Questioni compositive attraverso il tipo ospedaliero: un itinerario
critico.
Enrico Prandi
Premessa
Questo testo non può che prendere le mosse da lontano, dagli
antichi “luoghi di cura” che hanno portato alla progressiva
razionalizzazione degli spazi della salute attuali intesi come perfette
ed efficienti “macchine per curare”: non solo e non tanto,
quindi, una storia architettonica degli ospedali, quanto delle
tipologie spaziali che hanno assolto nel tempo il compito di
“assistere e curare” nelle sue diverse declinazioni (dalla
cura dello spirito e della mente ancor prima che del corpo). Se
dovessimo immaginare una rappresentazione dell’evoluzione dello
spazio di cura fino agli odierni orientamenti dell’assistenza
medica e della cura decentrate, essa potrebbe essere un cerchio: dal
luogo ibrido originario (la sala a navate mutuata dalla chiesa) ci si
orienta progressivamente verso un grande organismo funzionalmente
razionale e specializzato, quello foucaultiano della clinica, per poi
tornare con la sanità territorializzata a tipologie
polifunzionali da reinventare. In questo processo evolutivo, il tipo
del luogo di cura, salvo in rari casi, ha letteralmente espulso dalla
progettazione l’architetto responsabile della reinterpretazione
tipologica per affidarsi ad una concezione razionale, funzionale,
ingegneristica che ha portato ai grandi complessi del secondo Novecento.
La diffusione della medicina territoriale e di prossimità,
rilanciata dalla messa in crisi dei sistemi sanitari ospedale-centrici
avvenuta con l’epidemia da Covid-19, ha fornito le ragioni e gli
strumenti per un ripensamento delle strutture sanitarie di base in
un’ottica di primo presidio di cura, le cosiddette Case della
Salute più recentemente evolutesi in Case della Comunità
con l’aggiunta dell’assistenza sociale. Organismi
plurifunzionali per eccellenza che hanno nella creazione di un sistema
integrato di funzioni (medica, socio sanitaria e assistenziale) la loro
ragione d’essere. Da architetti ci è sembrato, allora,
l’occasione per riconquistare quello ‘spazio perduto
dell’architettura (e dell’architetto) della
reinterpretazione tipologica’ proprio a partire dagli esempi
storici più significativi qui raccolti.
Dall’Asklepeion alla Casa della
comunità: per una nozione complessa ed integrata di cura
Non vi è dubbio che la storia della tipologia dello spazio della
cura abbia seguito l’evoluzione della tecnica, della scienza e
della cultura mediche tanto che dal sacerdote guaritore alla
definizione del medico specialista corrisponde una progressiva
organizzazione spaziale suddivisa per ambiti specialistici che poco
lascia all’invenzione tipologica.
Nelle città dell’antica Grecia, in cui le tipologie
architettoniche sono frutto di riti collettivi, l’Asklepeion
collocato in genere all’esterno in una sorta di
‘altra-città’ santa (il santuario definito dal
recinto sacro) colloca in posizione centrale il Tempio del Dio della
Medicina Asclepio, contornandolo da elementi tipici delle
spazialità pubbliche dell’agorà come i lunghi
loggiati (stoà che contengono le celle dei malati). è
solo successivamente al III e II secolo a.C., però, che si
configurano i luoghi dell’ospitalità come frutto del
rapporto tra metodo di cura e lo spazio adibito all’assistenza
medica mediante la creazione di ambienti riservati agli ammalati. Non
ancora un edificio ospedaliero vero e proprio ma un luogo articolato in
cui i diversi elementi come il bosco, la fonte, il tempio
compartecipano al rito della guarigione. Significativi sono gli
Asclepei di Epidauro, di
Pergamo e di Kos del IV secolo a.C.. Nel caso
di Epidauro l’Asklepeio
si inserisce in un sistama composito
distribuito all’interno del recinto sacro che comprende i
dormitori, l’Altare e il Tempio di Asclepio e l’Abaton
ossia lo spazio (un portico a due piani) per il sonno risanatore dei
malati. Nel caso di Pergamo, al contrario l’Asklepeion è
isolato e separato dal concentramento delle funzioni pubbliche a
formare «un’architettura urbana di forma compiuta come
sovrapposizione di continue aggiunte che seguono o hanno presente un
disegno generale» (Aymonino 2005). Nell’ultimo caso, quello
di Kos, l’Asklepeion
assume la forma di un percorso ascensionale
organizzato su due grandi corti e tre terrazzamenti: il primo, in basso
conteneva le camere dei malati, la seconda terrazza conteneva
l’Abaton e i due Templi dedicati ad Apollo (il padre) e di
Asklepio (il figlio) mentre la terza terrazza era dominata dal grande
Altare dedicato ad Asklepio.
È interessante notare come il termine stesso ospedale (che
denota il luogo attualmente deputato alla cura) abbia avuto origine da
una successiva serie di spazi anticamente dedicati
all’ospitalità, ancor prima che alla cura. Hospitalis era,
infatti, la parte dell’abitazione romana riservata agli ospiti
(hospes) ossia il luogo dove
erano accolti i viaggiatori. La domus
romana presentava sovente uno spazio di cura tanto che la stessa
diventa il modello per lo Iatreo, già affermatosi in epoca greca
come luogo domestico per la cura degli ammalati, archetipo del moderno
ambulatorio. Se la cura privata veniva esercitata a livello domestico,
la cura pubblica si afferma attraverso l’istituzione
caratteristica dei Valetudinaria,
nelle due declinazioni per gli
schiavi e per i soldati ossia le due entità produttive della
società romana. Ogni accampamento romano stabile possedeva un
Valetudinaria militare che
insieme alle Terme, al Praetorium,
al
Quaestorium e alla Palestra
costituiva la dotazione di edifici pubblici
per la comunità (TABANELLI 1960). Secondo la prassi romana i
Valetudinaria erano per lo
più grandi corti quadrate con un
corpo di fabbrica distribuito da un corridoio centrale e gli ambienti
disposti su entrambi i lati come nel caso di Vengadissa in Svizzera e
Vetera in Germania, mentra in alcuni casi poteva apparire come corte
allungata a rettangolo (Novaesium in Germania).
Nel successivo affermarsi del Cristianesimo, dal 313 d.C.,
l’accoglienza e l’assistenza viene inglobata nei compiti
istituzionali della Chiesa e praticata soprattutto nei luoghi
conventuali e nelle abbazie in grandi spazi indistinti. Il passaggio
formale avviene con il Consiglio di Nicea 325 d.C. che impose
l’obbligo per ogni città sede di cattedrale di istituire
un ospedale direttamente collegato alla chiesa ed a gestione diretta
del clero. Gli Hospitiolum o Hospitium erano di fatto
“luoghi
ospitali” in cui l’assistenza e la cura erano per lo
più impartite da uomini di fede e non da uomini di scienza
ancorché empirica com’era al tempo. La medicina, infatti,
consisteva in rimedi medicamentosi, come preparati di erboristeria, e
chirurgici, come salassi e incisioni di vario tipo. Non stupisce,
quindi se uno dei più antichi ospedali in Oriente, quello di
Cesarea in Cappadocia (l’attuale Israele), fu fondato tra il 368
e il 372 d.C. da San Basilio, vescovo della città. Così
progressivamente l’Oriente si viene a dotare di vari istituti
assistenziali come gerontocomi, xenodochi, brefotrofi e nosocomi.
In Occidente la spinta all’evangelizzazione dei mendicanti e
pellegrini portò in epoca medievale alla costruzione di numerosi
Xenodochia posti in
prossimità delle parrocchie sulle principali
vie di comunicazione: essi tuttavia non hanno ancora un preciso
riferimento tipologico dovuto soprattutto al tipo di assistenza medica
ancora non definita in maniera scientifica. In alternativa alle
Tabernea gestite da laici, gli
Xenodochia offrivano ai
pellegrini
luoghi dediti alla meditazione e alla cura ed erano disposti a non
più di 30-35 km l’uno dall’altro, la distanza
percorribile in una giornata di cammino. I primi Xenodochia sorsero
verso la fine del IV secolo, come testimonia quello di Ostia (398 d.C.)
che, pur nell’evidente derivazione dal tempio, mostra i caratteri
di una maggior articolazione in virtù della presenza di una
corte porticata che precede la Basilica e di sale di degenza affiancate
alla corte. Nel caso di Termanin in Siria, le due parti costitutive
dell’impianto sono nettamente separate: da un lato la grande sala
contornata da un portico mentre dall’altro la basilica autonoma e
separata.
Sono soprattutto gli ordini religiosi – Benedettini, Cluniacensi
e Cistercensi –, i responsabili della costruzione delle strutture
di assistenza per gli infermi, ancora non individuabili come parti
caratteristiche o caratterizzate dal punto di vista architettonico.
Nell’organismo tipologico conventuale o abbaziale, quindi, gli
spazi di assistenza e cura si uniformano alla tipologia degli spazi di
culto perlopiù a sviluppo lineare, a una o più navate,
con l’altare posto in posizione terminale come vuole la regola
orientato verso est. Così è nel caso dell’abbazia
benedettina di S. Gallo in Svizzera.
Il progetto fu influenzato dai dettami di accoglienza e assistenza
insita nella Regola di San Benedetto e comprendeva, all’interno
del complesso abbaziale medievale, un impianto d’assistenza
ospedaliero simile alla disposizione planimetrica del convento stesso.
La chiesa abbaziale
separa gli ospizi, dedicati a eventuali ospiti di
passaggio, accolti nell’area d’ingresso e il complesso
ospedaliero vero e proprio, situato a est. Il nucleo principale di
quest’ultimo si dispone simmetricamente attorno a una chiesa
minore, asse centrale del progetto, fornita di doppio altare, per
permettere un simultaneo utilizzo ad ammalati ospitati in zone
separate. Gli spazi funzionali sono progettati secondo una precisa
divisione che li separa in luoghi di degenza e di cura. Ai lati della
chiesa due chiostri collegano due distinti e uguali dipartimenti
(uomini e donne) organizzati con stanze, dormitori, latrine, camere per
i malati, contagiosi e i relativi servizi: refettorio, spazio riunioni
e alloggio del sorvegliante. I locali destinati ai servizi generali,
cucina e bagni, sono separati dalle degenze e differente per ciascun
dipartimento. L’impianto è completato da un lato dal
cimitero, dall’altro dagli edifici per i salassi, farmacia,
camera per casi gravi, l’alloggio del medico e il giardino delle
erbe medicamentose. (LI CALZI 2008, 63).
In questo periodo è possibile individuare due elementi
invarianti da cui mutuare l’ospedale: la chiesa e il chiostro.
Cosi che la tipologia della chiesa gotica si offre
all’interpretazione di un’unica grande sala di degenza (a
una o tre navate) con finestre aperte sui lati lunghi, mentre il
chiostro diviene il contenitore degli spazi di servizio.
Nell’abbazia benedettina di Sant’Agostino di Canterbury in
Inghilterra l’infermeria viene aggiunta utilizzando come snodo il
cortile piccolo (little choister). Essa è costituita da una sala
rettangolare e 3 navate di 75 x 21 m. Anche il convento di Cluny in
Francia obbedisce sostanzialmente alle stesse regole tanto che nel XII
secolo un ampliamento aggiunge la nuova infermeria costituita da una
grande sala divisa in tre navate (55 x 27,5 m), collegata alla vecchia
infermeria attraverso un chiostro quadrato.
Anche le abbazie cistercensi non fanno eccezione ed utilizzano il
medesimo modello. Nell’abbazia di Fountains in Inghilterra
è presente una sala-infermeria a tre navate di circa 55 x 25 m
che presenta la particolarità di essere a ponte sul torrente
probabilmente per ragioni igieniche e di approvvigionamento di acqua.
Se da un lato, quindi, la complessa struttura conventuale
autosufficiente aveva nella chiesa-ospedale l’elemento dedicato
alla cura dei malati, dall’altro la città medievale
ingloba nella struttura urbana l’ospedale in progressiva e
costante espansione sostituendo, adattando e riscrivendo di volta in
volta gli spazi destinati ai servizi rispetto alla grande sala dei
malati. È il caso degli Hôtel-Dieu francesi ed in
particolare quello di Parigi nell’Ile de la citè in cui
rimangono riconoscibili le sale ad infermeria unica, mano a mano
aggiunte fino alla saturazione degli spazi urbani e costrette ad
ampliarsi oltre la Senna mediante ponti costruiti ad uso infermerie.
Nello stesso periodo in Oriente progrediva rapidamente la disciplina
medica dando origine ad ospedali tipologicamente mutuati dal tipo del
palazzo reale in cui per la prima volta è presente anche la
Scuola medica come nel caso dell’Ospedale al-Mansur Qalawun del
Cairo del XIII secolo. Alla base di questo diverso paradigma tipologico
vi erano le altrettanto diverse credenze medico-scientifiche non basate
sulla pratica religiosa tanto è che è proprio in Oriente
in continuità alla tradizione greca che si sviluppa la
disciplina medica.
Nell’ambito della nascita della clinica, la scuola assunse un
ruolo sempre maggiore fino a determinare una perfetta simmetria tra le
due parti: ospedale e scuola. Tipologicamente, la corte porticata
diviene la matrice da replicare per l’organizzare delle varie
funzioni.
In Turchia in particolare sono gli edifici adibiti
all’ospitalità di poveri e viandanti come i
caravanserragli a fornire una tipologia da adottare per lo sviluppo
dell’ospedale. Uno dei primi ospedali di Istanbul, il Suleymaniye
si colloca attorno al recinto della Moschea insieme alle principali
funzioni pubbliche.
La tipologia della
corte, con passaggi protetti ad uso delle stanze di
degenza separate, diviene funzionale ai sistemi di cura che si evolvono
e si sperimentano a diretto contatto con l’ammalato. In questo
fenomeno, significatamente laico, si riconoscono gli impulsi che
determineranno in Europa solo nel diciottesimo secolo la nascita delle
prime cliniche ospedaliere. (LI CALZI 2008, 84).
Nel contesto in cui si inserisce questo studio, parallelamente allo
sviluppo della clinica medica, assume particolare significato anche la
farmacologia basata principalmente sull’uso dei semplici, le erbe
appunto, coltivate negli orti intesi come giardini della medicina.
Se l’ospedale-monastero, si scopre poleogenetico originando
città (come ad esempio nella città di San Gallo), la
nuova società quattrocentesca imprime un rinnovamento
nell’organizzazione dei malati e nella gestione
dell’ospedale ancor prima che nella tipologia architettonica. Gli
utenti iniziano ad essere suddivisi: i poveri, viandanti e pellegrini
dai i malati e questi ultimi ulteriormente divisi per categorie (gli
acuti dai cronici, ma anche per sesso): un complesso moderno gestito
ormai dal potere laico. Si assiste alla nascita di un’autonoma
tipologia (quella a crociera) intesa come fabbrica ospedaliera moderna.
Il più alto esempio di un rinnovamento che investe tanto
l’idea di città quanto quella di società (non senza
significato simbolico) è riscontrabile nell’Ospedale
Maggiore, la cosiddetta Ca’ Granda, di Milano iniziato nel 1456
ad opera di Antonio Averlino detto il Filarete. Quest’ultimo
aveva infatti collocato l’Ospedale nella città ideale di
Sforzinda al fianco delle grandi attrezzature urbane come il Palazzo
del Signore, il Teatro, la Cattedrale, il Mercato, ecc.
Come era già avvenuto in passato, l’elemento tipologico di
base è costituito dalla corte: una grande corte centrale, e
quattro corti minori porticate, poste su entrambi i lati, suddivise da
altrettanti corpi a crociera.
Nella concezione
dell’ospedale si verifica una fondamentale
inversione concettuale: se l’ospedale medievale è immagine
della chiesa e del monastero, quello rinascimentale, come edificio
rappresentativo della nuova organizzazione del potere della
città, è immagine del palazzo civile e come tale ne
assume il ruolo e la dignità.
Così che in questa nuova rinnovata impostazione sarà la
chiesa ad essere inglobata nell’ospedale e non viceversa.
Se la crociera compare già a Firenze nell’Ospedale di
Santa Maria Nuova (1445) sono la Lombardia e l’Emilia i territori
in cui si diffonde progressivamente perfezionandosi: a Brescia (1447),
a Pavia (1449), a Mantova (1450), a Milano (1456), Lodi (1459), Como
(1468), Piacenza (1471) e Parma (1476). La disposizione della doppia
crociera in parte sovrapposta di Firenze lascia il posto ad una precisa
geometrizzazione peraltro coerente con i modelli simbolici
rinascimentali.
Durante il ’600 si assiste sostanzialmente ad una rielaborazione
geometrica fondata sulla combinazione di corti e crociere a determinare
un impianto tipologico chiuso a recinto verso la città e
soprattutto autonomo.
Verso la fine del secolo inizia a comparire una forma tipologica
destinata ad avere un certo successo nel ‘700 costituita dallo
schema radiale ‘a panottico’ generato dalla duplice
esigenza di moltiplicare i corpi mantenendo una funzionalità dei
percorsi…………
Una successiva variazione tipologica si ha con la comparsa delle
cosiddette Almshouses, ossia strutture assistenziali residenziali
destinate ai poveri che consistevano in edifici lineari contrapposti
collegati in testata su un lato da un corpo principale determinando una
corte aperta allungata. Questa tipologia, poi adottata in alcuni
ospedali britannici, ha costituito l’archetipo per un altro tipo
innovativo destinato ad essere utilizzato anche per altre funzioni di
vita associata (per esempio i campus universitari) come
l’impianto a padiglioni paralleli e isolati. Dapprima senza alcun
tipo di collegamento fisico, che comparirà in seguito, i
padiglioni quadrati o rettangolari erano disposti su schemi
planimetrici geometrici subordinati ad un asse di simmetria alla cui
estremità in genere era collocato l’edificio principale.
Così era il Royal Naval Hospital di Christopher Wren a Greenwich
(1694-1702) e il successivo Royal Naval Hospital di Alexander Rovehead
a Stonehouse, Plymouth (1758-1764).
Il concorso per la costruzione dell’Hotel Dieu di Parigi
(1777-1788), successivo all’incendio del 1772, ha fornito un
contributo decisivo all’imposizione dell’ospedale a
padiglioni come modello tipologico per l’ospedale moderno.
L’occasione del concorso di un ospedale per una grande
città com’era già Parigi a quel tempo ha
catalizzato l’attenzione dei diversi saperi disciplinari
contribuendo ad un decisivo avanzamento delle conoscenze in campo
medico scientifico ed architettonico. Non a caso Michel Foucault (1976)
le definisce “macchine per guarire” che obbediscono non
solo ad un principio estetico formale ma ad un ordine funzionale:
“l’ospedale-edificio si organizza poco a poco come
strumento di azione medica” (Foucault 1975). Più di
duecento progetti sollecitano le coscienze dei medici sulle
problematiche medico scientifiche dando vita a ciò che egli ha
definito “nascita della clinica”:
“l’architettura della clinica si definisce progressivamente
per una serie di polemiche sull’ordine interno, la posizione, la
dimensione, la distribuzione e il numero di queste nuove macchine,
progettate per guarire un grande numero di malati in economia”
(Foucault 1963).
Nel processo manualistico enciclopedico che domina la seconda parte del
secolo (vedi Diderot e D’Alembert) l’ospedale entra a tutti
gli effetti come protagonista al pari dei grandi edifici pubblici.
È comunque sempre la concezione sanitaria dell’areazione
che giustifica l’adozione dei padiglioni separati e indipendenti
che possono godere quindi di una corretta ventilazione vista come
strumento terapeutico. Così è per i progetti
dell’Hotel Dieu di Parigi come l’Ospedale a padiglioni di
Jean Baptiste Leroy (1773) riferito direttamente al tipo del Palazzo
Reale (quello di Marly), il quale è caratterizzato da una grande
corte rettangolare ai lati della quale si collocano i padiglioni
paralleli e isolati che contengono le sale di degenza, mentre due corti
separate contengono i servizi generali e l’amministrazione.
L’impianto è simmetrico e sul fondale dell’asse, si
trova un portico ad esedra con la chiesa in posizione centrale. Una
variante dell’ospedale a padiglioni è costituita
dall’Ospedale a raggiera o panottico di Antoine Petit (1774). In
questo caso sei lunghi edifici sono raccordati da una corte circolare
esterna, mentre nel punto di raccordo centrale si colloca una sala
rotonda con un cappella che culmina con un camino conico che diviene
l’elemento principale del ricambio d’aria. Da notare come
la posizione centrale da sempre occupata dalla funzione religiosa sia
ora occupata dal camino nella sua importante funzione tecnologica. Nel
successivo progetto a panottico di Bernard Poyet (1785) la
moltiplicazione dei padiglioni a raggiera, ben sedici, impongono una
minima variazione nello spazio centrale non più simbolicamente
occupato dal pieno del camino ma dal vuoto di una corte aperta al cui
centro è collocato un tempietto religioso.
Quest’ultimo progetto è sostanzialmente coevo al progetto
di Panopticon di Jeremy
Bentham (1785-1791), un prototipo di edificio
ideato per contenere indifferentemente una scuola, una fabbrica, un
ospedale o una prigione, che diverrà la base per lo sviluppo di
tutta una serie di progetti teorici dimostrativi sviluppati nel corso
dell’‘800 per funzioni museali, sociali, ecc.
Nonostante sia comparso già dal Rinascimento, negli ospedali
ottocenteschi si impone anche il teatro anatomico o teatro scientifico
inteso come lo spazio della ricerca e dell’insegnamento medico
che si configura come anfiteatro con sedute a gradoni rivolte verso il
tavolo delle dissezioni. Benchè in origine si configuri come
spazio tipologicamente non caratterizzato essendo per lo più
ricavato in sale convenzionali allestite con gradoni in legno, esso
avrà un’importanza fondamentale al fine di una variazione
tipologica interna degli spazi di cura ormai divenuti spesso anche
luoghi in cui impartire la disciplina medica. Accanto agli spazi di
cura, quindi, il palinsesto tipologico spaziale si arricchirà di
spazi in cui studiare le malattie o rendere trasmissibile il sapere
medico: aule, gabinetti, laboratori, ecc.
All’evoluzione tipologica degli spazi di assistenza e cura
concorrono anche gli organismi nati per specifiche categorie di
bisognosi come modificazione di un principio (anche scientifico) che
vedeva tutte le tipologie ricoverate in un unica struttura e spesso in
un unico spazio al più raggruppati per esigenze funzionali.
Nascono così in Italia gli Ospedali degli incurabili destinati
anche ai folli, ai sifilitici ed in generale ai cronici, le Case di San
Lazzaro per i lebbrosi, i Lazzaretti per i contagiosi nei casi non poco
frequenti di epidemie, gli Alberghi dei poveri, nati
dall’esigenza sociale di sottrarre alla delinquenza i soggetti
senza lavoro. A partire dal ‘600 (a cui seguiranno le riforme
settecentesche) la tendenza ad un’organizzazione più
complessa e strutturata dell’assistenza medica seguirà lo
stesso processo di classificazione e suddivisione delle patologie ed
una progressiva diversa organizzazione delle conoscenze mediche nelle
specifiche discipline.
Un caso interessante in cui l’assistenza medica si incrocia con
l’assistenza sociale condividendo l’impianto tipologico
è costituito dall’esperienza delle Workhouses inglesi note
anche come Poorhouses, un tipo di ospizio dei poveri nato a seguito
della diffusione della Pandemia da Peste nera del ‘300 e che ha
avuto soprattutto tra sette e ottocento un'evoluzione tipologica tra
assistenza, controllo e detenzione contraddistinguendone i caratteri di
impianto. È proprio in questa progressiva modificazione delle
esigenze socio-assistenziali, soprattutto a seguito della New Poor Law
del 1834, che si ha un incremento del dibattito anche architettonico
con una conseguente proliferazione dei progetti architettonici.
Fu così che l’architetto Sampson Kempthorne, il cui padre
era amico del capo della commissione legislativa, inizia a sviluppare
una serie di modelli di Workhouse: il primo consiste in una pianta
cruciforme di 3 piani racchiuso in un corpo basso quadrato che delimita
quattro cortili interni divisi tra donne, uomini, ragazze e ragazzi. Se
la parte centrale a crociera era riservata alle funzioni residenziali,
il corpo perimetrale ospitava laboratori ed esercizi commerciali che si
affacciavano all’interno del cortile mentre all’esterno il
tutto era delimitato da mura. Organismi chiusi verso la città,
tanto da meritarsi il soprannome di “pauper bastilles" (bastiglie
dei poveri) che progressivamente si adeguano sempre più al
modello del panottico benthamiano ispiratore dal punto di vista formale
ma anche concettuale dei progetti successivi di forma esagonale (con il
corpo centrale a forma di Y) e ottagonale a raggera. È proprio
questa tendenza verso il modello concettuale contenitivo e reclusivo
del panottico che valse ai progetti di Kempthorne le critiche
più feroci tanto che fu attaccato duramente anche attraverso una
critica che oggigiorno si direbbe comparativa.
Progressivamente, il modello tipologico adottato si sposta verso il
più classico tipo a padiglioni spesso utilizzato come
ampliamento di Workhouse esistenti come nel caso di Manchester in cui
il corpo aggiunto dell’infermeria costituito da cinque padiglioni
lineari a tre piani formanti un pettine sono collegati al piano terra
da un porticato aperto.
Con il diffondersi della manualistica ottocentesca, anche in Italia
l’ospedale a padiglioni viene assunto come modello e sviluppato,
forse in virtù di una più contenuta richiesta di posti,
secondo una variante tipologica che vede i padiglioni posti accoppiati
e replicati parallelamente mentre la corte centrale sostituita da un
percorso porticato o in alternativa un unico edificio lineare di
collegamento che distribuisce ai padiglioni su entrambi i lati.
L’ospedale modello di Andrea Busiri, professore accademico di San
Luca pubblicato in uno studio del 1884 e l’ospedale di Broni di
Febo Bottini del 1889-90 sono gli esempi di queste due varianti
tipologiche.
Tra ‘800 e ‘900 il modello a padiglioni subirà
adattamenti geometrici e variazioni di scala anche mediante
l’incremento della superficie verde che contribuirà a
definirlo spesso come “ospedale-giardino", fino a raggiungere
tipologie miste come nel caso dell’ospedale Forlanini di Roma di
Emanuele Caniggia (1934) o il Niguarda di Milano dell’ing. Giulio
Marcovigi con l’apporto di Giulio Ulisse Arata (1939).
L’anello di congiunzione tra l’ospedale a padiglioni e
l’ospedale a monoblocco, che costituisce il successivo modello
tipologico della modernità, è costituito dal progetto
dell’ospedale di Brescia dell’ing. Angelo Bordoni (1938),
un ibrido tipologico che unisce l’idea dell’ospedale a
blocco con l’idea dei padiglioni. Una corte esagonale a sua volta
suddivisa da sei percorsi di collegamento a raggiera, si collega ai
vertici ad altrettanti edifici ad Y. Tre assi mediani distribuiscono
dal corpo dell’ingresso separato ad altri due corpi esterni.
Il protofunzionalismo dell’ospedale di Brescia (progettato non a
caso da un ingegnere) lascerà il campo al funzionalismo di
stampo fordista che vede nella razionalizzazione, dei percorsi
(orizzontali e verticali) l’aspetto più importante. Il
monoblocco crescerà soprattutto in altezza (dai 4/5 piani fino a
12 o più in America) e si imporrà nel corpo urbano
più nella massa unitaria e pesante che in una articolazione
tipologica.
Il tipo a monoblocco, a cui si aggiungerà il tipo a poliblocco,
giunge a maturazione a seguito di evoluzioni scientifiche mediche e
tecnologiche (queste ultime non dissimili da quelle che hanno
determinato l’imporsi del tipo grattacielo) e può essere
considerato come uno sviluppo in altezza del principio del padiglione.
Esempio di tale tipologia può essere assunto Hôpital
Beaujon di Parigi del 1935 di Jean Walter, Urbain Cassan & Louis
Victor Plousey, in cui l’impianto planimetrico formato da 4 ali
raccordate da un corpo trasversale è replicato per quasi 10
piani a determinare un complesso di notevole massa architettonica.
A parte qualche eccezione, alle soglie del Razionalismo,
l’ospedale diventa il campo della progettazione ingegneristica
(dai singoli specialisti ingegneri come Marcovigi alle attuali
società di ingegneria) con l’architetto che, quando
presente come nel caso di Giulio Ulisse Arata a Niguarda, interviene
sull’aspetto estetico ma non su quello tipologico.
Nel medesimo periodo però la parabola che va dalla scoperta
della cura alla definizione degli ambienti di cura delle malattie
sanatoriali fornisce proprio agli architetti razionalisti una tipologia
da inventare e da interpretare secondo i canoni dell’architettura
moderna. Se da un lato, quindi, la specializzazione ospedaliera esclude
gli architetti dall’ospedale, dall’altro prende piede
l’invenzione di strutture sanitarie e luoghi di cura specifici
come i dispensari antitubercolari (Gardella, Alessandria, Sert-Torres,
Barcellona), le colonie elioterapiche (BBPR, Legnano, Del Debbio,
Roma), le colonie marine (Mazzoni, Tirrenia, Busiri Vici, Cattolica,
Vaccaro, Cesenatico, ecc.) o i sanatori (Duiker, Hilversum, Lurcart,
Puy de Dome, Aalto, Paimo) in cui gli architetti moderni possono
affermarsi nel loro ruolo primario.
È proprio nella caratterizzazione di questi spazi di cura al di
fuori dell’ospedale (nei casi italiani anche al netto della
retorica di regime) che si ritrova quell’attenzione ben
bilanciata tra dispositivo funzionale e identità architettonica
che può essere assunta come base di partenza per la
progettazione delle Case della Comunità contemporanee.
Nel caso dei dispensari antitubercolari, da un lato Gardella ad
Alessandria (1936-38) e dall’altro i razionalisti del GATEPAC,
Sert, Torres Clavé e Subirana a Barcellona (1934-36) mettono in
atto lo stesso involucro a trasparenze modulate (grazie anche
all’utilizzo in entrambi gli edifici del vetrocemento) entro
impianti planimetrici diversi; lineare nel caso di Alessandria, ad L
nel caso di Barcellona. È proprio a Barcellona in cui oltre agli
spazi di profilassi e analisi preventiva delle malattie tubercolotiche
sono presenti una biblioteca ed un auditorium nel tentativo forse di
arricchire la dotazione strettamente sanitaria con funzioni culturali e
sociali utili alla popolazione.
Le colonie elioterapiche ebbero un forte impulso in epoca fascista per
combattere il rachitismo infantile ed in genere favorire
l’irrobustimento dei giovani delle classi meno abienti tramite
l’esposizione al sole. Sono spesso collocate ai margini delle
città nelle posizioni più salubri e organismi che cercano
nella conformazione dell’impianto la migliore esposizione solare.
Se i BBPR a Legnano (1937-38) adottano un impianto composito suddiviso
in due parti formalmente geometriche, la grande sala da un lato e gli
ambienti accessori dall’altro con il corpo scala che funge da
perno, Enrico Del Debbio a Roma (1933-35) fa dell’adattamento al
luogo un principio compositivo che partendo dalla testata si sviluppa
dapprima in maniera lineare per poi curvare attorno ad un giardino
circolare. Meno vincolate all’ambiente risultano le colonie
marine, che altro non erano che colonie elioterapiche poste in
prossimità del mare per poter godere al meglio della
talassoterapia.
Anche i sanatori si basavano sostanzialmente sul principio
dell’elioterapia ed erano strutture nate per contrastare malattie
croniche a lunga degenza, tipicamente respiratorie come la tubercolosi.
Tra gli spazi di cura extraospedalieri è questo il caso in cui
la struttura per caratteristiche dimensionali si avvicina maggiormente
all’ospedale tradizionale. Ciò nonostante non vi è
l’adozione dei modelli tipologici ospedalieri ma
l’invenzione di tipi che oltre a conformarsi al paesaggio
divengono istituzioni totali e “modello di abitazione
collettiva". Architetture perfezionate come “dispositivi
tipologici per captare il sole" attraverso terrazze o verande come
prolungamento delle stanze di soggiorno o, nei casi ideali, come vere e
proprie stanze all’aperto.
I sanatori, da ultimo, ci consentono di recuperare una significativa
esperienza europea condotta da figure di architetti del Movimento
Moderno. Abbiamo immaginato questi spazi attraverso il più
celebre sanatorio della letteratura, il Berghotel Schatzalp di Davos,
progettato da Otto Pfleghard e Max Haefeli di Zurigo nel 1899 e
descritto magnificamente da Thomas Mann in La montagna incantata. A
differenza di quest’ultimo, molto avanzato dal punto di vista
della conformazione spaziale terapeutica ma ancora piuttosto
vernacolare nel linguaggio architettonico, gli esempi che citiamo
affiancano anche una riflessione tipologica specifica
nell’adottare per esempio il principio dei gradoni in sezione,
così come ha fatto Tony Garnier nel progetto di stabilimento
elioterapico (1917) progettato come parte del comparto sanitario della
Cité Industrielle. ,
Per quanto riguarda le realizzazioni, invece, il sanatorio Zonnestraal
a Hilversum di Jan Duiker (1920-28), costituisce il primo riferimento
costruito reinventando la tipologia del padiglione tramite una logica
di libera articolazione nello spazio spesso caratterizzato da pregevoli
paesaggi naturali alberati. Le singole parti, quindi, sottostanno
simultaneamente sia al principio generale dell’impianto che al
principio delle asimmetrie dell’architettura moderna.
Coevo al sanatorio di Duiker è il sanatorio Puy de Dome di
André Lurçat a Durtol (1929) un edificio
planimetricamente lineare che sfrutta il declivio del terreno per
suddividere in 3 porzioni l’altezza di 6 piani.
L’attenzione all’abitazione del malato è massima
compresa l’esigenza funzionale di esposizione diretta al sole
risolta mediante la rotazione del letto direttamente sul balcone
esterno.
Ma è soprattutto Alvar Aalto, che aveva avuto modo di visitare
sia il sanatorio di Duiker che quello di Aalto in un viaggio del 1928,
con il Sanatorio di Paimio (1929-33) che riesce nell’intento di
fare dell’architettura sanatoriale un esempio sincretico di
qualità funzionale ed estetica.
Lo stesso Aalto scrive che “Lo scopo primario dell’edificio
è di funzionare come uno strumento medico ... Uno dei requisiti
di base per guarire è quello di offrire una pace completa”
(Pallasmaa 1998 17). Scopriamo una vocazione dello stesso Aalto nella
progettazione degli spazi sanitari in quanto prima di Paimio aveva
realizzato il piccolo ospedale municipale di Alajärvi (1924-28),
due case per anziani e partecipato ai concorsi per la stazione termale
a Pärmu, in Estonia e per il sanatorio di Kälviä. Nel
1931, inoltre parteciperà al concorso per l’ospedale
centrale di Zagabria non classificandosi. “La qualità
unica del progetto sta nella combinazione di criteri rigorosamente
funzionali e tecnici con accorte considerazioni psicologiche”
(Pallasmaa 1998 17).
Queste ultime erano dovute probabilmente anche alla concreta
immedesimazione dei bisogni del malato che Aalto aveva potuto fare in
quanto, l’esperienza personale di un ricovero mentre stava
ideando il sanatorio lo aveva portato ad accentuare il punto di vista
del paziente rispetto all’ambiente ospedaliero, ossia gli aveva
permesso di mettersi nella condizione della massima debolezza.
Per lo più conosciuto come capolavoro architettonico che occupa
un preciso posto sia nella storia dell’architettura europea che
nelle opere del maestro finlandese il sanatorio di Paimio esprime
appieno la concezione di un’architettura umanizzata. A differenza
della stessa corrente diffusasi nella progettazione dell’edilizia
sanitaria della seconda metà del novecento –
l’umanizzazione dell’ospedale – in cui il bisogno
è rilevato come necessità medica, l’umanizzazione
dell’architettura di Aalto parte dall’architetto come
necessaria attenzione ai bisogni psicofisici dell’uomo (Aalto
1940).
È proprio in un articolo pubblicato sulla rivista del MIT nel
1940 che Aalto porta ad esempio le attenzioni progettuali rivolte al
malato che egli stesso ha adottato a Paimio.
L’ultima evoluzione tipologica del luogo di cura nella sua forma
dell’ospedale è caratterizzata da uno sviluppo orizzontale
anziché verticale nel definire una struttura comunemente
chiamata “a piastra”. Complice l’imposizione del
movimento megastrutturale degli anni Sessanta, che investe tutte le
principali funzioni urbane pubbliche, anche l’ospedale si adegua
a questa tendenza divenendo un complesso meccanismo di concentrazione
di spazi e luoghi differenziati (reparti, degenze, servizi diagnostici,
blocchi operatori e cliniche universitarie). Si vengono così ad
integrare spazi e funzioni diverse cosicche nella sua
complessità l’ospedale diviene stesso metafora di
città e ne introietta anche la tassonomia distributiva e
spaziale per esempio nel definire strade interne i percorsi o piazze i
grandi spazi centrali di accoglienza. Tra questi complessi è da
annoverare per esempio il Mc Master Health Center a Hamilton in Canada
di Eberhard H. Zeidler (1965-71), una grande piastra modulare
pressochè quadrata da cui emergono le torri trasparenti che
contengono gli impianti di risalita. La densità planimetrica
crea un intercalato tra spazi serviti e spazi serventi
all’interno del quale si alternano i vuoti necessari a dare aria
e luce agli ambienti interni. All’ordine modulare dei piani alti
si contrappone il piano terra più disordinato
nell’inserimento di funzioni e spazi eccezionali come la grande
sala convegni.
In Italia sono maggiori le proposte progettuali che non le
realizzazioni vere e proprie di ospedali basati su questo modello
tipologico. Il concorso per il nuovo ospedale di Venezia del 1963 nella
sua invenzione più interessante costituita dal progetto
“Tadzio” del gruppo Romano Chirivi, Costantino Dardi,
Emilio Mattioni, Valeriano Pastor e Luciano Semerani fornisce
l’ispirazione a Le Corbusier del famoso impianto a turbina poi
sviluppato in un organismo ad un solo piano nel progetto che il maestro
svizzero presenterà nel 1965.
Sia il Mc Master Health Center che l’Ospedale di Le Corbusier si
possono ascrivere agli esempi di composizioni a piastra nota anche come
Mat-Building secondo la formulazione di Alison Smithson e Shadrach
Woods testimoniata dal loro progetto per la Frei Universitat di Berlino
del 1963.
Una variante dell’ospedale a piastra è costituito
dall’ospedale a piastra-torre in cui a partire dal basamento a
piastra di uno o due piani alcune funzioni vengono concentrate in un
blocco sviluppato in altezza, “a torre”, appunto. È
questo il caso di molte strutture di cui ancor oggi usufruiamo
cresciute nel tempo per aggiunte progressive non rientranti in un
organico disegno.
La contrazione demografica, la dispersione territoriale ed
un’endemica carenza di risorse finanziarie da investire
nell’edilizia sanitaria hanno fatto si che in Italia il tema
degli spazi di cura e più genericamente degli ospedali sia
passato sostanzialmente in secondo piano, tutt’al più
oggetto di aggiunte autonome specialistiche o integrazioni isolate.
Qualche buona prova (concorsuale o realizzata), dominano gli ultimi
trent’anni del Secolo breve come i due ospedali realizzati da
Luciano Semerani, a Trieste Cattinara (1969-71) e Venezia (1979-83), e
il progetto di Carlo Aymonino per il Nuovo Ospedale di Mestre, (1988)
poi realizzato da Emilio Ambasz.
A riportare l’attenzione sul tema dell’Ospedale ci ha
pensato anche Renzo Piano che, a capo di un gruppo di lavoro1
individuato insieme all’allora Ministro della Sanità,
Umberto Veronesi, realizza un nuovo modello di Ospedale che
verrà inserito nel Piano Sanitario Nazionale 2001-2003 fondato
su un decalogo di intenti costituito da altrettante parole chiave come
Umanizzazione: Urbanità: Socialità: Organizzazione:
Interattività: Appropriatezza: Affidabilità: Innovazione:
Ricerca: Formazione. Nonostante la commissione auspicasse la
costruzione di 40-50 ospedali in tutta Italia (che avrebbero rifondato
completamente il sistema degli spazi della cura) esistono pochi
ospedali che adottano tali premesse. Di quel prototipo rimane un
metaprogetto che interessa anche gli aspetti tipologici:
È una nuova
TIPOLOGIA DI OSPEDALE, CHE VOGLIAMO DEFINIRE
multiblocco, CHE VORREBBE COGLIERE IL BUONO DELLA TIPOLOGIA A
padiglioni (=DIMENSIONE UMANA) E MONOBLOCCO (=BUONA FUNZIONALITÀ
della MACCHINA, buoni percorsi ma ALIENAZIONE).
LA NUOVA TIPOLOGIA è STUDIATA PER POTER CONIUGARE EFFICACEMENTE
GRADEVOLEZZA E FUNZIONALITÀ (Mauri 2001).
Giunti all’attualità possiamo considerare conclusa questa
breve ma veridica (come scrisse Longhi a proposito della sua storia
dell’arte italiana) storia del tipo assistenziale-ospedaliero e
del suo rapporto con la città.
Non prima però di accennare ad un ultima esperienza per certi
versi paradigmatica che riguarda il concorso internazionale per il
nuovo ospedale di Cremona ad affiancamento del precedente. È
notizia recente la scelta del progetto vincitore sulla rosa dei cinque
finalisti selezionati per la seconda fase: MCA - Mario Cucinella
(Bologna), Park Associati (Milano), Foster + Partners (Londra, Gran
Bretagna), Baumschlager Eberle Architekten GMBH (Lustenau, Austria),
O.M.A. Office for Metropolitan Architecture (Rotterdam, Olanda). Non ci
è dato vedere i progetti non ancora pubblicati se non quello del
vincitore, Mario Cucinella, un grande anello circolare che nella
migliore tradizione italiana contemporanea fa sfoggio di una sembianza
paesaggistica infarcita di un apparato tecnologico sostenibile ma che
dimentica la grande lezione tipologico-compositiva.
Dall’allievo di Renzo Piano ci si sarebbe atteso maggior aderenza
non tanto ai principi generali del metaprogetto, ma a quel suggerimento
tipologico definito «multiblocco, che vorrebbe cogliere il buono
della tipologia a padiglioni (=dimensione umana) e monoblocco (=buona
funzionalità della macchina» che lo stesso Piano ha
indicato nel documento e che ha tradotto in alcuni suoi prototipi.
Dai primi comunicati relativi al concorso trapelano vecchi e nuovi
slogan come “città nella città”,
“coperture giardino” e “boschi climatici”. Una
“non architettura” nascosta in un paesaggio verde
artificiale che collude con il vicino “grande fiume”, il
Po, e le sue geometrie precise: sempre che, come tanti casi recenti ci
insegnano, le sembianze non siano un’esagerazione pretestuosa del
renderista di turno. Qui però è d’obbligo
sospendere il giudizio in attesa di più circostanziati materiali.
In considerazione della finalità di questo articolo – non
una ricerca storica approfondita sul tipo dell’ospedale ma un
contributo di supporto critico-conoscitivo alla progettazione –,
la ricerca di un prototipo di Casa della Salute/Casa della
Comunità ossia di un tipo architettonico nuovo è
operazione da condurre sulla scorta dell’interpretazione
dell’esperienza storica degli spazi di cura, analizzando al
contempo le esigenze e le potenzialità in termini di congegni
urbani.
Note
1 La Commissione del Ministero della
Sanità, presieduta dal
Ministro prof. Umberto Veronesi, coordinata dall’Architetto Renzo
Piano, per lo studio e l’elaborazione di un nuovo modello di
Ospedale ad alto contenuto tecnologico ed assistenziale Modello
progettuale Piano-Veronesi, 2000 era composta da 16 membri: Raffaela
Bucci, Giuseppe Caggiano, Antonio Cicchetti, Vittorio De Martino, Paola
Di Martino, Velia Gini, Claudio Giuricin, Maurizio Mauri, Marcello
Mauro, Laura Pellegrini, Michele Pintus, Manlio Tesio, Alessandra
Vittorini.
Bibliografia
AALTO A., (1940) - “The Humanizing of Architecture”, in The
Technology Review, Novembre, pp. 14-15.
AA.VV., (1979) – L’architettura
della salute. Numero monografico della rivista Hinterland
n.9-10, maggio-agosto
AA.VV., L’Architettura della
salute.
Luoghi e storia della Sanità lombarda, Regione Lombardia
BANCHIERI G., (2019) – Ospedali
di comunità case della salute cure primarie, Joelle.
BELVEDERE F., (2010) – Lo
spazio ospedaliero: tendenze in atto e indirizzi progettuali,
Tesi di Dottorato, Università di Palermo.
BOLOGNA R., Torricelli M.C., (2021) – Gli spazi della salute, in Romano del Nord. Teoria e prassi del
progetto di architettura, Firenze University Press, Firenze.
CAPOLONGO S., (2006) – Edilizia
ospedaliera: approcci metodologici e progettuali, Hoepli, Milano.
COBOLI Gigli S., Monico G., Carabillò M., (2001) –
“Il progetto Veronesi”, in Progettare per la Sanità,
64, pp. 28‐37.
COX A., Groves P., (1995) – Ospedali
e strutture sanitarie, Dario Flaccovio Editore, Palermo
DALL'OLIO L., (2000) – L’architettura
degli edifici per la sanità, Officina, Roma
DEL NORD R. (a cura di), (2008) – L’Ospedale del futuro. Modelli per
una nuova sanità, EdA/4, Il Prato, Padova.
DIANA E., (2002) – “L’architettura
dell’ospedale nella sua evoluzione storica”, in Salute e
Territorio, anno XXIII, n.131, pp. 80‐91.
FERRANTE T., (2008) - Hospice:
luoghi, spazi, architettura, Alinea, Firenze.
FERRARESI M., Pedace C., Tiezzi G., (2002) – L’ospedale di comunità. Una
nuova risorsa nel panorama dei servizi sanitari, Il Pensiero
Scientifico.
FONDI D., (2002) – Architettura
per la sanità. Forma, funzione, tecnologia, Edizioni Kappa
FOUCAULT M., (1963) – Naissance
de la clinique: une archéologie du regard médical
(trad. it. Nascita della Clinica),
Presses Universitaires de France, Paris.
FOUCAULT M., (1975) – Surveiller
et punir: Naissance de la prison, (trad. it. Sorvegliare e punire),
éditions Gallimard, Paris.
FOUCAULT M., (1976) – Les
machines à guérir: aux origines de l'hôpital moderne,
Institut de l'environnemen, Paris.
GIGLI G., (1994) – Ospedali:
esperienze, progetti, normative, tecnologie, Gangemi Editore,
Roma.
GRECO A., Morandotti M., a cura di, (2011) – Edilizia ospedaliera: esperienze e
approfondimenti per una progettazione consapevole, Alinea 2011
GRUBEN G., Die Tempel der Griechen,
Aufnahmen von Max Hirmer, Hirmer Verlag, München, 1980,
LI CALZI E., Bellini G., Del Boca G., (2008) – Per una storia dell’architettura
ospedaliera, Maggioli.
MAURI M., (2001) – “Ospedali a misura dei bisogni di salute
del territorio”, intervento al Congresso Forum P.A., 7‐14 maggio,
Roma. Disponibile presso
http://archive.forumpa.it/forumpa2001/convegni/7/7.2/maurizio_mauri/maurizio_mauri_72.pdf
MASCIADRI I., (2012) – Ospedali
in Italia. Progetti e realizzazioni, Tecniche Nuove.
MELLO P., (2000) – L’ospedale
ridefinito: soluzioni e ipotesi a confronto, Alinea, Firenze.
MELLO P. (a cura di), (1999) – Spazi
della patologia. Patologia degli spazi, Associazione Culturale
Mimesis, Milano.
MENS N., Wagenaar C., (2009) – Health
care architecture in the Netherlands, NAI Publishers, Rotterdam
MEOLI F., (2015) – Innovazione
organizzativa e tipologica per l’ospedale, Nuove proposte
distributive, Gangemi editore, Roma.
MONL T., (2004) – Hospital
Builders, Wiley‐Academy, Londra.
PALLASMAA J. (1998) – Alvar
Aalto, verso un funzionalismo sintetico, in REED P. (a cura di),
Alvar Aalto 1898-1976, Electa.
PEVSNER N., (1986) – Ospedali,
in Storia e caratteri degli edifici,
Palombi, Roma
PETRILLI A., (1999) – Il
testamento di Le Corbusier. Il progetto dell’Ospedale di Venezia,
Marsilio, Venezia.
PRASAD S. (ed), (2008) – Changing
Hospital Architecture, RIBA Publishing, Londra.
REDSTONE L.G., (1978) – Hospitals
and health care facilities: an architectural record book, New
York.
ROSSI PRODI F., Stocchetti A., (1992) – L’architettura dell’ospedale,
Alinea editrice, Firenze
SACCHETTI L., Oberosler C., (2022) – Architetture resilienti per la
sanità territoriale. Linee guida per la progettazione: un nuovo
modello di Ospedale di Comunità, Franco Angeli
SPINELLI F., Bellini E., Bocci P., Fossati R., (1994) – Lo spazio terapeutico. Un metodo per il
progetto di umanizzazione degli spazi ospedalieri, Alinea,
Firenze.
STONE P., (1980) – British
hospital and health‐care buildings: design and appraisals, The
Architectural Press, London.
STUDIO AUA, “Concorso nazionale per il nuovo ospedale civile
Venezia San Giobbe”, in “Casabella.
Continuità”, n. 289, luglio 1964, pp. 16-19.
TERRANOVA F. (a cura di), (2005) – Edilizia per la Sanità,
UTET, Torino.
TORRICELLI M. C., (2020) – “Gli spazi della cura come
prolungamento della città”, in “Forward”,
Spazi della cura
VERDEBER S, Fine D.J., (2000) – Healthcare
Architecture in an era of radical transformation, Yale
University Press, New Haven and London.
VERDEBER S., (2010) – Innovations
in Hospital Architecture, Routledge, New York.
WAGENAAR C., Mens N., (2019) – Hospitals
a design manual, Birkhäuser, Basilea.
ZANELLA R., (2022) – La
sanità di prossimità. Case della salute, case e ospedali
di comunità, farmacie multi-servizi nelle città dei
«quindici minuti», Il Pensiero Scientifico.