La crisi pandemica e le zattere della cultura progettuale. Rassegna delle principali riviste italiane di architettura durante le grandi crisi sanitarie del XX e XXI secolo.

Elisabetta Canepa, Valeria Guerrisi 




Tempesta
«L’umanità si dirige precariamente verso l’eventuale sopravvivenza a bordo di zattere ancora improvvisate, che spesso fanno acqua: la Pianificazione e la Progettistica». Queste parole di Richard Neutra (1954; 2015, p. 31) sono appropriate a commentare le evidenti difficoltà che la scienza architettonica incontra nel metabolizzare le trasformazioni della contemporaneità. Tanto più, se a innescare tali trasformazioni è una tempesta sanitaria, di portata mondiale.
La pandemia di Covid-19 ha promosso un dibattito diffuso circa le risposte attese dalle discipline del progetto, alimentando un moto rumoroso e disorganico di interpretazioni, che soffre il rischio di decadenza accelerata. Sebbene il dibattito sia svolto soprattutto online, è forse grazie alle riviste di settore, che partecipano attivamente allo scambio di riflessioni (Chipperfield 2020a-2020c), che esso sarà tramandato. Se si osservano i differenti cicli pandemici occorsi dall’inizio del Novecento, è possibile identificare una serie di costanti di comportamento nella reazione umana alla condizione di pericolo (Alfani e Melegaro 2010).
Tali atteggiamenti collettivi hanno subito l’influenza della narrazione comunicativa ricevuta, che ha modellato i canoni socioculturali di percezione del rischio. È interessante capire quale sia stata la funzione mediatica della cultura progettuale nell’assistere ai diversi scenari pandemici: a tale scopo, si è effettuata una rassegna delle principali riviste italiane di architettura, tra cui «Casabella», «Controspazio», «Domus», «L’architettura. Cronache e storia», «Ottagono» e «Zodiac», circoscritta alle fasi più acute del contagio.

Rassegna
La crisi sanitaria incominciata alla fine del 2019 non è stata l’unica a scuotere l’Occidente negli ultimi cento anni. Una malattia infettiva supera lo stadio epidemico diventando pandemica quando si propaga rapidamente su scala globale. Nell’arco del XX e XXI secolo, nonostante i progressi della medicina, la diffusa qualità degli ambienti urbani e il radicato miglioramento nelle abitudini alimentari, si sono verificate quattro pandemie influenzali: la Spagnola (1918-1920), l’Asiatica (1957-1958), la febbre di Hong Kong (1968-1969) e la Suina (2009-2010). A marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato pandemico per l’epidemia respiratoria virale da coronavirus SARS-CoV-2.1
La Spagnola è stata «un olocausto sanitario rimosso per quasi un secolo dalla memoria collettiva e dall’indagine storica» (Tognotti 2015, p. 13). Si valuta che abbia provocato in Italia circa 400.000 morti. È stata oscurata dalla censura di governo, imposta alla stampa e ai cittadini, a sostegno dei compatrioti impegnati al fronte. «Qualunque manifestazione di dolore, in pubblico, era vietata per legge. Non si udivano più suonare le campane» (Collier 1974; 1980, p. 155).
L’influenza Asiatica e quella di Hong Kong hanno causato in Italia rispettivamente 30.000 e 20.000 decessi, secondo stime. I tassi di letalità erano molto bassi, ma alto è stato il numero dei contagi.2 L’attenzione che la pubblicistica dell’epoca ha dedicato a questi due cicli pandemici è cresciuta progressivamente (De Luca 2020): contenuta e priva di allarmismi alla fine degli anni Cinquanta, dai toni sempre più drammatici e urlati il decennio successivo. A oggi, sono state condotte scarse ricerche storiografiche sul loro conto.3 Le riviste italiane di architettura, assenti ai tempi della Spagnola, non riportano tracce esplicite di questi eventi,4 neppure quando discutendo di risanamento dei centri abitati si interrogano sulle condizioni minime di salubrità urbana (Romano 1959) o sulla sentita necessità di scientifizzazione della disciplina (Beguinot 1968).
Nel 2009, l’influenza Suina, rivelatasi la meno grave delle pandemie moderne,5 ha scatenato una psicosi da contagio collettiva, manovrata dal virulento fermento mediatico, che si è gonfiato esponenzialmente nel giro di poche settimane. La cultura architettonica pare esserne rimasta immune, quantomeno dal pulpito delle riviste,6 nonostante il permeante dibattito di fondo sulla crisi generazionale (prima di tutto economica) e sull’urgenza di una rinnovata sostenibilità.7
Dieci anni più tardi, la bolla mediatica fecondata dalla paura per il nuovo coronavirus ha assorbito anche il circuito delle riviste progettuali. Nell’interpretare il persistente silenzio con cui ha dialogato la rassegna svolta, si sono avanzate tre ipotesi: insussistenza di circostanze confrontabili; mancanza di interesse da parte della comunità architettonica; presenza di riflessioni sottotraccia riconducibili alla matrice pandemica. Il numero di contagi e vittime, nonché la crescente pressione dei media, confutano la prima ipotesi. Anche la seconda sembra poco convincente. L’idea è che si stia concludendo un percorso di incubazione, iniziato un secolo fa (con la minaccia della Spagnola), che consente solo oggi la messa in chiaro del ruolo mediatico dell’architettura nella costruzione di una coscienza critica nei confronti del fenomeno pandemico. Il fervore del dibattito odierno è il segnale più tangibile. Si possono, poi, individuare – in concomitanza delle maggiori crisi sanitarie del passato – alcune premesse sottotraccia, strumenti di analisi ancora imperfetti, che costituiscono delle prime zattere per approdare al «futuro dell’urbanità» (Chipperfield 2020d).

Sottotraccia
Beatriz Colomina (2019), in X-Ray Architecture, esamina lo stretto legame che esiste tra medicina e architettura. Il XX secolo ha assistito al consolidarsi del dogma modernità-igiene. La semantica medica di Le Corbusier ne è un esempio (p. 20). Eppure, sebbene le pandemie abbiano rappresentato ciclicamente un’occasione di riflessione specifica, non c’è stato apparente riverbero nella critica architettonica del Novecento.
Una possibile spiegazione vede le pandemie come acceleratrici di processi piuttosto che cause generatrici. Questa tesi è applicabile alla lettura dei processi alla base dell’evoluzione urbana degli ultimi sessant’anni.
Quelli della febbre Asiatica sono gli anni in cui il paradigma moderno si scopre debole nell’elaborare una reazione alle trasformazioni a cui la società sta andando incontro. Le riviste di architettura non affrontano gli effetti della crisi sanitaria in corso (di cui pure esperti e stampa minimizzano la pericolosità). Sono impegnate a commentare le sorti del Moderno: la discussione raggiunge il suo culmine nel celebre scambio di articoli tra l’allora direttore di «Casabella-Continuità» Ernesto Nathan Rogers (1957) e Reyner Banham (1959).
Nel frattempo, germogliano alcuni interrogativi progettuali sulla pianificazione della città, che riaffiorano con puntuale regolarità in occasione dell’emergenza sanitaria del decennio successivo (quando il nervosismo pubblico comincia ad aumentare) e durante le pandemie del nuovo millennio. Già sessant’anni fa, i temi chiave su cui ragionare erano il decentramento programmato di popolazione e funzioni, il progresso dei sistemi di comunicazione e il passaggio a una società globale.
La premessa, ovvia ma doverosa, è che la diffusione di una malattia infettiva è proporzionale al numero di interazioni. Densità e accessibilità sono variabili cruciali non solo per gestire lo sviluppo urbano e la mobilità di informazioni, beni e persone (Allpass et alii 1968), ma anche per contenere la propagazione di patologie trasmissibili per mezzo di contatti.
All’inizio degli anni Sessanta, a breve distanza dalla pandemia Asiatica e dal citato editoriale di Rogers (1957), «Casabella» volge lo sguardo a modelli urbanistici provenienti dall’Inghilterra, dedicando a essi un numero speciale (250, aprile 1961). Si parla di New Town, unità urbane autosufficienti, dimensionate per la mobilità non veicolare ma efficientemente collegate alla metropoli (Lewis 1961, p. 30). Il tema del decentramento pianificato ritorna durante la stagione della febbre di Hong Kong. In quegli anni, le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione portano al superamento della necessità di concentrare le distanze entro la scala pedonale (Beguinot 1968). Il ruolo crescente delle telecomunicazioni nella conformazione della città traspare, per esempio, dalle proposte di sviluppo urbano di Kishō Kurokawa, pubblicate su «Casabella» nel 1968: cellule elementari, la cui matrice di espansione si basa «sulla capillarità, la rapidità e la molteplicità delle comunicazioni» e «che vive e si diffonde liberamente nello spazio, in ogni direzione» (Riani, p.10). Matura, nel contempo, la consapevolezza di una società sempre più globale. Nel novembre 1968, l’artista e futurologo John McHale presenta su «Zodiac» una agenda programmatica per l’umanità e l’ambiente, partendo dal presupposto che si stesse andando verso un unico ecosistema mondiale.
Evolvendo e rafforzandosi, queste teorie irrompono negli editoriali della «Domus» diretta da Flavio Albanese nel 2009, l’anno colpito dal “virus mediatico” dell’influenza Suina: Architetture del pensiero in perpetual beta (2009a), Mobilità sostenibili (2009b) e Paesaggi planetari (2010) sono alcuni dei titoli.

Zattere
Setacciando gli intervalli temporali esaminati, è stato possibile osservare l’evoluzione del ruolo mediatico della cultura progettuale nei confronti dei processi pandemici. Nonostante il clamore dei media negli anni della Suina, si è dovuta attendere la spinta del lockdown perché le riviste assumessero apertamente una posizione critica. Nelle passate occasioni di allarme sanitario, anche se non si è trattato il tema in modo esplicito, si sono impostate – sottotraccia – le basi di quegli atteggiamenti di reazione all’orizzonte emergenziale che hanno consentito alla società contemporanea di affrontare la crisi da Covid-19. Hanno preso forma delle zattere, inaspettatamente solide. In particolare, il carsico riproporsi di ragionamenti su densità e accessibilità ha modellato costanti di approccio progettuale nella pianificazione urbana, oggi estremamente attuali.


L’articolo è stato redatto in collaborazione. Le sezioni 1-2 sono state scritte da Elisabetta Canepa, mentre le sezioni 3-4 sono state scritte da Valeria Guerrisi.


Note
1 Le pandemie a trasmissione sessuale come quella, ancora in corso, di AIDS co-stituiscono un discorso a parte, per i loro meccanismi di contagio, non legati a comportamenti quotidiani di vita associata, e sui quali quindi l’architettura non esercita ricadute dirette.
2 L’influenza Asiatica ha contagiato circa la metà della popolazione italiana, mentre nel caso dell’influenza di Hong Kong ha contratto la malattia quasi un italiano su tre.
3 Cfr. le opere menzionate nella nota bibliografica stilata da Alfani e Melegaro (2010, p. 162).
4 Riviste analizzate nell’ambito dell’influenza Asiatica (1957-1958; in Europa si sono registrati i primi casi verso l’inizio dell’estate 1957).
«Casabella-Continuità», diretta da Ernesto Nathan Rogers: numeri 215 (aprile/maggio 1957, anno XXI), 216 (settembre/ottobre 1957), 217 (novembre/dicembre 1957), 218 (febbraio/marzo 1958, anno XXII), 219 (aprile/maggio 1958), 220 (giugno/luglio 1958), 221 (settembre/ottobre 1958), 222 (novembre/dicembre 1958) e 223 (gennaio 1959, anno XXIII) ▪ «Domus», diretta da Gio Ponti: numeri 331 (giugno 1957), 332 (luglio 1957), 333 (agosto 1957), 334 (settembre 1957), 335 (ottobre 1957), 336 (novembre 1957), 337 (dicembre 1957), 338 (gennaio 1958), 339 (febbraio 1958), 340 (marzo 1958), 341 (aprile 1958), 342 (maggio 1958), 343 (giugno 1958), 344 (luglio 1958), 345 (agosto 1958), 346 (settembre 1958), 347 (ottobre 1958), 348 (novembre 1958) e 349 (dicembre 1958) ▪ «L’architettura. Cronache e storia», diretta da Bruno Zevi: numeri 20 (giugno 1957, anno III), 21 (luglio 1957), 22 (agosto 1957), 23 (settembre 1957), 24 (ottobre 1957), 25 (novembre 1957), 27 (gennaio 1958), 28 (febbraio 1958), 29 (marzo 1958), 30 (aprile 1958), 31 (maggio 1958, anno IV), 32 (giugno 1958), 33 (luglio 1958), 34 (agosto 1958), 35 (settembre 1958), 36 (ottobre 1958), 37 (novembre 1958) e 38 (dicembre 1958).
Riviste analizzate nell’ambito dell’influenza di Hong Kong (1968-1969; in Europa la pandemia si è diffusa alla fine del 1968).
«Casabella», diretta da Gian Antonio Bernasconi: numeri 330 (novembre 1968, anno XXII), 331 (dicembre 1968), 332 (gennaio 1969, anno XXIII), 333 (febbraio 1969), 334 (marzo 1969), 336 (maggio 1969), 337 (giugno 1969), 338 (luglio 1969), 339/340 (agosto/settembre 1969), 341 (ottobre 1969), 342 (novembre 1969) e 343 (dicembre 1969) ▪ «Controspazio», diretta da Paolo Portoghesi: numeri 1 (giugno 1969, anno I), 2/3 (luglio/agosto 1969), 4/5 (settembre/ottobre 1969), 6 (novembre 1969) e 7 (dicembre 1969) ▪ «Domus», diretta da Gio Ponti: numeri 468 (novembre 1968), 469 (dicembre 1968), 470 (gennaio 1969), 471 (febbraio 1969), 472 (marzo 1969), 473 (aprile 1969), 475 (giugno 1969), 476 (luglio 1969), 479 (ottobre 1969), 480 (novembre 1969) e 481 (dicembre 1969) ▪ «L’architettura. Cronache e storia», diretta da Bruno Zevi: numeri 157 (novembre 1968, anno XIV), 158 (dicembre 1968), 159 (gennaio 1969), 160 (febbraio 1969), 161 (marzo 1969), 162 (aprile 1969), 163 (maggio 1969, anno XV), 164 (giugno 1969), 165 (luglio 1969), 166 (agosto 1969), 167 (settembre 1969), 168 (ottobre 1969), 169 (novembre 1969) e 170 (dicembre 1969) ▪ «Ottagono», diretta da Sergio Mazza: numeri 11 (ottobre 1968, anno III) e 13 (aprile 1969, anno IV) ▪ «Zodiac», diretta da Renzo Zorzi: numeri 18 (1968) e 19 (1969).
5 In Italia, le vittime correlate all’influenza Suina sono state 229, secondo i dati forniti dall’ultimo comunicato del Ministero della Salute (febbraio 2010).
6 Riviste analizzate nell’ambito dell’influenza Suina (2009-2010; l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’allarme pandemia nel giugno 2009).
«Casabella», diretta da Francesco Dal Co: numeri 778 (giugno 2009, anno LXXIII), 779 (luglio 2009), 780 (agosto 2009), 781 (settembre 2009), 782 (ottobre 2009), 783 (novembre 2009), 784 (dicembre 2009), 785 (gennaio 2010, anno LXXIV), 786 (febbraio 2010) e 787 (marzo 2010) ▪ «Domus», diretta da Flavio Albanese: numeri 926 (giugno 2009), 927 (luglio/agosto 2009), 928 (settembre 2009), 929 (ottobre 2009), 930 (novembre 2009), 931 (dicembre 2009), 932 (gennaio 2010) e 933 (febbraio 2010).
7 Cfr. editoriali di Flavio Albanese su «Domus» negli anni 2009-2010.


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