La Vittoria sul Sole di Malevič: la dissoluzione della realtà

Laura Scala




Quando Malevič dipinge, nell’estate 1915, l’icona suprematista del Quadrato Nero, ci spalanca una finestra verso un mondo nuovo, oltre la ragione. Questo viaggio transmentale, che l’artista Malevič intraprende con il poeta Kručënych e il pittore-violinista Matjušin, trova espressione nell’opera zaum’ La Vittoria sul Sole, andata in scena per la prima volta a San Pietroburgo nel dicembre 19131: protagonisti del primo spettacolo cubo-futurista, considerato l’ultimo passo verso il suprematismo, (Marzaduri, Rizzi e Battafarano 1991) sono un gruppo di superuomini che combattono e uccidono il Sole, giungendo al mondo nuovo dei Decimi Contradi. Leitmotiv dell’opera è l’eliomachia – la vittoria sulle forze cosmiche e la conquista degli astri – simbolo di rivolta contro ogni imposizione del passato. Lo spazio che Malevič aspira a rappresentare nei sei bozzetti per La Vittoria sul Sole, (fig.1) fatica ad essere riportato sulla carta, poiché si trova al di là della ragione: l’artista sembra voler catturare un altrove senza tempo, che ha la stessa sostanza dei sogni e dei ricordi e che attinge a linguaggi antichi e nuovi, dei riti magici, del folklore russo, del circo e del cinema. Una spazialità – rappresentata in due dimensioni – talmente surreale, alogica e sconfinata, da presupporre un’interpretazione plastica, intesa come processo di assemblaggio attraverso il modello. Sono stati quindi ricostruiti dei plastici tridimensionali a partire dagli schizzi di Malevič.

La Vittoria sul Sole nasce come Nuovo Teatro “Budetljanin”2 dalla collaborazione di Malevič, Kručënych e Matjušin, riunitisi nell’estate del 1913 a Uusikirkko, in Finlandia, per il primo congresso dei bardi russi del futuro. Il manifesto del congresso, pubblicato nei giornali di San Pietroburgo e Mosca, proclama il diritto di:
«annientare il modo di pensare secondo la legge di causalità, ormai antiquato, il buonsenso sdentato, la logica simmetrica [...], dare una versione personale e creativa del mondo vero degli uomini nuovi [...] prendere d’assalto la roccaforte della fiacchezza artistica, il teatro russo, e trasformarlo radicalmente. Teatro d’Arte, Korševskij, Aleksandrinskij, Bol’šoj e Malyj, tutti superati!»
(Matjušin, Kručënych e Malevič, 1913, in Petrova e Di Pietrantonio 2015, p. 185 e seguenti.)

Malevič, Kručënych e Matjušin ricercano assieme «nuovi procedimenti che insegnino un modo nuovo di comprendere il mondo, superando il mondo reale, affrancandosi dai sensi e dalla ragione, per attingere a una realtà superiore» (Kručënych 1913) vagliando nuove forme di espressione nell’arte, nella letteratura e nella musica. I tre stravolgono completamente il modo di fare teatro, è attraverso l’azione di de-costruzione analitica e ri-costruzione sintetica del materiale artistico che prende forma questa rivoluzione: le tecniche compositive pittoriche, per di più di matrice cubista, scavalcano i limiti dell’arte, passando dalla poesia alla musica e all’azione scenica; mentre i pittori budetljane sezionano parti di corpi e oggetti che ri-cuciscono tra loro restituendo nuovi significati, gli scrittori zaum’ recidono nessi sintattico-semantici del tessuto verbale e squarciano le parole in componenti minime, fino alla sillaba o alla lettera, esaltandole nei loro singoli valori fonici, per poi ricomporle in inimmaginabili combinazioni del linguaggio transmentale. Ne La Vittoria sul Sole Kručënych procede al ri-assemblaggio, non solo di singoli frammenti di azione e di brandelli di dialogo, ma anche di fonemi privi di significato. Si tratta di operazioni di smontaggio, montaggio e collage, basati sullo sdvig cubista: questa pratica, che comporta il dislocamento di piani pittorici, bruschi passaggi di tecniche compositive e rapporti dimensionali-figurali inattesi e apparentemente incompatibili, si traduce nella lingua zaum’ di Kručënych in fratture immotivate di segmenti verbali e accostamenti casuali di lettere, sillabe e unità di senso. La stessa sensazione di nonsense doveva essere provocata dalle collisioni illogiche di suoni nelle composizioni sperimentate dal musicista Matjušin e dai movimenti sgraziati degli “attori-figurine” disegnati da Malevič. La parola e la musica seguono la via della pittura, abbandonando ogni gravame del passato e liberando l’atto creativo da inutili pesi. «La logica ha sempre posto un ostacolo ai nuovi movimenti del subconscio e, al fine di liberarsi dai pregiudizi, è stata promossa la corrente dell’a-logismo» (Malevič 1919). Nelle lettera a Matjušin del giugno 1916 Malevič incita l’amico: «strappiamo la lettera alla riga e diamole la possibilità di muoversi liberamente […]. Queste masse (di lettere) si libreranno nello spazio e daranno alla nostra coscienza la possibilità di spingerci sempre più lontano dalla terra»3.

Malevič schizza sei scatole sceniche tridimensionali, (fig. 1) che possono alludere ad un tronco di piramide – la cui base maggiore è rivolta verso gli spettatori – o ad un cubo visto in prospettiva centrale. Tutti gli schizzi dei quadri sono legati alla figura del quadrato e costruiti sul quadrato, l’osservatore è idealmente “chiuso” dentro un cubo che, visto tridimensionalmente, è formato da cinque quadrati in profondità e un sesto quadrato è posto ipoteticamente alle spalle del pubblico. Il fondale è una costruzione di camere nella camera, una moltiplicazione di specchi, un caleidoscopio di mondi che si spalancano davanti agli occhi dello spettatore: ogni faccia è una proiezione sul mondo nuovo (Michelangeli 2000).
Nei sei quadri molteplici forme scure sono inscritte nello spazio bianco, in un climax che porta alla vittoria sul Sole e al raggiungimento dei Decimi Contradi: la figura statica del quadrato diventa contenitore della dinamica della vicenda. Gli oggetti neri, più o meno campiti, di dimensioni, proporzioni e campi semantici incongrui, strappati dalla loro realtà, invadono la scatola scenica, disorientando lo spettatore; la loro collisione dà vita al nuovo mondo, oltre la ragione; alcuni di questi oggetti, come il cappello, il cucchiaio e la scala, sono archetipi figurativi che ricompaiono in altre opere di Malevič (ad esempio: Englishman in Moscow, Stedelijk Museum di Amsterdam, 1914). (fig. 2)
Come un regista di un sogno o di un ricordo di un bambino, Malevič associa i camini, le scale, la falce, la ruota del mondo della fabbrica, con i violini, le note musicali, le canne d’organo, la tromba, che alludono alla cacofonia di Matjušin; un capitello classico, numeri, lettere, cerchi, triangoli neri, sistemi planetari e primi elementi suprematisti si affastellano all’interno dei sei quadri bianchi, come libere parole alogiche in un testo di Kručënych; immagini che si materializzano, o viceversa, che si dissolvono dentro lo sfondo bianco. In questi bozzetti, lo spazio, o il vuoto o il “bianco”, si realizza attraverso gli oggetti che contiene, cioè i pieni, il “nero”: elementi topologicamente collocati rispetto all’osservatore, galleggiano danzando entro ed oltre i confini tridimensionali tracciati da Malevič, rievocando quella «trasparenza letterale e fenomenica» di Rowe e Sluzky (Rowe e Sluzky 1963, 45-54). Lo spettatore è trascinato in un universo in cui ha la simultanea percezione di diversi piani, figure, tempi e mondi; lo spazio bianco si espande tra gli oggetti, trascende i confini della ragione. Il bianco, cioè l’assoluto e la perfezione a cui si aspira, contrasta con il nero della concretezza degli oggetti quotidiani, che irrompono sulla scena cubo-futurista, fino a che, nel quinto quadro, il Quadrato Nero prende il sopravvento, annientando il bianco e i tradizionali valori illuministici della ragione. «Alla fine della scena V il quadrato scuro scende dentro il quadrato del palcoscenico, prima è come una tenda che si abbassa sulla diagonale, poi una palpebra che si chiude» (Semerani 2012, 28). Malevič sembra comprendere l’universo intero, acquisendo piena consapevolezza che gli opposti si compenetrano tra loro, fino a ritrovarsi in un ordine altro.

Giungiamo ai Decimi Contradi nel viaggio attraverso i sei bozzetti disegnati da Malevič; il nuovo spazio cubo-futurista si evince attraverso un’indagine per isolamenti figurali, individuando densità di pieni e vuoti, attraverso la ricostruzione di modelli tridimensionali che ne riproducano la scatola scenica, il nostro campo d’azione: ognuno dei quadri, ricostruito come un cubo visto in prospettiva, è letto in base alla forma, alla dimensione e alla topologia degli elementi scuri al suo interno, che direzionano lo sguardo dell’osservatore, tra compressioni e distensioni percettive, secondo leggi di attrazione e contrasto tra le forme. L’analisi compositiva dei bozzetti attraverso il modello diventa quindi uno strumento di esplorazione degli elementi e delle relazioni che intercorrono tra questi all’interno del campo d’azione. La ricostruzione plastica comporta l’estremizzazione di se­gni e forme espressive, da tradurre in termini spaziali: come avrebbero potuto essere costruite tridimensionalmente queste scenografie nel piccolo teatro Luna Park di San Pietroburgo? 4
Nel quadro primo del primo agimento (fig. 3) due forzuti futuristi strappano il sipario e si descrive, più o meno frammentariamente, la vittoriosa lotta contro il Sole. La dinamica dell’azione scenica è accentuata dai due oggetti neri, conficcati all’interno del cubo come due schegge, controbilanciate compositivamente da un triangolo nero in basso a destra e da un rettangolo nero in alto a sinistra. In alto, una colonna classicheggiante allude al passato da sconfiggere. Le quinte sono un sipario scuro, composto di quattro tende e sulla pavimentazione è disegnata una sorta di impalcatura a tre livelli.
Nel secondo quadro (fig. 4) gli oggetti bianchi e neri rimandano ad una zuffa: sullo sfondo a sinistra gira una mezza ruota bianca e nera e, vicino a due crome e una chiave di basso, si avvolge una coperta scura, ad anticipare la vittoria del nero sul bianco; sulla pavimentazione nera è disegnata un’altra impalcatura a tre livelli; dal soffitto, vicino a tre ganci appesi, incombe una figura nera di sette lati, come un uccello oscuro, mentre sulle facce laterali due tende bianche, a sinistra, e un sipario nero, a destra, come un pipistrello, inquadrano la scena.
Nel quadro terzo (fig. 5) i becchini cantano per la morte del Sole; il bozzetto è un affastellamento di punti, linee e superfici bianche e nere su diversi livelli, che prefigurano un mondo nuovo. Sei figure nere dominano la scena: sullo sfondo una porzione di cerchio nero si allunga verso un altro piccolo cerchio nero, invadendo la faccia destra; dal soffitto cala un’ingombrante croce scura, che allude alla morte del Sole; sulle facce laterali sono disegnati un trapezio nero, a sinistra, e due triangoli neri, a destra, di cui uno appeso. Sul pavimento una croma nera sembra muoversi vicino al numero 13. Dal soffitto pendono due drappi bianchi.
Nel quadro quarto (fig. 6) “quelli che portano il Sole prigioniero” giungono ai Decimi Contradi e cantano la sua morte. Sullo sfondo a sinistra appare un grande Sole a metà, due lettere Kp sottolineate e una virgola nera; sulla sinistra si nota un aeroplano rivolto verso il Sole. Figure triangolari, quadrangolari e un pianeta nero smuovono lo spazio: da una forma nera, in basso a sinistra, si erge una sorta di pugno chiuso, come un cannone rivolto verso il Sole; un triangolo nero è appeso in alto a destra e un altro quadrilatero è collocato nello spigolo in alto a sinistra del fondale (si tratta probabilmente di un’ala dell’aereo); sul soffitto un pianeta oscilla tra linee oblique, curve, drappi e ganci con le ali. L’occhio dell’osservatore inciampa su un avvallamento ricurvo della pavimentazione, mentre, attraverso le pareti laterali, si intravedono sistemi planetari, squarci verso nuovi mondi e dimensioni.
Il quadro quinto del secondo agimento (fig. 7) anticipa il famoso Quadrato Nero del 1915: un quadrato sullo sfondo tagliato a metà, in due triangoli, di cui quello sovrastante è nero, un’eclisse parziale, poi totale, del Sole, la vittoria sulla luce e sulla ragione. I personaggi dei nuovi spiegano ai codardi di aver sparato al passato e il declamatore si rallegra del presente.
Vuoto di oggetti e pieno di sensazioni, il Quadrato Nero si apre come una finestra verso l’universo intero; non c’è motivo di dubitare che il Quadrato Nero suprematista trovi origine in questo quadro, immagine unica comprensiva di tutti i significati.
Si raggiungono infine i Decimi Contradi (fig. 8). La scatola scenica cubica del quadro sesto viene contraddetta da una rappresentazione contemporaneamente prospettica e assonometrica, che raffigura, attraverso un collage di frammenti, un grande edificio-casa-città cubo-futurista: dal tetto si stagliano cinque camini cilindrici o canne d’organo, da una finestra si intravede un orologio, da una scala a chiocciola e da una scaletta a pioli si raggiungono mete ignote. Questa città-comò, incastrata nella scena, si svincola dalla logica terrestre, non è collocabile nel tempo e nello spazio che conosciamo. Nel mondo alla rovescia dei Decimi Contradi (topos del futurismo russo) l’uomo è libero da ogni gravame fisico e psicologico: sono abolite le leggi, le convenzioni sociali, le gerarchie, sono scardinate le coordinate spaziali e temporali, non vigono più le regole logico-causali, né le norme grammaticali. Il tempo scorre al contrario, la causa precede l’effetto, non c’è più proporzione e direzione, tutto è il contrario di tutto; di fronte alla realtà capovolta mostrano i loro limiti il buonsenso, la logica e la ragione.
Tra tutti, il quadro sesto è quello più complesso in termini spaziali, molte sono le incongruenze del bozzetto: la città-comò è intesa come un corpo, attorno al quale l’occhio dell’artista ruota nel tempo e nello spazio; Malevič apporta continue modifiche del punto di vista, accosta tra loro viste parziali, sezioni e prospettive distorte, disorientando lo spettatore. I Decimi Contradi rimandano a un mondo, uno spazio e un tempo non tangibili, che il disegno bidimensionale non può intrappolare.
Nell’opera Instrumental Lamp di Malevič (fig. 9), si riscontrano gli stessi elementi e leggi di composizione del quadro sesto, a colori. La costruzione avviene per operazioni di smembramento, perforazione, addizione e sottrazione di corpi, scomposizione e ricomposizione di pezzi.

Cubo-futurismo e suprematismo sovvertono l’uso della parola, del suono, del colore, del segno e rivoluzionano l’idea canonica di spazio. La distorsione visiva del cubismo e l’alienazione dell’oggetto, attraverso gli espedienti dello sdvig, del collage, dello smontaggio e ri-montaggio, riportano l’attenzione all’oggetto per le sue caratteristiche formali e materiche, indipendentemente dalle sue funzioni. L’attenzione dell’oggetto in sé nell’arte e nel teatro è analoga al valore della parola e del suono in sé nella letteratura cubo-futurista russa: sintagmi per comporre nuovi linguaggi, frammenti per creare nuovi mondi a cui aspirare. La lingua è il significato congelato nella parola, così come l’energia è congelata nelle forme.
Il mondo alla rovescia di Malevič è uno spazio in cui smarrirsi come Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui l’irrazionale irrompe nella quotidianità e il mondo industriale della tecnica, della velocità e della macchina si fonde con l’universo onirico, circense, imprevedibile e fiabesco dell’infanzia e dei miti, per scortarci in quel limbo, «luogo indefinito dove nasce l’arte» (Semerani, mail del 2017) a cui si attinge solo attraverso una conoscenza altra: una frattura spazio-temporale spalancata su un mondo nuovo.


Note
1 Alla prima messa in scena del 3 dicembre 1913 presso il piccolo teatro del Luna Park di via Oficérskaja a San Pietroburgo segue un’ulteriore performance il 5 dicembre dello stesso anno. Lo spettacolo, diviso in due agimenti (atti) di quattro e due scene, è introdotto dal prologo di Chlebnikov. Dell’opera restano i bozzetti delle scenografie e dei costumi di scena di Malevič, il libretto scritto in lingua zaum’ da Kručënych, ma solo ventitré battute di musica sperimentale di Matjušin.
2 Budetljanin (plurale budetljane) è un neologismo che Chlebnikov inventa in sostituzione al termine “futurista”. Budetljane significa infatti “gli uomini del futuro” o “gli uomini che saranno”, dal verbo russo “budet” (lui/lei sarà).
3 Diverse lettere e note sui rapporti di Malevič con Matjušin sono tradotte in italiano in MALEVIČ K. (2000) – Suprematismo, a cura di DI MILIA G., Abscondita, Milano.
4 Per questioni organizzative e mancanza di denaro, i disegni preparatori di Malevič diventano le scenografie stesse, collocate sul fondale della scena: ogni allusione tridimensionale dei bozzetti è lasciata solo all’azione delle luci di scena. [Confrontare LIVŠIC B. K. (1933) – Polutoraglazyj strelec, Leningrad. Trad. it. KRAISKI G. (1968) a cura di – L’Arciere dall’occhio e mezzo. Autobiografia del futurismo russo, Laterza, Bari].


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