Architettura, narrazione e l’arte di vivere

Kostas Tsiambaos



Introduzione

Questo articolo trae spunto dall'idea della filosofia come "arte del vivere" - sostenuta dal filosofo Alexander Nehamas nel suo libro The Art of Living[1] - per evidenziare una connessione nascosta tra l'architettura, come pratica creativa, e il racconto della creazione del sé. L'interesse della filosofia per l’arte della vita ha una lunga storia; inizia con la "ἑαυτοῦ ἐπιμελεῖσθαι" (la cura di sé) trattata nei primi testi platonici, per poi trasformarsi nella ricerca della perfetta "compresenza di vita e teoria" in Aristotele, successivamente promossa da pensatori moderni come Montaigne, Nietzsche e Foucault come la coltivazione di una "dimensione estetica della vita". Friedrich Nietzsche in particolare, uno degli eroi intellettuali di Le Corbusier, considerava la creazione artistica solo nella sua dinamica di storia di auto-creazione e non come espressione di una rappresentazione trascendente.

Attraverso una breve storia immaginaria, sosterrò che il valore e l'impatto di una creazione architettonica non possa essere sempre definito intrinsecamente poiché non esiste una "formula" da seguire per realizzare una grande architettura, proprio perché ogni creazione architettonica esemplare è sempre costruita sull'impalcatura di una biografia personale. Allo stesso modo, se ogni influente opera architettonica si basa sulla biografia dell'architetto, allora il potenziale creativo dell'architettura non può che essere intrecciato con la questione di una narrativa del sé. In altre parole, il valore, l'impatto e l’autorevolezza dell'architettura sono legati alla creazione dell'architetto come persona tanto quanto, se non più, che alla creazione architettonica stessa. Il racconto fantastico che segue, che è comunque basato su persone ed eventi reali, viene proposto come esempio.

 

Jeannerex

La nostra storia inizia intorno al 1890, nell'ufficio del famoso professore di Beaux-Arts Georges. Un giorno Georges riceve una lettera anonima (figura 1). La apre e legge con orrore: "L'eclettismo è destinato a morire per mano di un ragazzo che un giorno creerà un nuovo tipo di architettura." Immediatamente, e senza pensarci due volte, decide di agire. Ordina a uno dei suoi migliori studenti, Auguste, di trovare il ragazzo e farlo "sparire" (fig. 2). Auguste effettivamente trova il giovane, ma esitando a ferirlo, lo guida verso un picco remoto sulle montagne del Giura. Lega e abbandona il ragazzo lì, sperando che qualcuno lo trovi e lo salvi (fig. 3). Fortunatamente Charles, un artista locale, trova il ragazzo nel mezzo del nulla e decide di farlo crescere come suo figlio. "Gli insegnerò tutto ciò che so", pensa. "Farò di lui un pittore, un decoratore o un architetto." (fig. 4). In seguito gli dà persino un nome. "Lo chiamerò Jeannerex!"

Crescendo Jeannerex è sempre più interessato all'architettura. A un certo punto, tuttavia, si rende conto che tutto ciò che aveva letto nei libri di architettura non era l'unica verità. Per questo motivo, pieno di curiosità, decide di recarsi a Delfi per scoprire quale sia la vera architettura (fig. 5). Arrivato a Delfi, cerca un oracolo. Ma l'oracolo che lo riceve non risponde alla sua domanda (fig. 6). Gli dice invece che è destinato ad attaccare l'architettura del passato e creare una propria architettura. Piuttosto deluso, Jeannerex decide di lasciare da parte le sue domande senza risposta e viaggiare più lontano ...

Mentre si avvicina in barca alla città di Atene, vede da lontano una collina (fig. 7). Laggiù c’è qualcosa di strano. Lo sa, l'aveva già visto nei libri, ma da qui sembra non sconosciuto, inquietante. Deve camminare fin lassù.

Senza perdere tempo, decide di raggiungere l'Acropoli. La vista della roccia da vicino è piuttosto irritante, se non addirittura scioccante. Il Partenone è bianco e lucido, i suoi marmi appaiono luminosi e gelidi. Jeannerex rimane di fronte al tempio, incapace di andare avanti, immobilizzato dallo spettacolo. "Quindi questa è la realtà ... questa è l'unica verità!" Pensa. Deve fare qualcosa ... deve reagire prima che sia troppo tardi. Combatterà o si schianterà!

La battaglia è dura e senza un vincitore certo (fig. 8). Jeannerex si difende ma si ferisce, perdendo l'occhio sinistro. Il Partenone è potente ma la sua identità è ora rivelata. La sua immagine è alterata, la sua storia viene riscritta (figura 9).

Ferito ed esausto, Jeannerex decide di lasciare Delfi e tornare a casa. Sulla via del ritorno, tuttavia, incontra la Sfinge, che ferma i passanti ponendo loro un enigma (fig. 10): "Prima della sua nascita è dentro di noi. Dopo la sua nascita ci siamo dentro. Cosa c'è? "Jeannerex rimane in silenzio, pensa un po' e poi risponde:" È l’architettura! Prima di essere costruita è dentro di noi, come idea, ma una volta costruita, possiamo entrare e abitarla ". La Sfinge risponde:" Sì, questa è la risposta esatta".

Arrivato a Parigi, Jeannerex è sicuro di voler diventare un architetto (fig. 11). Sulla sua scrivania, il suo sguardo è attratto da un piccolo libro. Sulla sua copertina legge: "Colui che sciolse i famosi enigmi e fu il più sapiente." Guarda fuori dalla finestra. Dietro il vetro, immagina per sé un nuovo... Con il passare del tempo, inizia a parlare, scrivere, disegnare, costruire cose mai apparse prima. È una nuova architettura. L'architettura di Jeannerex o, con il suo nuovo nome, l'architettura di El Corbusier! (fig. 12).

Questa è la mia piccola storia fantastica, in cui, tuttavia, si possono riconoscere, in ordine frammentato e casuale, alcuni fatti, persone ed eventi reali della vita di Le Corbusier. Si potrebbe riconoscere, ad esempio, Auguste Perret, nel cui ufficio il giovane Jeanneret lavorò per 14 mesi nel 1908-1909, e Charles l'Éplattenier, il primo insegnante di Jeanneret all'Ecole d'Art di La Chaux-de-Fonds dal 1900 a 1904. Si potrebbero anche riconoscere i luoghi in cui l'architetto viaggiò; dalle montagne del Giura, dove si dedicava controvoglia all’escursionismo con suo padre, Georges, a Delfi, all'Acropoli di Atene e, naturalmente, a Parigi, la città moderna che ha segnato l'inizio di una nuova vita e la creazione di un nuovo nome (Le Corbusier) per il giovane Jeanneret.[2]

Altrettanto reale è la rottura con l'eclettismo accademico delle Beaux-Arts, che è stato simbolicamente introdotto all'inizio della nostra storia. La "lotta" contro il Partenone può anche essere riconosciuta come un tema centrale della vita creativa di Le Corbusier, come descritto in modo drammatico dall'architetto stesso e dalla maggior parte degli storici, studiosi della sua vita, delle sue idee e delle sue opere. Infine, la parziale cecità di Le Corbusier dall'occhio sinistro fa riferimento a un evento reale, anche se non avvenne sull'Acropoli di Atene nel 1911, ma ebbe luogo nel 1918, la notte in cui l'architetto stava completando il suo dipinto intitolato La Cheminée; un dipinto purista in cui Jeanneret aveva rappresentato in modo astratto il Partenone, come lui stesso ha raccontato.[3]

Quanto sopra, ingredienti reali o fantastici, sono stati costruiti sull’impalcatura di un mito antico molto noto, l’Edipo Re di Sofocle, che sembrava adattarsi. E in realtà non ci sono voluti molti sforzi per collegare la biografia di Le Corbusier al mito di Edipo. Ma approfondirò questa connessione più avanti.


La persona prima dell'architetto


Stiamo parlando di architetti emblematici, come Le Corbusier, e del loro lavoro, un progetto seminale, un'opera di riferimento che ha il potere di arricchire nel tempo e in molti modi il lavoro di altri architetti e studenti di architettura. Questa influenza di importanti opere di architettura può essere immediata e ovvia – nel caso della semplice imitazione della forma - o indiretta come riferimento più generale a concetti, metodi di progettazione o tecniche di costruzione. Questa influenza indiretta è considerata l'unica legittima, dal momento che la riproduzione formale di un'opera architettonica sembra essere totalmente priva di significato. In effetti, non è difficile convenire sul fatto che, se, ipoteticamente, un architetto contemporaneo ricostruisse accuratamente, di nuovo oggi, dieci delle opere più importanti del 20° secolo, non sarebbe un grande architetto anche se tutte le qualità architettoniche pure (geometria composizione, layout, scala, costruzione, materiali, dettagli) fossero esattamente le stessi. Questo può sembrare ovvio ma è allo stesso tempo un paradosso poiché ci dice che: a. I criteri della grande architettura non possono essere solo architettonici e b. Un grande architetto non è solo uno che fa grande architettura. Teniamo a mente questo paradosso per il momento.[4]

Stiamo anche parlando del lavoro di un architetto considerato attraverso la sua biografia. L’architetto in questione è Le Corbusier, di cui ci sembra di sapere tutto: dove e come è cresciuto, chi era la sua famiglia e quanto erano buoni o cattivi i rapporti con suo padre, sua madre e suo fratello, quali erano i suoi maestri, dove ha lavorato e con chi, dove ha viaggiato e cosa ha fatto esattamente durante i suoi viaggi, cosa ha scritto o pensato, cosa ha dipinto o disegnato, quali lettere ha mandato e a chi, quali erano le sue relazioni con le donne e di che tipo, come trascorreva le sue estati, cosa gli piaceva mangiare, come gli piaceva dormire, cosa amava e cosa odiava.[5]

Questo interesse singolare da parte degli architetti, alla biografia di un altro architetto è spiegato anche da qualcos'altro: dall’opinione consolidata, anche se non sempre ovvia, che il racconto della biografia di una persona creativa possa dirci qualcosa di importante sul suo lavoro. C'è da qualche parte, sotto la superficie, un’idea che mette in relazione l'unicità del lavoro con l'unicità della persona; una certa logica secondo cui il lavoro architettonico non sarebbe stato altrettanto importante se la vita dell'architetto non fosse stata così interessante. E questa logica diventa più provocatoria e stimolante nel momento in cui realizziamo che architetti molti importanti, incluso Le Corbusier, non avevano frequentato una scuola di architettura, non avevano nemmeno il titolo di architetto, ma divennero grandi architetti attraverso un impressionante e singolare percorso di auto-creazione; un percorso che include diverse influenze, letture, apprendistati, viaggi, amicizie, ecc. Come ha detto una volta Le Corbusier: "Sono autodidatta in tutto, anche nello sport".[6]

Questa aura epica che circonda il progetto dell'auto-creazione è una caratteristica comune tra gli "eroi" dell'architettura moderna. Al di là di valori, delle priorità e dei concetti comuni, ogni importante opera architettonica è riconosciuta come unica proprio perché il percorso seguito dal suo creatore potrebbe essere solo suo e di nessun altro. Qui non parliamo più del progetto come modello, ma della biografia come modello. Il fatto è che se ripetere il primo (l’opera) sembra improbabile, è impossibile assomigliare alla seconda (la persona). Le biografie, per definizione, non possono essere ripetute. Come si può allora diventare grandi come i propri eroi?

Il filosofo Alexander Nehamas discute di come l'idea della filosofia come arte del vivere (quella che viene chiamata "la vita filosofica") caratterizzi l'opera di grandi pensatori moderni e contemporanei come Montaigne, Nietzsche e Foucault[7]. Questa idea inizia con la "cura di sé" (ἑαυτοῦ ἐπιμελεῖσθαι)[8], che incontriamo nei primi testi platonici come conoscenza dell'anima[9], e quindi nel mix ideale di vita e teoria in Aristotele come, come un desiderio riflessivo[10], fino a ad arrivare ai grandi pensatori della modernità. La differenza è che questi ultimi stanno progressivamente declassando il quadro normativo o di incentivazione del "vivere bene" (εὖ ζῆν) mantenendo il dibattito sulla cura di sé come un'arte che non segue né un metodo esatto né obbedisce a regole strettamente definite.

In questa prospettiva si assume che una vita virtuosa non possa essere definita a priori se non si da uno standard di vita ottimale comune per tutti. Quindi, se le società antiche potevano concordare strutture etiche comuni e modelli tipici della vita - e in una certa misura imporli - nella modernità, al contrario, le persone descrivono e seguono una dimensione estetica della vita basata su una narrazione della loro biografia come analogia di una creazione artistica[11]. E nell'arte, anche se ci sono alcuni modelli e valori standard o universali, i criteri per ciò che è bello, di successo, buono, nuovo, corretto, unico, importante ecc. Ecc. Stanno diventando molto più liberi, instabili e aperti.

Inoltre Nehamas, usando l'esempio del Socrate platonico, afferma che le cose erano aperte fin dall'inizio e mai chiaramente definite[12]. Egli sottolinea anche che, proprio come nell'arte, il successo è direttamente correlato alla cura di sé, poiché originalità, autenticità, unicità, ecc. sono concetti correlati solo nell'ambito di un percorso strettamente personale. Ecco perché, quando parliamo di arte, la "formula" teorica non esiste a priori, ma viene sempre determinata a posteriori.

Per mettere in relazione quanto sopra al nostro caso, diremmo che l’interesse per la biografia di un architetto è giustificato nella misura in cui può descrivere, retrospettivamente, una sorta di teoria. Mentre da nessuna parte si trovano scritti i criteri della grande architettura perché li si possa leggere e seguire, il racconto della vita di una persona importante risulta giustificare il valore indiscutibile e il successo del suo lavoro straordinario.

Ciò che è interessante nel caso di Le Corbusier è che ha affermato egli stesso fin dall'inizio questo legame tra la sua vita e il suo lavoro. I modi in cui drammatizzava gli eventi della sua vita, raccontava le sue esperienze, registrava documenti, pubblicava opinioni, giustificava le sue scelte, riscriveva la sua storia, ecc. Tutti questi definivano una ricostruzione della propria vita, una "tecnologia del sé", per citare Michel Foucault[13]. Ecco perché molti storici e teorici hanno scritto su come, nel caso di Le Corbusier, questa costruzione parallela della sua vita e del suo lavoro sia stata interamente cosciente e mirata.

Infatti, il famoso architetto non ha mai nascosto il suo "segreto" ai giovani architetti che avessero voluto seguire un percorso anlogo. Nel suo noto libro intitolato Entretien si legge:

Un giorno, alcuni giovani studenti dell'Ecole des Beaux Arts di Parigi mi hanno chiesto di tenere un workshop. Ho declinato il loro invito. "Bene, allora dacci un consiglio" [...] Sono passati alcuni anni. Con grande insistenza, alcuni studenti delle Beaux-Arts mi hanno chiamato nuovamente a inaugurare un corso Corbusier. "Grazie, cari giovani amici, ma devo dire di no. Cosa dovrei insegnare? Una filosofia di vita? [14]"

La "filosofia della vita". Quella era l'unica lezione di architettura che Le Corbusier potesse insegnare. Ma avrebbe potuto davvero insegnare questa lezione? E cosa esattamente si sarebbe insegnato? Si può insegnare la filosofia della vita? Le Corbusier era piuttosto dubbioso e lasciò la domanda senza risposta. Tuttavia, ha insistito. Criticò ogni tipo di insegnamento ritenuto utile a guidare la creazione architettonica, ma non era ancora riuscito ad avvicinarsi al nucleo essenziale del problema. Non era riuscito perché non aveva realizzato quale fosse la creazione originale che precede ogni altra creazione:

L’insegnamento in questo paese difficilmente vi ha ispirato a dedicarvi alla lotta creativa o alla costante battaglia con voi stessi.[15]

È così che torniamo alla cura di sé, alla costruzione del sé, alla lecorbuseriana "filosofia della vita" che è stata identificata come una "battaglia costante", come una "lotta creativa" con se stessi. È in questa lotta che i giovani architetti dovrebbero concentrarsi prima di - e al fine di - diventare architetti creativi. Inoltre, Le Corbusier abbastanza presto aveva definito l'architettura come una "pura creazione della mente", ponendo la mente come fondamento dell'architettura che desidera diventare Arte[16]. Ma cosa significava e perché era accessibile solo a coloro che fossero riusciti a vincere la battaglia con loro stessi?

Nehamas ci direbbe di non cercare qualcosa di più tangibile perché, comunque, quando parliamo dell'arte di vivere e della cura di sé, non c'è una formula. E ci ricorderebbe anche che una persona come Socrate può essere un esempio, anche se né lui né nessun altro potrebbe descrivere il modello della (sua) buona vita. Chi si aspetterebbe, comunque, che qualcuno come Socrate, che aveva iniziato la sua carriera in architettura (la sua vera professione era un tagliapietre) sarebbe diventato un grande filosofo?[17]

 

Wie man wird, was man ist[18]


È noto che il mito di Edipo esisteva molto prima di Eschilo, Euripide e Sofocle, già dall'era omerica. E, naturalmente, ha continuato il suo corso nella storia, attraverso varie letture, interpretazioni e variazioni: l'Edipo di Aristotele, Ovidio, Seneca, Hegel, Nietzsche, Freud, Cocteau, Pasolini, Ricoeur e molti altri ancora. Nel racconto che ho presentato all'inizio, si incontrano di nuovo tutti gli elemento basilari del mito di cui risultasse facile un'identificazione indiretta con la biografia di Le Corbusier.

Un'altra variazione del mito, questa volta lecorbuseriana, è legittima nel momento in cui isoliamo il riferimento alla cura di sé, al delfico "conosci te stesso", e leggiamo il mito come l'analogo di una "promenade architecturale"[19], come viaggio evolutivo di auto-conoscenza.[20]  Seguendo questa idea, come nella ricostruzione del mito di Edipo di Sigmund Freud[21], possiamo sostenere che nel caso di Jeannerex il conflitto con il padre abbia il suo analogo nel conflitto con la storia architettonica consolidata mentre il desiderio di unione con la madre si trasformi - seguendo il processo psicoanalitico della sublimazione - in un’architettura nuova (moderna) sia come attività artistica che come ricerca intellettuale. Quanto alla sua cecità, si era manifestata durante una reale, battaglia psicologica, contro il Partenone, il "padre" reverendo dell'architettura occidentale. E, come in Sofocle, anche qui, l'ignoranza della verità può essere completa anche se gli occhi sono aperti, mentre la conoscenza può essere terrificante anche se gli occhi non vedono.[22]

Secondo uno degli eroi intellettuali di Le Corbusier, Friedrich Nietzsche, il modello dell’individuo creativo era chiaramente il genio artistico.[23] Gli artisti erano personalità veramente creative, le più importanti[24] o, al contrario, solo personalità veramente grandi potevano diventare grandi artisti.[25] Il racconto di Jeannerex diventa così istruttivo e allo stesso tempo rimane inaccessibile; istruttivo perché offre un esempio da imitare ma inaccessibile perché l'esempio che offre (il racconto della vita di una persona) è un esempio che è impossibile che qualcuno copi.

Allo stesso tempo, il racconto è usato come mezzo per trascendere le basi e i limiti oggettivi della creazione architettonica per stabilire una distinzione sociale; una distinzione (nell’accezione utilizzata da Bourdieu) tra gli architetti e l'Architetto. I film recenti sulla vita e il lavoro di figure importanti come Louis Kahn, Rem Koolhaas e Bjarke Ingels non sono altro che sforzi contemporanei di narrare una biografia singolare e allo stesso tempo delle costruzioni retoriche usate all’interno di una strategia di persuasione[26]. Sebbene ci sia sempre una certa tendenza a presentare gli architetti-protagonisti come persone normali con inclinazioni, fissazioni o passioni proprie di tutti gli uomini, questi documentari narrativi non possono che comunicare il messaggio dell'unicità degli architetti di cui trattano. Infatti, quanto più questi architetti-professionisti sembrano "normali" tanto più diventano distanti come architetti-modello, perché è impossibile spiegare come o perché qualcuno che è "solo uno di noi" possa, allo stesso tempo, emergere come una persona non comune, famosa ed eccezionale[27].

Questa è, in breve, la morale di tutte queste narrazioni: la persona conta davvero più del progetto. Il valore, l'impatto e l’autorevolezza dell'architettura sono legati alla creazione dell'architetto come persona tanto quanto - se non più – che alla stessa creazione architettonica. Ecco perché il progetto creativo è sempre costruito sull'impalcatura di una vita esemplare; esemplare non in senso morale ma nel senso estetico della cura di sé. Ma cosa questo significhi esattamente, ognuno di noi dovrà scoprirlo da solo.

Indagare sugli usi della narrazione in relazione alla biografia dell'architetto consente una posizione critica rispetto al fondamento, all'identità e al contesto dell'architettura. Questo è l'unico modo che abbiamo per risolvere l'enigma paradossale: se vuoi diventare come me non provare a imitarmi.

 

Note


[1] Nehamas, Alexander. The Art of Living, Socratic Reflections from Plato to Foucault. Los Angeles: University of California Press, 1998.

[2] Il cambio di nome è indicativo  del primo passo verso una nuova costruzione di sé. Per una interpretazione della micro storia del Viaggio in Oriente di Le Corbusier's vedi: Tsiambaos, Kostas. “Après l’écrasement: d’Eleusis à Delphes” in L’invention d'un architecte. Le voyage en Orient de Le Corbusier, Paris: Fondation Le Corbusier-Éditions de la Villette, 2013, pp. 340-351.

[3] Mi riferisco al quadro intitolato La Cheminée. Vedi: Iuliano, Marco. “Montage d’Orient” in L’invention d'un architecte, op.cit. pp. 414-423.

[4] Sulla questione dell’autenticità nell’opera d’arte, vedi: Goodman, Nelson. Languages of Art, an Approach to a Theory of Symbols. Indianapolis: Bobbs-Merrill, 1968, pp. 99-123.


[5] Vedi: Baker, Geoffrey H.. Le Corbusier, the Creative Search: The Formative Years of Charles-Edouard Jeanneret. New York: Van Nostrand Reinhold, London: E & F N Spon, 1996, Brooks, H. Allen. Le Corbusier’s Formative Years, Charles-Edouard Jeanneret at La Chaux-de-Fonds. Chicago and London: The University of Chicago Press, 1997, von Moos, S. and Rüegg, Arthur (eds.). Le Corbusier before Le Corbusier. New Haven, CT: Yale University Press, 2002, and Richards, Simon. Le Corbusier and the Concept of Self. New Haven, CT: Yale University Press, 2003.

[6] Le Corbusier. Entretien avec les étudiants des écoles d’architecture. Paris: Éditions Denoël, 1943

[7] Nehamas, op.cit.

[8] Φέρε δή, τί ἐστιν τὸ ἑαυτοῦ ἐπιμελεῖσθαι - μὴ πολλάκις λάθωμεν οὐχ ἡμῶν αὐτῶν ἐπιμελούμενοι, οἰόμενοι δέ - καὶ πότ´ ἄρα αὐτὸ ποιεῖ ἅνθρωπος; Ἆρ´ ὅταν τῶν αὑτοῦ ἐπιμελῆται, τότε καὶ αὑτοῦ; Plato. Alcibiades A', 128a.

[9] Ψυχὴν ἄρα ἡμᾶς κελεύει γνωρίσαι ὁ ἐπιτάττων γνῶναι ἑαυτόν. Plato. Alcibiades A', 130e.

[10] Per Aristotele il vivere bene è legato a uno sguardo riflessivo sulla vita, una domanda costante sul suo significato. Vedi: Hughes, Gerard J.. The Routledge Guidebook to Aristotle’s Nicomachean Ethics. London: Routledge, 2013.

[11] “On the Philosophical Life, An Interview with Alexander Nehamas”. The Harvard Review of Philosophy, vol. VIII, 2000, p. 32.

[12] Ibid., p. 24.

[13] Martin, L. H., Gutman, H. and P. H. Hutton (eds.). Technologies of the Self: A Seminar with Michel Foucault, University of Massachusetts Press, 1988.

[14] Le Corbusier Talks with Students, from the schools of architecture. New York: Princeton University Press, 1999, p. 4.

[15] Ibid., p. 16.

[16] Secondo Aristotle il fatto che qualcuno sia un buon architetto è determinato dal tipo di case che costruisce. Ma la questione della buona vita è legato solo al fatto di viverla. In Gerard, op.cit., p. 120.

[17] Socrate  seguì la professione del padre, Sofroniskos, secondo Porphyry ma anche secondo to Diogene Laertio. Pausania ci ha anche trasmesso che nei Propilei c’era un rilievo marmoreo, che si diceva avesse realizzato Socrate. “Tu sei uno scultore, Socrate, e hai realizzato statue dei nostri governanti impeccabili in bellezza” (citato in Platone, Repubblica, Libro Settimo).

[18] Dall’ultimo libro di Friedrich Nietzsche intitolato Ecce Homo, Wie man wird, was man ist.

[19] Come nella promenade architecturale di Le Corbusier.

[20] Vedi: Segal, Charles. Oedipus Tyrannus: Tragic Heroism and the Limits of Knowledge. New York: Twayne Publishers (Macmillan), 1993 and Dawe, R. D.. Sophocles. Oedipus Rex. Cambridge: Cambridge University Press, 2006.

[21] La frase: ὃς τὰ κλείν᾽ αἰνίγματ᾽ ᾔδει καὶ κράτιστος ἦν ἀνήρ (Chi conosce i fomosi enigmi e fu un uomo sapiente) dall’Edipo Re di Sofocle era scritta nell’ex libris di Sigmund Freud secondo Ernest Jones. Il disegno di questo timbro ex libris, raffigurante Edio contro la Sfinge, era stato disegnato per Freud dal viennese Bertold Löffler in 1901. Vedi: Pichler, Gerd. “Bertold Löffler's Bookplate for Sigmund Freud”. Psychoanalysis and History, vol. 12, issue 1, January 2010, pp. 7-14.

[22] La frase di Le Corbusier “Des yeux qui ne voient pas” descrive un meccanismo edipico simile: occhi ben aperti possono essere ciechi quando non riescono a “vedere” (capire) la “vera” architettura.

[23] Uno dei libri preferiti del giovane Jeanneret era un’edizione di Ansi parlait Zarathoustra (Così parlò Zarathustra) tradotto da Henri Albert. Vedi: Brooks, op.cit., p. 174.

[24] Leiter, Brian. Nietzsche and Morality. Oxford: Oxford University Press, 2007, chapter 9.

[25] Questa ammirazione per gli artisti e per tutti quegli elementi che possono esprimere attraverso la loro arte si trova, simile, in Freud.

[26] Penso a My Architect (2003) di Nathaniel Kahns, a Rem (2016)di Tomas Koolhaas, e a Big Time (2017) di Kaspar Astrup Schröder. Il fatto che alcuni di questi film siano stati diretti dai figli dei famosi architetti crea una struttura senza dubbio edipica (benché irrisolta?).

[27] Tale narrazione postmoderna di solito evita una visione critica dell'evoluzione e della promozione del protagonista come professionista riconosciuto a livello internazionale. Allo stesso tempo, le tipiche rappresentazioni di un "eroe" o di un "genio" non possono non emergere. È significativo che nel recente film Big Time, il racconto della vita e del lavoro di Bjarke Ingels segua una struttura tipicamente eroico-edipica: a. i primi anni (la sua famiglia / Bjarke da bambino) b. la sfida-minaccia (andare negli Stati Uniti / minaccia costituita dai mal di testa) c. la vittoria (successo negli Stati Uniti / superamento del problema di salute) d. la donna - matrimonio (finalmente trova il suo altro significante / costruirà la propria famiglia).



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