilevante non solo a livello funzionale e fruitivo, ma soprattutto per la sua capacità di farsi interprete del suo senso civile di attrezzatura urbana con predisposizione alla polifunzionalità, flessibile nei suoi diversi usi, facilmente accessibile, dotato di spazi comuni aperti e socialmente contaminabile grazie ai diversi servizi offerti. Così inteso, il contributo al determinarsi della centralità, oltre ad attuare specifici programmi funzionali, può favorire lo scambio e la cooperazione tra i vari enti e le istituzioni, generando sinergie tra gli attori coinvolti nella promozione della salute così come della socialità, materializzando uno dei significati di comunità.
L’idea di centralità risulta concettualmente adeguata sia alla scala dell’architettura che a quella della città, ambito fisico in cui l’architettura della salute comunitaria pretende di instaurare relazioni. A questo proposito, potremmo valutare l’appropriatezza dell’adozione del paradigma di luogo urbano per tradurre concretamente quella dimensione della centralità a cui l’architettura concorre. Infatti, questo duplice carattere può rappresentare una pluralità di forme organizzate, come edifici per attività e servizi di vario tipo, pubbliche o private ‒ comprese le residenze specializzate ‒ ma allo stesso tempo esprimere un’immagine unitaria, riuscendo meglio ad esprimere il suo potenziale ruolo urbano come spazio per la comunità.
Così inteso, il luogo rappresenta un sistema architettonico complesso, possiede qualità urbane strutturali e identitarie, incentiva i fenomeni sociali e stabilisce relazioni multiple tra architettura e città.
Secondo Rykwert, il concetto di luogo travalica i criteri razionali fino a raggiungere aspetti simbolici tanto che i cittadini possono provare orgoglio per l’appartenenza ad un determinato ambito, sviluppando un senso di appartenenza. Si tratta di una forza intrinseca che influenza la socialità dei suoi abitanti, attivando la vitalità di una comunità. Inoltre, egli sostiene che la presenza di luoghi di riferimento è cruciale perché arricchisce l’esperienza urbana: intesi come punti di riferimento, hanno un ruolo significativamente urbano e fungono da catalizzatori delle attività umane, tanto da determinare un carattere, per mezzo delle loro qualità rappresentative, distintive nell’esperienza urbana (Rykwert 2003, p. 306).
A partire dall’esperienza storica, è la piazza il tipo di luogo urbano che meglio traduce le qualità descritte: sul piano rappresentativo, è uno spazio dotato di qualità simboliche, identificabile come vuoto catalizzatore di attività pubbliche e sociali. A questo proposito, Paolo Portoghesi (1990, pp. 13-14) sostiene che è «la piazza infatti, intesa come cuore pulsante della città, centro motore e intelletto del tessuto urbano […] il luogo privilegiato dell’incontro, del dialogo dello scambio sociale» . Non solo, egli accoglie la tesi di Nancy sulla necessità della comunità di rappresentarsi in un teatro urbano:
scena e teatro entrano nella progettazione della piazza non già come apporti esterni, ma come esigenza connaturata al concetto stesso di piazza: un luogo dove la presenza dell’uomo, sia essa quotidiana o legata a particolari eventi, deve farsi spettacolo (ivi, p. 24).
Secondo Carlo Aymonino, questa capacità trasforma lo spazio pubblico della piazza in fatto urbano. Egli lo ha dimostrato in numerose realizzazioni di piazze: superando l’assioma dello spazio vuoto, la considerava come «un luogo urbano per eccellenza» (Aymonino 1995, p.20). Egli utilizzava uno dei temi archetipici dell’architettura e della costruzione della città attraverso la composizione di una pluralità architettonica, fatta di parti diverse ma convergenti nell’espressione di un’unitarietà, in grado di sublimare il concetto di luogo, sintesi concettuale e relazionale tra la struttura urbana e la soluzione architettonica. Lo ha reso evidente in numerosi suoi progetti: realizzazione di scuole, complessi abitativi, teatri, centri direzionali. L’importanza del suo contributo risiede nella dimostrazione che il progetto di architettura non è solamente la soluzione di un singolo problema ‒ come potrebbe essere la realizzazione di un edificio per la salute ‒ ma la risposta ad una questione complessa. A conferma di ciò, per il progetto di centro scolastico a Pesaro, racconta che nel contesto del sito di progetto mancava «un luogo centrale, organizzato per la vita civile, un’architettura che la rappresenti» così allora suggerendo
di inserire un centro civico, politico, culturale e commerciale nel campus, luogo di incontro per la segregazione studentesca e la realtà sociale del quartiere […] luogo di riferimento visibile e riconoscibile di quella parte di città, indifferenziata nei suoi risultati architettonici (ivi, p. 54).

Per esemplificare la capacità strutturale del ruolo urbano del concetto di luogo, può essere utile rievocare anche l’esperienza dell’Ina Casa, senza entrare specificatamente nel dettaglio di esempi realizzati. A distanza di più di mezzo secolo è ancora evidente la qualità architettonica e urbana di quelle realizzazioni e la loro capacità di farsi luogo. Molti quartieri costruiti, grazie al loro impianto, sono riusciti a generare importanti relazioni urbane tanto da trasformarsi da quartieri autonomi e autosufficienti in strutture urbane, così da favorire costruzione di nuova città al loro intorno. Questo è stato permesso soprattutto dalla forza del sistema plurale caratterizzante il luogo centrale di questi quartieri, dove confluivano vari servizi, attività e spazi pubblici in grado di innescare identità e forte riconoscibilità anche paesaggistica di quel pezzo di città. (Boccacci 2010, pp. 124-129).
Oggi, la necessità di realizzare architetture per la salute può rappresentare, nel solco delle esperienze citate, un’occasione per rigenerare le periferie, attribuire senso ai loro brani irrisolti e renderle parti urbane formalmente compiute. Gli elementi urbani preesistenti come parchi, scuole, attività commerciali, biblioteche, possono entrare in sinergia con le componenti architettoniche della salute comunitaria per determinare un luogo di centralità urbana fortemente denotato.
In merito a questa importante ipotesi, altri studiosi, che di recente hanno sviluppato il tema della Casa della Comunità,4 concordano sul ruolo urbano da attribuire alle nuove strutture per renderle «tasselli di una strategia di rigenerazione atta a costituire nuove trame di socialità e, al contempo, capace di sostanziare nuove forme di urbanità» (Ugolini e Varvaro 2022, pp. 29-30).

Un’ipotesi di ricerca per la progettazione alla scala urbana delle Case della Comunità5
Per soddisfare i requisiti di rappresentatività, di strutturalità urbana e di caratterizzazione identitaria attraverso l’adozione del paradigma architettonico-urbano descritto, nell’ambito della ricerca su nuove tipologie costruite per la salute comunitaria condotta da un gruppo dell’Università di Parma, vengono ipotizzati alcuni strumenti di natura metodologico-progettuale in grado di supportare la prefigurazione di luoghi e centri dedicati a questi nuovi sviluppi del servizio pubblico socio-sanitario. Si tratta di criteri e indicatori di valutazione delle qualità insediative di luoghi e centri di salute comunitaria, a supporto della loro progettazione alla scala urbana, ancor prima che architettonica. In particolare, questa sezione, ricompresa all’interno della ricerca in corso, si occupa del rapporto strategico tra l’aggregato luogo di centralità e la città intesa nella sua articolazione strutturale e morfologica di quartiere. Per questo motivo, vengono considerati gli aspetti strutturali dello spazio urbano, in particolare quelli deputati all’uso pubblico e alle relative attrezzature, progettate in rapporto alle altre componenti del tessuto insediativo, infrastrutturali, con le aree verdi e i grandi vuoti attrezzati di interesse collettivo ed ambientale.
In sintesi, la metodologia delineata all’interno della ricerca valuta le condizioni e le risorse urbane preesistenti, tra cui l’efficienza distributiva, la posizione, la relazione con gli altri elementi urbani, la forma e le dimensioni del sito progettuale, l’accessibilità, i vincoli urbanistici e le condizioni potenzialmente dannose per la salubrità collettiva oltre che per la fattibilità di realizzazione della Casa della Comunità.

Lo strumento metodologico si sviluppa attraverso i seguenti criteri analitici e indicatori di valutazione:
1.    Dotazione e sistematicità distributiva dei Centri di Salute Comunitaria alla scala territoriale e urbana: il parametro permette di valutare la distribuzione dei nuclei di servizio socio-sanitario alla scala urbana e/o territoriale e di verificarne l’equilibrio distributivo e la capillarità, in base alla scala considerata;
2.    Posizione dell’area per il Luogo-Centro di Salute Comunitaria nel quartiere/parte urbana: il parametro evidenzia la possibilità di una localizzazione del Luogo-Centro di Salute Comunitaria in posizione idonea ‒ a partire da quella baricentrica ‒ così da ottenere i requisiti di accessibilità, fruibilità e riconoscibilità necessari per la determinazione del luogo e della centralità, a cui si faceva riferimento in precedenza;
3.    Relazione tra i fattori di centralità rispetto al Luogo-Centro di Salute Comunitaria: il parametro giustifica il posizionamento in relazione alla presenza, alla capacità di relazione e di prossemica dei fattori di centralità preesistenti, come, ad esempio, altri servizi pubblici o edifici per attività collettive e di forte attrazione;
4.    Entità dimensionali dell’area per il Luogo-Centro di Salute Comunitaria: il parametro verifica l’adeguatezza dimensionale dell’area in relazione alla possibilità di insediamento in termini di luogo e centralità urbana;
5.    Identità formale dell’area per il Luogo-Centro di Salute Comunitaria: il parametro verifica l’idoneità morfologica a cogliere le potenzialità funzionali, rappresentative e identitarie, nonché la rilevanza percettiva del Luogo-Centro di Salute Comunitaria.
6.    Accessibilità e mobilità relative al Luogo-Centro di Salute Comunitaria: il parametro verifica la presenza e l’efficacia delle diverse modalità di accessibilità, in particolare quelle della mobilità dolce
7.    Fattori negativi di condizionamento per la salubrità dell’area del Luogo-Centro di Salute Comunitaria: il parametro verifica i vincoli urbanistici, ambientali e infrastrutturali, nonché di ulteriori condizioni dannose per la salubrità e per la fattibilità di realizzazione del Centro di Salute Comunitaria.
I parametri elencati vengono verificati per mezzo della sperimentazione su aree suscettibili individuate all’interno della città di Parma, utilizzata come caso studio.
La successione esposta permette di valutare parametricamente le aree suscettibili e di inserirle in un quadro analitico complessivo da cui dedurne sinteticamente le potenzialità e le criticità di applicazione e sperimentazione progettuale.
L’applicazione dei sette criteri analitici e indicatori di valutazione produce una graduatoria suddivisa in quattro soglie ‒ negativa, sufficiente, buona, ottimale ‒ che permette di definire un ordine in relazione a diverse possibili aree suscettibili, in modo da orientare le scelte di individuazione delle aree più congeniali alla realizzazione di Luoghi e Centri di Salute Comunitaria.
I Luoghi e Centri di Salute Comunitaria fin qui descritti rappresentano i capisaldi sanitari territoriali di un possibile ancor più ampio sistema di assistenza sanitaria e sociale nella città, nel caso si ipotizzi l’adozione di Punti di Assistenza Sotto Casa (PASC), terminali dell’assistenza urbana diffusa. Infatti, per soddisfare l’esigenza di un sistema per l’assistenza sanitaria e sociale capillare, si prefigura l’introduzione di ulteriori presidi, diffusi nei luoghi dell’abitare all’interno del tessuto urbano, a supporto delle strutture di rango superiore cioè i Centri di Salute Comunitaria.
Allo scopo di analizzare e governare la scala relativa al tessuto urbano è opportuno introdurre il modello architettonico e urbano del macroisolato,6 utile per l’organizzazione e la gestione di una strategia urbana di servizi diffusa, capillare, facilmente accessibili dalle abitazioni.
Il macroisolato è una particella del tessuto urbano ottenuto attraverso la fusione di più isolati ‒ il numero può variare a seconda delle condizioni tipo-morfologiche degli isolati e delle caratteristiche demografiche ‒ inserita nel sistema complessivo del quartiere. Esso rappresenta un principio aggregativo dell’organismo urbano e costituisce un’urbanità minima significativa, in termini di massa critica demografica, che coinvolgendo sul piano gestionale le singole unità abitative propone spazi per la socialità, ripensa la mobilità dolce, sperimenta una nuova organizzazione di welfare di prossimità al proprio interno.
Il PASC, che per il proprio ruolo operativo di base risulta congeniale alle fisiologie d’uso del macroisolato, risponde alla richiesta di un osservatorio oltre che di una vicinanza assistenziale che corrisponde adeguatamente alle necessità quotidiane di persone in condizioni di fragilità sanitaria e sociale, parzialmente autosufficienti e spesso con limitate possibilità di accesso ai Centri di Salute Comunitaria. Il PASC si avvale della presenza di portinerie multifunzione interne ad ogni macroisolato, capaci di svolgere ulteriori compiti per la comunità urbana, come accoglienza e informazione, controllo degli accessi e sicurezza, consegna pacchi, manutenzione e servizi generali, gestione delle emergenze.
In generale le condizioni di servizi e spazi collettivi del macroisolato contrastano il degrado fisico e sociale e favoriscono la costruzione di una comunità coesa. Inoltre, esse migliorano la qualità della vita degli abitanti grazie all’introduzione di nuove funzioni inserite come playgrounds, giardini, piazze, orti, percorsi ciclo-pedonali. In aggiunta, l’inserimento di servizi assistenziali come il PASC non solo contribuisce al benessere generale della popolazione ma trasforma le città in luoghi più salutari, attrattivi, confortevoli e sicuri.


Note 

1 Il Decreto Ministeriale n. 77/2022 approvato dal Ministero della Salute fornisce, per la prima volta, standard per l’assistenza territoriale e introduce nuovi modelli organizzativi, tra cui la Casa della Comunità.
2 Si tratta del cosiddetto Summit della Terra e prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente, tenutasi a Rio De Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992.
3 Per approfondire il concetto di centralità urbana, cfr. STRINA P. (a cura di) (2023) ‒ La Città Accorpata. Una ricerca sul progetto urbano, Il Poligrafo, Padova.
4 Ricerca “Coltivare_Salute.com”‒ responsabili Michele Ugolini, Maddalena Buffoli.
5 Si tratta dello stato di avanzamento della sperimentazione metodologica di criteri analitici per la progettazione alla scala urbana delle Case della Comunità, all’interno di una ricerca sulle centralità urbane di salute comunitaria. Il gruppo di ricerca Urban & Architectural Laboratory afferisce al Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università di Parma, responsabile scientifico Carlo Quintelli, co-responsabile scientifico Enrico Prandi con Giuseppe Verterame, Alessia Simbari e Sahar Taheri.
6 Il macroisolato viene sviluppato all’interno della tesi dottorale VERTERAME G. (2022) – Il macroisolato come strumento della rigenerazione urbana. Spazi, forme e funzioni per la città di medie dimensioni, Tesi di dottorato, Università di Parma, tutor Carlo Quintelli. Per approfondire il macroisolato, cfr. VERTERAME G., “La città in quarantena. Prospettive di rigenerazione urbana attraverso il modello sperimentale del macroisolato”. In QUINTELLI C., MARETTO M., PRANDI E., GANDOLFI C. (a cura di) (2020) – Coronavirus, città, architettura. Prospettive del progetto architettonico e urbano. FAMagazine [e-journal], 52-53, pp. 113-119 e VERTERAME G., “Declinazioni della centralità: strutturale il tessuto attraverso lo strumento del macroisolato”. In STRINA P. (a cura di) (2023) – La Città Accorpata. Una ricerca sul progetto urbano, Il Poligrafo, Padova, pp. 192-235.

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