Architettura post Covid-19. La prossemica come strumento di progetto

Anna Veronese




«Questo libro costituisce un contributo scientifico altamente provocatorio: anche là dove può giustificare delle contestazioni, non mancherà di aprire nuove vie di ricerca. Si può prevedere che stimolerà non solo gli studiosi della comunicazione o gli antropologi culturali, ma anche gli psicologi, gli educatori e – soprattutto – gli architetti e gli urbanisti».

Con queste parole Umberto Eco introduce il libro La dimensione nascosta, scritto dall’antropologo americano Edward Twitchell Hall nel 1966 e edito in Italia da Bompiani nel 1968. Nel suo lavoro Hall sistematizza le riflessioni – già accennate nel libro Il linguaggio silenzioso del ’59 – che lo portarono alla teorizzazione di una nuova scienza, la prossemica. Con il termine prossemica, dall’inglese proxemics – fusione dei termini proximity e phonemics – Hall si riferisce a quell’insieme di osservazioni e teorie che studiano i significati che l’uomo attribuisce ai concetti di distanza e spazio. Secondo Hall è possibile individuare quattro principali sfere di distanziamento che scandiscono le relazioni fra gli uomini e che possono essere immaginate come delle bolle intorno a ciascun individuo: la sfera della distanza intima (tra 0 e 46 cm), in cui avviene il contatto fisico tipico delle relazioni di coppia e familiari; la sfera della distanza personale (tra 46 e 122 cm), per l’interazione tra amici; quella della distanza sociale (tra 1,2 e 3,5 metri), in cui avviene lo scambio con colleghi o conoscenti; infine la sfera della distanza pubblica (oltre i 3,5 metri), all’interno della quale si svolgono le pubbliche relazioni. Pur considerando che nello studio della prossemica gioca un ruolo primario il fattore culturale – basti pensare alla differenza che intercorre nel cerimoniale e nella concezione dei rapporti interpersonali tra, per esempio, paesi del Mediterraneo e dell’Estremo Oriente – è interessante notare il tentativo di stabilire delle classi di distanza precisamente misurabili, delle categorizzazioni stabili e pronte all’uso al di là delle differenze culturali.

«La capacità di riconoscere queste quattro zone di coinvolgimento e le attività, relazioni, emozioni associate a ciascuna è ora diventata di estrema importanza. Le popolazioni del mondo si ammucchiano nelle città, e costruttori e speculatori impacchettano la gente in file di scatole verticali, uffici o abitazioni. Se si considerano gli esseri umani come facevano gli antichi mercanti di schiavi, concependo il loro bisogno di spazio semplicemente in termini di limiti del corpo, si pone pochissima attenzione agli effetti dell’affollamento crescente. Se invece si sa vedere l’uomo circondato da una serie di sfere invisibili, ma che hanno dimensioni misurabili, l’architettura sarà vista in una nuova luce. Diventa allora possibile capire che la gente è ora accrampita dalla ristrettezza di spazio in cui è costretta a vivere e a lavorare» (Hall 1968, p. 161).

Oggi, con l’esplosione del virus SARS-CoV-2, la paura del contagio e la diffusione globale dello stesso concetto di distanziamento sociale, le formulazioni prossemiche di Hall sembrano acquisire una particolare consistenza. I primi mesi del 2020 hanno segnato un’enorme modificazione nel rapporto che l’uomo contemporaneo intrattiene con il tempo e con lo spazio, mettendo in grande risalto la crisi del modello di città in cui viviamo. L’interruzione del flusso frenetico che regola i contesti urbani, la ridefinizione (e il rimescolamento) del tempo del lavoro e del tempo liberato, lo spopolamento dei luoghi pubblici e il confinamento nel privato, sono alcuni dei fattori che hanno esasperato l’evidenza di questi nodi problematici.
Certe immagini tipiche della vita ordinaria pre-pandemia sono diventate impensabili e pongono la necessità di ridisegnare i luoghi che le ospitavano secondo nuove misure e nuovi obiettivi. Si pensi all’atomizzazione degli spazi abitativi, ai monolocali di pochi metri quadrati, alla promiscuità e al sovraffollamento dei trasporti, delle fabbriche e degli uffici open space, alla gestione infine di tutte le strutture a vocazione collettiva (scuole, università, musei, ma anche caserme, carceri ecc.).
In pochissimo tempo ci siamo ritrovati di fronte a immagini identiche di città pur diversissime: la minaccia del virus sembrerebbe dunque imporre un nuovo bisogno, quello di un ripensamento degli spazi attraverso delle leggi globali.
In questo senso lo studio della prossemica, con la sua vocazione alla sintesi universale dei dati, può essere uno strumento preziosissimo per gli architetti chiamati a disegnare la città del domani.
Provando a pensare la classificazione teorizzata da Hall in termini di architettura e pianificazione della città, emerge immediatamente il concetto di scala. Possiamo parlare di “scala intima” (le abitazioni), di “scala personale” (spazi destinati all’interazione tra amici), di “scala sociale” (luoghi di lavoro e scuole) e di “scala pubblica” (spazi destinati alle pubbliche relazioni). Con la distanza minima di almeno un metro raccomandata tra le persone, assistiamo di fatto allo schiacciamento della sfera intima e di quella personale in un’unica categoria. Dal punto di vista architettonico ciò si può tradurre con la riscoperta delle aree “filtro” come cortili, balconi, terrazze e scale condominiali: spazi semipubblici che permettano l’occasionale estensione della dimensione privata e domestica in una più aperta e conviviale, pur nel rispetto delle misure del distanziamento. Nonostante siano spazi poco attivati in tempi normali, negli ultimi mesi hanno fatto la differenza per chi ne ha potuto disporre e visto il loro numero e spesso la notevole estensione, rappresentano un capitale di grande importanza nell’economia del costruito, soprattutto delle grandi città. Nell’ottica dunque di garantire agli ambienti domestici maggiore flessibilità in caso di un altro confinamento, il loro ruolo andrà sicuramente ripensato e dotato di nuovo valore. La ricostruzione dell’idea di comunità, propria di luoghi e architetture del passato e che nella crisi attuale ha trovato un nuovo significato, andrà con loro di pari passo.
Da un punto di vista prettamente urbano, lo stesso concetto di contrazione ed espansione dello spazio, a seconda delle necessità di contesto, è alla base della teoria della “città elastica” (Ware, Lobos, Carrano 2020) e della nozione di autosufficienza dei quartieri o dei grandi settori di città. Si tratterebbe di pensare ad una struttura a scala urbana che possa essere all’occorrenza rapidamente suddivisa in unità minori, temporaneamente autonome. Veri e propri quartieri in tempi normali, esse si trasformerebbero in blocchi autosufficienti in caso di crisi: ne conseguirebbe un’organizzazione multicentrica della città, che offrirebbe una risposta anche al problema del subordinamento delle periferie al centro. In questa ipotesi la prossemica potrebbe tornare utile nel tracciamento dei nuovi quartieri, stabilendo delle sfere di distanza massime tra i cittadini e i diversi beni e servizi di prima necessità, indispensabili al funzionamento di ogni unità in caso di isolamento. Lo studio di un sistema di distanze “a scala umana” all’interno del tessuto urbano sarebbe d’aiuto anche per un progressivo abbandono dell’automobile in favore di una mobilità leggera, con il conseguente recupero di parte dello spazio pubblico oggi occupato da strade e parcheggi.
Un esempio in questo senso è il progetto La ville du quart d’heure, studiata da Carlos Moreno1 per la città di Parigi e parte del programma di Anne Hidalgo nella campagna per la rielezione a sindaco della città. L’idea di Moreno, specialista di Smart City, è quella di rendere accessibili ad ognuno, in massimo 15 minuti a piedi o in bicicletta, tutte le funzioni sociali di base all’interno dei vari arrondissements.
Seppure a prezzi carissimi, le grandi pandemie della storia hanno sicuramente forzato l’architettura e la pianificazione urbana ad evolversi e migliorarsi. La peste bubbonica, che si diffuse in Europa nel XIV secolo, condizionò i ragionamenti a scala urbana che segnarono il passaggio dalla città medioevale a quella del Rinascimento. Alla metà dell’800 le epidemie di febbre gialla e colera ispirarono i piani di intervento delle città europee e americane – come la proposta di Haussmann per Parigi o quella di Frederick Olmsted per New York. Piani che, con l’obiettivo di igienizzare e rendere salubre il tessuto edilizio, portarono all’introduzione di ampie strade, di un sistema di aree verdi e di parchi all’interno o ai margini delle città, di infrastrutture fognarie e di evacuazione delle acque nel sottosuolo. Allo stesso modo la diffusione della febbre spagnola alla fine della Prima guerra mondiale contribuì alle successive riflessioni sulla costruzione postbellica di nuovi quartieri e quindi sull’espansione della città e delle periferie che hanno costituito poi i temi della disciplina urbanistica nel corso del Novecento.
La crisi che stiamo vivendo deve dunque costituire un’occasione, un punto di svolta fondamentale per l’evoluzione dell’architettura e della città. Sarà di vitale importanza un’analisi onesta della crisi a cui eravamo arrivati in modo da non perdere l’occasione di rettificare la strada. Architetti, urbanisti, ingegneri dovranno avere il coraggio di tornare ad ascoltare altri professionisti, antropologi, sociologi ma anche cittadini comuni, nel progetto di una nuova normalità. Testi come La dimensione nascosta, seppure pensati in un momento storico molto diverso, potranno servire da spunto per riflessioni che tengano conto di tutte le scale – dalla città ai quartieri agli edifici. Ci troviamo di fronte alla necessità di codificare una nuova prossemica, che possa esserci d’aiuto per tornare a considerare l’uomo come centro attivo dello spazio che lo circonda e quindi «trovare il modo di calcolare e misurare la scala umana in tutte le sue dimensioni, comprese quelle più celate e profonde» (Hall 1968, p. 222).


Note
1 Direttore scientifico e co-fondatore della Chaire eTI (Entreprenariat Territoire Innovation), Université Paris 1 Panthéon – Sorbonne / IAE Sorbonne Business School.


Bibliografia
ECO U. (1968) – “Edward T. Hall e la prossemica”. In E. T. Hall, La dimensione nascosta, Bompiani, Milano.
HALL E.T. (1968) – La dimensione nascosta, Bompiani, Milano.
HALL E.T. (1969) – Il linguaggio silenzioso, Bompiani, Milano.
HALL E.T. (1990) – The Hidden Dimension, Anchor Books, New York.
MEHTA V. (2020) – “The new proxemics: Covid-19, social distancing, and sociable space”. Journal of Urban Design [online]. Disponibile a: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13574809.2020.1785283
MORENO C. (2016) – “La ville du quart d’heure: pour un nouveau chrono-urbanisme”. La Tribune [online]. Disponibile a: https://www.latribune.fr/regions/smart-cities/la-tribune-de-carlos-moreno/la-ville-du-quart-d-heure-pour-un-nouveau-chrono-urbanisme-604358.html
WARE J.P., LOBOS J. e CARRANO E. (2020) – “Una proposta per ripensare le nostre città”. Internazionale [online]. Disponibile a: https://www.internazionale.it/opinione/justin-paul-ware/2020/05/12/proposta-citta-pandemia