Integrare sociale e sanitario nelle Case della Comunità: di quale topos architettonico ha bisogno il mondo socio-sanitario?

Antonio Nouvenne



Nei paesi industrializzati le modificazioni epidemiologiche, il miglioramento delle tecnologie e delle strategie terapeutiche e di prevenzione, hanno portato a un numero sempre maggiore di pazienti fragili e polipatologici spesso anziani e con multiple problematiche mediche e sociali. Questi pazienti mostrano un alto bisogno assistenziale e presentano rilevanti connotazioni di complessità in quanto affetti da multiple patologie croniche, stabili o instabili, assumono cospicue polifarmacoterapie, sono dipendenti nelle attività comuni della vita, vivono in strutture residenziali o soli spesso con i famigliari lontani, assistiti da caregiver estranei o stranieri con scarse relazioni empatiche anche per barriera linguistica. La letteratura scientifica sta progressivamente definendo questo nuovo “biotipo” (Realdi et al, Intern Emerg Med, 2011) la cui complessità clinica e l’assenza di percorsi specifici intraospedalieri possono rendere questi pazienti ad alto rischio di diventare “bed-blockers”.
Inoltre, la mancanza di percorsi territorio-ospedale specifici e spesso la fragilità e la disomogeneità della rete territoriale assistenziale espongono questa particolare categoria di pazienti a un rischio di ospedalizzazione impropria, degenze più lunghe, inadeguati setting di cura e ulteriore peggioramento della disabilità con altri esiti infausti, compreso il decesso (Buurman, Plos One, 2012).
Nonostante la forte componente di pazienti fragili, polipatologici, spesso anziani nei Pronto Soccorso (PS), questi ultimi non sono sempre adeguati a far fronte alle esigenze di quel tipo di paziente. Generalmente, infatti, i PS sono ideati e organizzati primariamente per assistere persone con patologie acute o gravi infortuni e non pazienti polipatologici, con impedimenti funzionali e cognitivi. Infatti la priorità nel PS è posta nella rapidità del triage, che non permette un’accurata valutazione di soggetti con molteplici comorbilità, con polifarmacoterapie, con disturbi cognitivi e patologie croniche o a lenta insorgenza.
In quest’ottica, e se si aggiunge la riduzione dei posti letto ospedalieri degli ultimi anni, appare chiaro il mutamento culturale e gestionale che è richiesto al sistema della Medicina Generale e dell’Emergenza-Urgenza che, se un tempo lavorava secondo il principio del “ricovera per lavorare” (“admit to work”), oggi si deve confrontare con un principio opposto: “lavora per (non) ricoverare” (work to (do not) admit”).
Dal punto di vista sociale questi mutamenti si sono riverberati in due fenomeni socio-antropologici ben identificabili: da un lato, la crescita di forme di neo-istituzionalizzazione e, dall’altro, l’incremento dei fenomeni di isolamento-abbandono delle persone e dei territori e disgregazione delle comunità. Questo si evidenzia sia nell’aumento della richiesta di posti di ricovero residenziali, sia in domande crescenti non solo assistenziali ma anche custodiali e persino contenitive. D’altra parte si notano fenomeni come denatalità, disinvestimento nei giovani e fenomeni di abbandono, povertà, frammentazione e degrado dell’ambiente. Tendenze molto pericolose sia per le persone che per le comunità a causa delle crescenti risorse necessarie e della qualità degli interventi che ne possono conseguire.
In questo contesto, la letteratura internazionale prima, e il legislatore poi, hanno individuato la necessità di identificare la casa della persona come primo luogo di cura e di vita connessa con la comunità, i servizi e tutta la socialità. Abitare in sicurezza, armonia e bellezza valorizzando la persona, la famiglia, la rete informale, nell’ottica del welfare di comunità consente di prevenire abbandono, isolamento e solitudine che rappresentano fattori di rischio per la salute. La casa della persona dovrà essere collegata con la Casa della Comunità tramite Servizi di Comunità e Prossimità da sviluppare anche attraverso gli Enti del Terzo Settore mediante una “alleanza” istituzionale con gli Enti e le Istituzioni pubbliche e la partecipazione del volontariato. La medicina di iniziativa e di prossimità è in grado di portare a domicilio molteplici interventi sociali e sanitari, fino addirittura all’ospedalizzazione domiciliare come capita a Parma con le Unità Mobili Multidisciplinari e con altri progetti anche mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie. Al contempo per i percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali, la persona deve essere connessa con i servizi distrettuali, aziendali e sovraziendali al fine di assicurare la massima competenza. E’ ormai dimostrato che un miglioramento dell’assistenza domiciliare riduce il ricorso alla Residenzialità per anziani, disabili e malati mentali.
Anche il DM 77/2022 di riordino delle attività sanitarie territoriali ha tra i principi ispiratori una forte spinta alla domiciliarità e alla medicina territoriale. Infatti lo spirito del legislatore è stato quello di modificare il paradigma classico passando dal concetto di “Sanità” al concetto di “(tutela della) Salute“ nella sua più ampia accezione. In quest’ottica le tradizionali funzioni di controllo, programmazione ed erogazione di prestazioni delle Aziende Sanitarie sono state arricchite da funzioni propositive, di monitoraggio e di gestione particolarmente sul versante socio-sanitario.
In quest’ottica la progettazione/costruzione delle Case della Comunità diventa particolarmente sfidante perché richiede anche al Progettista una visione multidisciplinare della propria azione che tocca aspetti urbanistico-ambientali di rigenerazione urbana e di sostenibilità, di composizione architettonica, di estetica, di ingegneristica biomedica e di funzione sociale. E questo è tanto più difficile nei territori dove la Case della Comunità devono nascere per trasformazione delle Case della Salute che, sostanzialmente, erano state concepite con una connotazione eminentemente sanitaria, con stilemi architettonico-funzionali simili a un piccolo ospedale o a un grande poliambulatorio. In altre parole, la sfida progettuale richiesta è di costruire la Casa della Comunità come luogo che contenga sia funzioni sanitarie di alta qualificazione sia funzioni sociali di prossimità, formazione, di comunità, quasi una sorta di agorà del terzo millennio. Un luogo che sia vissuto nella quotidianità dal quartiere, popolato da cittadini, famiglie, volontari e professionisti sia del sociale che del sanitario.
Il Comune di Parma, per affrontare e vincere queste sfide, guidando e non subendo i cambiamenti, ha deciso di ingaggiare e riconnettere la propria comunità territoriale di riferimento, chiamandola alla stipula del “Patto Sociale per Parma”.
Il Patto Sociale per Parma è un documento operativo “aperto” che verrà progressivamente implementato e arricchito da nuovi spunti, progetti e interlocutori nei prossimi anni. Verrà effettuata attività di monitoraggio e valutazione annuale quali-quantitativa degli esiti e degli obbiettivi raggiunti. Il Patto Sociale è coordinato da una Cabina di Regia, organismo congiunto per il governo del processo di analisi e proposta di revisione dei percorsi e delle prassi esistenti con l’obiettivo di facilitare la partecipazione progettuale e l’attuazione di co-programmazioni e co-progettazioni. La Cabina di Regia, presieduta dall’Assessore alle Politiche Sociali, è composta da rappresentanti delle Direzioni delle Aziende Sanitarie, del Comune, del Terzo Settore, CSV, cooperazione sociale, delle organizzazioni sindacali e altri componenti a seconda delle necessità e dei progetti.
 In conclusione, l’obiettivo ultimo delle Case della Comunità è contribuire a rinsaldare un patto socio-sanitario che eviti la privatizzazione della sofferenza e l’anomia mediante processi di accoglienza, di inclusione, di prevenzione e di cura che diano senso e valore alla persona, al tempo e alle relazioni. E’ necessario integrare le “cure” centrate sulle componenti mediche, psicologiche e sociali alla base delle malattie, e il “care”, il “prendersi cura”, della sofferenza, della soggettività e dei bisogni della persona e della sua famiglia sempre inserita nella comunità.
La declinazione architettonica di questi principi e azioni sarà la sfida dei prossimi anni e richiederà un processo di mutamento culturale che deve essere perfezionato e deve coinvolgere molti attori: ricercatori, professionisti sanitari, sociale, università, amministratori e politica.




Bibliografia

REALDI G, Giannini S, Fioretto P, Fabris F, Vettore G, Tosato F. (2011) – “Diagnostic pathways of the complex patients: rapid intensive observation in an Acute Medical Unit” In InternEmerg Med. Oct;6 Suppl 1:85-92.
BUURMAN BM, Hoogerduijn JG, de Haan RJ, Abu-Hanna A, Lagaay AM, Verhaar HJ, Schuurmans MJ, Levi M, de Rooij SE (2011) – “Geriatric conditions in acutely hospitalized older patients: prevalence and one-year survival and functional decline”. PLoS One; 6(11):e26951.
NOUVENNE A, Caminiti C, Diodati F, Iezzi E, Prati B, Lucertini S, Schianchi P, Pascale F, Starcich B, Manotti P, Brianti E, Fabi M, Ticinesi A, Meschi T (2020) – “Implementation of a strategy involving a multidisciplinary mobile unit team to prevent hospital admission in nursing home residents: protocol of a quasi-experimental study (MMU-1 study)”. In BMJ Open. Feb 17;10(2):e034742.
COMUNE DI PARMA, Patto sociale per Parma. https://www.comune.parma.it/it/argomenti/benessere-sociale/il-patto-sociale-per-parma