William Wurster. Sguardo regionale e architettura come processo

Elisa Brusegan



Gli Stati Uniti tra regionalismo e dogma dello stile
Una trama storica fatta di tessere a contrasto e momenti di rottura caratterizza gli Stati Uniti tra gli anni Trenta e Sessanta del Novecento.
Dopo la depressione economica del 1929, sono minacciati nuovamente nel 1937. Stretti tra difficoltà economiche, disoccupazione e l’ombra della guerra, diventano sempre più nazionalisti. I provvedimenti politici e sociali del New Deal per il rilancio del paese corrispondono ad un approccio conservativo verso le risorse nell’interesse collettivo e nutrono una coscienza civica ambientale. Il Civilian Conservation Corps dà lavoro a oltre tre milioni di disoccupati per curare la manutenzione dei parchi e delle risorse naturali. La Tennessee Valley Authority pianifica la gestione del bacino idrico del Tennessee per la produzione di energia elettrica e usi ricreativi.
Seguono gli anni del conflitto mondiale. Milioni di persone si trasferiscono nei centri produttivi principali per contribuire allo sforzo bellico e la California è uno di questi. Tra il 1940 e il 1947 la popolazione della costa occidentale aumenta di quasi il 40%, facendosi ancora più multietnica. La baia di San Francisco diventa un enorme cantiere navale. Lo sviluppo dell’industria bellica e aeronautica promuove anche il settore delle costruzioni, richiedendo non solo edifici per scopi militari e produttivi ma anche abitazioni temporanee e servizi per gli operai.
Il sentimento localista e ambientalista, proprio dell’America roosveltiana, si riflette anche nella cultura architettonica, facendosi spazio a fianco dell’International Style. I primi lavori del gruppo Bauhaus negli Stati Uniti sono stati realizzati, Walter Gropius insegna nelle università americane, lo studio di Frank Lloyd Wright è affollato, la New York World’s Fair del 1939 mostra l’architettura scandinava. Crescono le testimonianze di un nuovo orientamento culturale, interessato all’architettura anonima, all’identità americana dell’architettura e ai suoi caratteri regionali.
Il Museum of Modern Art di New York, importante centro di divulgazione culturale, è una carta di tornasole dei fenomeni architettonici in atto. Nel decennio 1937-1947, in un clima di diffuso nazionalismo, passa da un programma culturale legato all’International Style a uno sguardo regionale che mostra la crescita dell’architettura americana e la sua relazione con il contesto locale (Eggener 2008). Individua i suoi fulcri geografici nelle città di Boston, Chicago, New York, Philadelphia, Los Angeles, San Francisco con le rispettive scuole d’architettura. In particolare, è la California il territorio più ricco di esempi regionali contemporanei, soprattutto attorno alla baia di San Francisco.
Lo sguardo regionale divulgato dal MoMA in questo momento storico ha una base empirica e rifugge le teorie, non propone al pubblico la complessità del pensiero regionalista mumfordiano a cui fa riferimento. Dal 1948 la guida del Dipartimento di Architettura passa da Elizabeth Bauer Mock a Philip Johnson, che sposta l’interesse verso l’International Style, nonostante le simpatie regionaliste degli architetti al termine del conflitto.
La svolta corrisponde alle tendenze socio-economiche in atto nel dopoguerra, un periodo piuttosto conservatore, dominato dalla cultura del consumismo e dalla crescita dei suburbi. La regione rimane però un tema dibattuto nelle scuole d’architettura e all’interno dell’American Institute of Architects.

William Wurster, le origini di un approccio etico all’architettura
All’inizio degli anni Quaranta William Wurster (1895-1973) era un architetto ormai affermato a livello nazionale. I suoi progetti erano largamente pubblicati, venivano premiati ed esposti alle mostre. Ci si rivolgeva a lui come al fondatore di una scuola di architettura regionale contemporanea.
Coetaneo di Lewis Mumford (1895-1990), Wurster era figlio di un banchiere di Stockton, una delle principali città della Central Valley californiana. Nel 1919, dopo un periodo in marina, si era laureato in architettura alla University of California di Berkeley, con un programma di studi al tempo impostato secondo il sistema Beaux Arts. Dopo qualche esperienza di tirocinio, nel 1922 aveva visitato l’Europa. Con sé aveva dei libri sugli studi sociali, per indagare le ragioni sottese all’architettura.
Il viaggio è per lui finalizzato a comprendere il legame tra l’architettura e il sistema di forze che la dirigono. Nota le relazioni che gli artefatti umani instaurano con l’elemento naturale, lo colpiscono le garden cities inglesi, le opere del Rinascimento italiano, l’architettura rurale (Peters 1979, p. 37). Commenterà nel 1944: «Documentarsi su una regione e quindi vederla dal vivo mostra nel modo più diretto la dipendenza dell’architettura da forze altre. Gli aspetti geografici, sociali, economici e climatici diventano parte dell’architettura come la sua stessa facciata» (Wurster 1944b).
Tornato negli Stati Uniti, dopo un’esperienza a New York presso Delano & Aldrich, nel 1924 apre il suo studio a Berkeley (Peters 1979, p. 37). Le decine e decine di progetti per residenze, edifici produttivi e uffici che realizza nei primi quindici anni della sua carriera costituiscono una sorta di palestra, ma non presentano qualità architettoniche innovative o d’avanguardia. Denotano invece la sua fermezza nel resistere alle lusinghe del movimento moderno.

Innesti disciplinari: Lewis Mumford, Catherine Bauer, i Telesis
La maturità professionale di Wurster è determinata da una serie di fortunati incontri, che gli danno l’opportunità di nutrire uno sguardo trasversale rispetto all’oggetto architettonico. La capacità di fare questo scarto lo condurrà a svolgere ruoli di rilievo istituzionale, riempiendo di senso nuovo i suoi progetti della maturità. Dal 1944 al 1950 è Dean della School of Architecture and Planning al MIT di Cambridge, tra il 1948 e il 1950 è nominato da Truman Presidente della National Capitol Park and Planning Commission, dal 1950 fino al suo ritiro è Dean della School of Architecture alla University of California a Berkeley. Nel 1964 viene insignito di una Laurea Honoris Causa in Legge e nel 1969 della Gold Medal dell’AIA. Eero Saarinen lo pone allo stresso livello di maestri come Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto, Walter Gropius e Mies van der Rohe (Saarinen 1953, pp. 112-113).
Nel 1940 Wurster sposa Catherine Bauer (1905-1964). Frequentandola, comincia ad interessarsi di urbanistica, sociologia e di altre discipline che riconducono l’architettura a un quadro più ampio.
Attraverso Catherine Bauer, Wurster stringe contatto con Lewis Mumford1, allora il più autorevole sociologo e critico statunitense. Mumford si interessava di architettura regionale da quasi vent’anni. Dalla fine degli anni Trenta il suo pensiero trova massima espressione attraverso i testi “The Culture of Cities” (1938), “Reflections on modern architecture” (1939), “The South in Architecture” (1941).
Più il ragionamento di Mumford sull’architettura regionale prende corpo, più la tradizione architettonica della Bay Area che Wurster rappresenta vi si fa strada per successive approssimazioni, segno che essa era sicuramente funzionale a rappresentarlo.
La più celebre e discussa esternazione del pensiero architettonico mumfordiano è rappresentata dai giudizi che esprime nel “The New Yorker” l’11 Ottobre 1947. Egli denuncia le insufficienze dell’International Style accusandolo di aver dato un’interpretazione troppo rigida del funzionalismo. Ad esso contrappone la tradizione architettonica della Bay Area e l’opera di Wurster, che definisce come “Bay Region Style” e a cui attribuisce il significato di modernismo evoluto, spontaneo e autoctono, che ha superato la fase di immatura rigidità, coniugando forme moderne e coerenza alle qualità regionali del luogo. È plausibile che Wurster sia citato non solo per il valore esemplificativo dei suoi progetti nel quadro del ragionamento che sta argomentando e per l’amicizia personale che lo lega a lui, ma anche per il prestigio e la notorietà internazionale di cui ormai gode.
Oltre a Bauer e Mumford, anche i Telesis costituiscono un interlocutore indicativo della maturazione culturale di Wurster. Si tratta di un collettivo di giovani architetti, paesaggisti, urbanisti della Bay Area, che si ispirano a Lewis Mumford, discutendo un approccio olistico alla pianificazione, definito “environmental design” e orientato a integrare l’uomo all’ambiente. Fondato da Thomas. J. Kent (1917-1998), il gruppo si incontra a partire dal 1939 e nel 1940 organizza al Museum of Modern Art di San Francisco la mostra “A Space for Living” dedicata al rinnovamento degli slums, alla preservazione di una greenbelt e alla promozione della pianificazione regionale. L’esposizione guadagna il plauso di Gropius, Breuer, Mies van der Rohe, Goodwin e del Museum of Modern Art di New York.

Sguardo regionale e adattamento dell’architettura
Sempre più coinvolto dai ragionamenti a scala territoriale, nel 1943, dopo aver portato a termine 5000 unità residenziali a Vallejo per i lavoratori impiegati nello sforzo bellico, Wurster si sposta nella East Coast. Qui segue degli studi specialistici di progettazione architettonica e urbana. Nel febbraio del 1943 comincia a studiare al dipartimento di Regional Planning di Harvard, dove rimane per quattro mesi. Nel luglio dello stesso anno frequenta contemporaneamente l’università di Yale, come critico di architettura, e il MIT, dove studia City Planning. Così, in meno di un anno, fa esperienza di ben tre università, oltre a quelle che aveva conosciuto da ragazzo durante il viaggio in Europa (Violich 1998, pp. 20-24). Pur non avendo esperienza nell’insegnamento, il contatto in età adulta con l’ambiente universitario lo conduce verso la carriera accademica: l’anno seguente diventa Assistant Professor di progettazione architettonica alla Yale School of the Fine Arts e poi Decano al MIT e all’Università della California di Berkeley.
L’incremento dei suoi scritti, dovuto ai ruoli istituzionali che ricopre in questi anni, testimonia la sua maturazione culturale e ne sistematizza il pensiero, consentendoci di comprenderlo ex-post. Appunti, articoli, interviste rivelano una crescente comprensione del territorio come entità regionale e come risorsa. Scrive nel 1944: «Troppo spesso in passato l’architettura è stata concepita come il singolo edificio, con poca considerazione per il suo posto nella comunità, in termini funzionali ed economici. L’architettura ha ampliato la sua base, come la scienza, ed il problema non è solo l’appropriato progetto dell’edificio ma l’esame di tutte le ragioni che ne sono alla base» (Wurster 1944a, 1945).
L’architetto estende il suo sguardo alla ricerca di un “ambiente totale”, concetto che Wurster introduce alla Convention dell’American Institute of Architects di Boston del 1954: «Molte trasformazioni sono successe in architettura e nelle scuole che educano alla professione nel periodo tra il 1919 e il 1954. Il cambiamento maggiore è la consapevolezza dell’ambiente totale comparato all’attenzione profusa in precedenza verso la singola struttura, senza riguardo per gli edifici che la circondano. [...] Tra tutti gli aspetti che escono dalla nostra esperienza, mi sembra che l’ambiente totale sia quello che tocca l’architettura con il più profondo interrogativo e la maggiore sfida» (Wurster 1954, pp. 182-183).
Nel 1948, mentre è Dean of Architecture al MIT, il San Francisco Museum of Modern Art ospita la prima mostra di architettura del paesaggio degli Stati Uniti. Nel catalogo, Wurster è autore di un saggio in cui scrive: «Ancora una volta l’architettura è considerata come parte di un intero più vasto, la regione, per cui diventa naturale considerarla per le relazioni che attiva nel contesto fisico in cui si inserisce» (Wurster 1948, p. 7).
L’apertura agli studi urbani conduce l’interesse di Wurster non sull’esito formale del progetto ma sul processo che lo sottende. Lo porta a stabilire il valore dell’architettura nelle relazioni che instaura in virtù del processo di adattamento al sito, al clima, alle regole della società che abita il luogo.
Sono in particolare gli aspetti sociali e climatici ad influenzare maggiormente l’architettura (Wurster 1941, 1947, 1952, 1953). “Land and sunlight” non è solo il titolo di una conferenza del 1947 ma rimanda alle componenti fondamentali che per Wurster influiscono sul progetto.

I caratteri regionali dell’architettura
La riflessione sull’integrazione e sull’adattamento dell’architettura nella regione, che Wurster approfondisce nei suoi scritti degli anni Quaranta, è in realtà matura a livello progettuale già nella decade precedente e si manifesta attraverso precise strategie formali e tipologiche, nelle quali trova declinazione il suo linguaggio architettonico.
Emerge un contributo tipologico che è locale o “topico”, poiché trae dal contesto materiali morfologici, e nel contempo presenta caratteri di essenzialità e semplicità, che ricordano la log cabin dei pionieri. Nel progetto vige la regola dell’economia espressiva, le sue parti sono necessarie e sembrano inevitabili. Alcuni materiali formali sono tratti dall’International Style: regolarità delle proporzioni, assenza di simmetria assiale e di decorazione applicata, composizione focalizzata ai volumi e non alla massa. Tuttavia, la ricerca di un approccio etico, quello regionale, consente di non cadere né nello stile, né nella maniera o nella caricatura. Tendenzialmente Wurster semplifica la composizione per padiglioni di Bernard Maybeck e lavora per dislocazione e aggruppamento. Ricorre a volumi parallelepipedi profondi come un’unica stanza, articolati per slittamento, rotazione o progressione lineare. Il loro collocamento segue il naturale profilo orografico del sito e, congiuntamente alla variazione della loro altezza interna, consente la distinzione di gerarchie funzionali. Le parti edificate hanno una dimensione modesta e discontinua, che modifica lo skyline per punti discreti, col risultato di smorzare la percezione del manufatto. Il basamento e la copertura si assottigliano, ma si distinguono chiaramente dal volume principale, dichiarando consapevolmente l’esilità dei limiti superiore e inferiore dell’architettura. La copertura si modella con aggetti più o meno pronunciati in funzione della geometria solare.
Accanto a tale chiarezza geometrica convive talvolta l’irregolarità nell’impaginato dei prospetti, che manifestano un principio non chiaramente identificabile, rimandando quasi ad una casualità vernacolare.
Wurster privilegia due tipi residenziali specifici in grado di massimizzare il contatto con gli spazi esterni: composizioni lineari aperte oppure impostate attorno ad una corte o patio. La profondità ridotta dei volumi costruiti rende sempre possibile aperture su due o tre lati. Il rapporto fisico e visivo con gli esterni non è concentrato in pochi punti ma coinvolge tutto l’edificio, compatibilmente con gli ambiti funzionali. L’architettura diventa un diaframma permeabile e passante.
Il paradigma del linguaggio architettonico di Wurster è costituito dalla stanza esterna (Brusegan 2013), uno spazio aperto il cui limite fisico tra l’interno e l’esterno è progettato come temporaneo, permeabile allo sguardo, o del tutto assente. A seconda del suo collocamento e dell’intensità di tale limite, essa può diventare una corte, una terrazza, un portico o uno spazio multiuso. In genere è preposta alla sosta, ma può anche essere un luogo di passaggio. Riveste un ruolo sostanziale nel fatto architettonico, di cui costituisce il fulcro compositivo.
Il portico è una diffusa declinazione della stanza esterna. L’utilizzo che Wurster ne fa costituisce un contributo interessante alla tradizione dell’“american porch” (Brusegan 2013). Nei progetti degli esordi si afferma per la sua autonomia funzionale: come soggiorno, percorso distributivo, o addirittura per il riposo notturno. Con il passare del tempo acquista una consapevole valenza climatica, esprimendo più chiaramente l’adattamento alle condizioni fisiche del sito in cui si inserisce.
L’architettura non è solo un frammento del territorio, ma è anche un dispositivo che permette al fruitore di rapportarsi a diverse scale con la regione a cui appartiene. I vuoti sono la strategia per recuperare il rapporto tra la scala paesistica e quella architettonica. La regione partecipa alla progettazione.

L’insegnamento dell’architettura come sintesi
Uno dei contributi fondamentali di Wurster riguarda la trasformazione del MIT e della University of California di Berkeley da atenei di stampo Beaux Arts verso istituti moderni capaci di mettere in sinergia discipline diverse (Peters 1979, p. 36). L’architettura amplia la base anche nei programmi accademici.
Mentre Harvard aveva posto un mentore come Walter Gropius a capo della Graduate School of Design, il MIT attua una strategia diversa, basata sulla scelta di un facilitatore. Una figura che non intendeva diffondere una visione dogmatica ma favorire lo scambio delle conoscenze. Rientra in questo approccio il rifiuto di Wurster verso un corpo docente con la medesima mentalità, a favore di un gruppo di personalità con punti di vista contrastanti, capaci di indurre un “disordine controllato”. Alvar Aalto, Henry Russell Hitchcock, Kevin Lynch, Gyorgy Kepes, ma anche l’italiano Ernesto Nathan Rogers sono alcuni di loro. Scrive Wurster: «non pretendo di essere un grande insegnante, ma conosco il buon insegnamento quando lo vedo e cerco disperatamente di costruire un ambiente adatto ai buoni insegnanti, in modo che possano svolgere facilmente il loro lavoro» (Peters 1979, p. 36).
Wurster modifica i programmi accademici sostituendo un tipo di insegnamento distaccato, elitario e basato sull’esercizio grafico con uno multidiscilpinare e vicino allo studente. Al MIT trasforma i laboratori (fino ad allora valutati per corrispondenza) in percorsi collettivi di sviluppo del progetto. All’ateneo di Berkeley, accanto a nuovi corsi sulla percezione dello spazio ne introduce altri relativi alle discipline che si interfacciano con l’architettura, spostando il centro di interesse dal disegno alla conoscenza dei processi sottesi al progetto. Nel 1959 porta a compimento la fusione dei tre dipartimenti di Architecture, City and Regional Planning e Landscape Architecture in un’unica entità amministrativa, il College of Environmental Design, del quale diventa il primo Dean.
L’insegnamento dell’architettura si rivolge a discipline trasversali, aprendo delle prospettive verso altri ambiti del sapere. «Oggi l’architetto deve nutrirsi dell’intero campo dell’ambiente umano e dell’intero processo che lo precede. Altrimenti morirà di fame» scrive Wurster nel 1944 (Wurster 1944b).
Racchiudere l’ambiente costruito in tutti i suoi aspetti è la trasposizione del concetto di prevalenza del processo sulla forma che egli adottava nei progetti (Wurster 1944b). L’architettura è insegnata come un’arte, la cui componente etica include le scienze sociali, l’economia, la finanza, la geografia e le scienze politiche. Attraverso tutto ciò l’architetto raggiunge la consapevolezza delle regole che governano la vita e dei processi per modificarle. Interfacciandosi ad ambiti non usuali, egli può dare il suo contributo in modo diretto, promuovendo il pensiero progettuale e il design anonimo anche nelle situazioni più comuni (Wurster 1949, pp. 1-4).

William Wurster in prospettiva: le interpretazioni della storia
Alla luce di questa disamina, la sintesi di Marc Treib sul lascito di Wurster appare pertinente: «Vorrei suggerire che l’eredità di William Wurster – oltre al suo contributo accademico a Berkeley e al MIT – non riguarda lo stile o la composizione dei suoi alloggi. Egli ha tramandato la prospettiva che l’architettura è parte di un ambiente progettato più ampio e ha lasciato un lessico di elementi architettonici che sono stati assorbiti nella residenza californiana di oggi» (Treib 1995, p. 74).
La critica alterna la popolarità dell’opera di Wurster a posizioni di disapprovazione o scetticismo, nei confronti di un’architettura che non presenta distinti radicalismi formali, né un impegno culturale particolarmente d’avanguardia.
La tradizione architettonica californiana è considerata uno dei movimenti più interessanti nel panorama dell’architettura contemporanea. Chi lo sostiene, come Talbot Hamlin, non è interessato alla forma di per sé e chi lo osteggia, come Henry-Russell Hitchcock, ne evidenzia le contraddizioni formali.
Il valore della tradizione architettonica della Bay Area e dell’opera di Wurster è stato chiaramente descritto da studiosi locali postumi come John Beach, secondo cui essa non rappresenta uno stile, ma un processo di sintesi e trasformazione, o Paolo Polledri, che la descrive come un approccio di interazione tra paesaggio e gesto antropico, la cui estetica puritana si è formata sulla scia della grande crisi degli anni Trenta e dello spirito efficientista della seconda guerra mondiale.
Il più ardente difensore del Bay Region Style è Wayne Andrews. Egli divulga i progetti di Wurster dei primi anni Quaranta per residenze e uffici. Evidenzia l’assenza di dogmatismi formali, la capacità di integrare spazi interni ed esterni e di rivelare la ricchezza materica del legno locale.
Altri considerano il contributo di Wurster ma non gli dedicano particolare approfondimento. William Jr Curtis definisce il Bay Region Style un’isola di regionalismo guidata da Wurster e Kenneth Frampton include il Bay Region Style nel repertorio del regionalismo critico, senza esaminarlo a fondo (Frampton 1982).
Infine, alcune trattazioni storiche considerano il Bay Region Style un’esperienza minore, alternando un rifiuto ideologico ad un limitato approfondimento, che non fornisce al lettore adeguate giustificazioni, né divulga i progetti più significativi di Wurster. Ad esempio, fino agli anni Cinquanta Sigfried Giedion tralascia la tradizione architettonica della Bay Area come tutto il regionalismo2, Vincent Scully manifesta invece sdegno. Per lui il Bay Region Style è solo una forma embrionale di architettura che, in virtù di un proprio ermetismo e di difficili situazioni contingenti, quali la depressione economica e la guerra, non riuscirà mai ad aprirsi a programmi sociali di più vasto respiro (Scully 1967, 1969).

L’eco di William Wurster in Europa
William Wurster è pubblicato in Europa a partire dal 1937 (anno del suo incontro con Alvar Aalto), quando le sue opere vengono incluse all’interno di riviste d’architettura svedesi e francesi. Raggiungerà il pubblico italiano alla fine del secondo conflitto mondiale, specialmente per merito di Bruno Zevi (1918-2000) e di Ernesto Nathan Rogers (1909-1969) ed Enrico Peressutti (1908-1976).
Zevi frequenta gli Stati Uniti in un momento storico di eccezionale fervore e riscoperta dell’architettura regionale. Instaura uno stretto rapporto di amicizia con Lewis Mumford (Mazzoleni 1998, p. 22) e diverrà uno dei principali interpreti del suo pensiero. Nella prima edizione di “Verso un’architettura organica” del 1945 egli spiega che il cuore della vita artistica statunitense si sviluppa lungo la costa pacifica, nella regione centrale dei Grandi Laghi e nel Sud (Mazzoleni 1998, p. 124). In particolare, in California è presente un movimento che va oltre la produzione di un vasto numero di buoni edifici e costituisce la base di una nuova autentica cultura architettonica (Mazzoleni 1998, p. 135, Zevi 1975, p. 354, Zevi 1950). La prima edizione italiana del libro è pubblicata senza illustrazioni e nelle tavole cronologiche Wurster è citato solo per il war housing del 1941.
Nella prima versione inglese del 1950 il tema viene trattato in modo abbastanza completo nell’economia del volume. Il legame al pensiero mumfordiano è evidente, ma emerge anche un’interpretazione personale. Il Bay Region Style viene definito un vernacolo e il più significativo precedente della tendenza organica. È il movimento architettonico americano più significativo degli anni Trenta e Quaranta e converge con l’empirismo svedese nella risposta alla polemica internazionale per il superamento del razionalismo. William Wurster è descritto come schivo, modesto, una figura a lungo nell’ombra che acquista sicurezza dalla metà degli anni Trenta grazie all’amicizia con Alvar Aalto e al matrimonio con Catherine Bauer (Zevi 1975, p. 354).
Il merito principale della tradizione californiana consiste per Zevi nell’aver svincolato l’America dal giogo culturale europeo, permettendo lo sviluppo di un’autonoma ricerca espressiva, complemento evasivo di una società capitalista imperniata sull’accumulo delle metropoli (Zevi 1975, pp. 361-362).
Nell’articolo che scrive in occasione dell’attribuzione della Gold Medal a Wurster, Zevi interpreta la predilezione di Mumford nei confronti di Wurster come la possibilità di sbloccare una situazione architettonica irretita nel dilemma Wright-Le Corbusier: «Wright era un gigante solitario, di impeto creativo così travolgente da incutere paura. Non se ne poteva trasmettere il messaggio bilanciando l’influenza dei razionalisti. Occorreva superare l’empasse» (Zevi 1971, p. 771).
Il Bay Region Style è stato trattato anche da altri storici italiani. Leonardo Benevolo cita Wurster nella “Storia dell’architettura moderna”, a proposito dei villaggi operai costruiti durante la guerra. Lo definisce un formalista senza approfondirne il motivo (Benevolo 1960).
Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co hanno brevemente trattato il fenomeno architettonico della Bay Area nella “Storia dell’Architettura Contemporanea”. Innanzitutto circoscrivono il Bay Region Style al decennio 1945-55; quindi lo inseriscono all’interno di un quadro più ampio, che esprime il rifiuto verso tutte le ideologie identificate con gli orrori della Guerra, e a cui approdano anche le New Towns inglesi, il movimento neoempirista scandinavo e il movimento organico italiano.
Gli slogan del dopoguerra si spostano verso l’umanizzazione, l’attenzione ai fattori psicologici, l’uso espressivo dei materiali, l’interesse per le tradizioni locali, l’integrazione all’ambiente, l’aderenza al sito.
L’artificiosa riscoperta della natura rientra in un mito neoumanistico tranquillizzante, in contrasto con l’alienazione metropolitana associata ai conflitti bellici. Scrivono gli autori: “Si tratta di un appello ad un rituale tranquillizzante, ricco di qualità consolatorie, non compromesso con le ideologie delle avanguardie messe all’indice; e, principalmente, di un mito antitecnologico e neoumanistico, antiretorico, e quindi volto a realizzare un rapporto positivo con il pubblico, sulla base di linguaggi empirici e confidenziali (Tafuri, Dal Co 1976).

Elementi del lascito di William Wurster
Diversi fattori concorrono a limitare la divulgazione dell’approccio di Wurster all’architettura e all’insegnamento.
La pragmaticità e la modestia del suo approccio – uniti ad un precoce ritiro dalle scene nel 1963 per l’alzheimer cui fa seguito la perdita della moglie nel 1964 – rendono il suo pensiero difficilmente accessibile.
La sua figura anticonformista appare inoltre scomoda a chi ragiona sulla mera forma, senza indagare la matrice culturale che la sottende. In un articolo su Casabella Continuità dell’aprile 1960, Wurster descrive la sua un’architettura popolare, non particolarmente drammatica o rivoluzionaria. Al contrario, non rappresenta teorie intellettualistiche ma reca i segni della realtà in cui è calata ed è considerata come una risposta architettonica efficace e riconoscibile dalle persone. Egli fa riferimento a un “linguaggio regionale” che nasce dalla risposta a bisogni umani legati alla cultura della società ed è condizionato dalle risorse disponibili e dal clima. Se esaminata nella sua oggettualità, la sua opera non presenta particolari tensioni spaziali. È più interessante guardarla invece in relazione a ciò che la circonda e al processo che ne ha influenzato lo sviluppo. Scrive Wurster: «Dal punto di vista del design, forse potrà deludere. Ma se in una società democratica, l’architettura è intesa come arte sociale, le si potrà riconoscere una certa validità» (Wurster 1960, p. 13).
Se pur molto divulgate, le opere di Wurster sono state presentate spesso in veste semplificata e avulsa dal suo approccio culturale, che egli palesa peraltro solo dopo diversi anni e che risulta quindi posteriore a molti progetti.
Lo stesso Lewis Mumford, a cui Wurster deve molto del suo pensiero e che contribuisce alla sua notorietà, utilizza la sua figura in modo strumentale, contribuendo a spostare il fulcro della sua divulgazione verso aspetti marginali. Egli non motiva i suoi giudizi e la stessa definizione di “Bay Region Style” ha un sapore incompiuto, che dà adito ad interpretazioni puramente ideologiche. La sua assunzione a modello di regionalismo dimostra l’esistenza di imprecisioni nella definizione del concetto, nell’uso del termine “stile”, nell’individuazione di manufatti cui riferirsi. Forse tali criticità indicano gli limiti connaturati al tema del regionalismo, che è scivoloso e sfuggente anche per un intellettuale come Mumford.
Le principali interpretazioni avanzate dagli intellettuali italiani nei confronti del Bay Region Style risentono della distanza culturale e temporale e sono altresì influenzate dai personali approcci all’architettura. L’esperienza architettonica della Bay Area oscilla così tra la derivazione wrightiana (nel caso di Zevi) e l’eredità dello Shingle Style (nel caso di Tafuri-Dal Co).
In definitiva, giudicare le opere di Wurster dal punto di vista compositivo è di parziale utilità. Il suo contributo al progetto e all’insegnamento dell’architettura è invece lo spostamento del valore dell’architettura verso le relazioni che instaura nel contesto in virtù del processo che l’ha generata. Un insegnamento di carattere universale e valido anche oggi, un momento storico in cui la responsabilità nell’uso delle risorse è tornata centrale nel dibattito culturale.
«Sono un regionalista nella misura in cui credo che tutti gli edifici siano in un sito specifico, soggetti alle consuetudini e alle norme di quel sito» (Riess 1973). Così si descrive Wurster, riconducendo ancora una volta l’architettura a un problema di relazione con il luogo.


 





1 Si veda a tal riguardo la corrispondenza tra Mumford e Catherine Bauer (dal 1938) e tra Mumford e Wurster (dal 1942) conservata alla University of Pennsylvania, Annenberg Rare book & manuscript Library, Lewis Mumford Papers, ca. 1905-1987 e la corrispondenza tra Mumford e Wurster (dal 1946) conservata alla University of California, Berkeley, Environmental Design Archives, Wurster Dean Collection, Box 7.
2 In “Spazio, Tempo, Architettura” del 1941 Giedion dedica un breve paragrafo all’architettura americana degli anni Trenta senza menzionare il Bay Region Style, né Wurster. Il testo del 1951 “A decade of new architecture” presenta una selezione di progetti in tutto il mondo, dal 1939 al 1945. Wurster, il cui approccio regionale in questo arco temporale raggiunge l’apice, è menzionato per lo Stern Dormitory della University of California – Berkeley, del 1940, del quale si loda l’integrazione nell’orografia. Nel 1958 in “Architecture, you and me” (conosciuto in Italia come “Breviario di architettura”) Giedion teorizza un “nuovo regionalismo”, affine nei contenuti alle idee mumfordiane.