Review



Routledge



Architecture throw the camera




Roma, 1947. La temperie culturale della città, che affiora nelle pagine del libro Neorealist Architecture, oscilla tra la desolante miseria lasciata dalla Seconda guerra mondiale e il profondo desiderio di rinascita sociale ed economica del paese. Queste sono le coordinate principali che circoscrivono il perimetro entro il quale l’autore si muove. Il libro racconta di un sentiero (non sempre lineare) che parte dal cinema per arrivare all’architettura attraverso immagini della ri-costruzione del paese. È un percorso che segue una “logica libera” in cui il punto di partenza e quello di arrivo alle volte si invertono. Questa dialettica offre al lettore la possibilità di lasciarsi persuadere, all’occorrenza, dalle sceneggiature del film o dalla narrazione architettonica.

Ci sono libri che raccontano in forma biografica l’intensa carriera di uno o più architetti, altri che precisano le forme e le geometrie delle loro strategie progettuali, altri ancora che rivelano il volto nascosto delle grandi opere. Infine, ce ne sono altri, (come in questo caso), che ricostruiscono la memoria storica e culturale di un luogo ormai dimenticato. David Escudero, autore della monografia – sulla quale la presente recensione si tesse – è architetto e docente presso la Universidad Politécnica de Madrid. Attraverso le pagine del libro, egli tenta di ridefinire e ampliare i confini della cultura architettonica ponendo l’accento sul suo rapporto con la cinematografia. Il connubio – architettura e cinema – ricopre un ruolo indubbiamente rilevante tra le tematiche in via di sviluppo nel dibattito architettonico contemporaneo. In virtù di questo, il libro di Escudero dona alla comunità scientifica (e non solo), una nuova possibilità di “narrazione” in architettura. Una narrazione che sembra muoversi tra la sceneggiatura di un film e la ricerca rigorosa e scientifica d’archivio. Egli riesce a congelare le immagini e le scene dei film selezionati analizzando alcuni episodi architettonici. L’obiettivo è quello di far sì che questi ultimi, anche inconsciamente, siano percepiti come parte integrante della proposta culturale e intellettuale del film. A tal proposito vengono alla mente le considerazioni di Colin Rowe sul tema della “narrazione”: egli sottolinea, ad esempio, come il racconto dell’architettura moderna sia spesso più interessante dei suoi prodotti[1].

Nel periodo del dopoguerra italiano, il desiderio di ricostruzione inizia a manifestarsi in diversi campi del panorama culturale: nel cinema, in architettura, in arte e letteratura. Si manifesta una nuova corrente chiamata “Neorealismo”. Nelle parole di Stefania Parigi: «il Neorealismo attraversa la storia del cinema e della cultura italiana come una sorta di fantasma. Viene continuamente evocato sia da chi ne vuole distruggere la mitologia sia da chi cerca di recuperarlo e riattivarlo nelle dinamiche della contemporaneità»[2]. Il termine Neorealismo ha però origini lontane, difficili da tralasciare per comprenderne le profonde radici. A tal proposito è necessario rievocare le prime operazioni comunicative della cultura italiana ad opera di Massimo Bontempelli che, già dagli anni Venti, tendeva a mescolare «sempre un poco di cielo alle cose della terra e di mistero alle più precise realtà»[3]. Sempre Bontempelli nel 1927 – circa venti anni prima dell’exploit del Neorealismo – elabora un ambizioso programma editoriale (mai portato a termine) con l’obiettivo di pubblicare circa sessanta romanzi atti a divulgare un nuovo genere narrativo. Come ricorda Francesco De Nicola: «Bontempelli aveva individuato una nuova linea, quella saggia miscela di elementi oscillanti tra realtà e magia poco più avanti denominato “realismo magico”»[4]. Abbandonando quei modelli narrativi che tendevano ad ignorare la normalità quotidiana, si voleva recuperare un contatto con la realtà, seppur magica. Il fine comune era quello di arrivare a mostrare il volto della realtà che il regime, anche attraverso il cinema, tentava di eclissare[5].

Ad oggi quindi David Escudero, da “autore” che veste i panni del “regista”, si serve proprio della macchina da presa come strumento necessario ad attivare un processo critico e interpretativo. Egli riconosce nel cinema quell’arte capace di conferire tridimensionalità alle opere architettoniche che sin dall’origine della ricerca ha intenzione di analizzare. Grazie al potere dinamico e riconfigurante della macchina da presa, Escudero svela accurati particolari e ritaglia suggestive successioni in movimento. Infine, come in un perfetto montaggio, riassembla nel libro i frammenti in sequenza. Come possiamo notare, le immagini che riassumono il significato del Neorealismo sono dinamiche, narrative, tematiche e talvolta persino consolatorie. Talvolta è difficile distinguere le immagini dei progetti, se si tratti di fotografie o di fotogrammi di film. Come sottolinea Andrew Leach nella prefazione al libro, la meticolosa ricerca di Escudero negli anni del dopoguerra è necessaria oggi «nel bene e nel male, a rimettere al suo posto l’architettura di quel tempo»[6].

Il libro apre, in perfetto stile neorealista, con una narrazione e un dialogo tratto dal film “L’onorevole Angelina” (1947) ambientato nella borgata romana di Pietralata. L’autore utilizza questo dispositivo per introdurre il lettore al contesto e condurlo nel viaggio. Il libro è orchestrato su tre livelli distinti che richiamano approcci autonomi al tema in cui, solo nel finale, tendono ad allinearsi per dar luogo ad un unico immaginario. La prima parte, dal titolo “Towards a Concept: Neorealist Architecture”, introduce il lettore alla nascita della corrente neorealista e traccia le fondamenta teoriche e metodologiche sulle quali far reggere ben saldi i casi studio. Nel secondo capitolo “A Neorealist Making in Architecture”, Escudero mette in scena le iniziative che riformulano il luogo dell’abitare, in questo caso a risorse limitate. Ad esempio, tra i casi studio, analizza i disegni di alcuni progetti realizzati in seguito al piano di intervento dello Stato italiano (INA-Casa), vigente tra il 1949 e il 1963. Questa “grande macchina” favorisce la costruzione di alloggi distribuiti su tutto il territorio nazionale. L’autore esplora sette episodi architettonici, facendo emergere tra le altre le opere di Adalberto Libera, Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni. Infine, nell’ultima parte “Neorealist Images of Architecture” le singole opere, vengono liberate da ogni pregiudizio ed esplorate attraverso la quotidianità. In questa sezione emergono disegni, ma soprattutto fotografie che ritraggono i luoghi e gli spazi destinati alla collettività. 

L’autore getta luce sul tema attraverso una narrazione storica – drammatica e consolatoria al tempo stesso – con l’obiettivo di far emergere un linguaggio architettonico forse ormai dimenticato. È un linguaggio che, filtrato attraverso la lente cinematografica: da un lato racconta le necessità e i fatti di cronaca di un popolo sofferente, dall’altro tenta di superare il profondo dolore.

Damiano Di Mele

[1] Cfr. C. Rowe, The Architecture of Good Intention, Academy Edition, London 1994.

[2] Stefania Parigi, Neorealismo. Il nuovo cinema del dopoguerra, Marsilio Editori, Venezia 2014.

[3] M. Bontempelli, Superbia, “’900”, 6 (1928), pp. 1-2.

[4] F. De Nicola, Neorealismo, Editrice Bibliografica, Milano 1996 p. 8.

[5] Cfr. M. Guerra (a cura di), Invenzioni dal vero. Discorsi sul neorealismo, Edizioni Diabasis, Parma 2015.

[6] A. Leach, Foreword, in D. Escudero, Neorealist Architecture. Aesthetics of Dwelling in Postwar Italy, Routledge, London 2023, p. XII.

Scheda libro

Author: David Escudero
Title: Neorealist Architecture
Subtitle: Aesthetics of Dwelling in Postwar Italy
Language: inglese
Publisher: Routledge, Londra
Characteristics: 17,5x24,5 cm, 222 pages, paperback, b/n
ISBN: 978-1-032-23504-2
Year: 2023