Nei
paesi industrializzati le modificazioni epidemiologiche, il
miglioramento delle tecnologie e delle strategie terapeutiche e di
prevenzione, hanno portato a un numero sempre maggiore di pazienti
fragili e polipatologici spesso anziani e con multiple problematiche
mediche e sociali. Questi pazienti mostrano un alto bisogno
assistenziale e presentano rilevanti connotazioni di complessità
in quanto affetti da multiple patologie croniche, stabili o instabili,
assumono cospicue polifarmacoterapie, sono dipendenti nelle
attività comuni della vita, vivono in strutture residenziali o
soli spesso con i famigliari lontani, assistiti da caregiver estranei o
stranieri con scarse relazioni empatiche anche per barriera
linguistica. La letteratura scientifica sta progressivamente definendo
questo nuovo “biotipo” (Realdi et al, Intern Emerg Med,
2011) la cui complessità clinica e l’assenza di percorsi
specifici intraospedalieri possono rendere questi pazienti ad alto
rischio di diventare “bed-blockers”.
Inoltre, la mancanza di percorsi territorio-ospedale specifici e spesso
la fragilità e la disomogeneità della rete territoriale
assistenziale espongono questa particolare categoria di pazienti a un
rischio di ospedalizzazione impropria, degenze più lunghe,
inadeguati setting di cura e ulteriore peggioramento della
disabilità con altri esiti infausti, compreso il decesso
(Buurman, Plos One, 2012).
Nonostante la forte componente di pazienti fragili, polipatologici,
spesso anziani nei Pronto Soccorso (PS), questi ultimi non sono sempre
adeguati a far fronte alle esigenze di quel tipo di paziente.
Generalmente, infatti, i PS sono ideati e organizzati primariamente per
assistere persone con patologie acute o gravi infortuni e non pazienti
polipatologici, con impedimenti funzionali e cognitivi. Infatti la
priorità nel PS è posta nella rapidità del triage,
che non permette un’accurata valutazione di soggetti con
molteplici comorbilità, con polifarmacoterapie, con disturbi
cognitivi e patologie croniche o a lenta insorgenza.
In quest’ottica, e se si aggiunge la riduzione dei posti letto
ospedalieri degli ultimi anni, appare chiaro il mutamento culturale e
gestionale che è richiesto al sistema della Medicina Generale e
dell’Emergenza-Urgenza che, se un tempo lavorava secondo il
principio del “ricovera per lavorare” (“admit to
work”), oggi si deve confrontare con un principio opposto:
“lavora per (non) ricoverare” (work to (do not)
admit”).
Dal punto di vista sociale questi mutamenti si sono riverberati in due
fenomeni socio-antropologici ben identificabili: da un lato, la
crescita di forme di neo-istituzionalizzazione e, dall’altro,
l’incremento dei fenomeni di isolamento-abbandono delle persone e
dei territori e disgregazione delle comunità. Questo si
evidenzia sia nell’aumento della richiesta di posti di ricovero
residenziali, sia in domande crescenti non solo assistenziali ma anche
custodiali e persino contenitive. D’altra parte si notano
fenomeni come denatalità, disinvestimento nei giovani e fenomeni
di abbandono, povertà, frammentazione e degrado
dell’ambiente. Tendenze molto pericolose sia per le persone che
per le comunità a causa delle crescenti risorse necessarie e
della qualità degli interventi che ne possono conseguire.
In questo contesto, la letteratura internazionale prima, e il
legislatore poi, hanno individuato la necessità di identificare
la casa della persona come primo luogo di cura e di vita connessa con
la comunità, i servizi e tutta la socialità. Abitare in
sicurezza, armonia e bellezza valorizzando la persona, la famiglia, la
rete informale, nell’ottica del welfare di comunità
consente di prevenire abbandono, isolamento e solitudine che
rappresentano fattori di rischio per la salute. La casa della persona
dovrà essere collegata con la Casa della Comunità tramite
Servizi di Comunità e Prossimità da sviluppare anche
attraverso gli Enti del Terzo Settore mediante una
“alleanza” istituzionale con gli Enti e le Istituzioni
pubbliche e la partecipazione del volontariato. La medicina di
iniziativa e di prossimità è in grado di portare a
domicilio molteplici interventi sociali e sanitari, fino addirittura
all’ospedalizzazione domiciliare come capita a Parma con le
Unità Mobili Multidisciplinari e con altri progetti anche
mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie. Al contempo per i
percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali, la persona deve
essere connessa con i servizi distrettuali, aziendali e sovraziendali
al fine di assicurare la massima competenza. E’ ormai dimostrato
che un miglioramento dell’assistenza domiciliare riduce il
ricorso alla Residenzialità per anziani, disabili e malati
mentali.
Anche il DM 77/2022 di riordino delle attività sanitarie
territoriali ha tra i principi ispiratori una forte spinta alla
domiciliarità e alla medicina territoriale. Infatti lo spirito
del legislatore è stato quello di modificare il paradigma
classico passando dal concetto di “Sanità” al
concetto di “(tutela della) Salute“ nella sua più
ampia accezione. In quest’ottica le tradizionali funzioni di
controllo, programmazione ed erogazione di prestazioni delle Aziende
Sanitarie sono state arricchite da funzioni propositive, di
monitoraggio e di gestione particolarmente sul versante socio-sanitario.
In quest’ottica la progettazione/costruzione delle Case della
Comunità diventa particolarmente sfidante perché richiede
anche al Progettista una visione multidisciplinare della propria azione
che tocca aspetti urbanistico-ambientali di rigenerazione urbana e di
sostenibilità, di composizione architettonica, di estetica, di
ingegneristica biomedica e di funzione sociale. E questo è tanto
più difficile nei territori dove la Case della Comunità
devono nascere per trasformazione delle Case della Salute che,
sostanzialmente, erano state concepite con una connotazione
eminentemente sanitaria, con stilemi architettonico-funzionali simili a
un piccolo ospedale o a un grande poliambulatorio. In altre parole, la
sfida progettuale richiesta è di costruire la Casa della
Comunità come luogo che contenga sia funzioni sanitarie di alta
qualificazione sia funzioni sociali di prossimità, formazione,
di comunità, quasi una sorta di agorà del terzo
millennio. Un luogo che sia vissuto nella quotidianità dal
quartiere, popolato da cittadini, famiglie, volontari e professionisti
sia del sociale che del sanitario.
Il Comune di Parma, per affrontare e vincere queste sfide, guidando e
non subendo i cambiamenti, ha deciso di ingaggiare e riconnettere la
propria comunità territoriale di riferimento, chiamandola alla
stipula del “Patto Sociale per Parma”.
Il Patto Sociale per Parma è un documento operativo
“aperto” che verrà progressivamente implementato e
arricchito da nuovi spunti, progetti e interlocutori nei prossimi anni.
Verrà effettuata attività di monitoraggio e valutazione
annuale quali-quantitativa degli esiti e degli obbiettivi raggiunti. Il
Patto Sociale è coordinato da una Cabina di Regia, organismo
congiunto per il governo del processo di analisi e proposta di
revisione dei percorsi e delle prassi esistenti con l’obiettivo
di facilitare la partecipazione progettuale e l’attuazione di
co-programmazioni e co-progettazioni. La Cabina di Regia, presieduta
dall’Assessore alle Politiche Sociali, è composta da
rappresentanti delle Direzioni delle Aziende Sanitarie, del Comune, del
Terzo Settore, CSV, cooperazione sociale, delle organizzazioni
sindacali e altri componenti a seconda delle necessità e dei
progetti.
In conclusione, l’obiettivo ultimo delle Case della
Comunità è contribuire a rinsaldare un patto
socio-sanitario che eviti la privatizzazione della sofferenza e
l’anomia mediante processi di accoglienza, di inclusione, di
prevenzione e di cura che diano senso e valore alla persona, al tempo e
alle relazioni. E’ necessario integrare le “cure”
centrate sulle componenti mediche, psicologiche e sociali alla base
delle malattie, e il “care”, il “prendersi
cura”, della sofferenza, della soggettività e dei bisogni
della persona e della sua famiglia sempre inserita nella
comunità.
La declinazione architettonica di questi principi e azioni sarà
la sfida dei prossimi anni e richiederà un processo di mutamento
culturale che deve essere perfezionato e deve coinvolgere molti attori:
ricercatori, professionisti sanitari, sociale, università,
amministratori e politica.
Bibliografia
REALDI G, Giannini S, Fioretto P, Fabris F, Vettore G, Tosato F. (2011) – “Diagnostic pathways of the complex patients: rapid intensive observation in an Acute Medical Unit” In InternEmerg Med. Oct;6 Suppl 1:85-92.