Architettura post Covid-19. La prossemica come strumento di
progetto
Anna Veronese
Fig.
1 - Edward T. Hall, La dimensione nascosta, Bompiani, 1968 e Il
linguaggio silenzioso, Bompiani, 1969.
Fig.
2 - Schema esplicativo delle sfere di distanza teorizzate nella
prossemica.
Fig.
3 - Terrazza condominiale di una palazzina romana fotografata
l’11 marzo 2020
«Questo
libro costituisce
un contributo scientifico altamente provocatorio: anche là
dove
può giustificare delle contestazioni, non
mancherà di
aprire nuove vie di ricerca. Si può prevedere che
stimolerà non solo gli studiosi della comunicazione o gli
antropologi culturali, ma anche gli psicologi, gli educatori e
–
soprattutto – gli architetti e gli urbanisti».
Con queste parole Umberto Eco introduce il libro La dimensione
nascosta, scritto dall’antropologo americano
Edward Twitchell
Hall nel 1966 e edito in Italia da Bompiani nel 1968. Nel suo lavoro
Hall sistematizza le riflessioni – già accennate
nel libro
Il linguaggio silenzioso
del ’59 – che lo portarono
alla
teorizzazione di una nuova scienza, la prossemica. Con il termine
prossemica, dall’inglese proxemics
– fusione dei
termini
proximity e
phonemics
– Hall si riferisce a quell’insieme
di osservazioni e teorie che studiano i significati che
l’uomo
attribuisce ai concetti di distanza e spazio. Secondo Hall è
possibile individuare quattro principali sfere di distanziamento che
scandiscono le relazioni fra gli uomini e che possono essere immaginate
come delle bolle intorno a ciascun individuo: la sfera della distanza
intima (tra 0 e 46 cm), in cui avviene il contatto fisico tipico delle
relazioni di coppia e familiari; la sfera della distanza personale (tra
46 e 122 cm), per l’interazione tra amici; quella della
distanza
sociale (tra 1,2 e 3,5 metri), in cui avviene lo scambio con colleghi o
conoscenti; infine la sfera della distanza pubblica (oltre i 3,5
metri), all’interno della quale si svolgono le pubbliche
relazioni. Pur considerando che nello studio della prossemica gioca un
ruolo primario il fattore culturale – basti pensare alla
differenza che intercorre nel cerimoniale e nella concezione dei
rapporti interpersonali tra, per esempio, paesi del Mediterraneo e
dell’Estremo Oriente – è interessante
notare il
tentativo di stabilire delle classi di distanza precisamente
misurabili, delle categorizzazioni stabili e pronte all’uso
al di
là delle differenze culturali.
«La capacità di riconoscere queste quattro zone di
coinvolgimento e le attività, relazioni, emozioni associate
a
ciascuna è ora diventata di estrema importanza. Le
popolazioni
del mondo si ammucchiano nelle città, e costruttori e
speculatori impacchettano la gente in file di scatole verticali, uffici
o abitazioni. Se si considerano gli esseri umani come facevano gli
antichi mercanti di schiavi, concependo il loro bisogno di spazio
semplicemente in termini di limiti del corpo, si pone pochissima
attenzione agli effetti dell’affollamento crescente. Se
invece si
sa vedere l’uomo circondato da una serie di sfere invisibili,
ma
che hanno dimensioni misurabili, l’architettura
sarà vista
in una nuova luce. Diventa allora possibile capire che la gente
è ora accrampita dalla ristrettezza di spazio in cui
è
costretta a vivere e a lavorare» (Hall 1968, p. 161).
Oggi, con l’esplosione del virus SARS-CoV-2, la paura del
contagio e la diffusione globale dello stesso concetto di
distanziamento sociale, le formulazioni prossemiche di Hall sembrano
acquisire una particolare consistenza. I primi mesi del 2020 hanno
segnato un’enorme modificazione nel rapporto che
l’uomo
contemporaneo intrattiene con il tempo e con lo spazio, mettendo in
grande risalto la crisi del modello di città in cui viviamo.
L’interruzione del flusso frenetico che regola i contesti
urbani,
la ridefinizione (e il rimescolamento) del tempo del lavoro e del tempo
liberato, lo spopolamento dei luoghi pubblici e il confinamento nel
privato, sono alcuni dei fattori che hanno esasperato
l’evidenza
di questi nodi problematici.
Certe immagini tipiche della vita ordinaria pre-pandemia sono diventate
impensabili e pongono la necessità di ridisegnare i luoghi
che
le ospitavano secondo nuove misure e nuovi obiettivi. Si pensi
all’atomizzazione degli spazi abitativi, ai monolocali di
pochi
metri quadrati, alla promiscuità e al sovraffollamento dei
trasporti, delle fabbriche e degli uffici open space, alla gestione
infine di tutte le strutture a vocazione collettiva (scuole,
università, musei, ma anche caserme, carceri ecc.).
In pochissimo tempo ci siamo ritrovati di fronte a immagini identiche
di città pur diversissime: la minaccia del virus sembrerebbe
dunque imporre un nuovo bisogno, quello di un ripensamento degli spazi
attraverso delle leggi globali.
In questo senso lo studio della prossemica, con la sua vocazione alla
sintesi universale dei dati, può essere uno strumento
preziosissimo per gli architetti chiamati a disegnare la
città
del domani.
Provando a pensare la classificazione teorizzata da Hall in termini di
architettura e pianificazione della città, emerge
immediatamente
il concetto di scala.
Possiamo parlare di “scala
intima”
(le abitazioni), di “scala personale” (spazi
destinati
all’interazione tra amici), di “scala
sociale”
(luoghi di lavoro e scuole) e di “scala pubblica”
(spazi
destinati alle pubbliche relazioni). Con la distanza minima di almeno
un metro raccomandata tra le persone, assistiamo di fatto allo
schiacciamento della sfera intima e di quella personale in
un’unica categoria. Dal punto di vista architettonico
ciò
si può tradurre con la riscoperta delle aree
“filtro” come cortili, balconi, terrazze e scale
condominiali: spazi semipubblici che permettano l’occasionale
estensione della dimensione privata e domestica in una più
aperta e conviviale, pur nel rispetto delle misure del distanziamento.
Nonostante siano spazi poco attivati in tempi normali, negli ultimi
mesi hanno fatto la differenza per chi ne ha potuto disporre e visto il
loro numero e spesso la notevole estensione, rappresentano un capitale
di grande importanza nell’economia del costruito, soprattutto
delle grandi città. Nell’ottica dunque di
garantire agli
ambienti domestici maggiore flessibilità in caso di un altro
confinamento, il loro ruolo andrà sicuramente ripensato e
dotato
di nuovo valore. La ricostruzione dell’idea di
comunità,
propria di luoghi e architetture del passato e che nella crisi attuale
ha trovato un nuovo significato, andrà con loro di pari
passo.
Da un punto di vista prettamente urbano, lo stesso concetto di
contrazione ed espansione dello spazio, a seconda delle
necessità di contesto, è alla base della teoria
della
“città elastica” (Ware, Lobos, Carrano
2020) e della
nozione di autosufficienza dei quartieri o dei grandi settori di
città. Si tratterebbe di pensare ad una struttura a scala
urbana
che possa essere all’occorrenza rapidamente suddivisa in
unità minori, temporaneamente autonome. Veri e propri
quartieri
in tempi normali, esse si trasformerebbero in blocchi autosufficienti
in caso di crisi: ne conseguirebbe un’organizzazione
multicentrica della città, che offrirebbe una risposta anche
al
problema del subordinamento delle periferie al centro. In questa
ipotesi la prossemica potrebbe tornare utile nel tracciamento dei nuovi
quartieri, stabilendo delle sfere di distanza massime tra i cittadini e
i diversi beni e servizi di prima necessità, indispensabili
al
funzionamento di ogni unità in caso di isolamento. Lo studio
di
un sistema di distanze “a scala umana”
all’interno
del tessuto urbano sarebbe d’aiuto anche per un progressivo
abbandono dell’automobile in favore di una
mobilità
leggera, con il conseguente recupero di parte dello spazio pubblico
oggi occupato da strade e parcheggi.
Un esempio in questo senso è il progetto La ville du quart
d’heure, studiata da Carlos Moreno1 per la città di Parigi
e parte del programma di Anne Hidalgo nella campagna per la rielezione
a sindaco della città. L’idea di Moreno,
specialista di
Smart City, è quella di rendere accessibili ad ognuno, in
massimo 15 minuti a piedi o in bicicletta, tutte le funzioni sociali di
base all’interno dei vari arrondissements.
Seppure a prezzi carissimi, le grandi pandemie della storia hanno
sicuramente forzato l’architettura e la pianificazione urbana
ad
evolversi e migliorarsi. La peste bubbonica, che si diffuse in Europa
nel XIV secolo, condizionò i ragionamenti a scala urbana che
segnarono il passaggio dalla città medioevale a quella del
Rinascimento. Alla metà dell’800 le epidemie di
febbre
gialla e colera ispirarono i piani di intervento delle città
europee e americane – come la proposta di Haussmann per
Parigi o
quella di Frederick Olmsted per New York. Piani che, con
l’obiettivo di igienizzare e rendere salubre il tessuto
edilizio,
portarono all’introduzione di ampie strade, di un sistema di
aree
verdi e di parchi all’interno o ai margini delle
città, di
infrastrutture fognarie e di evacuazione delle acque nel sottosuolo.
Allo stesso modo la diffusione della febbre spagnola alla fine della
Prima guerra mondiale contribuì alle successive riflessioni
sulla costruzione postbellica di nuovi quartieri e quindi
sull’espansione della città e delle periferie che
hanno
costituito poi i temi della disciplina urbanistica nel corso del
Novecento.
La crisi che stiamo vivendo deve dunque costituire
un’occasione,
un punto di svolta fondamentale per l’evoluzione
dell’architettura e della città. Sarà
di vitale
importanza un’analisi onesta della crisi a cui eravamo
arrivati
in modo da non perdere l’occasione di rettificare la strada.
Architetti, urbanisti, ingegneri dovranno avere il coraggio di tornare
ad ascoltare altri professionisti, antropologi, sociologi ma anche
cittadini comuni, nel progetto di una nuova normalità. Testi
come La dimensione
nascosta, seppure pensati in un momento storico
molto diverso, potranno servire da spunto per riflessioni che tengano
conto di tutte le scale
– dalla città ai quartieri
agli
edifici. Ci troviamo di fronte alla necessità di codificare
una
nuova prossemica, che possa esserci d’aiuto per tornare a
considerare l’uomo come centro attivo dello spazio che lo
circonda e quindi «trovare il modo di calcolare e misurare la
scala umana in tutte le sue dimensioni, comprese quelle più
celate e profonde» (Hall 1968, p. 222).
Note 1
Direttore scientifico e co-fondatore della Chaire eTI (Entreprenariat
Territoire Innovation), Université Paris 1
Panthéon
– Sorbonne / IAE Sorbonne Business School.
Bibliografia
ECO U. (1968) – “Edward T. Hall e la
prossemica”. In E. T. Hall, La dimensione nascosta,
Bompiani,
Milano.
HALL E.T. (1968) – La
dimensione nascosta, Bompiani, Milano.
HALL E.T. (1969) – Il linguaggio silenzioso,
Bompiani, Milano.
HALL E.T. (1990) – The Hidden Dimension,
Anchor Books, New York.
MEHTA V. (2020) – “The new proxemics: Covid-19,
social
distancing, and sociable space”. Journal of Urban Design
[online]. Disponibile a:
https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13574809.2020.1785283
MORENO C. (2016) – “La ville du quart
d’heure: pour
un nouveau chrono-urbanisme”. La Tribune [online].
Disponibile
a: https://www.latribune.fr/regions/smart-cities/la-tribune-de-carlos-moreno/la-ville-du-quart-d-heure-pour-un-nouveau-chrono-urbanisme-604358.html
WARE J.P., LOBOS J. e CARRANO E. (2020) – “Una
proposta per
ripensare le nostre città”. Internazionale
[online].
Disponibile a:
https://www.internazionale.it/opinione/justin-paul-ware/2020/05/12/proposta-citta-pandemia