Progettare con il vuoto. Il ruolo strutturante dello spazio aperto

René Soleti 




I progetti veneziani “poleselliani” sono accomunati dall’eccezionalità, quasi paradigmatica, del luogo di sperimentazione, la città di Venezia. Essi si rivelano facilmente confrontabili ed interpretabili come variazioni di un unico grande progetto, rileggono la città come architettura e insieme di parti con identità formali riconoscibili. Un metodo che inizia con la lettura dei caratteri e dei processi e indaga quelle forme iconiche alla ricerca di un significato, spesso tratto dalla storia.
Questa idea di architettura, appartiene ad una scuola (quella veneziana) intesa non tanto come accademia, ma come territorio di confronto attraverso il progetto (questo è forse uno degli aspetti più importanti) «per cui il riferimento non è tanto di un registro figurativo ma di un modo di interpretarlo» (Canella 1969).
Novissime è uno dei primi progetti di concorso avviati su Venezia nel 1964, per una nuova isola al Tronchetto, firmato da G. Samonà, C. Dardi, V. Pastor, G. Polesello, L. Semerani, G. Tamaro, E. R. Trincanato (Fig. 01). Il progetto di Polesello fu menzionato per il suo carattere “esplosivo” e “innovatore”, nell’uso e nell’acquisizione dei caratteri geografici e morfologici urbani. La sua lettura della struttura urbana è orientata sul vuoto architettonico1, inteso come fattore essenziale del carattere della città.
Novissime si basa su operazioni compositive di sottrazione e addizione di parti della città che definiscono un tratto peculiare urbano (Aymonino 1977). Lo studio (Fig. 02), evidenzia l’accrescimento e lo sviluppo dello spazio dell’insediamento attraverso il vuoto architettonico come elemento essenziale del progetto. In particolare, risulta essere determinante l’uso selettivo della storia e dei frammenti, rispettivamente assunti come strumenti di continuità e trasformazione. Tale procedimento è riassunto nella definizione di principio di “conservazione creativa” (Samonà 1964), teoria utilizzata nella descrizione del primo progetto Novissime, «una nuova interpretazione della città per nuclei compatti con vuoti a carattere conservativo» (Samonà 1964).
Il principio di “conservazione creativa”, è un’idea che interpreta la forma urbana storica di Venezia e la rilegge con un personale itinerario di riflessioni, raccogliendo categorie e regole che tengono insieme le parti e le sotto parti della città, invertendo anche l’idea di conservazione e trasformazione dal pieno al vuoto.
In Novissime (Fig.02) così come in Venezia città-porto (Fig.03), Fondamenta Nove (Fig.04 - 05) e Venezia Ovest, è facile riconoscere la Venezia rappresentata da Benedetto Bordone2, costellata di isole minori e rinchiusa dentro un perimetro abitato che corrisponde alla moderna cintura di terra del litorale.
In questa rappresentazione, la condizione del vuoto architettonico diventa centrale rispetto alla città storica. Una condizione in cui anche il non costruito, riesce ad essere oggetto di un’operazione di conservazione attraverso lo svuotamento. Ciò significa che eliminando le superfetazioni e non intasando, è possibile rendere il vuoto rilevante come il pieno, ovvero un vuoto architettonico (Samonà 1964) che acquisisce un valore discriminante nel carattere del costruito.
Il frammento, lo spazio “tra”, alla ricerca continua di una conclusione, in attesa di un’identità. Queste idee entrano nel progetto in un gioco di giaciture che, secondo il principio generale che regola i rapporti spaziali, determinano un sistema complessivo eterogeneo ma formalmente finito.
Un simile approccio contempla una duplice dimensione che evidenzia una relazione tra piano e progetto, in cui le architetture diventano elementi messi in tensione attraverso un rapporto di posizione. La composizione architettonica diviene un momento logico, recuperando il significato originario di “composizione” come combinazione di elementi in un insieme strutturato.
Nei casi studio è evidente la presenza delle figure geometriche determinata dalla loro semplicità, regolarità e reiterazione. Le semplici figure geometriche di base, si ripetono e legano i frammenti in un sistema di regole e relazioni strutturanti che ne determinano la forma finale.
Costruzione e relazione, sono categorie in cui il vuoto architettonico si manifesta, attraverso modi e regole, secondo cui lo spazio organizzato assume un significato specifico, con la disposizione di precisi elementi al suo interno e con le relazioni che essi instaurano a distanza. Rimandi a distanza che riconducono ad un’unità globale: la Venezia “poleselliana”. Tali rimandi, sono modulati e ordinati dal progetto attraverso l’uso di assi come vettori ideali, lungo i quali si organizzano gli elementi. Infatti, la dispositio come pratica compositiva, esalta l’importanza della tensione tra gli elementi secondo una logica progettuale definita, che configura uno spazio non limitato dagli elementi stessi.
Nella progettazione urbana il vuoto rappresenta un elemento organizzativo, strumento di misura e di equilibrio dinamico. Esso è lo spazio fra gli edifici, luogo di messa in relazione fra le parti. Il vuoto assume un ruolo centrale, tanto forte da mettere in secondo piano le singolarità degli oggetti architettonici stessi, in favore di un sistema unitario che lo unisca con il pieno. Uno spazio inteso come “luogo” abitato con un valore significante di forme e catalizzatore delle principali identità urbane.
Oltre l’aspetto compositivo, è importante riconoscere la dimensione collettiva della città, «lo spazio dell’uomo organizzato per campi discontinui di relazioni molteplici sociali e culturali» (Secchi 2013, p. 5). Il crescente divario tra ricchezza e povertà (evidenziato non solo da B. Secchi ma anche da Z. Bauman (2015) accresce l’attuale crisi democratica e sociale, contraddicendo l’idea capitalistica secondo la quale, nel lungo periodo, la crescita e lo sviluppo avrebbero assicurato livelli simili di benessere nelle diverse regioni del mondo (Secchi 2013). Con la prima emergenza pandemica la struttura economica e sociale è stata messa in crisi riportando in primo piano la questione urbana, in particolare la questione legata allo spazio e alla sua strutturazione fisica3. L’organizzazione del lavoro e della vita è stata drasticamente rivoluzionata nel suo modo di funzionare, nelle relazioni tra classe ricca e classe povera e nella sua immagine, generando dibattiti e sperimentazioni (molte volte contrastanti) su politiche e progetti sulla città. La separazione, l’idea di distinzione ed esclusione di alcune aree ad elevato rischio di contagio, è la pratica più diffusa ma che restituisce una risposta temporanea, che mette in crisi l’idea di città ad organizzazione democratica che conosciamo. Osservando la diffusione della crisi sanitaria e le sue conseguenze, è possibile cogliere come il modello urbano di riferimento deve accogliere criteri ecologici, tecnologici e sociali, in una visione in cui l’attore pubblico debba poter garantire un’organizzazione e un coordinamento nella trasformazione urbana, in grado di rispondere in modo più efficace alle emergenze. «Bisogna insistere nel creare spazi, edifici, oggetti che siano riconosciuti come fondamentali per la società e la vita dell’uomo» (Chipperfield 2020). Questo richiederebbe logiche a carattere pubblico, che esigono un rilancio della programmazione delle trasformazioni urbane e territoriali ad attore unico, non compatibile con le logiche individuali liberiste. L’architettura e l’economia esigono una nuova stagione di rilancio a gestione controllata, le cui finalità siano il bene comune e l’impegno civile per le sfide future (Sennet 2020). Ri-pensare l’architettura come impegno civile, può essere una sfida che permetterebbe il ritorno, di questa disciplina al centro di un cambiamento, dove la forma urbana non è dettata da semplici logiche speculative, ma ritorna ad avere un significato molto più ampio4. Sperimentare partendo dal vuoto, un’opportunità che impone di abbandonare la speculazione insediativa del costruito a favore del ruolo strutturante dello spazio vuoto come bene comune di importanza pubblica.


Note
1 Una teoria di Giuseppe Samonà Finitezza della città antica e teoria dei vuoti architettonici. (Samonà 1964).
2 Benedetto Bordone, cartografo italiano autore della rappresentazione Veduta di Venezia dall’Isolario di Venezia del 1528.
3 Si riprende l’opinione di C. Schmitt secondo il quale non esistono idee politiche che non siano riferibili ad uno spazio, come non esistono principi spaziali cui non corrispondano idee politiche.
4 «Ritornare a riflettere su una struttura spaziale della città che sviluppi la domanda del plus grand nombre, non affidarsi a domande di nicchie sociali e tecnologiche». (Secchi  2013, p. 71-78).


Bibliografia
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