Sedad Hakki Eldem.
L’ambasciatore in incognito dell’architettura turca

Serena Acciai



«Il suo interesse in questioni riguardanti la Turchia è una ricompensa sufficiente per me.» Così scrive Sedad Eldem in una lettera del 1967 e indirizzata a Mr. E.R. Gallagher del California Palace of the Legion of Honor di San Francisco. Questa frase da sola sintetizza l’essenza della personalità di quest’architetto. A distanza di alcuni anni da quando ho iniziato a studiare l’opera di Sedad Hakki Eldem mi accorgo che per cogliere in pieno il valore del suo lavoro, teorico e costruito, e per avere un ritratto non stereotipato della sua figura, occorre leggere la sua corrispondenza.
Nato a Istanbul nel 1908 Sedad Hakkı Eldem apparteneva ad una famiglia dell’élite ottomana: egli discendeva per parte di madre da Ibrahim Edhem Pasha1 e da Osman Hamdi Bey2 che era lo zio di sua madre. Sedad ricevette, per sua stessa dichiarazione, un’educazione accademica tradizionale3, ma allo stesso tempo fortemente legata alla tradizione anatolica e ottomana e ai principi cosmopoliti dell’impero. Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse in Europa, il giovane Eldem, tornò in Turchia proprio alla vigilia della proclamazione della Repubblica di Atatürk. Nel 1924 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Istanbul e nonostante l’impostazione accademica fosse nell’ottica del “First National Style”, rivolse fin da subito la sua attenzione all’architettura vernacolare. Lo studio dell’architettura del Palazzo Topkapi ed alla scala più minuta quello della dimora ottomana rivelano già in quegli anni la sua più profonda passione: la tipologia abitativa turco-ottomana.
Eldem era destinato ad essere il più grande interprete dell’architettura moderna in Turchia. Chi se non lui che aveva dialogato con i maestri del moderno europeo e americano e che era figlio dell’aristocrazia ottomana poteva aprire la via turca del movimento moderno? Con il suo background familiare e le infinite possibilità che gli si aprirono al ritorno in Turchia dal viaggio in Occidente, fu capace, non solo di creare le prime architetture del moderno in patria, ma di plasmare un’intera generazione di architetti turchi facendo della questione identitaria il cardine della propria ricerca progettuale. Lontano dagli stereotipi degli architetti occidentali trapiantati in Turchia, Eldem offriva di volta in volta la sua versione dei fatti. Soluzioni eloquenti legate ai luoghi, saldamente radicate in un filone tipologico riconoscibile, tracciabile, classificabile.
Il tema più importante del lavoro di Sedad Eldem fu lo studio della casa turco-ottomana e la sua reinterpretazione in chiave moderna attraverso una rilettura del suo sistema tecnologico aggiornato con l’uso di materiali moderni. In particolare l’antico sistema a telaio in legno delle case ottomane venne riproposto da Eldem attraverso l’uso del sistema a telaio in cemento armato.
Nessun altro architetto fu così devoto, produttivo e determinato nel “riportare in vita” la tradizionale casa turco-ottomana attraverso la propria esperienza architettonica. Le caratteristiche essenziali di questo tipo di edificio e le sue possibili variazioni a seconda del sito, rappresentano il cuore del lavoro di Sedad Eldem e anche il suo lascito più importante.
Riguardo al generale misunderstanding sulla figura di Sedad Eldem tanto ha giocato sia lo Zeitgeist del suo tempo sia la situazione socio-politica in cui l’architetto si è trovato ad operare. Riuscire a costruire in maniera così eloquente nel cuore di Istanbul, farlo con architetture/monumenti così rappresentativi, promuovere lo studio dell’architettura vernacolare (nel 1932 tale esperienza non poteva che avere un accezione nazionale, come avveniva in molti paesi del Mediterraneo) e ancora trovarsi sempre in una posizione privilegiata dovuta all’influenza culturale della sua famiglia ha contribuito alla creazione di un’immagine a tratti fuorviante di Sedad Eldem e della sua ricerca progettuale. Arrivando in Turchia all’inizio della mio percorso di Dottorato (Acciai 2012) ho trovato che intorno alla sua figura, sebbene molto studiata, aleggiava una cristallizzata opinione generale: l’Architetto di Stato (Gallo 1991), il maggiore archivista dell’architettura ottomana (Pamuk 2008), l’architetto nemico degli ebrei4, l’architetto poco attendibile dal punto di vista storico, quando le sue ricostruzioni progettuali venivano scambiate per semplici rilievi e non ne veniva compresa la valenza compositiva di carattere sovrastorico. All’analisi delle sua opera costruita, dei suoi scritti, e soprattutto della sua inesplorata e vastissima corrispondenza, la mia ricerca non trovava e non trova riscontro in queste definizioni dell’esperienza di Sedad Eldem.
L’opera di Sedad Eldem è un corpus a tutto tondo dove è difficile scindere le varie componenti del suo lavoro: insegnamento, ricerca e lavori professionali si fondono in quello che è stato senza dubbio il più fecondo e alto apporto all’architettura e alla costituzione di una coscienza architettonica della Turchia moderna.
Sedad Eldem ebbe il merito di trasmigrare metodi, insegnamenti e linguaggi e applicarli al contesto dell’architettura turca dove nessun architetto “indigeno” prima di lui aveva mai attraversato tali campi di applicazione. La Turchia infatti fino agli anni ‘30 del ‘900 era stata prima “investita” dal “First International Style “e poi dal “Cubic Style” o “Ankara Cubic”. Il primo di questi movimenti riproponeva architetture ottomane secondo un nuovo ricercato stile orientalista, mentre con il secondo la Turchia era stata un vero e proprio terreno di prova (Eldem 1980) per gli architetti stranieri. Quest’ultimo tipo di architettura, principalmente massiva e retorica, era il risultato dell’applicazione di quel classicismo monumentale ben accolto dai regimi totalitari e contrastata in primis da Eldem con forme fieramente moderne ma radicate nella cultura turco-ottomana.
Secondo Eldem negli anni ‘30 la Turchia doveva trovare il proprio linguaggio architettonico sia per superare le tendenze Neo-Ottomane, portatrici di stilemi imperialisti, sia per superare ingerenze internazionali che implicavano principi colonialisti (Akcan 2012).
La nuova architettura per Sedad avrebbe dovuto essere moderna e quindi nazionale e viceversa (Bozdoğan 2001, Bozdoğan & Resat 1997). Egli affermava che la Turchia non doveva essere una copia orientalizzata dell’architettura Europea e che un paese moderno doveva avere i propri architetti nazionali5.
Così il giovane Sedad scelse di basare il cuore della sua ricerca progettuale sulla casa turca, entità che fino agli anni ‘30 non era stata presa in esame. In Turchia infatti, l’analisi dell’architettura tradizionale era stata fino ad allora confinata allo studio dei monumenti e degli edifici pubblici (Eldem 1934). Nonostante questo fosse il vero intento di Eldem, la sua adesione alle forme dell’architettura vernacolare fu vista come l’espressione di una propaganda nazionalista, basata sul tentativo di definire i caratteri essenziali dell’identità dell’architettura turca.
Eldem è stato spesso tacciato di nazionalismo o definito come l’Architetto di Stato per i molti incarichi governativi, perché ebbe la possibilità di lavorare durante l’era Kemalista e perché in alcune occasioni, come nel progetto dell’edifico della Facoltà di Scienze e Lettere naturali, il linguaggio architettonico non poteva che insistere su una cadenza monumentale (Gallo 1991).
Dall’analisi della corrispondenza di Eldem emerge infatti come egli fosse un intellettuale che aveva connessioni con molti studiosi in buona parte del mondo e fosse ricercato da prestigiose università estere e istituzioni culturali.
La corrispondenza di Sedad Eldem può essere suddivisa in vari ambiti: esistono una serie di lettere indirizzate a più corrispondenti, riguardanti la ricerca che l’architetto conduceva per proprio conto sulla diffusione del tipo edilizio della casa turco-ottomana (Acciai 2017a) in quello che era stato il territorio dell’impero ottomano.
I corrispondenti di Eldem erano ricercatori altamente qualificati e intellettuali che studiavano l’architettura vernacolare e le varie forme e modificazioni del tipo della casa ottomana. Le lettere mostrano che Eldem stava analizzando la casa turca fuori dalla Turchia attraverso due diversi metodi di studio. Da un lato, era interessato all’architettura tradizionale dei paesi che avevano vissuto la dominazione ottomana, che studiava attraverso le pubblicazioni di altri intellettuali e architetti, come Lézine, Moutsopoulos, Revault e Kojić; dall’altra, stava cercando ciò che restava dopo la dissoluzione dell’impero ottomano, di specifici esempi di cui già conosceva l’esistenza, specialmente case e palazzi.
Oltre ad essere una figura carismatica dell’architettura moderna in Turchia, Sedad Hakkı Eldem era profondamente interessato a ricostruire l’esistenza di quei “frammenti” di architettura ottomana che conosceva essere sparsi per l’ex mondo ottomano.
Questa ricerca, condotta grazie a connessioni personali, emerge solo dalle carte di Eldem e rappresenta l’aspetto “privato” del tema che è stato il cuore dell’analisi progettuale di Sedad Eldem: la casa turco-ottomana. L’ambito “pubblico” di questo stesso soggetto è sicuramente rappresentato dall’istituzione da parte di Eldem ed Ernst Egli dei “Seminari di Architettura Nazionale6” presso l’Accademia di Belle Arti di Findikli, Istanbul dove entrambi insegnavano.
Questa doppia valenza dell’approccio di Eldem allo studio della casa ottomana – privata e pubblica – unita al fatto che i Seminari di Architettura Nazionale ebbero una forte eco, mentre lo studio di carattere transnazionale sul tema della casa ottomana rimase sepolto tra i suoi materiali privati, ha senza dubbio contribuito alla messa in luce, nella storiografia, di uno solo di questi aspetti: quello della ricerca e della valorizzazione dell’identità architettonica turca.
Tra le sue carte inoltre si trovano lettere in inglese, francese e tedesco, con Hans Poelzig7, Giulio Mongeri8, Philipp Holzmann, Paul Bonatz9, Adolphe Thiers, Robert Mantran, S.O.M., Gordon Bunshaft, Harrison Barnes & Hubbard10, Henri Prost, Paul Smarandescu11, Rowland Mainstone, John Seymour Thacher il quale ad esempio si affida a lui per una consulenza di architettura del paesaggio per il sito archeologico12 di Sarachane in Istanbul.
Allargando il nostro campo di analisi e cercando di capire la fortuna critica della figura di Eldem in ambito Occidentale ci troviamo ancora di fronte allo stesso problema: quei documenti, che gettano nuova luce sul ritratto di un personaggio senz’altro affascinante ma controverso, sono rimasti fino ad adesso sconosciuti ai più. Così è avvenuto ad esempio con le straordinarie lettere13 in cui Eldem non si stancava di diffondere il proprio lavoro teorico, inviando e regalando i suoi libri14 per divulgare il valore dell’architettura vernacolare turca quale tipologia, già in sé moderna, dell’abitare.
Risultano allo stesso modo inedite le molte “conversazioni” che egli aveva con esponenti di spicco della comunità scientifica americana, inglese, francese e tedesca, quali S.O.M.15, Dumbarton Oaks, The Architects Collaborative (TAC, in particolare con Robert Sensman McMillan) il Prof. Karl Bittel, Philip L. Goodwin, e molti altri. Nikolaus Pevsner ad esempio, scriveva nel 1956 ad Eldem circa la possibilità di organizzare una mostra sull’architettura turca presso il Royal Institute of British Architects e chiedeva un suo aiuto perché, nell’impostazione della mostra, gli esempi moderni non fossero soffocati dalla tradizione. Nel 1958 invece, Jacques Laurent all’epoca Architetto capo dell’Ecole Nationale Superieure des Beaux-Arts, scrive ad Eldem per discutere con lui della costituzione dell’Etablissements Culturel Français d’Istanbul. E ancora Wilhelm Viggo von Moltke16 in una lettera del 13 Febbraio 1956 ringrazia Eldem per essere riuscito ad organizzare delle conferenze in Turchia per Mr. Wachsmann.
In particolare con alcuni di questi personaggi il sodalizio intellettuale e di amicizia fu estremamente lungo e sentito. Personaggi come Davis B. Allen17, architetto d’interni presso lo studio S.O.M., Robert Van Nice18 del Dumbarton Oaks, o Robert Mantran sono presenze fisse nelle missive di Eldem per molti anni.
Analizzando questa immensa mole di lettere, cartoline, brevi messaggi ci si accorge come piano piano, il ritratto di quest’architetto che si considerava ormai consolidato, inizia a cambiare i suoi contorni.
I temi di queste conversazioni riguardavano principalmente lo scambio di articoli, l’apparire di nuove pubblicazioni, ed i suoi interlocutori, spesso amici che Eldem non mancava mai di invitare nella sua casa sul Bosforo a Yeniköy, sostenevano i suoi sforzi, per dare all’architettura moderna un carattere vernacolare.
Eldem attraverso le lettere faceva conoscere al mondo le sue pubblicazioni volte ad una diffusione della conoscenza della cultura architettonica turca. E.R. Gallagher ad esempio, grazie al sodalizio intellettuale con Eldem ha potuto creare presso il California Palace of the Legion of Honor un nutrito fondo bibliotecario sull’architettura turca, cosa che negli anni ‘60 del secolo scorso non era così di facile realizzazione: basti pensare al lungo e difficile viaggio che ogni missiva o piego di libri doveva compiere da Istanbul alla California19.
Al tempo stesso Eldem chiedeva ai suoi corrispondenti americani se potevano fornirgli ad esempio le ultime pubblicazioni di Rudofsky, quali Architecture without Architects o The Kimono Mind20. Eldem amava infatti tenersi sempre aggiornato21 e nel 1962-63 chiese e ottenne dal governo francese il visto ed una borsa di studio per recarsi in Francia per vedere gli esiti della ricostruzione a Le Havre e nelle città più colpite dalla Seconda Guerra Mondiale.
Troviamo ancora tra le sue carte inviti a conferenze e lezioni, richieste di pareri su insegnamenti, o temi di ricerca architettonica, ma anche lettere di semplici architetti che erano interessati al mondo turco, alla città di Istanbul, e trovavano in Sedad22 e nel suo lavoro23, il referente ideale a cui rivolgersi.
Per tornare alla fortuna critica di Eldem soprattutto per quanto riguarda la storiografia occidentale è chiaro che l’assenza di tutto questo mondo di relazioni che Eldem coltivava con estrema dedizione abbinata all’immagine dell’uomo-forte – rappresentativo della Moderna Architettura Turca – ha determinato nella coscienza collettiva il formarsi di un’immagine molto diversa da quella di un Pikionis od un Pouillon.
La Turchia agli occhi dell’Occidente non è la Grecia, culla idealizzata della nostra civiltà. La Turchia ha sempre rappresentato qualcosa di altro per l’Occidente: è stata prima, durante la lunga decadenza dell’impero ottomano oggetto dei sogni orientalisti di buona parte dell’Europa e dopo con Atatürk e con gli anni dei tumultuosi colpi di stato un luogo difficile con cui approcciarsi.
Del resto anche Pikionis con i suoi allievi24 svolse campagne di rilievo volte allo studio dei caratteri identitari dell’architettura vernacolare25 greca, ma quest’esperienza ebbe una eco diversa sull’immagine storiografica di Pikionis rispetto a quanto successe per Eldem.
La lezione di Sedad Eldem e della sua Scuola (Martinelli 2017) è quella di aver spiegato a generazioni di architetti il valore antropologico, architettonico e culturale di un tipo edilizio – la casa turco-ottomana – fondamentale per la costruzione della cultura abitativa tra Europa e Asia.
Sedad ha indagato i confini storici e geografici di questo modo di abitare, ne ha seguito le declinazioni in quei territori che (oramai nazioni autonome) erano state parte dell’Impero Ottomano. Infine ha utilizzato tutto questo bagaglio, derivato dal più vasto e articolato studio sul tipo che sia mai stato fatto, per dar nuova linfa vitale all’architettura turca rendendo moderno ciò che da sempre apparteneva all’evoluzione storica (fatta anche di contaminazioni) di quest’affascinante territorio.
Se analizziamo infatti quello che è forse il più rappresentativo dei suoi progetti, ovvero la Facoltà di Lettere e Scienze naturali dell’Università di Istanbul, troviamo come al suo interno ci sia l’utilizzo e la reinterpretazione di quegli elementi caratteristici della casa turco-ottomana.
In questo edificio, come in molti altri di Eldem, troviamo una moderna re-interpretazione del sofa, l’elemento connettivo per eccellenza delle tradizionali dimore turco-ottomane. Eldem ha qui riletto il sofa nella sua declinazione a piano terra (taslık), quando cioè il sofa è pavimentato in pietra, è esteso per tutta l’ampiezza del corpo di fabbrica ed è strumento connettivo tra interno e esterno. Così il percorso che dalla grande hall della Facoltà di Scienze e Lettere conduce, passando attraverso i corridoi voltati, ai diversi nuclei del complesso, non è altro che un susseguirsi di spazi in cui il concetto di soglia viene reiterato nel tempo e nello spazio. A Istanbul infatti si è spesso su una soglia. Lo stesso tipo di contaminazione avviene per l’edificio di Eldem: è come se l’architetto avesse fuso insieme temi architettonici che di solito si riferiscono ad ambiti differenti, ossia avesse combinato insieme elementi che si trovano nelle strade con particolari che stanno negli interni. Le gallerie porticate che distribuiscono gli ambienti sui tre piani e si affacciano sui grandi corridoi a piano terra della Facoltà derivano ancora dal sofa, colto nella sua accezione più antica: l’hayat (Eldem 1984, p. 61) ovvero il sofa situato all’esterno rispetto alla casa e alle camere e rintracciabile nelle case della regione di Edirne e nel distretto di Meriç (Eldem 1984, p. 61).
Anche nella Facoltà, come nelle case tradizionali, dal sofa (hayat) si ha accesso alle stanze (aule) che sono distribuite attraverso questo straordinario mezzo compositivo. Eldem ha poi utilizzato questo particolare elemento anche alla scala più monumentale riproponendo il peristilio sul padiglione situato sul grande portale che si affaccia sulla corte. Le origini di questa figura porticata sono da ricercarsi nuovamente nell’architettura tradizionale: ancora il sofa esterno (hayat), terminato con un pergolato in legno (çardak)26 e presente in molte dimore ottomane ma anche nei chioschi e nei padiglioni.
Ma qui sta la genialità di Eldem, ossia l’aver utilizzato questo tipo di spazio ponendolo non solo all’esterno ma anche all’interno come avviene nell’harem del Palazzo Topkapi (Bozdoğan, Özkan, Yenal 1987) e come solo questo particolare strumento compositivo permette di fare. Il sofa, infatti, secondo Eldem: «è il regno pubblico, la strada, la piazza entro la casa» (Akcan 2012, p. 233).
La figura che emerge da quest’architettura racchiude l’essenza della casa turco-ottomana: un basamento, che sostiene la parte residenziale aggettante (spesso a struttura in legno) e indipendente dalla linea della strada e un tetto, estrema propaggine di questo crescendo compositivo.
Nella Facoltà l’idea della casa turco-ottomana è pero sintetizzata in maniera moderna, e infatti non c’è aggetto in facciata.
Quello che però è stato messo più in evidenza non sono questi aspetti compositivi dettati da una raffinata cultura, ma gli aspetti stilistici e linguistici: la cadenza monumentale, il rigore della pietra, l’enfasi rappresentativa di un’Architettura di Stato quando il concetto stesso del fare di un edificio universitario un monumento la dice lunga sulle idee di Eldem per la nuova Turchia moderna.
La lezione di Sedad Eldem dovrebbe essere studiata nelle scuole di architettura non solo in Turchia perché la sua opera è un inusuale esempio di pensiero architettonico dove il moderno si intreccia con l’antico e nel caso della Turchia con la sua forte valenza interculturale: l’antica tradizione vernacolare civile ottomana (con tutte le sfumature che quest’ultimo termine racchiude) per Eldem era già moderna.
Sedad infatti, sia che stesse progettando edifici pubblici sia civili abitazioni, strutturava il suo lavoro a partire dal modulo base della finestra (di proporzioni 1:2 tra altezza e larghezza) e di dimensioni comprese tra 120 e 150 cm. Questa misura era per Eldem il più importante elemento di standardizzazione degli edifici civili turco-ottomani: le finestre27 nell’architettura tradizionale fissavano con il loro numero le dimensioni della camera e questa conseguentemente definiva la casa stessa a seconda dell’articolazione tra le varie camere e lo spazio distributivo (sofa).
Alla luce dei nuovi materiali emersi si rende necessaria, a nostro modo di vedere, una revisione del ritratto di Sedad Hakkı Eldem che fino ad oggi la storiografia ci ha consegnato; per rendere piena verità a quest’architetto che va annoverato tra i Maestri del Moderno, e che è stato il vero ambasciatore dell’architettura turca nel mondo.
Discendente da una famiglia di diplomatici Eldem è riuscito ad adattare il suo mestiere a quel milieu intellettuale ed al sistema di relazioni culturali all’interno del quale era cresciuto. 

 





1 Ibrahim Edhem Pasha: uomo di stato e intellettuale dell’impero ottomano che promosse l’opera: De Launay M. (1873) – L’architecture ottomane, ouvrage autorisé par iradé impérial et publié sous le patronage de Son Excellence Edhem Pacha = Die Ottomanische Baukunst, Durch Kaiserliches Iradè Genehmigtes Werk; Herausgegeben Unter Dem Schutze Sr Excellenz Edhem Pacha, Imprimerie et Lithographie Centrales, Constantinople. <http://bibliotheque-numerique.inha.fr/viewer/21039/?offset=#page=5&viewer=picture> [Ultimo accesso 4 Marzo 2018].
2 Osman Hamdi Bey: figlio di Ibrahim Edhem Pasha, pittore, intellettuale, archeologo, fondatore dell’Accademia di Belle Arti e del Museo Archeologico di Istanbul. Cfr. Eldem E. (2010) – Un Ottoman en Orient: Osman Hamdi Bey en Irak, 1869-1871, Actes sud, (Sinbad. La bibliothèque turque), Arles.
3 Scritto inedito datato 08 Giugno1968 di S. H. Eldem, p.1. Traduzione di S. Acciai e C. Paluszek.
4 Così Nora Şeni, direttrice dell’IFEA (Institut Français d’études Anatoliennes) dal 2008 al 2012, definì Sedad Eldem al mio arrivo presso l’Istituzione francese a Istanbul (2010).
5 Eldem S. H. (1939) – Millî Mimarî Meselesi (Il problema dell’Architettura Nazionale), Arkitekt 9-10, 220-223, [online] Disponibile in:
< http://dergi.mo.org.tr/dergiler/2/104/1147.pdf> [Ultimo accesso 10 febbraio 2018].
6 Tali seminari avevano per scopo lo studio dell’architettura civile turca che fino ad allora non era stata presa in considerazione; Eldem sosteneva infatti che a causa della mancanza di attenzione e cura, questi edifici stavano per scomparire, e per ciò “lo studio dell’architettura civile turca era diventato una questione di massima urgenza”. Eldem S. H. (1934) “Eski bir Türk evi [An ancient Turkish house],” cit.
7 Tra le carte di Eldem è emersa una lettera datata 16 Agosto 1930 in cui Hans Poelzig presenta e raccomanda Sedad Eldem ad un collega spiegandogli che il giovane Âlisanzade (nome usato da Sedad Eldem in anni giovanili) ha frequentato il suo corso di Progettazione Edilizia presso la Technischen Hochschule di Berlino per un anno con ottimi risultati e lo prega di dare la possibilità ad Eldem di mostrargli i suoi progetti.
8 Giulio Mongeri (1873 – 1951) architetto italiano, fu docente di Sedad Eldem, presso l’Università Mimar Sinan.
9 Paul Bonatz: architetto tedesco (Solgne, presso Metz, 1877 - Stoccarda 1956), prima assistente, poi successore di Theodor Fischer al Politecnico di Stoccarda (1907-43). Stabilitosi poi in Turchia ebbe un proficuo sodalizio professionale con Sedad Eldem.
10 Harrison Barnes & Hubbard, firma architettonica inglese autori tra l’altro del Nuffield College di Oxford: dalla nutrita corrispondenza con Eldem si evince la lunga amicizia con l’architetto turco e la condivisione di alcune tematiche comuni. Il gruppo inglese infatti aveva una sede anche a Cipro e si occupava anche del recupero di konak (dimore tradizionali).
11 Paul Smărăndescu (1881-1945), diplomato in architettura in Francia, ha cercato con la sua opera di definire uno stile neo-rumeno attraverso la riconfigurazione moderna di elementi tradizionali.
12 John Seymour Thacher (1904-1982) fu il primo direttore del Dumbarton Oaks (1946–1969) dopo che Robert e Mildred Bliss donarono la loro proprietà alla Harvard University nel 1940. In particolare la lettera a cui si fa riferimento è datata 13 Gennaio 1967. Il sito di Sarachane fu studiato da Dumbarton Oaks in collaborazione con il Museo Archeologico di Istanbul. Vedi: Harrison R. M. (2014) Excavations at Sarachane in Istanbul, Princeton University Press, Princeton NJ.
13 Ne è un esempio la lettera del 6 Maggio 1970 indirizzata ad Eldem da Rowland Mainstone in cui egli ringrazia l’architetto per il suo affascinante libro suoi chioschi turchi e si dispiace che durante il suo tempo in Turchia non abbia mai avuto tempo da dedicare all’architettura selgiuchide e ottomana.
14 Sedad Eldem studiò il tipo edilizio della casa turco-ottomana per tutta la vita che portò al multi-volume enciclopedico sulla casa turca: Eldem, S. H. (1984, 1986, 1987) – Türk Evi Osmanlı Dönemi / Case Turche, Periodo Ottomano I, II, III, Taç Turizm Değerlerini Koruma Vakfı, Istanbul.
15 Skidmore, Owings and Merrill è uno dei più grandi studi di Ingegneria, Architettura e Pianificazione Urbanistica Statunitense. Fu fondato a Chicago nel 1936 da Louis Skidmore e Nathaniel Owings a cui si aggiunse nel 1939 l’ingegnere John Merril. Sedad Eldem divenne loro partner per il progetto dell’Hilton Hotel a Taksim, Istanbul. (1951-1955). In questo progetto realizzato con la supervisione di Gordon Bunshaft, Eldem curò alcuni aspetti caratterizzanti l’architettura di questo edificio di impostazione occidentale a Istanbul. A questo proposito vedi: Acciai S. (2018) – Sedad Hakkı Eldem, an Aristocratic Architect and More, FUP Firenze University Press, Firenze.
16 Wilhelm Viggo von Moltke (1911-1987) influente urbanista negli Stati Uniti, e capo progettista per molti progetti a Philadelphia e al (MIT). Insegnante presso la Harvard Graduate School of Design. Nato a Kreisau, Germania, nel 1911 e aveva conseguito la laurea in architettura presso la Technische Hochschule di Berlino. Si può ipotizzare che lo Eldem abbia conosciuto proprio a Berlino quando frequentava il corso di Hans Poelzig nel 1929-30. Negli anni ‘40 V. von Moltke si rifugiò negli USA dopo aver lasciato il paese nel 1937 per la sua opposizione al regime Nazista. http://www.transatlanticperspectives.org/entry.php?rec=27.
17 Davis B. Allen (1916-1999) è stato un interior designer e designer di mobili americano. Pioniere nella progettazione di interni aziendali ha lavorato per quarant’anni presso Skidmore, Owings & Merrill (S.O.M.) Ha anche progettato la sedia Andover. Nel 1985, è stato inserito nella rivista di interior design Hall Of Fame.
18 Robert L. Van Nice (1910-1994) fu insieme a Rowland Mainstone uno dei più importanti studiosi di Santa Sofia, sulla quale compì molte campagne di rilievo.
19 Ne è un esempio la lettera del 25 Agosto 1966 in cui E.R. Gallagher ringrazia Eldem per il suo affascinate libro sulla planimetrie delle case turche che finalmente dopo un cospicuo lasso di tempo era arrivato il perfette condizioni a San Francisco.
20 Riguardo alla lettera dalla quale si evince che Sedad Eldem era interessato ai libri di Bernard Rudofsky vedi: Acciai S. (2017) – “Wright, Rudofsky, Eldem: meeting with the Japanese house”, Firenze Architettura, 2, 126-133.
21 La lettera in cui Sedad Eldem chiede, al Governo francese il visto per recarsi in Francia è datata 8 Marzo 1961.
22 Ne è un esempio la lettera datata 23 Aprile 1967 di Gisle Jakhelln, architetto norvegese che si rivolgeva a Sedad Eldem perché durante quell’anno voleva recarsi in Turchia per lavorare e conoscere il paese.
23 Da una lettera datata 4 Luglio 1960, dell’archetto inglese H. J. Spiwak si evince che quest’ultimo aveva contattato Eldem per porgli delle domande a proposito dell’operazione progettuale dell’Hilton Hotel e degli standard qualitativi delle camere d’albergo.
24 Nel 1936 Dimitris Pikionis, all’epoca professore presso la National Technical University di Atene e supervisore del progetto che si occupava dello studio delle architetture e delle arti decorative delle abitazioni greche, affidò il completamento di quel progetto a un gruppo di giovani architetti: Dimitris Moretis, Giorgos Giannoulelis e Alexandra Paschalidou. Questo fu il team che studiò e illustrò, per la prima volta in Grecia, l’architettura civile tradizionale.
25 Nei territori della Penisola Balcanica (ma non solo) a partire dagli anni ‘30 del ‘900 nelle scuole di architettura si svilupparono attività volte allo studio tipologico dell’architettura civile. In questo contesto, l’eredità della casa ottomana fu rivendicata e utilizzata da altre nazioni nel momento in cui esse stavano definendo la loro identità anche attraverso la costruzione del concetto di “casa nazionale”. Vedi Acciai S. (2017) – The Ottoman-Turkish House According to Architect Sedad Hakkı Eldem: A Refined Domestic Culture Suspended Between Europe and Asia, cit.
26 «La maison turque», testo inedito preparato da Eldem nel 1948 per la rivista L’Architecture d’Aujourd’hui, 4.
27 «La maison turque», cit. 9. Trascrizione e traduzione di S. Acciai e C. Paluszek. Cfr.