Mobilitare l´innovazione, il benessere e la riqualificazione degli edifici scolastici dopo la pandemia. Verso un “nuovo straordinario”

Laura Anna Pezzetti, Helen Khanamiryan 




Il lockdown causato dall’emergenza Covid-19 e la necessità di un distanziamento fisico hanno evidenziato la generale mancanza di resilienza degli edifici scolastici unitamente alla necessità urgente di esplorare le pregresse necessità di riqualificazione attraverso nuovi parametri e idee. La chiusura globale delle scuole in risposta alla pandemia ha sollevato inoltre rischi per l’istruzione e il benessere degli allievi senza precedenti (UNESCO, UNICEF, WB e WFP 2020).
Se la didattica a distanza ha consentito di proseguire nell’apprendimento, le disomogeneità nell’accesso alla rete e ai dispositivi tecnologici ha esacerbato le disuguaglianze socio-economiche e geografiche. Si è indebolita, soprattutto, la qualità complessiva dei processi educativi per non parlare dei crescenti fenomeni di “autismo digitale”.
Le amministrazioni pubbliche auspicano il rapido ritorno all’“ordinario”. Tuttavia, la realtà degli edifici scolastici italiani antecedente alla pandemia era contraddistinta da un bisogno endemico di riqualificazione, aggiornamento e innovazione che risale all’indomani della Seconda Guerra Mondiale (Rogers 1947, 1953-54; Pezzetti 2012) come denunciato dalla XII Triennale di Milano dal titolo La casa e la scuola (1960).
Secondo i dati presentati dal Ministero dell’Istruzione italiano (MI), tra i 58.842 edifici scolastici (MIUR 2019; MI 2020), più della metà sono stati costruiti prima del 1976 e circa il 30% sono stati adattati da altre funzioni. I restanti sono perlopiù “contenitori” prefabbricati impostati sul rigido sistema di aule-corridoi (quest’ultimo spesso di dimensioni inferiori a 2,4 metri) e privi di sufficienti spazi collettivi. Le aule, inoltre, essendo in generale piccole e sovraffollate, non risultano resilienti se occupate da un numero superiore a ventidue studenti. Quando i primi protocolli di distanziamento fisico emanati dal Ministero della Pubblica Istruzione hanno prospettato il “metro dinamico”, il grado di resilienza delle aule era vicino allo zero. Il “metro statico”, adottato in seguito (MI 2020), si è reso necessario per garantire la riapertura della scuola nel settembre 2020.1 
D’altro canto, il lockdown ha indiscutibilmente evidenziato come la scuola sia un mondo fisico fatto di spazi di apprendimento e molteplici relazioni cognitive, emozionali e affettive che non possono essere surrogati da strumenti e relazioni a distanza garantite dalle tecnologie.
Lo spazio, in quanto “Terzo Educatore” (Malaguzzi), agisce anche sulla salute, il benessere e gli aspetti comportamentali degli individui. Crea le precondizioni per migliorare i risultati dell’apprendimento (OCSE 2010). Di fatto, le qualità di questo mondo fisico sono già in sé auspicabili risultati dell’educazione allo spazio.
«Lo spazio architettonico non è solo un fattore attivo nell’influenzare le condizioni di apprendimento e sviluppo, ma è anche un elemento costitutivo nella formazione del pensiero e uno strumento specifico di conoscenza critica, culturale e immaginifica della realtà. Organizzare lo spazio dell’istruzione significa organizzare la metafora della conoscenza» (Pezzetti 2019, 2015).
Tuttavia, già prima della pandemia, lo spazio architettonico unitamente a tutto il potenziale dei suoi codici e della sua sintassi appariva marginalizzato dal ruolo destrutturante accordato alle tecnologie digitali. All’interno del cliché delle scuole 2.0-3.0 (presto 4.0) e di alcuni approcci pedagogici dominanti, infatti, la partecipazione collaborativa degli studenti è considerata principalmente attraverso l’interazione con l’oggetto-feticcio tecnologico (IWB o BYOD) e la prescrizione di ambienti di apprendimento fluidi, indifferenziati o tuttalpiù modulari.
Queste “scuole destrutturate”, che assumono l’open plan come ideologia, sono state viste da molti come le scuole del futuro. Tuttavia, uno scenario che sostituisca lo spazio architettonico strutturato con ambienti totalmente fluidi si è dimostrato quello meno resiliente durante una pandemia. Nuovi requisiti quali la compartimentazione in gruppi stabili, il distanziamento fisico, il controllo dei flussi di persone e i ricambi d’aria, mettono in discussione i vecchi e nuovi “dogmi” dell’innovazione scolastica. Laddove l’impianto spaziale è dettato da una “traduzione” meccanica delle teorie pedagogiche, sia le vecchie “scuole-corridoio” che le nuove “scuole destrutturate” dimostrano scarsa resilienza alle mutevoli esigenze.
Il lavoro condotto dalle autrici all’interno dell’Osservatorio Scuole (OS)2 su un numero consistente di edifici scolastici del Comune di Milano (Primarie e Secondarie di primo grado), ha dimostrato che le scuole strutturate dal sistema aula-corridoio costituiscono la maggior parte degli edifici esistenti, indipendentemente dall’epoca e dalla tipologia. In ragione della dimensione ristretta di tali aule (41-45 mq), le misure di distanziamento richiedono ora non solo l’abolizione delle “aule pollaio” prodotte dalla Riforma Gelmini, ma una capillare riduzione del numero standard di studenti per classe al di sotto del livello dimostratosi critico (ventidue).  Nelle scuole-corridoio esistenti, infatti, la possibilità di estendere l’insegnamento oltre lo spazio delle aule è bassa, per via della disposizione lungo corridoi di ampiezza ridotta e dell’assenza di ulteriori spazi comuni.
Ambedue le istanze della salute e della ristrutturazione convergono verso la necessità di aumentare la superficie delle aule e degli spazi comuni, nonché la reciproca porosità, suggerendo l’innesto di nuovi volumi o strati di spazi. Ciò consentirebbe di intervenire anche sulla qualità e prestazioni delle facciate.
L’abolizione delle aule nelle “scuole destrutturate”, a sua volta, mina la resilienza poiché le classi non possono essere compartimentale in gruppi stabili e difficilmente si possono controllare i flussi.
Questioni del distanziamento a parte, l’identificazione dell’apprendimento collaborativo con l’ambiente fluido imperniato sulle nuove tecnologie conduce alla destrutturazione dell’intera scuola in un open plan informale. Offuscando il confine tra gli spazi, i vari ambiti della scuola perdono il loro carattere architettonico distintivo. Di conseguenza, il potenziale legato all’esplorazione tattile e dinamica dello spazio fisico, le modalità in cui le attività vengono strutturate, così come i confini tra spazio individuale e spazio collettivo, cedono il posto alla seduzione di una realtà despatializzata da esperirsi all’interno di un ambiente “contenitore” architettonicamente indifferenziato (Pezzetti 2019).
Poiché forma e pensiero sono interconnessi, quando l’open plan è assunto come ideologia pedagogica lo spazio di apprendimento tende a riflettere quel carattere informale e dissolutivo della società liquida contemporanea e dei suoi non-luoghi descritto da Augé (2008). Se la conoscenza viene fatta coincidere con l’informazione, allora l’esperienza dello spazio diventa quella di un nomade munito di una tavoletta che vaga da un atelier all’altro. Così, come già notato da Hertzberger (2008), se gli spazi dell’apprendimento diventano indefiniti, non resta più molto da esplorare, scambiare o riconoscere.
Le scuole, in quanto edifici pubblici, sono manifestazioni culturali di una data società e patrimonio delle comunità locali. Il loro ciclo di vita è più lungo dei mutevoli modelli pedagogici. L’innovazione spaziale non dovrebbe mai dipendere da una determinata concezione dell’insegnamento, che invece rappresenta solo un punto di partenza per il progetto. Gli architetti dovrebbero invece esplorare condizioni spaziali che favoriscano e amplino le possibilità di apprendimento, rimanendo all’interno di un quadro generale sufficientemente flessibile da rispondere ai continui cambiamenti nei percorsi educativi (Hertzberger 2008) poiché caratterizzato da temi e spazi duraturi (Pezzetti 2019).
Le sfide della resilienza anti-pandemica e verso i mutevoli modelli pedagogici sembrano trovare un punto di interconnessione nella precisazione funzionale ma non funzionalistica dell’Architettura.

Le scuole dovrebbero aspirare alla durata in quanto costituiscono l’eredità donata dal nostro tempo al futuro.
I Ginnasi greco-romani, pur nella loro condizione di rovine archeologiche, offrono un confronto impietoso rispetto alla banale modularità delle scuole del nostro tempo. Se l’architettura è ciò che crea belle rovine (Perret), il confronto tra i ruderi moderni della scuola di Vittorio Garatti a Cuba, ad esempio, e i resti di una delle migliaia di scuole-contenitore rende palese quale delle due incarni un’idea spaziale e quale, invece, sia solo un relitto. Auspicabilmente, la riqualificazione e i progetti sollecitati dalla resilienza anti-pandemica dovrebbero iniziare a deviare dall’inclinazione del nostro tempo a produrre solo macerie (Augé 2003).
Il ruolo dello spazio chiarisce come l’attuale enfasi sull’“arredo innovativo”, recentemente rafforzata dalla fornitura di scrivanie e sedie da parte del Governo, sia fuorviante se le qualità spaziali delle scuole rimangono povere e convenzionali.3  Significativamente, come ha dichiarato Ernesto Rogers nel 1947, «i problemi dell’istruzione non possono compiersi senza un’architettura educatrice».
Infatti, mentre l’architettura è un linguaggio, il concetto vago e indeterminato di ambiente non lo è. Modularità e open plan, da qualificare mediante arredi mobili, risultano facili scorciatoie rispetto alla ricerca di configurazioni formali che consentano agli alunni di riconoscere differenti luoghi-spazio e gradi di responsabilità, esplorando al contempo le possibilità di auto-apprendimento.
Sperimentazione tipologica e tema architettonico permettono di studiare nuovi principi strutturanti a cui subordinare organizzazioni innovative per l’aula-home base e le diverse unità-spazio, conservando così un senso di unitarietà e identità per l’intera comunità scolastica.
Su questa linea di pensiero, e considerate le inadeguatezze degli edifici esistenti e delle attuali linee guida, le Fasi 2 e 3 post-lockdown non dovrebbero perseguire il semplice ritorno all’ordinario pre-pandemico. Piuttosto, dovrebbero dare forma a un “nuovo straordinario”, sviluppando principi di progettazione e riorganizzazione spaziale innovativi, capaci di comprendere tra le strategie adattive anche la resilienza a future pandemie quale sfida progettuale per lo spazio e il benessere, come proposto nel Manifesto dell’Osservatorio Scuole (O.S. 2020).
Infatti, una questione chiave per la riapertura così come per le future riqualificazioni o progetti, è che la salute negli edifici non è solo sicurezza, ma anche benessere fisico, mentale e sociale. In una città resiliente e sana (Health City Institute 2020) si dovrebbero considerare tutti quei fattori che promuovono il benessere delle persone nei luoghi di apprendimento come componenti inscindibili.
Attualmente, l’emergenza pandemica ha interrotto un difficoltoso processo di innovazione in strutture scolastiche scarsamente reattive. All’interno della Tavolo municipale “Unlock Milano”, l’OS ha elaborato un “Abaco di Aule e Tipologie” adottato per garantire la ripartenza e affrontare il distanziamento fisico in termini non meccanicamente funzionalistici che spingono al ritorno della didattica frontale quale modello esclusivo, ma come riorganizzazione dello spazio dell’aula atta a consentire in sicurezza molteplici forme di didattica innovativa e condizioni di benessere.
Successivamente, nella Fase 3, dovrebbero invece essere esplorate nuove strategie di riqualificazione, innesto e tipi. Invece di adottare modelli standardizzati, l’architettura educatrice e l’insegnamento attivo potrebbero imparare da atelier e musei a organizzare una pluralità di luoghi-spazio, deputati a proporre centri di attenzione e a stimolare qualità estetiche, così come a consentire forme di didattica innovativa rivolta a piccoli gruppi.
Le dimensioni dell’aula-home base devono essere ampliate per consentire configurazioni multiple e distanziamento. La separazione dei flussi potrebbe avvenire mediante mezzi architettonici, ossia reinventando gli spazi comuni. In associazione con gli spazi di apprendimento informale e di lavoro condivisi, le aule potrebbero formare un tessuto continuo con la complessità di una piccola città o paesaggio, caratterizzato da differenti profondità di campo e altezze, gradi di partizione e condivisione; sale, recessi abitabili, piazze o teatri multifunzionali; patii ombreggiati, rampe, sentieri e giardini. Gli allievi potrebbero quindi sperimentare lo spazio architettonico nella piena ricchezza di luoghi-spazio e di significati, simboli, metafore e metonimie attribuite alle forme; nel gioco delle diverse scale, altezze e layout che predispongono e stimolano differenti tipi di comportamento; e nell’espressione di valori tattili, olfattivi ed estetici-percettivi (Pezzetti 2019).
La storia delle città europee, d’altro canto, mostra qualità che sono state dimenticate ma che sono invece cruciali sia per una nuova ontologia scolastica che per la resilienza urbana: l’integrazione di attività plurime, quale carattere intrinseco dei luoghi di apprendimento fin dagli antichi Ginnasi; la dimensione civica, quale risorsa attorno a cui la società si coagula; e l’esperienza delle scuole en plein air. La loro esplorazione offre approfondimenti per impostare linee guida e identificare nuovi temi progettuali.
 Dal suddetto Ginnasio greco-romano possiamo assorbire, ad esempio, la capacità d’integrazione di molteplici attività all’interno del rapporto dinamico tra l’introversione del peristilio e la sua apertura a tutta la città. Le scuole di oggi, infatti, dovrebbero costituire ancora una volta il cuore pulsante dei quartieri, centro di funzioni comunitarie e di istruzione permanente, connessi ad altre risorse urbane a quindici minuti di distanza. Il tema della scuola come centro civico, inoltre, è stato ampiamente sottolineato dall’esperienza italiana legata alla critica tipologica (Tafuri 1968), ad esempio nei progetti di Aymonino a Pesaro e di Canella nell’hinterland milanese.
La pandemia ha anche rilanciato l’importanza degli spazi esterni, dimenticati dalla pedagogia contemporanea. L’educazione all’aria aperta, invece, ha una ricca tradizione nell’architettura delle scuole en plein air degli anni ‘20-‘30 e, ancor prima, nella Rinnovata Pizzigoni di Milano (1911). Esse mostrano alcune questioni che la pandemia spinge a riconsiderare: aule all’aperto, spazi esterni attrezzati, facciate con elementi mobili e apribili, insieme a un uso attivo dei tetti piatti. Il progetto dell’autrice per un’unità di aule multifunzionali all’aperto (2014) potrebbe essere visto come un primo prototipo per estendere nei parchi urbani e nei quartieri spazi didattici sicuri e versatili.4
Infine, i percorsi urbani e gli spazi antistanti le scuole, oggi privi di carattere, dovrebbero diventare aree car-free e un tema primario, sia per il controllo dei flussi sia per la riqualificazione dello spazio urbano. L’esperienza dei playground di Aldo van Eyck suggerisce una rinnovata ricerca sugli elementi prototipici da applicare in strategie di progettazione urbana site-specific per nuovi spazi di socializzazione.
Per concludere, i vincoli dettati dall’emergenza pandemica potrebbero costituire il fattore di accelerazione per un processo organico di riqualificazione degli edifici scolastici in congiunzione al loro rinnovato ruolo urbano, stimolando nuove configurazioni spaziali, innesti ed estensioni della scuola all’interno di quartieri salutari e resilienti, portando allo stesso tempo la vita della città all’interno della scuola. Le collaborazioni avviate con il Comune di Milano e la Provincia di Monza e Brianza costituiranno il banco di prova verso un “nuovo straordinario”.5


Note
1 “Adozione del Documento per la pianificazione delle attività̀ scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione per l’anno scolastico 2020/2020”, Decreto N. 39, 26 giugno 2020.
2 L’Osservatorio Scuole (OS), coordinato da Laura Pezzetti, è un think tank del Dipartimento ABC del Politecnico di Milano che ha operato nel “Cantiere Spazi – Scuole” nell’ambito di “UNLOCK Milano”, il tavolo di collaborazione aperto tra il Comune e il Politecnico di Milano per progettare la riapertura dopo la pandemia. 
3 Gli spazi di apprendimento come quelli promossi dai “Future Classroom Labs” di European Schoolnet sono infatti sostanzialmente privi di connotazioni formali e architettoniche, puntando unicamente sull'aggregazione funzionale flessibile degli ambienti, sull'arredamento modulare e sull'introduzione di apparecchiature 2.0-3.0.
4 Il progetto di Laura Pezzetti è parte della proposta a scala urbana per il concorso “Riqualificazione dell’asse Conciliazione-Cozzi a Cesano Maderno”, 2015, 1° premio.
5 Accordo per il progetto di riqualificazione del campo scolastico di Vimercate nell’ambito del “Programma Re-Start” della Provincia di Monza e Brianza.


Bibliografia
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HERTZBERGER H. (2008) – Space and Learning: Lessons in Architecture. 010 Publisher, Rotterdam.
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ROGERS E.N. (1947) – “Architettura educatrice”. Domus - La Casa dell’uomo, 220 (June).
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