Tra
gli
architetti narratori, Carlo Scarpa, merita un ruolo di primo piano. In
ogni sua
opera possiamo leggere brani e passaggi che rimandano alle procedure ed
ai
dispositivi del racconto. Tutti i suoi capolavori, come il Museo di
Castelvecchio, la Tomba Brion o Villa Ottolenghi, sono interamente
basati su
precise sequenze narrative. Tali aspetti sono stati spesso oggetto di
sfalsanti
letture elegiache suggerite dalla fascinazione che storicamente emana
la sua
figura ma non sono mai stati analizzati con le strumentazioni proprie
della
narratologia. Inoltre, le mutazioni che hanno coinvolto la
narratività in tutti
i campi, con le influenze dei media non lineari e la
spettacolarizzazione
dell’immagine, hanno legato con forza, la figura di Scarpa,
alla iconizzazione
di frammenti delle sue opere dimenticando la natura consequenziale ed
intimamente diegetica dei suoi spazi. Attivare una fase di studio
sull’architettura di Scarpa, basandosi sulle tecniche
già ampiamente
sperimentate nell’analisi del film o del racconto letterario,
può aprire un
nuovo sguardo sulla fraintesa identità della sua figura e,
allo stesso tempo,
offrire esempi per uno sviluppo di questo tipo di analisi
all’interno dei discorsi
possibili sull’architettura.
Ai
fini
di poter offrire, nell’economia di spazio data da un saggio
breve, un esempio
concreto e fattivo della narratività di Scarpa e della
potenzialità di questo
tipo di ricerca, il testo si concentra sull’analisi
narratologica di un breve
frammento tratto da una delle opere più importanti del
maestro veneziano: il Museo
di Castelvecchio in Verona[1].
In particolare si è
scelto di proporre una prima e sintetica analisi del brano narrativo
della Galleria
delle Sculture che costituisce una delle sequenze spaziali
più intense
dell’opera di Carlo Scarpa e della storia della museografia
italiana. L’analisi
è stata svolta con l’obiettivo di rendere
intelligibili i meccanismi di
significazione celati in questi spazi concatenati attivando una
decodificazione
dei sistemi e dei codici comunicativi e narrativi adottati da Scarpa.
La
sequenza oggetto di studio inizia nella stanza d’ingresso
posta al piano terra,
all’estremo lato est della Galleria delle Sculture e si
conclude, sul lato
opposto della stessa manica, nel noto episodio della collocazione della
statua
equestre di Cangrande I della Scala. Il visitatore, per compiere questo
percorso, deve attraversare cinque sale contenenti sculture ed elementi
lapidei
raccolti dal territorio veronese e disposti con calibrata finezza. Le
cinque
sale sono collegate, una all’altra, attraverso una serie di
scenografici varchi
ad arco che determinano un’infilata prospettica di grande
impatto.
Contrariamente a quanto si possa inizialmente pensare, il fattore che
rende
questa sequenza espressiva ed efficace sotto il profilo narrativo, non
è dato dall’effetto
spannung (climax)
generato dalla lunga prospettiva ma, paradossalmente, dalle
forze opposte messe in atto per contrastarne la spiccata
unidirezionalità. Queste
forze opposte sono rappresentate dalla composizione delle cinque sale
della
Galleria le quali, come vedremo, assumono il ruolo di agenti narrativi
che, attirando
al loro interno il visitatore e facendolo spostare nello spazio,
determinano
calcolati fattori anti-climax.
Questa
prima analisi del testo architettonico della Galleria delle Sculture ci
permette di individuare, nel conflitto indotto da Scarpa tra tensioni
opposte,
la coincidenza tra il brano esaminato e la radice base di ogni racconto
in ogni
forma narrativa che è data dalle opposizioni
(le azioni complicanti delle cinque sale) che il soggetto (il visitatore) deve superare ai
fini di raggiungere un oggetto di valore
(la fine del percorso)
passando da una situazione iniziale di equilibrio, ad una di
squilibrio, per
ritornare infine all’equilibrio. Nelle ricerche sulla
struttura profonda del
racconto e della sua narratività[2],
tali figure, prendono il
nome di attanti e sono affiancate
ad
altri tre agenti: l’adiuvante
(tutti
gli elementi che spingono verso la soluzione dell’intreccio
ad esempio la
sequenza reiterata degli archi), il destinatore
(il gradino posto nella prima sala che porge al visitatore
l’inizio
dell’intreccio determinando l’annodamento) ed il destinatario (nel nostro caso coincidente
con il soggetto ovvero il
visitatore)[3].
Per
addentrarsi, ancora di più, nello studio del testo della
Galleria delle
Sculture è importante analizzare il modo in cui queste figure vengono introdotte nel racconto
architettonico attraverso la tecnica narrativa della prolessi
ovvero dell’anticipazione di figure che si trovano
fisicamente in punti più avanzati del racconto-percorso.
Questa prassi di
narrazione acronica, tipica della letteratura e del cinema,
è utilizzata, da
Scarpa, per determinare attese e rituali e costituisce un elemento
ricorrente
in tutta la sua opera, basti pensare al sistema di ingresso alla Tomba
Brion con
la finestra realizzata sulla figura della vescica
piscis che, dai propilei, permette la vista dello spazio
interno
impedendone, allo stesso tempo, l’accessibilità
diretta o al vano rettangolare
aperto all’inizio del corridoio di accesso alla mostra di
Piet Mondrian alla
Galleria d’arte moderna di Roma (1956-57) che anticipa,
all’inizio del percorso
cronologico, la vista del quadro Broadway
Boogie Woogie presente nell’ultima sala in quanto
punto d’arrivo dello
sviluppo dell’artista[4].
Ma è nella Galleria
delle Sculture di Castelvecchio che la prolessi
scarpiana raggiunge forse il suo apice attraverso la visione
sincronica, in
un'unica cornice (il primo arco), non solo della parte terminale del
percorso (la
fine all’inizio tipica della letteratura Cronaca
di una morte annunciata, La morte
di
Ivan Il’ič [5]) ma
di tutte le
figure, determinando la sovrapposizione di tutte le tensioni
latenti. Solo analizzando questa densità di segni si
può capire, in maniera
cosciente, la forza dello spazio incorniciato che accoglie il soggetto-visitatore
all’ingresso. Qui, vediamo
il piccolo gradino di accesso che porta alla quota delle sale
trasformando,
l’attraversamento dell’arco, in un passaggio
rituale e denso di significazioni
(destinatore). Qui, vediamo
l’elemento
finale del percorso (l’oggetto di
valore)
con anteposta l’infilata seriale degli archi. Qui, vediamo le
grandi pietre
affiancate agli archi stessi che segnano la ritmicità
rigorosa della serie o la
grande trave centrale che regge il soffitto e corre nella direzione del
movimento principale come un filo conduttore (adiuvanti).
Qui, vediamo le ricorrenze in pietra bianca che
dividono la pavimentazione di cemento in senso opposto alla direzione
di
percorrenza o gli elementi dell’allestimento che invadono
parzialmente l’asse
centrale minandone la forza (oppositori).
Ecco
allora che, attraverso questa forma di prolessi
totale, il grande arco della
stanza
d’ingresso della Galleria, assume il ruolo di una
stratificata metonima che
introduce l’intero intreccio caricando il racconto di attese.
I
primi semi narrativi, generati dalle anticipazioni percepibili
nell’esordio,
iniziano a maturare già nell’episodio della prima
sala, una volta oltrepassato l’arco
d’ingresso alla parte espositiva. In questo spazio, il
percorso prospettico centrale
viene invaso, per metà, dalla collocazione dell’Arca con i santi Sergio e Bacco che
sembra avanzare da destra verso
il centro dello spazio. Questa
disposizione assume il ruolo di un opponente
rispetto all’asse principale di percorrenza. La
presenza dell’arca e la sua
direzionalità opposta al passo e parallela alle listature
bianche del
pavimento, spinge, inoltre, il visitatore-soggetto
a voltarsi verso sinistra ed ad entrare in contatto visivo con una
suggestiva
ed invitante cavità scura ricavata nelle murature della
Galleria al di sotto di
un grande arco posto verso l’esterno. Questa piccola camera
è aperta verso lo
spazio espositivo principale e si propone come un nuovo oggetto
di valore che attira, al suo interno, il soggetto-visitatore.
In questo caso non
si tratta solamente della visione di una nuova figura ma del
ricongiungimento
con il Sacello, uno degli agenti narrativi principali del brano del
giardino
antecedente a quello trattato in questo saggio. In questo episodio,
Scarpa, ai
fini di attivare l’attenzione del visitatore, inserisce
strategicamente degli
elementi di contraddizione narrativa tra l’interno e
l’esterno del Sacello e
tra l’interno del Sacello e l’interno della sala.
Vista dal giardino, infatti,
la figura si presenta come un parallelepipedo convesso rivestito di
tessere in
pietra di Prun bianca e rosa in contrasto con l’intonaco
grigio della facciata
esterna. Mentre, vista dall’interno della sala, la figura si
presenta,
all’opposto, come uno spazio concavo finito in calce rasata
color verde fondo
di bottiglia (quasi nero) altamente riflettente, in netto contrasto
anche con
la finitura in intonaco grezzo bianco della sala. Attraverso la
sovrapposizione di questi contrasti bilanciati si
viene a determinare, nella prima sala, un centro di forza che risulta
di fondamentale
importanza per l’elaborazione e la gestione narrativa del
conflitto tra il
congiungimento e il disgiungimento nei confronti dell’oggetto di valore.
Uscendo
dal Sacello si ritorna nel percorso centrale attraversando il secondo
arco fino
ad entrare nella seconda sala. In questo spazio, la figura che
maggiormente si
oppone al climax dell’infilata prospettica, corrisponde alla
magistrale
collocazione della statua di Santa Cecilia. L’aspetto
innovativo di questo
episodio sotto il profilo museografico è determinato, come
è noto, dalla scelta
di posizionare la statua in maniera da porgere le spalle della stessa
verso il
visitatore che proviene dalla prima sala. Scarpa giustifica questa sua
scelta
con la volontà di mettere in mostra le finiture ed il
modellato posteriore della
scultura che altrimenti non sarebbe risultato visibile. In
realtà, l’aspetto
innovativo della collocazione è dato dall’evidente
metonimia narrativa che
viene a formarsi per effetto della coesistenza, nello stesso punto di
osservazione, dell’anticipazione della vista della statua e
della negazione
della sua corretta percezione frontale. Questa duplicità
indotta e la
conseguente volontà del visitatore di risolverla, muovendosi
nello spazio di
180° per raggiungere la vista anteriore, determina un dinamismo
spaziale
rotatorio che tende
a
fermare il flusso direzionale altrimenti proiettato verso il punto
finale del
percorso.
Questa azione
determina, inoltre, una visione
della sala in totale controcampo permettendo al soggetto-visitatore di
vedere la
statua posta sulla parete di confine con la prima sala (Santa
Caterina d’Alessandria) che altrimenti verrebbe
sacrificata
per la tendenza a procedere lungo l’asse principale.
Il
rapporto tra climax ed anticlimax trova ancora una diversa
tematizzazione
nell’episodio del passaggio centrale posto nella mezzeria del
percorso-racconto.
Ai lati di questa sala sono disposti due diversi insiemi di pareti che
determinano un notevole restringimento spaziale ed un conseguente
aumento della
tensione direzionale del percorso principale. Tuttavia, una serie di
accorgimenti spinge il visitatore ad avvicinarsi alle pareti stesse,
interrompendo il flusso centrale del percorso e bilanciandolo. I gruppi
agiscono, a livello di significazione, in modalità diverse.
Sul lato sinistro
l’agente narrativo che richiama l’attenzione
è dato dalle vetrate senza profili
sottese ad un cielino in cemento armato che, frapposte a pareti finite
a calce
rasata color nero, consentono, per la prima volta in tutto il percorso
espositivo, la vista del giardino al di là degli archi
gotici. Sul lato destro
l’agente narrativo è dato dalla prima apparizione,
in tutto lo spazio
espositivo, del colore con una lunga parete finita a grassello di calce
color rosso
e grigio-azzurro sulla quale trovano una perfetta collocazione piccole
opere come
la Madonna in trono con bambino o
la
piccola edicola con la Crocifissione.
Dopo
la
sala centrale, spazio di passaggio e riposo, si accede alla quarta sala
che
costituisce l’episodio di maggior coinvolgimento emotivo di
tutta la sequenza.
Lo spazio è dominato dalla collocazione del gruppo scultoreo
della Crocifissione con la Madonna e San
Giovanni attribuito al Maestro
di Sant’Anastasia. La presenza di questa opera e la
sua particolare
disposizione ferma il visitatore-soggetto
richiamandone fortemente l’attenzione. Elemento cardine del
gruppo scultoreo è
il Cristo urlante
un’opera di
straordinaria espressività che Scarpa colloca in modo da far
sì che la luce
proveniente da un'alta finestra colpisca lateralmente il volto del
Cristo sofferente
con le orbite degli occhi sfalsate. L’analisi di questa
collocazione ci
permette di comprendere come, anche la luce, venga usata da Scarpa a
fini
narrativi per dare senso al percorso museografico ovvero per
drammatizzarlo
attraverso la costruzione di un intimo ed intenso dialogo con
l’opera esposta. La
diegesi di Scarpa trova, in questa perfetta cooperazione tra opera e
luce,
l’attivazione di un processo di significazione che determina
il coinvolgimento
emotivo ed intellettuale del visitatore-soggetto.
La luce naturale che bagna il volto del Cristo
diventa costrutto e si metaforizza determinando attribuzioni di senso.
Dopo
questo episodio, caratterizzato da una grande intensità, si
accede alla quinta
sala che rappresenta la fine del brano narrativo della Galleria delle
Sculture
e costituisce, infine, il ricongiungimento tra il soggetto-visitatore
e l’oggetto
di valore.
Ma
prima
della fine del percorso c’è, per Scarpa, il tempo
di offrire un’ultima e
destabilizzante prova della sua maestria narrativa. Nel pavimento
dell’ultima
sala si apre una finestra rettangolare ritualizzata da un parapetto di
reminiscenza orientale. Dal foro si vede una stanza segreta,
inaccessibile.
Scopriamo che è la stanza che accoglie il muro del vallo
presente prima della
costruzione della Galleria. Capiamo che il foro è una
macchina del tempo che
riapre il racconto ed innesca un’analessi
nel punto di compimento della metonimia iniziale.
[2]
Vedesi
MARCHESE A. (1990) – “Teorie della
narratività” in L’officina
del racconto. Semiotica della narratività, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano, pp.5-68 RONDOLINO G. – TOMASI D.
(2011) - “Che cosa è un
racconto” in Manuale del
film. Linguaggio, racconto,
analisi, De Agostini, Novara, pp.10-17
[3]
Questo approccio
è
ravvisabile, seppur
in modi diversi, in tutte le architetture narrative. La forza di
un’opera come
la cappella di Bruder Klaus realizzata sulle colline
dell’Eifel da Peter
Zumthor sta nella tensione che si forma tra l’oggetto
di valore (in questo caso la cappella) ed il lungo percorso
(l’opponente) che il soggetto deve compiere per raggiungere
l’oggetto stesso. Lo stesso si può dire per la
biblioteca Liyuan realizzata da
Li Xiaodong dove il gradiente emotivo è dato dalla tensione
che si forma dalla
vista dell’oggetto di valore (l’edificio)
e la necessità del soggetto
di
scendere un dirupo ed attraversare il fiume (gli
opponenti). Simili approcci si possono trovare anche nelle
sequenze d’ingresso di due edifici molto vicini sotto il
profilo della
narratività come la Biblioteca di Stoccolma di Gunnard
Asplund e la Biblioteca
di Lubiana di Jože Plečnick dove il conflitto si configura nella scala
buia,
nera (opponente) che bisogna
attraversare per raggiungere la sala luminosa della cultura
(l’oggetto di valore).
[4]
Palma
Bucarelli, Mostra di Piet Mondrian a Roma,
in L’architettura. Cronache e storia,
n.17, marzo 1957, pp.786-789
[5]
Vedesi
ad esempio il capitolo La fine
all’inizio
in Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane
scrittore. Narrativa, cinema teatro, radio, Giulio Einaudi
editore, Torino,
1996, pp.66-73