Il progetto del Museo del Mare a Palermo tra storia, ordine e regole dell’architettura

Cesare Ajroldi




Nella città contemporanea il tema dei musei è diventato centrale: possiamo affermare che in ogni città le nuove architetture per l’esposizione sono l’obiettivo principale delle attenzioni dei visitatori. Dai casi emblematici del Beaubourg e del Guggenheim di Bilbao alle moltissime realizzazioni recenti, i musei costituiscono un inestimabile patrimonio architettonico della città, forse soprattutto in Europa dove tendono assai sovente a confrontarsi non solo con la storia che vi viene rappresentata, ma con quella urbana in cui vengono inseriti.
È, credo, superfluo ricordare che il rapporto, centrale nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa, tra razionalizzazione e rammemorazione viene spesso risolto (soprattutto negli esempi più noti) a vantaggio dell’organizzazione degli spazi che prevale sulle esigenze e sui programmi espositivi: e ciò a prescindere dalle condizioni nuove in cui la pervasività del web tende a imporre soluzioni diverse da quelle del passato più recente.
La presentazione del progetto che segue affronta marginalmente il tema di questo rapporto: dato che a Palermo le questioni relative ai musei e all’architettura si presentano in modo singolare. Dopo la straordinaria esperienza di Scarpa a palazzo Abatellis negli anni ’50, dopo le architetture di Samonà e Gregotti negli anni ’60 e ’70, sono assai poche le realizzazioni contemporanee di valore in città, rese anche difficili da un piano che ha sostanzialmente impedito la costruzione del moderno a confronto con la storia.
Nel caso che presento viene proprio affrontato questo tema: il rapporto con un edificio storico di alta qualità, recuperato dalla Regione in tempi recenti e destinato a Museo del Mare, ma in spazi limitati e quindi condannato a uno sviluppo contenuto, perché investe solo la parte superstite del monumento, mentre il progetto ripropone la dimensione dell’architettura originaria.
Infatti il progetto del nuovo Museo del Mare, nell’Arsenale costruito da Mariano Smiriglio, uno dei principali architetti del manierismo palermitano, a una estremità del porto, è un tema affascinante, perché si tratta di confrontarsi con un monumento di grande valore, di cui è rimasta, a seguito dei bombardamenti dell’ultima guerra, soltanto la parte antistante, quella “aulica” (oltre a un muro basso su vicolo dell’Arsenale). Questa parte dell’edificio seicentesco è abbastanza ben conservata, a parte la avvenuta chiusura dei grandi vani da cui uscivano le navi, mentre la parte retrostante, composta di una serie di volte a crociera parallele, in cui si costruivano i vascelli, non esiste più, ed è stata occupata dai Cantieri Navali, che vi hanno sistemato un complesso di binari e di macchinari. Si tratta però di un complesso che non presenta costruzioni architettoniche, per cui è possibile ripristinare il sedime originario dell’edificio. Inoltre, è cambiato radicalmente il rapporto con il mare, che un tempo lambiva il grande manufatto, mentre oggi si è allontanato di molto, e su questo spazio sono sorte nuove costruzioni.
Confrontarsi con un monumento, naturalmente, comporta un’operazione dotata di vincoli, ma, come diceva Kahn, i vincoli in un progetto costituiscono un arricchimento del processo creativo e non un impedimento. Questo vale anche nell’insegnamento dell’architettura: i miei corsi comportano sempre la presenza di vincoli, il rapporto con monumenti o comunque con opere del passato, delle cui regole gli studenti devono tenere conto.
Un sistema di regole può essere letto nell’analisi di un monumento e costituire la base delle scelte progettuali da effettuare sul monumento stesso, come nel caso del progetto di cui ci stiamo occupando.
Il progetto infatti si basa esplicitamente sulle regole dell’edificio esistente: è simmetrico e ripropone la maglia originaria dei grandi pilastri in mattoni che reggevano le volte a crociera attraverso un sistema strutturale che occupa anche lo spazio aperto, come si vedrà in seguito; in tal modo rispetta il ritmo delle aperture sia in senso trasversale, in rapporto cioè ai grandi archi che chiudono la parte restante del monumento, e che si aprivano sullo spazio destinato alla costruzione delle navi, sia in senso longitudinale, in rapporto cioè al ritmo delle aperture del muro superstite di cui si è scritto in precedenza. Il nuovo edificio, inoltre, non supera in altezza le dimensioni della parte distrutta, per non interferire con gli elementi architettonici manieristi rimasti sul fronte posteriore (finestre, cornicioni, lesene).
Esso configura uno spazio ordinato, che si accosta all’Arsenale su un lato e sugli altri tre non ripropone la figura originaria, ma si arretra rispetto ai confini (occupando la dimensione delle quattro campate centrali) e si rapporta con gli edifici confinanti, molto vicini, con un sistema trilitico che circonda lo spazio chiuso, ripropone la stessa maglia strutturale e ricostituisce le dimensioni e il sedime del monumento preesistente: questo determina uno spazio aperto che separa dagli edifici circostanti con distanze congrue e può costituire una parte significativa del museo, a servizio del bar e della biblioteca soprattutto, ma anche delle esposizioni. La pianta complessiva è un quadrato (non perfetto, dato che si deve tener conto dei vincoli dati dalle preesistenze), e ha al centro uno spazio quadrato a tutta altezza, coperto da un lucernario. Il suo posizionamento ha determinato l’unica parziale eccezione alla maglia di base, con uno slittamento di mezzo modulo che consente il migliore inserimento di questo elemento eccezionale. Lo spazio centrale è chiuso da due scale che si sviluppano lungo tutta la sua dimensione (ognuna all’interno di due muri a tutta altezza), sono coperte da un lucernario e configurano una spazialità scenografica. 
Si è scelto di conservare, almeno in parte, le dimensioni inusuali del monumento, anche in altezza, non intervenendo sui quattro spazi con gli arconi, coperti a botte e alti quasi 12 metri, per utilizzarli, come lo spazio centrale, per l’esposizione di elementi di grandi dimensioni, che possono essere, a esempio, i molti resti di navi puniche, greche, romane ora esposti in vari siti in Sicilia (e forse anche un sommergibile di dimensioni contenute il cui trasferimento a Palermo dovrebbe avvenire in tempi brevi). Per il nuovo edificio, nello spazio attorno al quadrato centrale la sezione prevede due quote principali, a 0,00 e 7,68 metri, con l’inserimento di un parziale piano intermedio, a 3,84 metri, ai lati delle due scale, che consente di ospitare le funzioni che hanno bisogno di un’altezza limitata: uffici, sale computer, mostre virtuali, depositi. Questo piano interrompe le grandi dimensioni e articola lo spazio del museo, anche per la presenza di alcuni vuoti che determinano doppie altezze con il risultato di una ricerca di variazioni della luce.
Questo della luce è un tema centrale del progetto, dato che si tratta di un edificio piuttosto chiuso all’esterno, con i muri bianchi interrotti solo da due fasce orizzontali: in queste, il modulo principale viene suddiviso in sottomoduli (dove, ancora, predomina la figura del quadrato) che scandiscono la parete con un sistema di aggetti e rientranze determinando un gioco di ombre, e che in parte si aprono come finestre. L’illuminazione principale viene dalla copertura a lucernario nello spazio centrale, con un cassettonato a maglia quadrata, e da quella adiacente delle scale.
Così ha scritto sulla luce Franco Purini nella presentazione del progetto:

Il progetto è caratterizzato da una grande chiarezza compositiva unita a una notevole e suggestiva complessità spaziale che diventa appunto suggestione scenografica, diventa ricchezza di visuali, diventa anche luogo di una presenza duplice, una regola ferrea dal punto di vista dell’organizzazione dello spazio che viene in qualche modo poi poeticamente contraddetta da una serie di eccezioni quasi invisibili che però creano all'interno dello spazio che Ajroldi ha inventato e proposto una tensione positiva molto importante da vivere.
È un edificio accogliente, utile, amichevole, inesauribile nei suoi contenuti e soprattutto pervaso, da quello che si può capire dai disegni, da una luce straordinaria, una luce che appunto riflette, in qualche modo chiude, l'idea stessa che noi abbiamo del mare e della portualità di Palermo all'interno di un contenitore matematicamente esatto ma anche pieno di sorprese che assieme ad altre istituzioni palermitane (sto pensando adesso al museo di palazzo Abatellis di Carlo Scarpa) contribuirà a fare di Palermo uno dei caposaldi mediterranei di questo ingresso nella dimensione della globalizzazione con la quale tutte le città dovrebbero confrontarsi1.

Come può leggersi dalle tavole le scelte di carattere architettonico sono esplicitate nei loro caratteri essenziali, non entrano in dettaglio, trattandosi di una proposta offerta alla città, e non di un incarico, e non essendo quindi specificata l’estensione e la qualità del materiale da esporre. Si fa riferimento solo ad alcuni elementi certi, già illustrati in precedenza; e si dà per scontata la volontà, espressa dall’allora soprintendente, Sebastiano Tusa, scomparso tragicamente quest’anno, di collegarsi alla rete informatica dei musei del mare soprattutto europei: Genova (opera di Vazquez Consuegra), Barcellona (nello straordinario edificio delle Atarazanas), e altri.
Il progetto si pone in continuità con l’esperienza del razionalismo italiano, e in particolare con quella di Giuseppe Terragni; e, come quella, assume un particolare ruolo nei confronti della città, in particolare della città italiana, della città mediterranea, della città di pietra.
Su questo tema scrive Claudio D’Amato: «Sono città di pietra le città ‘mediterranee’, quelle direttamente generate dalla civiltà greca e romana, dalla loro particolare forma di razionalità e i cui valori estetici sono diventati nel tempo ideali condivisi della cultura occidentale.
I caratteri architettonici delle città ‘mediterranee’ sono oggi sottoposti a un'aggressione culturale senza precedenti»2.
Riteniamo infatti che questo progetto (come gran parte dell’architettura italiana, escludendo soltanto in sostanza l’ultima generazione) faccia un chiaro riferimento a un’idea di città, che si può riconoscere nelle parole che precedono; e che pertanto si confronti con un sistema di regole non solo a scala architettonica ma a scala urbana. Riproponendo con tutta evidenza la conformazione del monumento, esso si inserisce nella maglia regolare dell’espansione della città di cui l’Arsenale era il primo nucleo, con l’obiettivo di costituirsi come elemento di ordine anche rispetto alla città del lavoro che lo circonda. Tutto questo dovrebbe giungere a maggiore chiarezza nella ipotesi di abbattimento del muro antistante il monumento e di coinvolgimento dell’edificio destinato a museo dei Cantieri (un fabbricato tra l’Arsenale e il mare che contiene al centro un grande spazio di buona qualità architettonica, molto adatto per l’uso previsto) in un sistema museale che consenta la riapertura dell’Arsenale verso il mare, in origine a diretto contatto e oggi praticamente invisibile. Operazione che, evidentemente, costituirebbe un’altra qualità del progetto.




Note

1 Purini F. (2017), Presentazione del progetto all’Arsenale di Palermo, 16 gennaio.

2 D’Amato C. (2006) “Città di pietra. Tradizione contro modernità”, in: Città di pietra, Marsilio, Venezia, p. 20.