Fig.
1 - Guido Canella, Teatro-museo della forma urbis, Aosta,
1988. Archivio Eredi Canella.
Fig.
2-3 - Copertine di «Hinterland» n. 4/1978 e n. 21-22/1982, dedicati al museo.
Fig.
4 - Copertina di “Zodiac” n. 6/1988 dedicato al museo.
Dopo il
numero monografico dedicato all’architetto Luigi Vietti (n.
49/2019), questo nuovo numero di FAMagazine affronta il tema dello
spazio del Museo. Attraverso una call
for papers, a cui hanno risposto numerosi studiosi
italiani ed internazionali, presentiamo una riflessione articolata e
limitata solo nello spazio dei dodici (poi divenuti undici) saggi che
compongono l’uscita.
Chi segue la rivista si sarà accorto che il titolo del
numero rispetto al titolo della call ha subito una piccola ma
significativa modifica imposta dalle posizioni teoriche dei
partecipanti e dalle successive riflessioni. Da World Wide Web Museum. Il museo
tra rammemorazione e razionalizzazione del reale il titolo
definitivo diviene Il
Museo nonostante il World Wide Web: tra rammemorazione e
razionalizzazione del reale. Se la call lasciava aperto il
campo a riflessioni sui musei virtuali e sulla dematerializzazione
dell’oggetto da esporre, le tesi contenute negli articoli
arrivati (in generale) e selezionati (in particolare), confermano
l’importanza del museo come architettura. In pratica ha
vinto, e questa posizione non ci dispiace, la ʻpresenzaʼ rispetto
all’ʻassenzaʼ1, la realtà rispetto alla
virtualità. Anzi, laddove le problematiche della
virtualità vengono prese in esame lo sono pretestuosamente
in termini metaforici, allegorici e affabulativi – come nel
caso del doppio artaudiano adottato da Lisini e Pireddu per la Stazione
dell’Arte in Sardegna, oppure nel caso della costruzione
filmico narrativa di Peter Greenaway citata da Federica Visconti
– a sottolineare un ruolo ancora fondamentale del museo nel
meccanismo di conservazione e memorizzazione a cui si può
aggiungere a tutti gli effetti anche quella pedagogica, conoscitiva.
D’altra parte il museo ha sempre avuto fin dalla sua genesi
una sorta di polivalenza trasformandosi in alcune fasi storiche anche
in officina a servizio della formazione; un luogo operativo, un
laboratorio di analisi, e via dicendo.
Sarebbe stato interessante, inoltre, un confronto con le posizioni
espresse dai fautori del museo virtuale, ma nel caso di una call for papers,
rispetto alla costruzione di numeri progettati a tavolino, il rovescio
della medaglia è quello di poter solo sollecitare una
risposta attraverso il testo della call e auspicare la più
ampia partecipazione possibile contenente posizioni anche contrarie
tali da permettere una concordia
discors.
Volendo rilanciare, proponendo spunti per future riflessioni, potremmo
da architetti chiederci in che modo gli aspetti positivi della
virtualità possano caratterizzare il progetto del Museo
contemporaneo nell’ottica dell’integrazione e non
della sostituzione.
Nei fatti però, e qualcuno potrebbe dire che FAMagazine
è una rivista di tendenza, la posizione che emerge da questo
numero è che il Museo come architettura, come portatore di
significati, come spazio prodotto dalla reazione tra contenitore e
contenente è più vivo che mai. Chi pensava che il
Museo fosse in crisi, progressivamente soppiantato da altre
modalità di godimento delle diverse forme d’Arte,
(multimedialità, realtà aumentata, visite
virtuali, ecc.) rimarrà deluso. Del resto, ad avvalorare la
tesi del plusvalore del Museo reale rispetto a quello virtuale ci sono
definizioni come spazio della grazia (Clemente), apparecchio
dell’anima (Piscella), palinsesto del luogo (Lomurno):
sarebbe difficile trasferire alla virtualità tali caratteri
percettivi del reale cosicchè i musei divengono veri e
propri “atti di resistenza” (De Matteis). In
pratica, se di crisi si può parlare, essa è
riferibile piuttosto a distorte politiche culturali come ha avuto modo
di scrivere Jean Clair nel suo Il Museo in crisi.
Ad un articolo principale ad opera di Ildebrando Clemente, ideatore e
curatore della call, se ne aggiungono altri che affrontano il
molteplice museale in alcune sfaccettature possibili:
l’estensione del museo alla città e territorio che
comprende anche il caso della musealizzazione delle aree archeologiche;
il progetto del museo tradizionalmente inteso; e museo vs museo ossia
il confronto tra il museo e il suo ampliamento.
Museo Città
Territorio
Il primo gruppo di articoli offre una riflessione sul museo che esce
dagli spazi convenzionali ad esso dedicati per incontrare
“altri luoghi” tipo quelli
dell’infrastruttura (stazioni) o quelli specifici dei
ritrovamenti archeologici fino a fondersi con il paesaggio e con
l’Arte immaginata essa stessa come dispositivo stesso del
museo.
Nel primo caso, Filippo Lambertucci – autore sia del saggio
che del progetto per l’allestimento museale della Stazione
San Giovanni della Metro C di Roma – evidenzia
«frontiere possibili per statuti museali fuori dal Museo e le
potenzialità dell’infrastruttura come museo
dislocato nella città come una sorta di City Wide Web Museum
grazie al superamento della dimensione meramente decorativa e al
coinvolgimento sia di operazioni artistiche che di ritrovamenti
archeologici».
Se in questo caso lo spazio dell’infrastruttura incontra
casualmente l’archeologia (nel caso degli scavi nella
fattispecie) trasformandolo opportunisticamente in museo, diverso
è il caso del “costruire musei sulle
rovine” in cui la musealizzazione archeologica “in
situ” si sottrae alla necessità di intercettare
continui flussi di potenziali visitatori distratti dalla fretta dello
spostamento per concentrarsi su altre derivate museali portate ad
esempio nell’articolo di Flavia Zelli.
I casi delle nuove strutture museali in ambito archeologico –
la Musealizzazione degli scavi archeologici della Domus
dell’Ortaglia a Brescia, di Tortelli Frassoni Architetti
Associati, Musealizzazione della Necropoli punico-romana di
Pill’ ‘e Mat[t]a, a Quartucciu, dello Schutzbau
Areal Ackerman di Peter Zumthor a Coira, in Svizzera, – non
sono più contenitori di reperti, recuperati sul campo e
portati altrove, ma parti integranti del luogo stesso
dell’archeologia, generando una serie di questioni correlate
alla permeabilità, al concetto di esterno/interno e alla
percezione delle relazioni spaziali.
Della stessa tipologia appartiene il caso, illustrato da Rachele
Lomurno, del progetto di ABDR per il Mausoleo di Augusto e piazza
Augusto Imperatore a Roma, in cui lo stesso determina un nuovo ordine
tra le diverse stratificazioni registrate dal monumento, facendole
riemergere e rendendole leggibili. La rovina archeologica riacquista un
senso contemporaneo, divenendo essa stessa museo del complesso
palinsesto del luogo. Così “tra nuovo e antico si
instaura un rapporto di reciproca mutualità: il palinsesto
stratificato si fa suggeritore di scelte progettuali e a sua volta il
progetto suggerisce una corretta interpretazione delle parziali forme
antiche”.
Una musealizzazione estesa – che esce non solo dallo spazio
canonico del Museo ma anche dagli altri spazi della Città
– per invadere il Territorio e costruire un complesso
rapporto con l’arte (in particolare di Maria Lai)
è l’oggetto del saggio di Caterina Lisini e
Alberto Pireddu che racconta della Stazione dell’Arte a
Ulassai in Sardegna come esperimento di retroguardia rispetto alla
tendenza attuale. «Se nel progetto contemporaneo di museo
globale tende ad affievolirsi, fino quasi a scomparire, la tradizionale
raffigurazione tipologica a favore di una dominante invenzione del
dispositivo spettacolare di percezione, il museo di Ulassai, nella
tenace conservazione di semplici tipologie di servizio, familiari ad
una comunità e riconvertite in astrazione, può
costituire il paradigma di una particolare tipologia museale, dove il
congegno architettonico perde di consistenza dimensionale e di
articolazione funzionale ma non di pregnanza semantica, diramandosi nel
territorio e nel paesaggio, con cui si confonde e di cui si alimenta e
diventa interprete».
Il progetto del museo
Vi sono, inoltre, alcuni saggi che narrano di architetture museali
tradizionali, del loro costruirsi tra storia, ordine e regole
dell’architettura – come nel caso del Museo del
Mare di Palermo ad opera di Cesare Ajroldi –;
dell’interpretazione di tipi o esperienze consolidati nella
storia dell’architettura contemporanea come il caso di
Zumthor/Mies analizzata da Renato Capozzi; del caso della
sperimentazione più vasta sul tipo museale condotta in
più progetti da Renato Rizzi ed esposto da Susanna Piscella.
Nel primo caso, quello dell’Arsenale di Palermo, viene
affrontato il tema della ri-costruzione contemporanea di una parte di
edificio antico di alto valore architettonico. Oltre al tema di base,
l’autore tratta anche quello delle regole
dell’architettura, che, non a torto, ritiene fondamentale in
questo momento storico di abbandono dei fondamenti della disciplina, in
particolare in relazione alla “addizione” a un
monumento; e del progetto nella città di pietra, nella
città mediterranea. Il progetto desume dalla preesistenza le
regole della sua costituzione e si caratterizza per l’ordine
e la qualità della luce. Un progetto che si costituisce come
difesa dell’autenticità della città
mediterranea e delle sue architetture contro la strumentalizzazione che
dell’architettura (anche museale) fanno certi amministratori.
Nel secondo caso, l’autore indaga la concezione di museo che
Mies mette a punto – a partire dal progetto per il Padiglione
tedesco alla Esposizione Universale di Bruxelles del 1935, passando per
un Museo per una piccola città del 1943 per finire con la
Neue Nationalgalerie di Berlino del 1968 – dimostrando come
tale principio tipologico-spaziale abbia influenzato nella concezione
contemporanea di museo come libero e disponibile “spazio
dell’opera-spazio del lavoro”, luogo di incontro e
comunicazione assunto come “laboratorio-fabbrica del
fare” incarnato dalla Werkraum del 2013 di Peter Zumthor ad
Andelsbuch. Quest’ultimo è definito come
“variazione ammissibile” della struttura originaria
di Mies.
Nel terzo caso, l’autore analizza alcuni progetti di Musei di
Renato Rizzi, in particolare il Grand Egyptian Museum per il Cairo, il
Museum of Modern Art di Varsavia e il Museo dell’Ebraismo
Italiano e della Shoah di Ferrara (oltre ad un ultimo, il Museo del
Futurismo Fortunato Depero a Rovereto, l’unico realizzato)
come tentativi di rigenerare il rapporto conoscitivo originario,
attraverso la restituzione di tre singolarità:
dell’opera, della persona, del paesaggio interiore, il quale
incorpora i due precedenti. Il museo diventa così, nella
concezione dell’autore, “apparecchio per
l’esperienza, per l’espandersi
dell’anima”.
Museo vs Museo:
ampliamenti di musei
Due saggi trattano del rapporto tra architettura museale originaria e
ampliamento, tra preesistenza storica e nuova architettura
funzionalmente e figurativamente connessa alla precedete. Nel primo
caso Federico De Matteis riflette sul concetto di ampliamento inteso
non come “mera aggiunta di spazi ad una preesistenza,
bensì come accomodamento delle molteplici forme di
espressione dell’arte contemporanea”, “un
allargamento del ruolo dell’edificio-museo nella
società contemporanea, e in secondo luogo la crescita
esponenziale dello spettro estetico verificatasi nel corso dello
sviluppo dell’arte del Novecento”.
L’autore fonda il suo saggio su due progetti di ampliamento
di Christ & Gantenbein – il nuovo edificio per il
Museo d’Arte di Basilea e la nuova ala del Museo Nazionale di
Zurigo, – in cui gli edifici, pur nel loro differente
aspetto, programma e dimensione, interpretano questi mutamenti
culturali sia nella loro struttura architettonica, sia nelle
qualità degli spazi espositivi realizzati.
Nel secondo articolo Gennaro Di Costanzo prende a pretesto il caso
dell’ampliamento della Galleria Nazionale d’Arte
Moderna di Roma di Luigi Cosenza, in cui la concezione di un museo
lontano da ambizioni monumentali diviene fertile premessa per la
realizzazione di un’idea nuova di museo, – Cosenza
lo definisce un museo senza monumento –, dove
l’innovazione tipologica articola una sequenza spaziale che
trova nella ripetizione e variazione i temi formali con cui costruire
una “figurazione temporale”. Un museo
“Classico” nel senso dato a questo termine da
Cacciari e rispondente a ciò che attualmente non
è moda.
Infine una riflessione ad opera di Federica Visconti su cosa
può essere oggi il museo. Partendo dall’idea
kahniana di museo-deposito sviluppata nel corso di alcuni progetti e
rimasta incompiuta – i due edifici per la Yale University a
New Haven nel Connecticut e, cronologicamente tra la Yale University
Art Gallery e lo Yale Center for British Art, il Kimbell Art Museum di
Fort Worth in Texas, l’autore utilizza questa idea
‘interrotta’ di museo come deposito-scrigno per
giungere ad una ulteriore affinazione offerta
dall’interpretazione di Maurizio Ferraris di storage come
dispositivo per la memorizzazione e registrazione di grandi
quantità di informazioni in formato digitale, risalendo
però ancora al significato della parola inglese che
è di nuovo sinonimo di conservazione e memoria.
Chi segue la rivista conosce l’impegno e
l’attenzione prestati all’insegnamento del progetto
di architettura. Nella vasta letteratura sull’architettura
del museo, tema classico di formazione della cultura progettuale per la
ricchezza di significati e la vastità di esempi storici,
l’interpretazione di Giulio Carlo Argan di Museo come Scuola2 mi
è sempre sembrata la più interessante.
Cosicché auspichiamo che l’ennesimo contributo
della nostra rivista, che giunge con questo fascicolo al traguardo del
cinquantesimo numero, possa servire da stimolo aprendo a nuove
esperienze e nuove sperimentazioni architettoniche.
.
Note 1
I due termini citati sono un riferimento ad un testo di Renato Barilli
intitolato Tra presenza
e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna
(Bompiani 1974) in cui l’autore anticipa molti dei caratteri
e delle contraddizioni dell’attualità. 2
Giulio Carlo Argan, Il
Museo come Scuola, in
“Comunità”, n. 3, 1949, pp. 64-66. Sulla
funzione educativa dei musei nel pensiero di Argan si veda Carlo De Carli, Argan:
L’arte di educare, in Rileggere Argan.
L’uomo. Lo storico dell’arte. Il didatta. Il
politico, Atti del Convegno a cura di M. Lorandi e O.
Pinessi, Moretti & Vitali, Bergamo 2003, pp. 94-110. Sui
diversi ruoli e significati storici del museo si vedano i numeri
monografici delle riviste «Hinterland» (n. 4/1978, Per un museo metropolitano;
n. 21-22/1982, La
diffusione museale) e «Zodiac» (n.
6/1988 dedicato al museo) ed in particolare i saggi di Guido Canella, Inventio translatio depositio
(Hinterland 4, cit., pp. 17-29), Memorie
di funzione e frammenti di rappresentazione (Hinterland
21-22, cit., pp. 2-3), Su
certe devianze dell’archetipo museale (Zodiac,
cit., pp. 4-11).