La Casabella di Vittorio Gregotti (1982-1996)

Marco Francesco Pippione



Introduzione
La rivista di architettura «Casabella» viene diretta, dal 478 del Marzo 1982 al numero 630-631 del Gennaio del 1996, da Vittorio Gregotti. Nella sua lunga e appassionata direzione Gregotti costruisce intorno alla rivista un vero e proprio progetto culturale sul ruolo dell’architettura e del progettista nella trasformazione della città e del territorio, coinvolgendo colleghi e studiosi di discipline diverse.
Tale progetto culturale si costruisce su temi e autori capaci di muovere e ricentrare il dibattito contemporaneo dell’architettura, in Italia e in Europa. Tra i temi più rilevanti sollevati dalla «Casabella» di Gregotti c’è quello del rapporto con il “progetto moderno”, delle convergenze tra Architettura, urbanistica e ingegneria, del progetto urbano, dell’attenzione per il contesto e per la modificazione dell’esistente. Gli autori maggiormente pubblicati sono Gino Valle, Oswald Mathias Ungers, James Stirling, Tadao Ando, Hans Kollhoff ma soprattutto Alvaro Siza, il cui intervento a Evora occupa le prime pagine del numero inaugurale della direzione di Gregotti.

La rivista
L’affermazione di uno sguardo specifico sul panorama architettonico contemporaneo passa anche attraverso un’organizzazione formale precisa e rigorosa.
Già nella scelta del supporto di stampa, la critica che «Casabella» rivolge alle altre riviste di settore è evidente. Per le pagine interne, al posto della carta patinata, viene scelta una carta spessa, color avorio, particolarmente adatta per la pubblicazione dei disegni tecnici e degli schizzi dei progettisti ma molto meno efficace per le riproduzioni fotografiche. A conferma dell’espressione di una chiara gerarchia tra progetto e rappresentazione dell’opera è la scelta di pubblicare i disegni (anche quelli esecutivi) in grande formato, a tutta pagine, relegando le fotografie ai margini.
Un’altra peculiarità della «Casabella» di quegli anni è la prevalenza dei testi sulle immagini, fatto piuttosto insolito per una rivista di architettura. L’anomalia trova una sua giustificazione nel livello di approfondimento dei contributi pubblicati (in particolare quelli a carattere storico-critico) che riduce lo spazio per le fotografie e le riproduzioni, sovente stampate in piccolo e infra-testo; vi è inoltre una preminenza dell’analisi critica sull’illustrazione. I progetti principali di ogni numero sono sempre accompagnati da un testo a firma della redazione o di qualche critico riconosciuto che non è mai meramente descrittivo.
La grafica, curata da Pierluigi Cerri, enfatizza la scansione della struttura interna con la distribuzione del testo in colonne, che si infittiscono e si allargano a seconda delle rubriche. Il risultato è una impaginazione regolare e ordinata, quasi si trattasse della partizione di una facciata architettonica, con simmetrie, pause, “intercolumni” e “pilastri”.
Un’altra scelta evidente della «Casabella» di Gregotti è quella di presentarsi come una rivista di “attualità” e non tematica. La periodicità mensile non permette una tempestività di commento; tuttavia l’assenza di un tema specifico lascia alla redazione una maggiore libertà nella selezione dei progetti e delle recensioni da pubblicare. Vi sono inoltre delle implicazioni ideologiche precise: una rivista tematica si presta maggiormente ad essere una rivista con uno spiccato indirizzo politico – anche in un senso più stretto del termine – come lo era stata ad esempio la «Casabella» precedente, quella di Tomás Maldonado. Gregotti ritiene invece che la sua «Casabella» debba rivolgersi maggiormente ad un pubblico professionale, che intende rimanere aggiornato sui progetti e sulle pubblicazioni più interessanti del momento, senza che esse debbano riguardare uno specifico tema. Il modello tematico non è però del tutto abbandonato: viene riproposto infatti attraverso i numeri doppi, pubblicati a inizio anno, che servono a fare il punto e a dare spessore e consistenza al progetto culturale promosso dalla rivista. Tra i “numeri doppi” più significativi ricordiamo Architettura del Piano (1983) Architettura come Modificazione (1984), Il disegno degli spazi aperti (1993) e Internazionalismo critico (1996).
Le inserzioni pubblicitarie, che servono a sostenere economicamente gli alti costi di distribuzione di una rivista ad ampia diffusione, non interferiscono con gli articoli e le presentazioni, ma sono raccolti tra la copertina e il sommario. Stampati a tutta pagina su carta patinata, a colori o in bianco e nero, costituiscono quasi una sorta di fascicolo a parte, separata dalla rivista. Non si tratta di una scelta così inusuale per una periodico specialistico; ben più insolita è invece la sezione pubblicitaria che prenderà il nome di «Innovazione edilizia» e verrà pubblicata in fondo alla rivista. Si tratta di una rubrica pubblicitaria dove la precisa sistematizzazione rende evidente un chiaro intento pedagogico: in ciascun numero viene affrontato un tema specifico, che spazia dall’“isolamento e impermeabilizzazione”, alle “attrezzature per lo studio professionale”; il breve testo introduttivo, a cura di collaboratori della rivista, inquadra il tema dal punto di vista normativo e della classificazione tipologica; seguono una decina di pagine dedicate ciascuna al prodotto specifico di una azienda di settore. Le schede-prodotto sono suddivise in descrizione “anagrafica”, “caratteristiche generali”, caratteristiche morfologico-dimensionali” e “caratteristiche tecnico-prestazionali”. Le immagini a corredo sono spesso disegni di dettaglio, tabelle tecniche, o diagrammi che spiegano il funzionamento dei vari componenti.

La redazione
La redazione di «Casabella» è costituita principalmente da giovani critici e architetti (Pierre-Alain Croset, Giacomo Polin, Mirko Zardini, Sebastiano Brandolini, Silvia Milesi, Antonio Angelillo, Chiara Baglione) a cui si affianca una “redazione esterna” a cui partecipano, in anni diversi, Bernardo Secchi, Jean-Louis Cohen, Jacques Gubler, Vittorio Magnago Lampugnani, Massimo Scolari, Giorgio Ciucci, Marco De Michelis, Boris Podrecca, Richard Ingersoll e Carlo Olmo. Alcuni redattori «esterni» sono anche collaboratori assidui: Bernardo Secchi interviene in quasi tutti i numeri con un testo di opinione; Jean-Louis Cohen scrive numerosi articoli e saggi critici; Jacques Gubler firma, oltre la celebre rubrica di appendice – la “Cartolina” alla signora Tosoni – molti interventi.
Il lavoro della redazione interna richiede un impegno a tempo pieno e i redattori seguono in prima persona anche il lavoro di impaginazione e di raccolta dei disegni da pubblicare. Per la valutazione delle architetture da pubblicare viene tenuta in grande considerazione l’esperienza diretta dei manufatti. L’intento dei redattori è quello di presentare ai lettori una “narrazione critica” delle opere pubblicate: attraverso la precisa selezione di immagini e disegni tecnici si intende riprodurre, nella maniera più fedele possibile, l’esperienza del confronto diretto – compiuto dagli stessi redattori – con l’architettura rappresentata. Le frequenti missioni all’estero per visionare le opere realizzate e raccogliere presso gli studi dei progettisti i disegni e le immagini più significative diventano anche momenti importanti per allargare la rete di contatti e scoprire giovani talenti ancora inediti.
Le aree geografiche europee sono suddivise tra i redattori di «Casabella» secondo le specifiche competenze linguistiche: competenze indispensabili per un lavoro che richiede continuamente la traduzione di testi e la corrispondenza con i diversi autori stranieri pubblicati. Esistono inoltre gli inviati di «Casabella»: dal 1986 compaiono regolarmente nella rubrica “Argomenti” gli interventi di Jean-Claude Garcias da Parigi, Martin Pawley da Londra e Reyner Banham da New York. Gli articoli degli inviati costituiscono una critica vivace e tagliente degli eventi che interessano la cultura architettonica francese, inglese e statunitense.
La “strategia dell’esclusione”, che aveva portato la rivista, su modello delle riviste di avanguardia di inizio secolo, a pubblicare soltanto gli autori in linea con il progetto culturale di «Casabella», viene in parte avversata dai giovani redattori, che spingono per pubblicare opere e architetti in contrasto con le scelte del direttore, soprattutto nell’ultimo periodo. A partire dal n. 610 del marzo 1994, compaiono su «Casabella» una serie di saggi critici su indiscussi protagonisti del dibattito architettonico di quegli anni – ma spesso assenti dal dibattito della rivista – quali Rem Koolhaas, Jacques Herzog e Pierre de Meuron, Peter Eisenman, Jean Nouvel, Santiago Calatrava, Philip Johnson e Arata Isozaki. Tali articoli, in contraddizione palese con i principi espressi in più occasioni dallo stesso direttore, testimoniano la maturazione, anche professionale, da parte dei giovani redattori e un cambiamento degli equilibri interni alla redazione.
Se dunque nella definizione dell’impostazione teorica del progetto culturale della rivista gli editoriali di Vittorio Gregotti svolgono un ruolo non equiparabile agli altri contributi della rivista, occorre sempre considerare che «Casabella» viene costruita, anche materialmente, da un gruppo di lavoro molto più ampio, che interviene – attraverso la selezione dei contributi e delle architetture da pubblicare – in maniera non neutrale.
Matura inoltre negli anni, da parte dei giovani collaboratori della redazione, una autonomia che rende il loro contributo alla rivista più consapevole e coinvolto, in una parola più “critico”. La forza persuasiva del progetto pedagogico di «Casabella» dimostra la propria efficacia innanzitutto verso il proprio interno, nei confronti dei suoi redattori e protagonisti.

«Casabella» e il valore della critica
Tutti i tratti fin qui analizzati della rivista mostra chiaramente la coerenza dell’attitudine critica promossa da «Casabella», attitudine che solo marginalmente ha a che fare con la polemica nei confronti del postmodern, di moda in Italia all’inizio degli anni 80.
Il progetto culturale di «Casabella» ha il suo fondamento proprio nell’attitudine critica del soggetto – l’architetto – di fronte al mondo e agli strumenti – il progetto – con cui la realtà può essere modificata. Significativamente l’ultimo numero della direzione di Vittorio Gregotti viene dedicato all’“Internazionalismo Critico”, presentandosi quasi come una sorta di lascito del direttore nei confronti dei suoi lettori.
Ma quali sono le caratteristiche (prendendo in prestito il titolo di un altro celebre numero doppio) dell’“architettura come modificazione”? Quali i punti di contatto tra autori e progetti così eterogenei presentati negli anni sulle pagine della rivista? Cosa lega, ad esempio, i progetti di Ungers, di Stirling, di Siza – protagonisti non estemporanei di quella stagione di «Casabella»?
In primo luogo l’eterogeneità figurativa esclude che la risposta possa essere ricercata all’interno della questione del linguaggio. L’“architettura della modificazione” non richiede un’adesione formalistica; la rigida griglia dei progetti ungersiani, le forme eclettiche dei progetti di Stirling, la libertà poetica delle architetture di Siza, non costituiscono una contraddizione. Tutto ciò è coerente sia con le riflessioni giovanili di Vittorio Gregotti e della cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra (si pensi alle polemiche del Neo-Liberty, al rifiuto programmatico dell’adesione ad un linguaggio moderno, che aveva caratterizzato le prime opere dello stesso Gregotti) sia alla critica che più volte viene espressa nelle pagine di «Casabella» al concetto di stile.
In secondo luogo la diversità di approcci nega la deduttività del metodo. Ciò non significa un rifiuto della coerenza metodologica interna al progetto, ma la negazione della possibilità di definire una regola o una serie di regole, che, stabilite a-priori, riescano a garantire la qualità del risultato finale. Questo aspetto è anche in evidente contrapposizione con alcuni presupposti che animavano in quegli anni le ricerche disciplinari sull’analisi urbana. Il punto di partenza per il “progetto della modificazione” sono le condizioni poste dal contesto reale di trasformazione; non è data la possibilità di appellarsi a regole compositive autonome, né tantomeno di applicare sperimentate ricette.
L’«architettura della modificazione» presenta caratteristiche che non si misurano sul piano strettamente formale. Non viene negata la possibilità che vi siano delle somiglianze figurative (si pensi alle assonanze tra alcuni progetti di Ungers e quelli della Gregotti Associati, tra la Fiera di Francoforte e il quartiere Bicocca a Milano), tuttavia esse sono la conseguenza di riflessioni1 parallele e non l’esito di un rigido programma linguistico.
Ciò che conta invece è la centralità e l’irriducibilità dell’atto progettuale, l’assunzione piena della responsabilità della “modificazione” del “reale”. L’adesione a specifiche regole o linguaggi è rifiutata proprio perché tenderebbe, all’opposto, alla de-responsabilizzazione del singolo progettista in favore di un metodo astratto, di un “programma”.
La verifica del “progetto della modificazione” è dunque spostata sul piano dell’etica: sia l’architettura poetica di Siza che quella rigidamente schematica di Ungers danno forma ad una precisa idea di trasformazione che non è dettata dalle contingenze esterne ma nasce dal singolo come risposta a tali contingenze. I meccanismi per la costruzione di tale risposta sono interni e dunque non conoscibili e non codificabili. Conoscibili sono soltanto le condizioni al contorno; tuttavia il «progetto» non può limitarsi alla riproduzione di tali condizioni, ma è chiamato alla reinterpretazione, all’esercizio da parte del progettista di una “distanza critica” che sia capace di evocare, riprendendo le parole di Gregotti, “ciò che non è in alcun modo presente”.

Conclusione
Nel marzo del 1996 esce il numero 632 di «Casabella». Il nuovo direttore è lo storico di architettura Francesco dal Co, che aveva già collaborato con la rivista di Gregotti. Tra i redattori rimangono nel loro incarico Antonio Angelillo e Chiara Baglione. Eppure la discontinuità con la stagione precedente è visibile sin dalla prima uscita. Cambia il formato, che si riavvicina a quello quasi quadrato delle origini. Cambia il supporto cartaceo, dove una spessa carta patinata viene preferita per fa risaltare fotografie, illustrazioni, e una grafica meno disegnata rispetto a quella di Cerri. Ma è a pagina 22 dello stesso numero che la cesura diventa evidente e quasi polemica. Vengono infatti pubblicate ben diciotto pagine sul progetto dell’isolato berlinese in Schützenstrasse di Aldo Rossi.
La “strategia dell’esclusione”, che aveva nell’architetto milanese una vittima illustre e principale, è definitivamente archiviata. Con essa tramonta anche l’impostazione di «Casabella» come rivista di tendenza, come sguardo orientato sul dibatto e sulla realtà contemporanea. Il cambiamento è evidente anche nella scelta dei temi dei numeri doppi di inizio anno che Dal Co decide di continuare a pubblicare in continuità con la direzione precedente ma che verranno dedicati all’Architettura sacra (1997), alle Fabbriche (1998), alle Case unifamiliari (1999), alle Scuole (2007), alle Biblioteche (2008).
Ciò che viene meno, al di là dei cambiamenti di contenuti e di forme, è l’orientamento di fondo, la volontà – molto radicata nella «Casabella» Gregotti – di costituirsi come progetto culturale di ricomposizione.
Il tramonto dell’ideologia, sentito tanto da Dal Co quanto da Gregotti nei rispettivi editoriali di inizio e di commiato, ha come conseguenza necessaria l’inversione di quel percorso che Marx aveva inaugurato più di centocinquant’anni prima con le Tesi su Feuerbach: dal tentativo di modificare la realtà, ci si limita ora alla sua descrizione.