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Delle forme e del significato nell’architettura di
Gianugo Polesello tratta questo libro, da un punto di vista
apparentemente eccentrico alla disciplina, ma per questo capace di
statuire una lontananza di visione in grado di centrare temi e problemi
fondativi dell’architettura.
Non qui troverà il lettore le grandi narrazioni discorsive del
racconto storiografico, né un mero reportage purovisibilistico
delle qualità formali dell’opera dell’architetto
friulano. Al contrario, il nodo teoretico-formale che
l’architettura di Polesello intreccia è posto al vaglio di
un’indagine serrata sulle ragioni del suo prodursi: in primo
luogo traendolo in salvo da un’interpretazione riduzionistica del
ruolo dell’astrazione nella gestazione delle forme; la geometrica
bellezza dei volumi puri, il rigoroso ordinamento del vuoto e dei suoi
spazi urbani, l’ostinata metrica di ripetizione di figure
già date, sono infatti ricorrenze, individuate come le mosse di
partenza nello scacchiere della composizione e l’inizio di una
partita che ci conduce verso il nucleo mitico ed emozionale
dell’architettura di Polesello. Il racconto, dunque, si dipana in
un viaggio verso una possibile preistoria
delle forme pure, revolute ad archetipi; ed è proprio
l’archetipo del lucus, del bosco/radura, che l’autore
individua come immagine dialettica attraverso la quale volumi e spazi
vengono sottratti dall’accecante abbaglio di una laconica poetica
astrattiva, per ricondursi all’enigma indicibile della sfera
simbolica. Il lucus dunque
sta al centro di questo libro e ne dà giustamente il nome; il
significato di questo archetipo procede dall’immagine della
foresta, che già in Vitruvio è origine della
città, costituendo la scaturigine dello spazio urbano e il
cominciamento della possibilità delle forme architettoniche; al
bosco impenetrabile si accosta quindi l’alterità della
radura, come atto di disboscamento, che porta luce nei penetrali del lucus. Lo spazio simbolico del bosco/radura si fa dunque specchio interpretativo dell’architettura di Polesello.
Ildebrando Clemente dispiega questa ipotesi di ricerca attraverso un
incedere argomentativo per nulla cartesiano; i riferimenti al mito,
alla storia delle idee, alla filosofia, alle concatenazioni
etimologiche e alla genealogia delle forme procedono di pari passo,
stratificandosi, senza temere alcune oscurità e accettando
qualche voluta omissione; pur tuttavia l’enigma delle forme pure
dell’architettura di Polesello, se non svelato, appare
così sicuramente portato alla luce e avvolto entro una ricca
costellazione di senso. In particolare l’apertura alla sfera
simbolica, che propone questo studio, è capace di rendere
ragione dell’intimo carattere civile del suo pensiero
progettuale. L’atto originario del fare-spazio, che è la radura, e del beneficium
intrinseco nel donare un luogo abitabile per la vita dell’uomo
– finalmente protetto da alcune asperità della natura
– si riallaccia con chiarezza alla centralità dell’ordine del vuoto dei suoi progetti, del fare-spazi come fossero monumenti.
Si comprende dunque anche l’importanza e la peculiarità
dell’esperienza di Polesello all’interno della grande
stagione degli studi urbani, dei modi attraverso i quali egli intende
la possibilità di riconoscere e custodire una comunità;
allo stesso tempo, nella ricercata alterità delle forme
geometriche rispetto ai non-tessuti della periferia-città, ci
è permesso di intravedere una diversa possibilità
dell’uso del suolo. Un’istanza etica dunque sospinge il
tentativo di evitare la totale reificazione della terra a puro oggetto
di consumo, per riconsacrarla all’uomo.
Sono questi alcuni dei temi che ci è parso di cogliere in questo
libro, che nell’approssimarsi intorno al significato
nell’opera di Polesello, apre interrogativi e pone alcune domande
ancora attuali sulle condizioni fondative dell’architettura e
della città. È ancora possibile proporre un’idea di
progetto come illusione di dominio della realtà? o
l’inestinguibile implicazione con la dimensione sacrale che
l’uomo-artefice porta in sé non ci conduce di nuovo verso
la fertile apertura al rischio di uno spazio indominabile?
Francesco Primari
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