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Palermo interpretata
di Angelo Torricelli, costituisce il ventiseiesimo volume della collana
“Compresse” dell’editore siracusano LetteraVentidue.
L’autore ha insegnato alla Facoltà di Architettura di
Palermo nella prima parte degli anni ’90, è stato
professore di progettazione alla Facoltà di Architettura Civile
del Politecnico di Milano di cui è stato Preside negli anni
2008-2016 e ha realizzato importanti opere pubbliche ottendendo premi e
riconoscimenti.
Uno dei meriti di questo volume è quello di ricomporre e
trasmettere, attraverso un lavoro a più mani,
un’esperienza densa dentro alla scuola. Ciò avviene
attraverso i saggi che, sapientemente accostati, accompagnano il nucleo
centrale del volume costituito dai tre scritti di Torricelli (Goethe, Schinkel e il Principe di Salina; Elison o del paesaggio mentale; Palermo dei luoghi, Palermo dell’astrazione) dagli scritti di aperura di Marcella Aprile (Moto retrogrado) e di Giuseppe Di Benedetto (A tempo e a luogo. Palermo e le forme della temporalità) ed infine, a chiusura, da quello di Andrea Sciascia (Il cielo sopra Palermo).
È come se Torricelli ci proponesse una sorta di –
complessissima, oggigiorno – idea di «palingenesi della
città futura», un metodo poetico, in primis, per poter progettare e, a bene vedere, proprio qui sta l’importanza del voler restituire un’esperienza ex post ormai sedimentata negli anni. Non solo: si tratta di un metodo
che sta tra le pieghe delle parole, usate come azione architettonica
sul reale, sulla città e sul paesaggio che ci circondano.
Leggere la città, dipingerla,
smontarla in parti (per poterne ri-attuare la composizione di parti
stesse) e poi suggestioni e tendenziose letture, divengono azionialla
base di una metodologica imprescindibile per intraprendere il progetto
e insegnarlo, in un intreccio fatto di sperimentazione frammista alla
costante messa in verifica dell’idealità necessaria ai
concetti stessi di architettura e costruzione. Questi scritti sono per
Torricelli veri e propri appunti di progetto ed è facile capire
come siano base analitica (e istruttoria, come si usava riportare un
tempo, ma non è un caso etimologico la volontà di
istruire laddove non si conosce!) composta dai tratti di disegno sulla
e nella capitale siciliana intesa quale sistema complesso che pone
l’architettura dentro al paesaggio geografico e urbano.
Angelo Torricelli ha per anni dipinto e questo non è un caso.
Nelle tele si vuole fissare, intrappolare - forse - qualcosa che
oscilla tra il reale interpretato e l’intimo proiettato. Gli anni
di Palermo hanno per lui rappresentato, in questo senso, il tempo
munifico del confronto tra il luogo dello studio e della didattica e
quello della produzione architettonica a Milano e insieme un momento di
ricerca, - di quella ricerca carente ai giorni nostri che Marcella
Aprile non manca di descrivere alla stregua di una «condizione di
grande libertà scientifica e di spensieratezza
accademica» sospesa, non a caso, tra idealità e
trasmissibilità dei saperi in una scuola plurale e ospitale, che
ha visto, a partire dagli anni Sessanta, l’avvicendarsi di figure
quali, ad esempio, Carlo Aymonino, Vittorio Gregotti, Alberto
Samonà, Franco Berlanda, Salvatore Bisogni o, in una seconda
fase, Francesco Cellini, Giancarlo Carnevale, Giovanni Di Domenico,
Richard V. Moore e Manfredi Nicoletti.
Questa condizione la si intende bene nella Palermo letteraria rispetto
cui Torricelli è come se sperimentasse le categorie letturali di
Savinio rispetto a Milano, esattamente ascoltandone il cuore.
Occorre qui riprendere le parole del curatore Giuseppe Di Benedetto
che, allora suo assistente, bene intercetta un nodo centrale:
«ha provveduto alla costituzione di un vero e proprio circolo
ermeneutico con un continuo interscambio tra le cose conosciute e
conoscibili e quelle da conoscere per svelarne i tanti enigmi ancora
presenti».
Torricelli ci insegna come il rapporto continuo - una etimologica
ginnastica - tra città e pezzi di città e dettagli, dati
solo apparentemente marginali, intesi gli uni e gli altri come indizi
rivelatori e architettura alla stessa stregua, siano una fonte non solo
di immagini di lettura, ma di pragmatiche basi di progetto. Leggere
è urgente perché serve per progettare, sembrano ammonire
le sue parole, che paiono costituire una base al suo recentissimo
volume Quadri per Milano. Prove di Architettura (LetteraVentidue, 2017).
Questa relazione col progetto è rilevata da Andrea Sciascia nel
suo saggio conclusivo. Sciascia mette in evidenza la misura in cui i
partiti architettonici esplorati ed esperiti da Torricelli a Palermo,
possano avere avuto un’influenza sulla poetica delle sue
architetture realizzate negli anni più recenti a
Monteleone di Puglia ricordandoci che l’obiettivo ultimo di ogni
studio di un architetto impegnato nella didattica e nella ricerca
è sempre il progetto, coerentemente con quanto afferma
Torricelli, proprio perché «Ciò che fa da ponte fra
l’architettura e il mondo reale è proprio
l’organizzazione coerente di un mondo possibile; con essa nasce
il carattere necessario e non più fittizio delle
rappresentazioni immaginarie e dei progetti».
Carlo Gandolfi
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