ILa forma del tempo*. L'ampliamento della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma di Luigi Cosenza.

Gennaro Di Costanzo




L’ampliamento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, voluto dalla direttrice Palma Bucarelli già dal 1950, rappresenta una vicenda di particolare interesse per quel che riguarda la costruzione dei musei moderni in Italia. Successivamente alle prime consultazioni con Walter Gropius il progetto viene affidato a Luigi Cosenza, unico architetto italiano in grado di intendere ‒ alla stregua di altri Maestri del moderno ‒ la forte componente pedagogica che informa l’esperienza del razionalismo e il fine sociale a cui un museo ambisce1. Segue una lenta evoluzione del cantiere che condannerà l’ala Cosenza a un’obsolescenza prematura: la fabbrica risulta incompiuta ed è oggetto di un concorso, vinto dallo studio Diener&Diener con l’unico progetto che sostituisce integralmente l’ampliamento di Cosenza. Dopo una viva polemica che ha visto come protagonisti alcune tra le figure più influenti del panorama architettonico italiano, tra cui Paolo Portoghesi e Franco Purini, è stato scongiurato l’abbattimento dell’ala Cosenza.
Se si considera la genesi del progetto, redatto nel 1965, e la sua costruzione, protratta fino al 1996, è comprensibile l’obsolescenza prematura di quest’opera, oltre all’attrito con le difficoltà economiche e gestionali sono le mutate tendenze culturali a modificarne lo statuto, tanto da rendere l’edificio di Bazzani ‒ inserito da Bardi nella Tavola degli orrori ‒ oggetto di maggior interesse. L’opera di Cosenza appartiene all’esperienza del moderno pur situandosi nel periodo in cui «domina una perfetta equivalenza delle forme e dei significati, un annullamento della storia grazie alla sua riduzione a campo di scorrerie visive, una tecnica dello choc informata ai media televisivi: in definitiva, un’architettura-fiction, che si installa a suo agio nell’età dell’informatica» (Tafuri, 1986, p. 233). L’architettura di Cosenza, di cui la Galleria risulta ultima e matura espressione, è profondamente debitrice ai precetti del razionalismo marcatamente europeo, nel suo afferire all’esprit systèmatique e alla metodologia quale via in grado di informare il progetto di architettura, ritrova nell’esperienza della realtà quelle istanze attraverso cui attuare il superamento critico delle contraddizioni soggiacenti, lì dove invece l’ipermoderno compie una sostituzione del reale con un suo simulacro, virtuale, statistico e isotropo2 in cui viene a mancare la possibilità stessa dell’esperienza.
Servendosi di un’analogia matematica, il concetto di sequenza rende esplicito lo scarto tra queste due concezioni del reale: a differenza di un approccio stilistico, dipendente da una conseguenzialità cronologica, la sequenza ha un’estensione temporale maggiore e permette di ricondurre l’analisi dell’oggetto in esame nel campo specifico della composizione architettonica, mettendo in relazione fenomeni lontani nel tempo ma tenuti insieme da un comune modo di rispondere a un determinato problema: «i limiti di una sequenza sono segnati dalle soluzioni concatenate che definiscono ai primi e gli ultimi stadi uno sforzo per la soluzione di un certo problema. […] Altri nuovi stadi potranno aggiungersi in futuro. La sequenza può continuare solo quando nuovi bisogni aumentano le dimensioni del problema. Mentre il problema si allarga, si allungano la sequenza e le sue prime porzioni» (Kubler, 1972, p. 46). Se inteso dal punto di vista sequenziale, il problema del museo riguarda la scelta del sistema formale in grado di portare una soluzione, quanto più essa è in grado di estendere la sequenza, tanto più si stabilisce una continuità con la storia. Premessa che viene messa in crisi dall’indifferenza ipermoderna, in quanto le qualità specifiche che una forma possiede sono assolutamente surrogabili da altre con caratteristiche totalmente differenti. Questo decreta la fine o sospensione di una sequenza, nello specifico quella moderna, in quanto i problemi che richiedono una soluzione sono stati scartati. Nella topologia dei musei moderni, quello progettato da Luigi Cosenza assume una posizione nettamente divergente rispetto all’impianto monumentale del museo di tradizione ottocentesca: «l’impostazione del problema compositivo può così riassumersi. Abbiamo dei monumenti trasformati in musei, dei musei costruiti come monumenti, si vuole, a servizio dell’arte moderna realizzare un museo senza monumento» (Cosenza, 1965).
La voluta modestia della sua presenza visiva (Cosenza, 1965) mostra la profonda razionalità che soggiace all’impianto in rapporto alla complessa condizione urbana: l’ampliamento è sviluppato orizzontalmente stabilendo un rapporto con la forma del suolo anziché con la Galleria di Bazzani, attestandosi come podio aperto alla città. È privilegiata la formazione di uno schema inedito, attraverso il quale l’edificio diviene cosciente espressione di parte di città, non più circoscritta a uno spazio limitato ma radicata nella natura, quell’oltre l’architettura di Edoardo Persico che Bisogni (1994, p.15) individua come «livello più elevato di consapevolezza del progetto di trasformazione, non solo della trasformazione delle forme architettoniche, ma della cosa stessa dell’architettura, dentro una complessiva nuova concezione della città». L’invenzione tipologica si definisce a partire dalla sintassi tra i differenti tipi di spazio, necessariamente definiti in una struttura che coincide con l’ordine tettonico dell’edificio. La scienza del peso libera porzioni di spazio: il gesto del coprire così come quello del separare costituiscono la grammatica essenziale in grado di utilizzare la gravità, in cui l’uomo è la misura di tutte le cose3, «per questi spazi possiamo concepire di muoverci, queste masse sono capaci, come noi stessi, di pressione e di resistenza, e queste linee, dovessimo seguirle, ci aprirebbero un cammino, dovessimo descriverle, si identificherebbero con il nostro gesto» (Scott, 2014, p.148).
Cosenza giunge alla riduzione di sei componenti spaziali in grado di realizzare “l’abitazione dell’uomo libero” (Cosenza, 1974): la «scala tonale che va dall’ambiente esterno illimitato fino agli spazi interni chiusi e coperti, attraverso tutta la gradazione degli spazi chiusi e aperti, coperti e scoperti» (Cosenza, 1955, p. 72) stabilisce quella identità tra bisogni materiali e spirituali in grado di costruire un luogo profondamento umano ma anche civile. Nell’ampliamento è chiara la distribuzione degli ambienti attorno a una corte centrale allungata che dispone i tre corpi principali, articolati con diverse gradazioni spaziali passanti dalla condizione aperta dell’esterno a nord-ovest verso l’aperto-coperto della “manica breve” e in parte nell’auditorium. Il grado più interno è caratterizzato da un tipo di spazio chiuso-scoperto della corte principale e dell’impliuvium, la “manica lunga” è lo spazio chiuso-coperto, articolato su due livelli con quello superiore che presenta delle aperture zenitali disposte a ritmo serrato. La sequenza si completa con un ulteriore spazio chiuso-scoperto interposto tra la “manica lunga” e la Galleria di Bazzani alla quale è collegata puntualmente su due livelli.
La varietà di spazi che articolano il museo può offrirsi a due considerazioni parallele e coesistenti che riguardano da un lato l’afferenza alla domus quale punto della storia dell’architettura in cui si è codificata una forma di abitazione stabile e riassuntiva di una cultura dell’abitare antica, dall’altro il referente è una struttura formale codificata come moderna basata su un sistema di movimento a un tempo lineare e centrico, riconducibile all’echelon4, presente in altre opere del moderno tra le quali il progetto di Alvar Aalto per il Museo di Tallin ma anche presente nella produzione di Luigi Cosenza, basti pensare alla Villa Cernia che precede di due anni il progetto per la Galleria, ma anche a sperimentazioni del primo periodo relativo agli anni ’30 con la Villa Oro o il progetto del Teatro per la Mostra d’Oltremare.
Il museo dispone simultaneamente di due assetti tipologici principali basati sulla promenade: la galleria e l’edificio a corte, modulati a partire da una griglia di base che si offre come ripetizione su cui innestare la variazione. Nella “manica lunga” gli attraversamenti trasversali scandiscono il tempo di percorrenza innestati al disotto della fascia vetrata continua che modula la luce, le interferenze dei percorsi consentono l’accesso alle diverse quote esterne e a spazi sempre articolati secondo la scala tonale. In modo analogo è composta la “manica breve”, caratterizzata da una scansione differente in cui è riconoscibile un vestibolo al quale segue una parte aperta-coperta separata da un accesso. L’edificio a corte invece presenta uno sviluppo a spirale, tenendo fermo il principio classico di definire la corte con quattro elementi angolari, i corpi laterali presentano un’articolazione volumetrica differente, definendo così un moto rotatorio attorno alla corte che si apre puntualmente verso l’esterno. Questa articolazione è apprezzabile anche dal piano delle coperture e mostra l’andamento discontinuo dei i tre corpi, disposti come una successione di giardini pensili a diverse quote.
Le due strutture formali collaborano alla realizzazione di un’idea temporale molto precisa che modella lo spazio, nella quale ripetizione e variazione chiariscono il ruolo civile che la forma del museo moderno deve assumere per Cosenza, una casa delle arti in cui celebrare un rito pubblico, stabilendo un nesso inestricabile tra forma dell’edificio e funzione pubblica. Per Luigi Cosenza “funzione” assume un’accezione culturale e non biologica, posizione simile a quella espressa da Paul Frankl (1968, p. 157) nel suo vocabolario: «quando parlo degli scopi dell’architettura, intendo che l’architettura forma la scena fissa per le azioni di durata specifica, che offre la via per una definita sequenza di eventi». Lì dove l’invenzione tipologica è autonoma, a corollario della funzione sociale dell’architettura (Bonfanti, 1969), viene intesa come soluzione di un problema. Ridiscutendo radicalmente gli elementi che quel problema compongono attua una “pedagogia spaziale”, dove l’opera ‒ attraverso la sua forma ‒ è in grado di allargare il campo d’azione della conoscenza. In questo caso il museo diviene uno strumento che tenta una “figurazione del tempo”. Scandendo la regolarità del movimento lineare con una serie di mutamenti e variazioni direziona lo spazio verso un principio d’ordine che è insieme inizio (archè) e fine (telos): la domus in quanto espressione dell’uomo libero. Come nel Museo a crescita illimitata di Le Corbusier, viene stabilita un’analogia con una forma inequivocabile della storia, dove però all’aspirazione metaforica fa da contrappunto una costruzione profondamente realista, che non stabilisce rimandi figurativi alle forme del passato, piuttosto può essere letto come tentativo di definire un principio estetico inedito per il museo moderno. In questo modo l’opera oltre a mostrarsi nella sua sequenza spaziale dichiara la discontinuità della sua presenza nel divenire storico, ovvero si riferisce alla rammemorazione di un modello indiscutibilmente aulico dell’abitare e del vivere civile, rintracciando quei caratteri che possono sopravvivere nella cultura contemporanea. L’astrazione compiuta da Cosenza riguarda il riconoscimento di quei caratteri permanenti della domus e della loro riducibilità, quindi, della loro capacità ad accogliere una civiltà differente da quella che ha generato il modello originario. Afferma, dunque, il continuo compimento del Classico per mezzo della traduzione, «non esprime alcun rimando al passato, tantomeno al morto passato, bensì il più fiero contrasto al modo, all’ora. ‘Classico’ è ciò che attualmente non è ‘moda’, non è il ritornello dell’ora; esso porta in sé un timbro di battaglia, un’esigenza di contra-dizione» (Cacciari, 2014, p. 23). Un’idea di museo in grado di essere ancora operante rispetto ad altre esperienze recenti che hanno manifestato una rapida obsolescenza, troppo legati alla rappresentazione a-critica del mondo globalizzato, costringendo il museo alla pura esistenza nel presente recidendo i contatti con il passato e precludendo una visione critica del futuro. Cosenza riflette sull’idea di un museo in cui sia possibile abitare la memoria senza retorica, non affidando tale compito esclusivamente al contenuto, con il suo valore documentario e artistico, o al contenitore, con la sua funzione di ordinare e mostrare le opere, bensì è un’idea precisa di spazio a fornire il canone attraverso il quale accogliere la molteplicità e la mutabilità di espressioni, movimenti e azioni che il rito laico della fruizione artistica esige, non mera contemplazione dell’arte, ma prossimità ad essa.
Il Classico si delinea così come evasione dall’impasse in cui la cultura rischia l’omologazione del pensiero, realizzando quella fertile dialettica con la realtà che ci permette di cogliere la forma del tempo.


*Viene ripreso il titolo del libro di Kubler, La forma del tempo. La storia dell’arte e la storia delle cose del 1972.

Note

1  «Mi posi il problema: quale architetto italiano poteva affrontare un’impresa la cui prospettiva aveva attratto, qualche anno prima, uno dei massimi maestri dell’architettura moderna? Dovendo fare una scelta, mi chiesi quale degli architetti italiani fosse più vicino a Gropius: per livello qualitativo, per l’ideologia architettonica, per metodo progettuale, per interesse al tema specifico». Da Bucarelli P. (1988) ‒ Ampliamento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Progetto di Luigi Cosenza. In: Cosenza G., Bazzarini V. (a cura di), Luigi Cosenza. Ampliamento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna ed altre architetture 1929/1975. Clean, Napoli, 14.
2  Cfr. Agamben G. (2016) ‒ Che cos’è reale? La scomparsa di Majorana. Neri Pozza, Vicenza.
3  Cfr. Protagora, fr.1, in Platone, Teeteto, 152a. 
4  «L’echelon è essenzialmente un’organizzazione lineare che in alcune situazioni può essere definita come centrica […]. Tale progressione in genere fa riferimento a un’origine lineare, come costole che si dipartano dalla spina dorsale; ma per la sua definizione percettiva l’echelon si fonda su un ordinamento direzionale continuo e regolare», Eisenman P. (2009) ‒ La base formale dell’architettura moderna. Pendragon, Bologna, 103.