Dal corridoio/galleria elisabettiano al sofa turco: ripensare l’arte di abitare

Giorgio Gasco, Giuseppe Resta




Il recente confinamento domestico ha reso evidente quanto i nostri alloggi si siano fatti improvvisamente “stretti” e mostrino drammaticamente l’impossibilità di generare o amplificare prospettive verso l’altro (sogno, rêverie, memorie, fantasie, viaggi interiori). Anche nascondersi dagli altri in casa, ritagliarsi spazi per la solitudine, mostrarsi verso la strada pubblica, poter interagire a distanza è diventata un’attività complessa. Nella condizione di prolungata permanenza domestica, l’esperienza abitativa offerta dalla casa moderna appare essenzialmente povera. Abbiamo riscoperto l’importanza di vivere in uno spazio ricco, generoso, capace di mutare e adattarsi al sopraggiungere di accidenti inaspettati. Di fronte all’efficienza collaudata, all’organizzazione compatta e razionale che la contraddistinguono, la casa moderna potrebbe risultare priva di quel margine di incertezza necessario alla vita sociale.
Il testo intende soffermarsi su alcuni spazi archetipi della casa premoderna che nell’ultimo secolo sono stati smantellati, o in altri casi atrofizzati, in nome dell’ottimizzazione della superficie abitativa. Gli spazi senza funzione erano fondamentalmente vuoti, liberi di essere configurati per ruoli diversi. Si definiva perciò una soglia spessa, nella quale l’esperienza domestica poteva connettersi al mondo esterno, con dispositivi di relazione pubblica, oppure consolidare il mondo interiore, con spazi per appartarsi. Nel viaggio domestico i passaggi si inanellano per differenze, generando ricchezza visuale.
Non intendiamo sostenere la riedizione storicista della casa tradizionale, ma dimostrare che è possibile arricchire il progetto della casa contemporanea con spazi che ritenevamo superflui. Ovvero quegli spazi narrativi che generano possibilità di movimento e uso, contro l’orrore del corridoio al quale siamo costretti nei nostri appartamenti.

Spazi vuoti e spazi neutri
L’interesse per gli spazi senza funzione è a tratti riemerso nei discorsi di alcuni autori che li hanno rievocati per complessificare l’articolazione della casa.
Peter Smithson, in particolare, più volte si è soffermato sulla qualità spaziale da lui definita emptiness – vacuità. Il vuoto è una qualità da portare a compimento, «uno spazio vuoto è la stessa cosa di un palcoscenico vuoto. Lo si allestisce di volta in volta con quello che è necessario» (Spellman & Unglaub 2005, p. 64). Ecco quello che una casa dovrebbe avere, un luogo capace di rispondere/adattarsi agli avvenimenti, un luogo che possa farsi vuoto, dove si possa fare esperienza del vuoto. Oggi suona profetico il suggerimento con cui Smithson chiudeva le sue conversazioni, «bisogna preparare il terreno e darsi da fare per riconquistare lo spazio e l’idea di vuoto» (Spellman & Unglaub 2005, p. 68).
La long gallery di epoca elisabettiana (XIV secolo) offre un esempio paradigmatico di spazio neutro. Le case inglesi nobiliari di questo periodo avevano uno spazio accessorio nella forma di un lungo e ampio corridoio aperto verso il paesaggio dove era possibile camminare e intrattenersi nelle conversazioni, nonché ammirare le collezioni di dipinti. La stessa nominazione di corridoio-galleria ne evidenzia la natura polivalente. La long gallery elisabettiana in realtà era una versione aristocratica e sofisticata della loggia o dei porticati dei monasteri (Coope 1986, pp. 43-84). Spazi simili di transizione tra interno ed esterno erano comuni a varie forme domestiche sparse un po’ ovunque attorno al Mediterraneo; dalle umili case vernacolari agli esempi più aristocratici e aulici. In ogni caso questi spazi rappresentavano la radice autentica dell’abitare. L’arte di abitare trovava negli spazi neutri della casa pre-moderna lo scenario di dimensioni altre offerte all’immaginazione di chi l’abitava. Gli stati di sospensione che ne conseguono dilatavano spazio e tempo. Ed è esattamente questa capacità di dilatazione, di traslarsi in qualcos’altro, che oggi appare essenziale per il progetto di uno spazio domestico rinnovato.
Tra vari possibili casi di spazio neutro, quello che più pare celare una marcata capacità trasformativa è la galleria portico turca (hayat), che nel suo articolarsi con altri archetipi locali ha dato forma a una configurazione più complessa nota come sofa1.

Il Sofa Turco
Il sofa della casa ottomana ha resistito nelle sue forme originali fino alle soglie del XX secolo, quando è stato miniaturizzato nella hall di ingresso o ulteriormente compresso come corridoio.
L’architetto turco Sedat Hakki Eldem per primo tentò di formalizzare il sofa attraverso uno studio tipologico con un generoso catalogo di piante.2 Il risultato del suo studio fu l’organizzazione delle planimetrie all’interno di quattro categorie tipologiche basate sulla posizione del sofa: senza sofa, sofa esterno, sofa interno, sofa centrale. Secondo Eldem, il sofa era l’elemento determinante nella composizione della pianta della casa turca poiché il tipo di organizzazione planimetrica era il diretto risultato della sua forma e posizione (Eldem 1954, p. 16). In particolare, ne viene evidenziata la natura polivalente sia dal punto di vista funzionale che da quello spaziale. Da un lato il sofa consente passaggio e transizione tra le camere, dall’altro è luogo privilegiato di incontri, dove celebrare matrimoni e altri eventi festivi. Le appendici libere dalla circolazione venivano usate come aree di seduta, separate dalla hall vera e propria, nella forma di nicchie ambiente (eyvan) tra una serie di stanze o di estensioni aggiunte ai lati della hall (kiosk). Tramite l’articolazione di questi spazi aggiunti (nicchie-eyvan tra le camere e protrusioni-kiosk) le piante, seppur appartenenti a uno specifico tipo, possono assumere un considerevole numero di variazioni e combinazioni differenti (Eldem 1954, p. 31).
Più recentemente lo storico Doğan Kuban (1995, p. 42) ha contestato l’approccio di Eldem, evidenziandone il carattere astratto e l’impostazione rigida dello studio tipologico. Kuban privilegia il ruolo del processo evolutivo, avvenuto in tempi diversi e in progressione da esempi più modesti, vernacolari, a casi più sofisticati e aulici, generando il passaggio da una configurazione all’altra (Kuban 1995, p. 21). Ne emerge uno sviluppo per fasi successive di due unità base: il corridoio galleria (hayat) e la nicchia ambiente (eyvan) (Kuban 1995, p. 24). Il sofa, risultato delle varie combinazioni di hayat e eyvan, dilata e amplifica lo spazio tra le camere. La progressione è stata elaborata e rappresentata dagli autori nelle illustrazioni di questo testo.
Appare chiara la natura combinatoria di questi spazi che vanno complessificandosi quando si aggregano nuove parti. Tutto il sistema compositivo della casa turca si regge su questa progressione/trasformazione, il cui risultato finale è la configurazione del sofa. Quest’ultimo, dalla sua posizione interna può estendersi verso l’esterno diventando un elemento autonomo della facciata della casa. Il rapporto distributivo che si instaura tra le varie parti della casa, al tempo stesso articola le relazioni visive tra lo spazio strettamente privato e le parti comuni o in affaccio verso l’esterno.
Il sofa non ha alcuna specifica funzione ma una natura ben precisa, quella di essere innanzitutto un vuoto, uno spazio libero, la cui vocazione è quella di accogliere usi possibili senza però contenerli a priori. Manifestando quindi una natura molto più complessa di un semplice corridoio/hall. Parlando di sofa, non ci si dovrebbe riferire a uno spazio determinato, quanto invece a una configurazione ambientale che scaturisce dalla combinazione specifica di due spazi archetipi, hayat e eyvan.

Il sofa come soluzione moderna
Tutte queste caratteristiche rendono il sofa in qualche modo attuale, tanto da scorgervi delle affinità con alcuni concetti elaborati in contesti decisamente più contemporanei.
In primo luogo è il risultato di una combinazione di “pezzi”. Da questo punto di vista, parafrasando Robert Venturi, la configurazione sofa potrebbe essere definita come “dispositivo di inflessione compositiva”. Per Venturi l’inflessione è il processo per cui l’unità si costruisce a partire dalle caratteristiche interne delle singole parti, piuttosto che dalla loro posizione o quantità (Venturi 1966, p.88). In maniera del tutto simile la connessione tra le varie unità spaziali che compongono il sofa è resa possibile da caratteristiche interne alle varie parti che contengono la chiave per il proprio “montaggio”.
La sua natura di spazio di transizione si presta a essere interpretata secondo il concetto di soglia elaborato da Herman Hertzberger. La soglia costituisce la chiave della transizione e della connessione tra aree con differenti vocazioni territoriali e, come luogo in sé, è la condizione spaziale per l’incontro e il dialogo fra aree di ordine diverso (Hertzberger 2005, p. 32). Similmente la configurazione del sofa pare garantire una transizione blanda, che in realtà è più un’articolazione che non una chiusura/cesura (Hertzberger 2008, p. 49).
La transizione/articolazione, come visto nel caso del sofa, si manifesta sia come un meccanismo di organizzazione interna che come un dispositivo di relazione esterna. La casa turca sembra dotata di uno spazio cuscinetto capace di gestire il collegamento interno dello spazio privato e al tempo stesso connetterlo con altre cellule abitative tramite le ramificazioni esterne3. La generazione di uno spazio connettivo dinamico può ricordare la configurazione a cluster dei pattern distributivi proposti dagli Smithson nei loro primi progetti urbani4.
Per concludere, il sofa si profila come uno spazio dalla potenzialità tutta da esplorare. Come dispositivo di composizione planimetrica si presta a disarticolare l’organizzazione seriale dell’alloggio contemporaneo. Come dispositivo di soglia appare in grado di garantire transizioni blande, dove diverse configurazioni di uso possono sovrapporsi e alternarsi. E infine come dispositivo di articolazione esterna suggerisce nuovi modi per collegare, unire e separare diverse unità abitative nello stesso corpo edilizio5.
Lungo le traiettorie generate dalle varie articolazioni della nuova versione del sofa prenderebbe finalmente forma una diversa arte dell’abitare. Dove all’esperienza stabile, prevedibile dello stare, si affiancherebbe quella instabile, dinamica, fluida, dell’andare.


Note
1 Lo hayat rappresentava lo spazio di transizione tra camere e mondo esterno. Di origine antica, condivideva radici comuni con simili archetipi domestici della cultura greco-mediterranea, hittita, siriana. Il sofa è uno spazio di più complessa articolazione normalmente definito in maniera riduttiva come hall. Vedi: Kuban D. (1995) – Türk ‘Hayat’lı Evi. Mısırlı Matbaacılık A. Ş., Istanbul
2 Eldem avviò i primi studi in tal senso nel 1936 all’interno del Seminario di Architettura Nazionale da lui diretto nell’Accademia di Belle Arti di Istanbul. Questo primo corpo di lavoro sperimentale, diede successivamente origine a una ricerca sistematica pubblicata nel 1954. (Eldem 1954)
3 La proprietà di articolare unità diverse all’interno dello stesso corpo edilizio era già stata analizzata e categorizzata da Eldem all’interno di uno specifico tipo definito “multiple partitioned plan” (Eldem 1954, p. 149)
4 Vedi: Smithson A. & P. (1957) – “Cluster City: a new shape for the community”. The Architectural Review, 122, 730. Anche se il concetto della città cluster aveva decisamente una scala urbana, in più di un caso si rese funzionale all’elaborazione di soluzioni alla scala architettonica, come nel caso delle ‘streets in the air’
5 In tal proposito, presso la nostra Facoltà stiamo esplorando possibilità compositive relative ad edifici collettivi.

Bibliografia
COOPE R. (1986) – “The ‘Long Gallery’: Its Origins, Development, Use and Decoration”. Architectural History, Vol. 29, 1986, pp. 43-84.
ELDEM S. H. (1954) – Türk Evi Plan Tipleri, Pulhan Matbaası, Istanbul.
ELDEM S. H. (1984) – Turkish Houses, Ottoman Period, Güzel Sanatlar Matbaası A.Ş., Istanbul
HERTZBERGER H. (2005) – Lessons for Students in Architecture, 010 Publishers, Rotterdam.
HERTZBERGER H. (2008) – Space and Learning, 010 Publishers, Rotterdam.
KUBAN D. (1995) – Türk ‘Hayat’lı Evi, Mısırlı Matbaacılık A. Ş., Istanbul.
SMITHSON A. & P. (1957) – “Cluster City: a new shape for the community”. The Architectural Review, 122, 730.
SPELLMAN C. & UNGLAUB K. (Eds) (2005) – Peter Smithson: Conversation with Students, Princeton Architectural Press, New York.
VENTURI R. (1966) – Complexity and Contradiction in Architecture, MOMA, New York.