|
Che la storia dell’architettura non abbia una soluzione
di continuità ma vi sia, come scriveva Ernesto Rogers, «un
presente che viene da un passato e un passato che è ancora
collegato al presente» ne siamo consapevoli. E che a volte il
presente è una continuità lineare, senza sussulti, senza
scosse, di ciò che lo ha anticipato e altre volte è
“rottura del tempo”, che provoca fatti nuovi non
riscontrabili nel passato, è risaputo. In ogni caso, sia che la
storia progredisca secondo un permanere di costumi, di forme, di
contenuti, sia che provochi una rottura, esiste un legame nel tempo fra
il momento presente e i momenti che l’hanno anticipato e
l’arte, come ricordava Henri Focillon, è un “sistema
mobile”, in perpetuo sviluppo, fatta di “forme
coerenti”, dove avviene una “successione”, un
“concatenamento” di relazioni che mutano a seconda dei
contesti culturali e che “si muovono in forza del grado di
verità che attribuiscono alla nostra storia”.
Il libro di Elvio Manganaro L’altra faccia della luna
indaga proprio questi concatenamenti di rapporti, di relazioni e le
loro conseguenze partendo da un tema che mette in luce, usando le
parole dell’autore, una “questione” molto importante,
quella delle Scuole in Italia. Le Scuole, non solo quelle di
architettura, come punto di partenza per un’indagine condotta tra
“ambiti locali” e “indirizzi globali”,
“palesi e misurabili” proprio a livello di certe tradizioni
culturali. Un diverso modo di affrontare un argomento, attraverso
istanze geografiche, iniziato con i quattro saggi su Milano e Roma (Scuole di architettura. Quattro saggi su Roma e Milano, Unicopli, 2015), passando per Firenze (Warum Florenz? O delle ragioni dell’espressionismo di Michelucci, Ricci, Savioli e Dezzi Bardeschi,
Libria, 2016), aspettando Venezia e Napoli, ci conduce ora a Torino con
molte domande alle quali Manganaro risponderà nel suo libro.
Alcune più di tutte danno l’avvio a questo percorso
critico: siamo proprio sicuri che la formula di architetti neoliberty
stesse così stretta ai due architetti torinesi Gabetti e Isola?
E quali sono state le ragioni storico ambientali che producono le
differenze tra Gabetti e i suoi coetanei?
Basta leggere l’indice e già si capisce la densità
di questa ricerca, l’importanza che certi equilibri, certi
incontri, certe “concatenazioni” hanno nella genesi di un
pensiero, di un linguaggio, di nuove forme. La tesi sostenuta verte
sulla centralità di alcune figure in particolare quella del
pittore Italo Cremona e dell’esistenza di una
“situazione” neoliberty torinese prima del neoliberty
che tutti conoscono. Da Gabetti e Isola si comincia e si finisce
facendo un passo indietro, un percorso a ritroso che, dalla loro opera
più nota, la Bottega d’Erasmo, porta il lettore a scoprire
l’esistenza di un mondo di riferimenti culturali, dalla pittura
alla scultura, passando per il teatro, il cinema, la scrittura e
ovviamente l’architettura, che hanno portato a certe scelte
formali in antitesi a quella “dieta razionalista” che in
quegli anni imperversava (e forse oggi è tornata a imperversare).
Dopo aver dichiarato che “il nodo da sciogliere è ancora quello del neoliberty”
e affrontato le tesi storiografiche “di tipo
generazionale”, di Portoghesi, Tafuri, Cellini e D’Amato,
Manganaro individua due strade, da un lato quella del neoliberty come
“querelle”, piena di “incrostazioni
generazionali” e dall’altra del neoliberty come
classificazione storica al di fuori delle polemiche mettendo in chiaro
una prima puntualizzazione, per “bloccare il dibattito”,
per tenere il “cartellino” del neoliberty
“ben piantato sui torinesi Gabetti e Isola”. Un secondo
punto, che rimette in discussione la costruzione portoghesiana e i suoi
“strascichi polemici”, è la tesi che il neoliberty poteva solo essere torinese, riprendendo le parole di Gabetti che, nel 1965, scrive che il neoliberty
se è esistito “è nato a Torino”. Da qui
emerge un’altra figura centrale dal lavoro di Manganaro, quella
di Carlo Mollino, “anello da cui partire”. Perché
è fondamentale chiedersi cosa giunge a Gabetti e ai suoi
compagni attraverso Mollino?
Inizia così una narrazione che da Mollino accompagnerà il
lettore, attraverso un’articolata esposizione, a conoscere figure
come Italo Cremona, Edoardo Sanguineti, Carol Rama, Luigi Carluccio,
dal quale Manganaro prenderà in prestito il titolo del libro e
poi Mattia Moreni, Felice Casorati e molti altri, tutto documentato con
un ricco apparato di immagini, sapientemente selezionate.
Sempre Rogers sosteneva che non basta conoscere la storia,
“bisognerebbe meditarla”, questo libro, che è
scritto da un architetto e non da uno storico, sta a dimostrare quali
originali letture ancora può riservare la storia
dell’architettura italiana del Novecento, se indagata a partire
dai suoi momenti fondativi.
.
Tommaso Brighenti
|
|
|