Recensioni

Capozzi FAM

Abitare lo spazio attraverso archetipi.
Letture delle opere di Kahn e Mies.

Il contributo che il piccolo – e denso – volume Kahn e Mies. Tre modi dell’abitare di Federica Visconti e Renato Capozzi intende trasmettere è chiaro a partire dal titolo, poi rimarcato dall’immagine della copertina – un collage dell’aula del Bacardi Building di Mies posato sul pavimento di travertino del complesso per il Salk Institute di Kahn – ossia mettere a confronto l’opera dei due Maestri attraverso l’analisi di opere selezionate, presentate nelle pagine del libro tramite ridisegni, alla ricerca di punti di contatto e divergenze, a partire dal tema dell’abitare, inteso come argomento costitutivo dell’architettura. Come afferma Giorgio Agamben, infatti, «l’abitazione – o, piuttosto il nesso fra costruzione e abitazione – è, cioè, l’a priori, la condizione di possibilità dell’architettura. L’architettura è arte della costruzione, nella misura in cui è, anche, arte dell’abitazione» .
Il libro, che costituisce il settimo volume della collana ‘Moderni Maestri’ della casa editrice napoletana Clean, ha il merito di trattare un tema chiave dell’architettura attraverso letture che scompongono e dissezionano i progetti per metterne in evidenza le ragioni formali, secondo chiavi interpretative differenti ma ugualmente attinenti al tema. Ne risulta un libro che propone interessanti riflessioni intorno alle opere e alle questioni sollevate, in grado di trasmettere al lettore una sorta di solida consistenza didattica. Ciò è reso possibile dalla struttura del libro che propone costanti intersezioni tematiche tra i contributi di Federica Visconti e Renato Capozzi: essi sviluppano, a partire dalle analisi compositive, istanze critiche, rispettivamente di Kahn e Mies, in parallelo e secondo tre categorie interpretative, quali l’abitare privato, l’abitare collettivo e l’abitare pubblico – con quelli di Marco Mannino (Stanza, aula. Materialità e trasparenza) e Carlo Moccia (Moderni Maestri).
Trasmettere un lavoro di ricerca di lunga durata, come quello compiuto dagli autori  pretende un monito, che essi formulano fin dal principio – nell’introduzione – riguardo la «necessità, in architettura, di scegliersi dei Maestri e, con essi, le architetture di riferimento con le quali misurarsi», suggerimento che rivela una certa idea di fare scuola degli autori, indicando agli allievi l’importanza di misurarsi con i riferimenti e di «scoprire cercando».
La lettura dei progetti mette in evidenza i modi del comporre dei due Maestri ed individua nel ridisegno uno strumento di indagine compositiva per la comprensione dell’architettura, che restituisce concetti di abitare lo spazio declinati in forme differenti. L’approccio compositivo di Mies tende a spogliare l’architettura e ridurre la materia a pochi elementi che configurano lo spazio interno e che rappresentano il carattere tettonico dell’edificio, sublimato dal punto di vista formale fino a giungere all’Aula che, secondo Renato Capozzi, rappresenta il paradigma dell’edificio pubblico moderno, «un tipo riassuntivo in cui le parti e le sue articolazioni vengono subordinate al tutto».
Kahn, invece, restituisce l’idea di un abitare domestico a partire dall’archetipo della stanza, per mezzo del quale produce strutture paratattiche che determinano sequenze architettoniche, scarti planimetrici che mettono in relazione pieni e vuoti e che producono un carattere di internità degli spazi, come afferma Marco Mannino.
Tali condizioni dell’abitare producono differenti esiti e sperimentazioni, ma ugualmente interessati a ragionare sul senso delle forme e sul valore dell’ordine per l’organismo architettonico moderno, come sostenuto da Carlo Moccia.
Mies costruisce una spazialità fluida, dove lo spazio – negazione della perenne distinzione tra contenitore e contenuto – diventa materia costruttiva, in grado di declinare l’ordine secondo una gerarchia di elementi compositivi che conferiscono all’architettura i caratteri di uno spazio assoluto che prescinde da definizioni funzionali. Nelle sue architetture non è percepibile un limite, poiché lo spazio si libera da occlusioni visive per potersi unire spiritualmente con la terra e il cielo, assimilando l’archetipo del riparo, che favorisce l’esplicarsi di una «aspirazione di un abitare moderno all’‘apertura’ e all’‘attraversamento’» formalmente compiuta in ambienti contemplativi che connettono visivamente interno ed esterno.
Kahn, invece, ricerca un ordine complessivo a partire dalla singolarità della stanza, che è origine dell’architettura  e che – come affermato da Kahn e riportato da Federica Visconti nel saggio Kahn. La stanza come principio dell’architettura – «caratterizza un’armonia di spazi adatti ad una certa attività dell’uomo», in altre parole, rende possibile l’abitare domestico.

Giuseppe Verterame





Autori: Federica Visconti, Renato Capozzi
Titolo: Kahn e Mies
Sottotitolo: Tre modi dell’abitare
Lingua: italiano
Collana: Theoria, architettura, città
Editore: Clean, Napoli
Caratteristiche: formato 12x17 cm, 96 pagine, brossura, bianco e nero
ISBN: 978-88-8497-722-9
Anno: 2019