Constantinos Doxiadis e la sua Entopia. La promessa di un’utopia moderata e di un modernismo umanizzato 

Panayiota Pyla



Constantinos Doxiadis (1913-1975) espone la propria visione architettonica e progettuale a metà degli anni ‘50, collaborando con istituzioni finanziarie internazionali e con governi nazionali, per progettare complessi residenziali, piani urbanistici e grandi infrastrutture in tutto il mondo1. Alla fine degli anni ‘60, la Doxiadis Associates con sede ad Atene apre filiali negli Stati Uniti, in Africa e nel Medio Oriente, e diviene famosa per le sue imprese meticolosamente organizzate. Lo stesso Doxiadis veniva presentato in famose pubblicazioni – come Life Magazine e The New Yorker – come un “impegnato ristrutturatore del mondo” o come un “progettista del mondo”, che avrebbe cambiato la vita di milioni di persone (Life 1966, Rand 1963). Una fotografia scattata verso la fine della sua vita è emblematica dell’atteggiamento di Doxiadis nei confronti dell’architettura e dell’urbanistica moderna. La fotografia ritrae Doxiadis che indica un disegno raffigurante una ideale “Metropoli del Mediterraneo” per il XXII secolo, in cui, in atteggiamento didattico, offre un immagine di sé come di un eroe modernista che delinea le soluzioni alle situazioni urbane del tempo. Molto simile ai predecessori modernisti, Doxiadis assunse con orgoglio una distanza oggettiva, ma l’immagine allude anche alla particolarità dell’ambizione di Doxiadis: avendo incominciato a praticare negli anni ‘50 e ‘60, quando il modernismo era già stato esaminato, Doxiadis proietta un diverso ethos visionario. A differenza dei primi eroi modernisti come Le Corbusier o Ludwig Hilberseimer, che guardavano alle città da altitudini simili a quelle di un Dio, Doxiadis è “più vicino alla terra”, sia letteralmente (in termini di punto di vista della foto) che metaforicamente.
Questo saggio analizza i modi in cui Doxiadis perseguì una strategia modernista alternativa, nel periodo che seguì la seconda guerra mondiale, avanzando una visione urbana che sottolineava l’importanza dell’architetto e del pianificatore come agente di riforma globale, rimettendo in discussione gli eccessi dell’individualismo e del razionalismo. Le pagine seguenti analizzano l’enfasi di Doxiadis sulle considerazioni multidisciplinari del processo di progettazione e l’impatto globale delle problematiche urbane che avrebbero consentito all’architetto di sfidare l’individualismo e l’imprevedibilità delle firme di progettazione e di connettere l’architettura con nuove e coraggiose cause globali emerse nel dopoguerra: vale a dire, il progresso tecnico-scientifico, la modernizzazione socioeconomica e, poco dopo, la tutela ambientale.

Architetti ridefiniti
Le proposte architettoniche e progettuali di Doxiadis, per un futuro migliore, erano invariabilmente in contrasto con i problemi urbani del secondo dopoguerra, cosa che egli sottolineava nei suoi scritti e discorsi. Scrittore prolifico e relatore carismatico, analizzò le situazioni urbane agli incontri delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale, presso prestigiose università americane ed europee, durante programmi radiofonici in diversi paesi, su riviste specializzate e riviste popolari, avvertendo il problema dell’incontrollata espansione delle città e dell’imminente distruzione dell’habitat umano. Egli individuò due cause principali per questa crisi urbana globale. Da un lato, una causa era condizionata dallo sviluppo del secondo dopoguerra, soprattutto dagli enti internazionali e dalle organizzazioni governative che, abbracciando la spinta dello sviluppo socioeconomico, professavano la necessità di integrare il mondo non industrializzato, del sud, nella struttura economica e politica dei paesi del nord, per porre poi l’accento sui criteri economici piuttosto che sull’ambiente fisico. Dall’altro, Doxiadis accusò architetti e pianificatori per non aver risposto ai crescenti compiti della ricostruzione postbellica e dello sviluppo internazionale (Doxiadis 1945, Doxiadis 1963). Ciò che era necessario, sosteneva Doxiadis, era che gli architetti riconcettualizzassero la professione dell’architetto e si reinventassero globalmente come panificatori ed esperti di sviluppo, guidando cosi lo sforzo di modernizzazione planetaria (Muzaffar 2012, Pyla 2013b). Il suo primo libro (Doxiadis 1963), Architecture in Transition, sosteneva proprio questo punto. Il nuovo architetto esperto dei processi per lo sviluppo, immaginato da Doxiadis, doveva essere allo stesso tempo più ambizioso e più realistico. Ambizioso, nel senso di pensare in grande, per trasportare le questioni architettoniche su scala planetaria, per considerare le questioni interdisciplinari e per progettare soluzioni a lungo termine. Realistico, per evitare visioni utopistiche, rifiutando l’individualismo e l’espressione artistica personale per riconoscere l’inevitabilità delle tendenze socioeconomiche globali contemporanee.
Esaminiamo più dettagliatamente le ridefinizioni dell’architetto da parte di Doxiadis, a partire dalla sua intenzione per ampliare lo scopo della professione.
Doxiadis si afferma come protagonista nella scena internazionale per le consulenze riguardanti lo sviluppo, dopo essere stato coordinatore dell’assistenza del Piano Marshall in Grecia, egli inoltre partecipa alle missioni di assistenza tecnica delle Nazioni Unite e della Banca mondiale, diventando consulente di diversi stati nazionali di nuova costituzione come quelli delle ex colonie. Doxiadis propone che l’architetto collabori in modo più esteso e sistematico con scienziati, tecnici, con i poteri statali e istituzioni internazionali per lo sviluppo. Questa proposta riecheggiava l’ethos taylorista della Carta di Atene, il manifesto dell’urbanesimo modernista del 1933 che sosteneva l’urbanizzazione razionale ed efficiente, che doveva essere sviluppata da un potere statale centrale sotto la guida di esperti pianificatori2. In quell’occasione Doxiadis abbracciò l’ottimismo sociale di quel modello tecnocratico che apparve ancora più allettante dopo la seconda guerra mondiale, quando i compiti della ricostruzione, risistemazione e urbanizzazione in molte parti del globo aumentarono la necessità di oggettivare, tracciare e analizzare bisogni, risorse, e relazioni sociali.
Doxiadis fu anche critico nei confronti delle precedenti definizioni moderniste dell’architetto per molti altri aspetti. Molto simile a Sigfried Giedion che, nel 1941, aveva espresso l’esigenza di rimarginare la separazione tra “pensare e sentire” (Giedion 1941), Doxiadis criticò inoltre la concezione meccanicistica del funzionalismo prebellico dei CIAM, parlando della necessità di soddisfare “la totalità dei bisogni umani” (Doxiadis 1963, p. 24). Gli sforzi di Doxiadis, per trascendere il funzionalismo, non seguirono quelle tendenze post belliche che si trasformarono in rappresentazioni simboliche o estetiche (ad esempio, Utzon), e non rigetta la professionalizzazione dell’architettura e della pianificazione a favore del vernacolare (come per esempio Rudofsky). Doxiadis si unì invece, presso quegli architetti che nel dopoguerra cercarono di umanizzare il modernismo, stabilendo nuovi allineamenti con il quadro concettuale della disciplina. A tal fine, Doxiadis sviluppò una sua scienza completamente nuova. La chiamò “Ekistic” e questa si caratterizzò come “la” Scienza degli insediamenti umani “che mirava a coordinare le analisi di economia, geografia, sociologia, antropologia e altre discipline, al fine di affrontare al meglio i problemi extra-tecnologici e non-funzionalisti e le preoccupazioni legate alla progettazione e alla costruzione dell’ambiente fisico. In un periodo in cui le scienze sociali stavano fiorendo, Ekistic cercò di sistematizzare le connessioni tra l’architettura e la progettazione con la psicologia, la sociologia e l’antropologia, alla ricerca di indizi su come conciliare il funzionalismo con le preoccupazioni umanistiche e su come modificare la razionalizzazione della produzione architettonica.
L’ethos multidisciplinare di Echistica venne catturato in un diagramma che diventò un marchio di fabbrica per Doxiadis Associates. Intitolato “Echistica e le scienze che contribuiscono direttamente allo stesso”, il diagramma rappresentava l’Echistica come una scienza a sé stante, a cui contribuiscono insieme “economia”, “scienze sociali”, “scienze politiche e amministrative”, “discipline tecniche” e “discipline culturali”. L’idea di incorporare le scienze sociali per aumentare la strumentalità sociale dell’architettura non era certo sconosciuta nel discorso architettonico postbellico. Gli stessi sociologi avevano iniziato tali collaborazioni nello sforzo di cogliere l’impatto dell’ambiente fisico sul comportamento umano e sui modelli sociali. L’Echistica, tuttavia, aspirava a portare queste collaborazioni interdisciplinari al dominio della pianificazione fisica. L’obiettivo finale era lo “Sviluppo”, il cerchio più grande che poteva circoscrive tutti i processi, senza permettere che nulla cadesse al di fuori della sua logica. Nel frattempo, le relazioni statico-simmetriche del diagramma avrebbero potuto ignorare le complicate incommensurabilità tra le discipline, tuttavia Doxiadis affrontò questi problemi sostenendo un dialogo tra le diverse discipline attraverso l’organizzazione dei Symposi di Delos: eventi annuali di una settimana (1963-75), inizialmente modellati come gli incontri CIAM, per quanto i partecipanti invitati avessero i più diversi background in termini di geografie e discipline. Questi incontri si muovevano parallelamente al lavoro dello studio Doxiadis e della sua associazione in generale, non avendo necessariamente una corrispondenza immediata con le teorie e i metodi di Echistica, o con l’attività della Doxiadis Associates (Wigley 2001, Richards 2012, Pyla 2015, Shoshkes 2013).
A prescindere dalle affermazioni dell’autorità scientifica, ciò che rese particolarmente gradite alle istituzioni internazionali e ai governi nazionali le argomentazioni di Echistica e di Doxiadis sull’architettura e lo sviluppo, fu la promessa che l’Echistica avrebbe potuto rendere gli interventi costruiti più attraente e convincente per le culture locali. Anche se si riteneva che l’Echistica incarnasse le verità scientifiche con applicabilità transnazionale, Doxiadis sosteneva parimenti, la necessità di rispondere ai bisogni e alle condizioni di ogni situazione locale. A tal fine, le operazioni della Doxiadis Associates (DA), nei diversi paesi, furono accompagnate da ricerche sul campo e da indagini sulle condizioni climatiche e locali dei metodi costruttivi, sulla distribuzione demografica, sulle scelte e sui costi dei materiali o sui benefici termici degli elementi costruttivi. Molto spesso, i membri della Doxiadis Associates la luce o dei dettagli della costruzione. Ciononostante, queste manifestazioni locali dovevano conciliarsi con una preferenza generale per la regolarità formale e l’economia dei mezzi, per non parlare del disprezzo della DA per la stravaganza monumentale e scultorea3. Questa tensione tra la particolarità del locale e quella dell’ordinarle in modo razionale attraversò l’intero lavoro della DA in tutto il mondo. Il successo di Doxiadis nell’assicurare commissioni in così tanti contesti diversi spesso derivò dal modo in cui questa tensione era stata affinata, attraverso la sua retorica visionaria, ma anche attraverso le sue abilità interpersonali e la sua stessa identità quasi-occidentale4. Gli studi attuali hanno talvolta visto questi processi di adattamento al locale con il sospetto di strategie orientalizzanti (Pyla 2008, Daechsel 2015). Tuttavia, si possono ancora scoprire una varietà di sfumature negli interventi della DA che si confrontano favorevolmente con il procedere dal generale al particolare, nell’intervento della costruzione delle nazioni e della modernizzazione della seconda metà del XX secolo (Pyla 2013c).

Città ri-ordinate
Doxiadis trasmigrava comodamente in diversi contesti, quello che sembra averlo distinto da molti altri “esperti” fu la sua enfasi sulla dimensione spaziale e fisica dello sviluppo socioeconomico, ovvero l’urbanizzazione e la trasformazione generale dell’ambiente fisico. Influenzato dalle tendenze postbelliche nella pianificazione regionale, che collegavano l’industrializzazione urbana alla crescita economica, Doxiadis considerò l’espansione delle città come irreversibile, ma riconobbe il potenziale dello sviluppo rurale e dell’ambiente fisico come mezzo per la modernizzazione, piuttosto che quello dell’industrializzazione (Phokaides 2018). Il suo concetto di “dynapolis” – una città che cresceva in modo dinamico, con il passare del tempo – era uno dei molti neologismi che miravano a riconcettualizzare la crescita urbana. Allo stesso modo, i suoi piani regionali (ad esempio la strutturazione del Triangolo del Fiume Volta), o le sue linee guida per lo sviluppo rurale in Africa, miravano a guidare una trasformazione razionale e ordinata dell’ambiente fisico (Phokaides 2018, 2013, Provoost 2015, Pyla and Papadopoulos 2014). Tutte queste strategie di pianificazione erano basate sui principi dell’Echistica, sull’intreccio di edifici e comunità con reti di trasporto e comunicazione, modelli sociali e paesaggi naturali. Inoltre, proprio come venne esaminata la tradizione locale, evidenziando la sensibilità per le unicità, la DA sosteneva anche la ricerca macroscopica delle regioni più vaste, anche in assenza di commissioni ufficiali o finanziamenti esterni, al fine di evidenziare la preoccupazione dell’Echistica per grandi conglomerati urbani. Doxiadis parlava di Echistica come di una scienza degli “insediamenti umani”, non di architettura o di pianificazione, proprio per comprendere la molteplicità dei livelli dell’ambiente costruito. La pianificazione per la ristrutturazione di Baghdad del 1958 fu lanciata nel contesto di un programma nazionale di edilizia abitativa residenziale per l’Iraq. Il “progetto dell’area di Detroit” fu inserito nel quadro più ampio delle “megalopoli nell’area dei grandi laghi”. Ancora, nel 1961, la progettazione della nuova capitale pakistana di Islamabad, venne inserita nella rete globale di “ecumenopolis”, una rete coordinata di città (e aree naturali) che lo stesso Doxiadis si immaginava ricoprire l’intero globo terrestre entro la fine del XXI secolo (Pyla 2009, Katsikis 2013). Tutti questi progetti avevano in un certo senso anticipato la visione sociale e formale della “entopia”, come verrà spiegato di seguito.
Nella retorica di Doxiadis, la ristrutturazione degli insediamenti umani era una questione di interpretazione realistica delle tendenze dominanti del dopoguerra. La sfida quindi, per l’architetto/pianificatore, non era quella di fermare lo sviluppo metropolitano, ma di gestire la crescita in modo da mitigare gli effetti dell’urbanizzazione e l’impatto della modernizzazione (Doxiadis, Douglass 1965). Naturalmente, la conformità “realistica” di Doxiadis alle tendenze socioeconomiche dominanti implicava preferenze politiche specifiche. Anche se Doxiadis avrebbe inquadrato la sua impresa in senso apolitico e tecnocratico, i suoi progetti miravano a facilitare l’integrazione dei cosiddetti paesi “sottosviluppati” nella struttura economica e politica del dopoguerra, favorita dal governo degli Stati Uniti, dalle Nazioni Unite e da altri enti preposti allo sviluppo. Allo stesso modo, la sua retorica sul ruolo dell’architetto (discussa sopra) e la logica complessiva della “crescita” nelle analisi dell’Echistica alludevano all’espansione capitalista. Tutto ciò era naturalmente intrecciato con gli antagonismi geopolitici della guerra fredda, anche se mantennero comunque le loro sfumature, come vedremo in seguito.
Un caso esemplificativo per mostrare l’estensione dell’allineamento di Doxiadis con il discorso sullo sviluppo internazionale negli anni ‘60, è il carattere a lungo termine dei suoi piani, che miravano a tempistiche secolari e all’interno di un futuro lontano. I programmi di sviluppo a breve termine dei decenni precedenti agli anni ‘50 avevano già dimostrato di non riuscire a ridurre il divario “Nord-Sud”. A differenza dei paesi dell’Europa devastati dalla conflitto, che erano stati in grado di raggiungere un impressionante slancio di crescita nel mezzo decennio dopo la guerra, i paesi in via di sviluppo, negli anni ‘60, necessitavano di una pianificazione a lungo termine e gli esperti dello sviluppo stavano spostando sempre più l’attenzione su ciò che Barbara Ward (nota economista britannica e una delle amiche e più strette collaboratrici di Doxiadis, che aveva frequentato i Simposi di Delos) aveva considerato “più saggio pensare a mezzo secolo” (Ward 1966). La convalida della pianificazione a lungo termine nei programmi di ricerca dell’Echistica rafforzò così la tendenza ad estendere il periodo di sviluppo.
L’idea di una plausibile “Metropoli del Mediterraneo”, a cui Doxiadis stava puntando nella foto menzionata all’inizio del saggio, era la manifestazione di una “entopia” – termine coniato da Doxiadis – per distanziare la sua visione dagli aspetti irrealizzabili dell’utopia, mantenendone comunque gli ideali visionari. Doxiadis aveva inteso le utopie urbane e moderniste descrivendole “non come obiettivi da conseguire ma come obiettivi da sognare” (Doxiadis 1968a, p. 56), e, con un gioco di parole sull’etimologia dell’utopia (ou-topos significa “nessun luogo”), Doxiadis aveva creato il neologismo “entopia” che, come aveva spiegato, significava “in atto” proprio perché la sua visione urbana creava un equilibrio tra aspirazione e realismo. A differenza di Radiant City o Broadacre city, che erano, nelle sue parole, “utopie che non possono o non dovrebbero essere implementate per vari motivi”, la sua proposizione combinava “la ragione con il sogno”. Nella sua mente, la proposta “Metropoli del Mediterraneo” organizzava il tessuto urbano secondo una sua estetica prediletta, accennando agli allineamenti che voleva fare in termini di visioni socio-economiche, anche se non rientrava nella loro logica.
La nozione di “entopia” riassumeva infatti i principi di progettazione e pianificazione sostenuti da Doxiadis. Questo rendering fu prodotto da Doxiadis Associates e rappresentava un “ambiente fisico armonioso” che tentava di mitigare gli effetti dell’industrializzazione e della modernizzazione e di preservare i valori umani nelle città. Cosa significava “armonia”? Proprio come i piani per Baghdad, Islamabad e altrove nel mondo, un ambiente urbano armonioso, per Doxiadis, significava enfatizzare le basse densità, evitare edifici alti e, nel complesso, assumere un atteggiamento piuttosto antiurbano, favorendo una metropoli di conurbazioni. Questa estetica dell’ordine diede risalto alla leggibilità del piano e venne spinta ai suoi limiti nella futura Metropoli del Mediterraneo, nella disposizione sotterranea dei mezzi di trasporto moderni (le autostrade sostituite da quelle che Doxiadis chiamava “strade profonde”). Anche le fabbriche dovevano essere ipogee, al di sotto di installazioni pubbliche o spazi verdi aperti. Come se l’armonia fosse ottenuta mettendo tutte le intrusioni della meccanizzazione fuori dalla vista! Apparentemente le fabbriche erano intese come elementi puramente utilitaristici, e non come luoghi abitati da innumerevoli lavoratori, e questo risultò ironico, in quanto riecheggiava la rigida logica di zonizzazione della Carta di Atene, che non aveva riconosciuto la molteplicità degli usi negli spazi di “lavoro” o della “circolazione”. Un’altra ironia della metropoli mediterranea di Doxiadis era l’immenso costo dell’energia che sarebbe stata necessaria per tenere lontane le intrusioni della meccanizzazione e trasferire strade e sistemi meccanici ingombranti: era un prezzo equo da pagare per creare città visivamente ordinate? (Doxiadis 1968b).

Una società armonizzata
Si può confutare la suddetta critica proponendo che, nonostante le proclamazioni di Doxiadis di tenere lontane le precedenti utopie moderniste, la sua “entopia” non era intesa per essere presa alla lettera, ma piuttosto serviva agli scopi di un manifesto radicale, ad una critica del presente e a spingere le persone ad agire. Anche se si accetta l’entopia come uno strumento concettuale, tuttavia, ci si interroga sulla sua estetica sull’ordine e sui modi in cui questa estetica fu trasferita anche alla logica dell’ordine sociale: il rendering mostra una metropoli conurbata organizzata come una miscela di comunità obbedienti alle comuni leggi di zonizzazione. Alcune comunità, come quella sulla collina a sinistra, erano vecchie comunità che sarebbero state preservate, apparentemente per rispetto dei tradizionali modelli di vita. Altre zone erano composte da nuovi edifici, apparentemente con intenti economici e di efficienza. La maggior parte delle comunità era aperta a tutti i gruppi religiosi, mentre alcune erano religiosamente omogenee, si presume per soddisfare esigenze religiose distinte. Questa strategia inclusiva non sofisticata è forse meglio esemplificata dall’incorporazione di una comunità nudista (a destra) al fine di soddisfare anche quegli interessi particolari. Tutto sommato l’ordine sociale dell’entopia avanzava una versione semplice del pluralismo che presupponeva una risoluzione delle tensioni sociali, e anche se ogni comunità avesse avuto “il proprio carattere speciale”, ogni cosa sarebbe stata “integrata in un tutto armonioso” (Doxiadis, 1966, Doxiadis 1974). In definitiva, “Entopia” era l’epitomo dell’ottimismo di Doxiadis per un futuro egualitario e pacifico in cui le lotte etniche, razziali e di genere sarebbero state percepite attraverso il prisma di un idealismo cosmopolita che rendeva la politica obsoleta.

Un ambiente equilibrato
L’estetica dell’ordine di Entopia, insieme alla retorica della serenità e dell’armonia che accompagnava la descrizione di Doxiadis, accennava anche alla sua visione ambientale. Poiché le preoccupazioni ambientali si stavano diffondendo alla fine degli anni ‘60, Doxiadis iniziò anche a riconcettualizzare il suo impegno di lunga data per contenere e gestire l’urbanizzazione e l’industrializzazione, in termini di esigenze ambientali. Alla luce dei problemi ambientali, l’entopia prometteva di ripristinare “l’equilibrio dell’ambiente umano” e di recuperare le qualità fisiche degli insediamenti passati. La retorica sull’equilibrio tra natura e società, avanzata da Doxiadis, specialmente nel suo ultimo libro, Ecology and Ekistics, era piuttosto indicativa del modo in cui percepiva i problemi ambientali del tempo e la loro soluzione.
Nella visione urbana di Doxiadis, l’esigenza ecologica non veniva affrontata con tecnologie sofisticate (come quelle suggerite da Buckminster Fuller per quanto riguardava la chiusura delle città in cupole o la proliferazione di progetti geografici), piuttosto, ciò che costituiva il compito ecologico dei costruttori, era il recupero selettivo delle qualità fisiche perdute, la loro riorganizzazione illuminata e la loro diffusione su larga scala (Martin 1997).
Come i problemi sociali, le preoccupazioni ambientali sarebbero state affrontate attraverso una gestione scientifica avanzata, e non necessariamente con tecnologia avanzata. In effetti, l’immagine di un insediamento urbano “equilibrato” era altrettanto attraente per bilanciare l’architettura stessa, come per distaccarla dagli eccessi formali del modernismo – edifici stravaganti, progetti di firma narcisistica e utopie tecnofile. Naturalmente, la proposta di Doxiadis comportava anche interventi tecnologici radicali, atti al rimescolamento delle reti di popolazione e quelle di trasporto e la creazione di enormi strutture sotterranee. Tuttavia, l’insediamento risultante (entopia) ebbe una familiarità apparentemente “low-tech”, coerente con le affermazioni di Doxiadis relative alla prudenza e al pragmatismo.

Conclusione
Il rendering di entopia era una rara modalità di rappresentazione per Doxiadis, insolito per un approccio che prediligeva grafici e diagrammi per comunicare le sue idee. Eppure questo disegno riuscì a riassumere il ruolo di Doxiadis come un campione di soluzioni intermedie: in un periodo in cui il modernismo era sotto esame, Doxiadis cercò di riformare il razionalismo, piuttosto che rifiutarne l’ethos e i principi. Inoltre, al tempo in cui il discorso sullo sviluppo era fiorente, Doxiadis cercò di moderare il suo impatto sociale, spaziale e ambientale, piuttosto che sfidarne il paradigma economico. Nonostante la sua enfasi sulle soluzioni intermedie, tuttavia, Doxiadis sembrava coinvolto con grande zelo dalle buone possibilità della gestione centralizzata, abbracciando, forse troppo rapidamente, l’assunto che quel tipo di modernizzazione e sviluppo avrebbe superato gli ineguali contorni sociali delle comunità locali o delle dinamiche geopolitiche.
Nonostante i limiti delle sue dichiarazioni apolitiche, la visione di Doxiadis era incentrata sul tentativo di combinare il “meglio dei due mondi”: la messa in discussione delle prime pratiche moderniste e la considerazione delle potenzialità della razionalità scientifica, la promozione dello sviluppo socio-economico e la tutela della giustizia sociale e della protezione ambientale, la considerazione delle particolarità locali e l’adozione di preoccupazioni sovranazionali. Forse ancora più importante fu la forte attenzione dell’Echistica sull’ambiente fisico come base per la contemplazione delle tensioni tra uno sviluppo globale e le culture locali, in modo da resistere alle opinioni dominanti sulla globalizzazione e sulla sostenibilità. Ecco perché la ricerca di Doxiadis per un approccio sfumato sulle situazioni globali merita un nuovo sguardo: la storia dell’Echistica può offrire una critica alle attuali valutazioni sulla globalizzazione come una monocultura globale di reti di mercato e di informazione. Simultaneamente, il pensiero di Doxiadis sfida quelle tendenze di sviluppo sostenibile che resuscitano inequivocabilmente la razionalità tecnoscientifica come soluzione definitiva alle esigenze ambientali, perché, nonostante le sue insidie, Doxiadis era piuttosto astuto nell’individuare il significato dello spazio fisico e per sfidare le visioni economicistiche dello sviluppo e dell’ambiente.



 





1 Questa presentazione sull’Entopia di Doxiadis scritta per il numero di FAMagazine fornisce una panoramica generale sulla pratica di Doxiadis. Per maggiori dettagli sulla ricerca dell’autore su Doxiadis vedi: Pyla (2009), p. 6-35; Pyla (2013), pp. 167-189.
2 La Carta di Atene aveva attinto i principi della gestione scientifica di Frederic Taylor (1911) che risalgono alle proposte di Saint-Simon per una vita sociale ingegnerizzata e razionale; in quanto tale, la Carta di Atene ha catturato le fazioni tecnocratiche dei membri CIAM negli anni ‘30.
3 Per un’analisi dettagliata dell’Echistica tradotta in progetto vedi: Pyla (2007), Pyla (2008).
4 Come osservò perspicacemente il New Yorker, la nazionalità greca di Doxiadis lo liberò dallo stigma coloniale e potrebbe aver contribuito al suo appello per i clienti nel Sud del mondo. Per il ruolo cruciale giocato da Doxiadis, vedi anche il libro (in Greco) di Philipides, Φιλιππίδης, Δ. (2015).