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Deputati

Il futuro non (è) scritto
«Quando qualcuno, in un prossimo o lontano futuro, traccerà la storia dei concorsi di architettura italiani, dal ’45 in poi, non avrà, crediamo, molte difficoltà a leggervi una vicenda costante, caratterizzata dal naufragio delle proposte culturalmente preminenti, da risultati che vedono accomunate nei carrozzoni dei premi ex-aequo le più distanti soluzioni, e dallo sfociare, il più delle volte, in un nulla di fatto finale.»[1] Con queste parole si apriva Il concorso per i nuovi uffici della Camera dei Deputati. Un bilancio dell’architettura italiana; da allora non molti testi, o articoli di natura accademica, si sono occupati in maniera programmatica ed estensiva del concorso per l’ampliamento della Camera dei Deputati del 1967. Una vicenda nota e al contempo dimenticata, consumata – forse completamente – nell’atto stesso della sua conclusione. Una vicenda della quale sappiamo molto e che rileggiamo comunque, continuamente, attraverso gli stessi sguardi. È lo sguardo della critica politica, lo sguardo di chi vuole denunciare quella incolmabile distanza tra potere e architettura nella cultura italiana, lo sguardo di Manfredo Tafuri, biografo per elezione della vicenda del concorso – la foto aerea di Roma che, non credo casualmente, campeggia quale prima immagine nell’introduzione dei curatori è la stessa, bellissima, con cui lo storico romano aprì il suo volume sugli esiti del concorso agli inizi del ’68. L’Ampliamento della Camera dei Deputati. Letture e prospettive per il progetto fa parte di quella limitata selezione e cerca di allontanarsi e affrancarsi, solo in parte ad essere onesti, da questo solco comune sino ad ora descritto.
Ma, per comprendere la natura e soprattutto l’interesse esercitato da questo testo, è necessario porsi una domanda. Quale significato riveste per noi, oggi, questa vicenda? Nello scorrere le pagine che compongono il volume non ho potuto fare a meno di domandarmelo, e credo vi siano due risposte a questa domanda, o almeno due sono le risposte che il testo ci suggerisce. Una prima risposta è esplicita, presente già nelle pagine della prefazione come in quelle dell’introduzione degli stessi curatori. Riflettere sugli strumenti propri della trasformazione della città storica attraverso un caso studio, a cinquant’anni di distanza, e tentare di trarre delle conclusioni positive sul progetto del nuovo nell’antico. Non è quindi la stesura di un bilancio critico definitivo, termine che caratterizzava il sottotitolo del volume di Tafuri, a muovere le riflessioni di ricercatori e dottorandi, bensì la ricerca di principi e valori che consentano di affrontare il progetto, delle nuove prospettive. Una seconda domanda si fa, però, allora strada. Perché riflettere sul progetto contemporaneo all’interno della città storica attraverso una vicenda che si è configurata – forse fin dall’inizio, dalla stesura stessa del bando, seguendo una traccia condivisa all’interno dello stesso volume – come una rinuncia? Perché soffermarsi su di un caso tanto controverso quando si potrebbero rintracciare, quali casi studio, progetti contemporanei di pregio all’interno di città storiche come Parigi o Vienna? Quando gli stessi progetti del concorso, anche volendoci limitare ai 18 vincitori ex aequo, si è riconosciuto all’interno del volume, non erano allo stesso livello delle coeve sperimentazioni internazionali? Di certo il nodo – termine da intendersi nella sua duplice accezione di luogo e di evento – costituito dal palazzo del potere e dal concorso del ‘67 rappresenta un evento di particolare rilievo nella storia italiana, ma non è solamente questo. Nel secondo volume, degli unici quattro pubblicati, delle sue Considerazioni Inattuali, Friedrich Nietzsche riconosceva l’utilità della storia unicamente nell’idea di una storia quale forza creatrice, in opposizione all’idea di una storia quale forza paralizzante, di una storia quale danno per la vita dell’uomo. E per quanto il dibattito sull’utilità della storia si riaffacci ciclicamente, anche nell’architettura, credo ci si possa ritenere equanimemente concordi sulla fondatezza di tale assunto. La storia quale forza creatrice. In tale assunto si situa la seconda risposta, probabilmente meno esplicita e denunciata ma che emerge con forza, che ci viene fornita dal testo.
Esito corposo di tre differenti seminari di ricerca condotti all’interno del Dottorato di Ricerca in Architettura e Costruzione, il volume risente di tale genesi didascalica e si organizza in tre parti, la cui natura è chiaramente denunciata dai nomi delle sezioni stesse: una prima rassegna di saggi critici, i contributi, ad opera di studiosi e ricercatori che riflettono su alcuni nodi teorici e metodologici, ed una seconda e terza parte, letture e schede, i cui nomi rimandano con grande agilità alla natura quasi strumentale di tali sezioni e che rappresentano i risultati sensibili dei seminari di ricerca e propongono una riflessione incentrata sul progetto. Ogni sezione del volume presenta una propria autonomia, le cui parti risultano nel loro insieme e al loro interno, in una certa misura, slegate nel testo ma tenute assieme dalle intenzioni. E per quanto una tale, frammentaria, natura potrebbe far pensare ad una netta suddivisione delle tesi (tra i capitoli), così non è; risulta arduo, e forse controproducente, tentare di associare ad una data sezione del testo una singola tesi.
I contributi e le schede rappresentano, nel loro insieme quella raccolta di riflessioni che possono condurre ad una conoscenza positiva sul progetto nella città storica. E lì dove la prima sezione affronta quasi per salti, attraverso l’intervento di studiosi e ricercatori, questioni relative alla cultura architettonica degli anni ’60 e all’intervento nel contesto storico così come alla lettura morfologica della città storica e agli strumenti del progetto, la terza ed ultima sezione del volume si compone di studi e schede originali elaborati per successivi raffronti, letture comparative e analisi rigorose – probabilmente la parte più rigorosa e forse scientifica dell’intero volume che acquista, in alcune sue espressioni, una natura quasi tecnico-amministrativa – e che tenta di rispondere ad alcune, strumentali, domande. Quale idea di palazzo del potere? Quali gli esempi più convincenti sviluppati negli ultimi anni? Come valutarli? Come scrivere un bando oggi? A queste domande viene data una risposta che è, in parte, già progetto.
Se i contributi e le schede si compongono quindi come i risultati più solidi del testo, è nelle letture, invece, che si può ritrovare, accettando alcune innegabili ingenuità, la sezione più interessante del volume. Non perché i testi redatti dai dottorandi inaugurino filoni di ricerca nuovi sui singoli progettisti protagonisti del concorso, o per l’uso di fonti inedite che possano consentire interpretazioni originali, bensì perché, pur nella loro, riconosciuta, disomogeneità, i brevi scritti che compongono questa seconda parte del volume, se afferrati nel loro complesso, alternando resoconto e narrazione, racchiudono in nuce la scrittura di una storia possibile. Indagando ciò che non è avvenuto si fa strada, quasi autonomamente, una riflessione su ciò che sarebbe potuto accadere, su quali altri progetti si sarebbero potuti sviluppare. Una, forse implicita, apertura al futuro, una storia possibile quasi in contrapposizione ad una storia che non è avvenuta, legata ad un periodo in cui tutto, o quasi, sembrava possibile.
Nel suo complesso, tutta la ricerca che soggiace alla scrittura de L’Ampliamento della Camera dei Deputati è una ricerca tesa al futuro e in ciò risiede, mi sento di poter asserire, il pregio di tali letture, contributi e schede. Una ricerca che vorrebbe smuovere, sovrastimando forse – ma non è per forza un male – gli effetti che l’operato della comunità scientifica riesce a generare in Italia su quella politica, una situazione di immobilità a causa della quale, lì dove giace quel «relitto urbano compreso tra Via di Campo Marzio e Via della Missione», tutto quello che oggi vediamo è un triste, alto recinto al di là del quale dimora un parcheggio metallico; tutto farebbe pensare ad una struttura temporanea, così non è.
Ma, citando un documentario di circa dieci anni fa, il futuro non è scritto.[2]

Matteo D'Emilio

Note

[1] 1 Tafuri M., Il concorso per i nuovi uffici della Camera dei Deputati. Un bilancio dell’architettura italiana, Edizioni universitarie italiane, Venezia 1968, p. 9.
[2] Il documentario cui si fa riferimento è un documentario del 2008 dal titolo Il futuro non è scritto - Joe Strummer, diretto da Julien Temple. Un documentario corale sulla vita del chitarrista Joe Strummer.





Curatori: Paolo Carlotti, Anna Irene Del Monaco, Dina Nencini
Titolo: L’ampliamento della Camera dei Deputati. Letture e prospettive per il progetto
Lingua del testo: italiano
Editore: FrancoAngeli
Collana: Lettura e progetto. Nuova Serie FrancoAngeli
Caratteristiche: formato 17x24 cm, brossura, bianco e nero
ISBN 9788891751027
Anno: 2018