Ricostruire Puerto Rico dopo gli uragani Irma e Maria.
La resistenza della cultura insediativa suburbana nel Caribe


Anna Irene Del Monaco




Ricostruire fra policies e business

‘Ricostruire città’ e ‘ristrutturare territori’ è una fra le attività praticate dal genere umano a seguito di eventi bellici o disastri ambientali, ed ha spesso corrisposto nella storia delle civiltà ad un atto di affermazione politica finalizzato a ristabilire condizioni di ordine e di sicurezza. In epoca moderna, in particolare, ‘ricostruire’ ha corrisposto all’attuazione di azioni definite da programmi politici gestiti attraverso strumenti tecnici e culturali la cui efficacia si può distinguere sulla base del momento storico, del contesto geografico e del livello delle conoscenze tecnologiche e tecniche.

Questo breve studio documenta una sintesi delle questioni che riguardano il dibattito sulla ‘ricostruzione’ promosso da Martha Kohen della University of Florida con la University of Puerto Rico e la Polytechnic University of Puerto Rico in anni recenti[1], dopo il disastro ambientale ed economico provocato da due uragani successivi abbattutisi sull’isola nel 2017, l’Uragano Irma e l’Uragano Maria (Fig. 1).

Quello di Puerto Rico, in particolare, è un caso di studio interessante per introdurre e documentare alcuni aspetti della cultura progettuale contemporanea particolarmente diffusi nei paesi colpiti negli ultimi anni dagli effetti del Cambiamento Climatico, dove il clima è tendenzialmente tropicale. Rispetto a questo tipo di tematiche, che richiedono competenze molto diverse ed integrate, fino a non molti anni fa appannaggio di discipline ingegneristiche e ambientali, sono avvenuti in molte scuole di architettura degli Stati Uniti d’America cambiamenti istituzionali rilevanti. Sulla base di indirizzi definiti dai governi nazionali e federali, connessi soprattutto alle opportunità di finanziamento, accademici e architetti che fino a pochi anni prima dirigevano strutture accademiche o corsi applicati al progetto urbano ed al paesaggio (Amale Andraos, Kate Orff della Columbia University in the City of New York), hanno indirizzato la loro competenza ai problemi e agli effetti del Climate Change. Inoltre, geologi, ingegneri ambientali, agronomi si sono affermati come professori di Landscape Architecture (Katerine Hill a Virginia Tech e UC Berkeley) essendo emersa la necessità di ibridare i profili curriculari e di affrontare sistematicamente problemi complessi; alcuni professor of Architecture, – di progettazione architettonica e urbana come si definirebbero in Italia – (Martha Kohen, Nancy Clark, Jeffrey Carney della University of Florida) hanno iniziato a promuovere ricerche sul campo che tenessero conto di questioni come Sea Level Rise, Built Environment Resilience, ecc., cioè, temi ritenuti priorità a livello nazionale. Problemi rispetto ai quali anche l’industria locale delle costruzioni, tenendo conto dei ricorrenti disastri ambientali e dell’andamento del mercato immobiliare, non poteva più non essere indirizzata opportunamente dalla ricerca accademica.

Tuttavia, se nei paesi di cultura anglosassone i temi del Cambiamento Climatico sono ai primi posti nelle agende politiche, la Commissione europea ha promosso negli ultimi mesi l’iniziativa Green New Deal, cioè un insieme di azioni politiche portate avanti con l’obiettivo di raggiungere in Europa la neutralità climatica entro il 2050.

Questo tipo di tematiche interessano il dibattito politico ed il pubblico vasto da molto tempo, come dimostrano i lavori redatti da giornalisti ed osservatori, particolarmente prolifici negli USA: «Se New York è l’esempio più avanzato di una metropoli che si ridefinisce e ristruttura per difendere il clima, grazie all’impegno in tal senso del sindaco [Bloomberg], città piccole e medie come Naperville e Santa Clarita testimoniano che nella pancia dell’America sta crescendo il bisogno collettivo di diventare autonomi sull’energia, riuscendo a produrre una quantità di risorse da fonti rinnovabili capace di ridurre il consumo dei carburanti tradizionali» (Molinari, 2012).

Anche i processi di ricostruzione che hanno interessato l’Europa e il Giappone durante il secondo dopoguerra, che Mark Clapson ha definito nel suo saggio The Global Phoenix: from Destruction to Reconstruction 1945-60 (Clapson, 2019), hanno coinvolto politici, governi centrali, architetti, pianificatori, interessi pubblici e privati, compagnie e imprenditori, il pubblico vasto e quello specialistico, ed hanno individuato nella costruzione di residenze e alloggi il motore economico e sociale alla base della ‘promessa’ della ricostruzione. Gli Stati Uniti d’America contribuirono alla ‘ricostruzione’ attraverso gli aiuti per la ricostruzione trasferiti ai paesi colpiti dalla guerra (come i fondi che attraverso il Piano Marshall finanziarono il programma INA Casa in Italia), finanziando la politica diplomatica culturale (Allais, 2018) su scala globale sostenendo istituzioni come il World Heritage e l’UNESCO e la realizzazione di case per veterani e reduci di guerra sul proprio territorio nazionale.

Ciò che distingue i casi più recenti di “ricostruzione” post-uragano e post-terremoto, che i paesi ad alto rischio sismico hanno messo in opera dopo drastici eventi, rispetto ai casi delle ricostruzioni del dopoguerra nei Paesi europei, è la ricorsività dei cicli degli eventi naturali e dunque l’elaborazione di un pensiero progettuale orientato alla prevenzione oltre che alla soluzione immediata del problema. In molti casi si tratta di una vera e propria riformulazione della matrice disciplinare delle comunità accademiche e scientifiche che hanno trovato nella natura flessibile del progetto di architettura, di città e del territorio la possibilità di elaborare una ridefinizione terminologica, metodologica e di obiettivi operativi[2].

Oltre a ciò, un altro aspetto fondamentale da considerare, confermato dalla casistica storica delle realizzazioni, è la scelta del sistema costruttivo e della tipologia insediativa. Quasi sempre, per questi progetti di carattere suburbano o extraurbano, le soluzioni oscillano – semplificando – fra l’edilizia simile al tipo Levittown (Marshall, 2015) –140.000 abitazioni, struttura in legno prodotta industrialmente – e quella INA-Casa (Corsetti, 2020; Di Biagi, 2001) – 355.000 alloggi, muratura tradizionale con uso di calcestruzzo armato in opera –, entrambi programmi di residenza sociale avviati nel 1947 realizzati in pochi anni e basati sul principio del cantiere a basso costo e dell’impiego di mano d’opera non specializzata.

Gli interventi americani furono attuati dal governo secondo un’idea di città che Lewis Mumford definì «a uniform environment from which escape is impossible» e che William Levitt considerava nel quadro della produzione industriale: «We are not builders, We are the General Motors of the housing industry». Gli interventi del Piano INA-Casa o Piano Incremento Occupazione Operaia, invece, furono «una manovra orientata a rilanciare l’economia e l’occupazione, costruendo case economiche, ma anche come un dispositivo di ‘carità istituzionalizzata’ su scala nazionale, di partecipazione solidaristica di tutte le componenti sociali verso i bisogni dei più poveri» (Di Biagi, 2001).

San Juan

Anche a San Juan, la capitale di Puerto Rico, fu realizzato nel 1963 un intervento Levittown – uno dei tre piani (Pennsylvania, New Jersey, Puerto Rico) realizzati direttamente da Levitt – nella municipalità di Roa Baja, di cui sopravvivono pochi alloggi “esemplari” per lo più alterati (Fig. 2). Il vecchio nucleo storico di San Juan (Fig. 3), che risale a metà del Cinquecento, sorvegliato e protetto da una cittadella fortificata e dalle mura, – oggi il maggior centro turistico e culturale del paese provvisto di moli, aeroporti e attracchi per le navi da crociera –, non ha subito gravi danni edilizi dopo gli uragani Irma e Maria. L’edilizia tradizionale in stile coloniale, come spiegano alcuni studiosi, – non molto dissimile dal punto di vista costruttivo agli interventi INA-Casa, se non fosse per gli apparati decorativi e le citazioni vernacolari – fu una strategia del governo americano finalizzata alla trasmissione, attraverso l’immagine della sua architettura, di una precisa idea di potere: «In terms of architectural style, the Neo-classical and the Spanish Revival had been used by the American government as a symbol of its power and authority over its colonial territories» (Mignucci, 2014).

Ma già dagli anni Quaranta e Cinquanta erano presenti a Puerto Rico interventi residenziali ispirati alle Siedlungen del razionalismo tedesco, stecche residenziali a più piani e insediamenti di case individuali in quartieri suburbani (Fig. 4). Ciò si deve, in particolare, alla presenza di Walter Gropius e di José Luis Sert[3] presso la Harvard Graduate School of Design, una delle sedi universitarie più frequentate ancora oggi dai giovani dell’élite portoricana, al coinvolgimento di architetti come Richard Neutra nei progetti realizzati per l’isola, in particolare quindici edifici scolastici per attività didattica all’aperto, ed ai modelli insediativi promossi dai leader politici nominati alla guida del governo dell’isola (Rexfort G. Tugwell nominato da Roosevelt e Jesús T. Piñeiro da Truman) che indirizzarono le linee generali della crescita urbana.

Fig. 4. Vista aerea. Luis Llorens Torres Public Housing Project. San Juan, Puerto Rico. 1950’s. Rafael Picó, Diez años de planificación en Puerto Rico, Junta de Planificación de Puerto Rico-1952.

Uno degli interventi edilizi significativi realizzato in quegli anni, ancora abitato, ma trasandato, in stile Art déco (molto comune durante la presidenza Roosevelt) è il cosiddetto El Falansterio (Fig. 5), non lontano dalla cittadella coloniale e dall’aeroporto per voli privati.

In un interessante saggio di Andrés Mignucci, architetto e docente portoricano, in particolare, si illustra il riverbero dei congressi CIAM, del New Deal, ecc., sulle politiche e le realizzazioni edilizie avviate sull’isola a partire da gli anni Quaranta, compreso il dibattito animato da un gruppo di architetti che coinvolse anche le generazioni dei più giovani, (Thomas Marvel, Jesús Eduardo Amaral, Efrer Morales, Horacio Díaz, Jorge del Río, René Ramírez, che ebbero un ruolo rilevante nelle decadi seguenti), mentori degli attuali professionisti a diverso titolo, a sostegno di una architettura che tentasse di esprimere i valori della cultura abitativa dei tropici e non fosse solo espressione dello stile bianco modernista[4]. Una dialettica non dissimile da quella che si avviò circa un decennio dopo nell’ambito della cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra.

Nel 1956, nonostante gli indirizzi politici e gli esperimenti proposti dagli architetti più attivi a Puerto Rico durante gli anni precedenti, il Federal Aid Highway Act firmato dal presidente Dwight D. Eisenhower finanziò la realizzazione di una rete autostradale di circa 66.000 Km e avviò politiche di sussidio per l’acquisto dell’automobile, come in tutti gli Stati Uniti d’America, segnando il destino “suburbano” del paese e la graduale rinuncia alla realizzazione di infrastrutture pubbliche su ferro. Ciononostante, negli anni che seguirono, a Puerto Rico furono fatti alcuni tentativi: nel 1969 a partire da progetti redatti da Toro y Ferrer per la costruzione di un Downtown, un Nuevo Centro de San Juan, fu realizzato un sistema di grattacieli integrato da ponti pedonali e da una sopraelevata “San Juan Tren Urbano”, un investimento sovra dimensionato e oggi ancora sottoutilizzato, una sorta di quartiere modello incompleto. Perché, come sostengono i portoricani illuminati, nel tempo l’isola è diventata “un enorme parcheggio”, sintetizzando efficacemente l’esito di politiche che hanno volutamente rinunciato alla possibilità di realizzare un sistema di infrastrutturazione pubblica su ferro, che avrebbe quasi certamente determinato un destino diverso, come è stato in altre isole caraibiche.

Puerto Rico Re_Start[5]

Nell’ottobre 2017 la School of Architecture della University of Florida con sede a Gainesville ha accolto sette studenti e tre docenti sfollati da San Juan dopo gli uragani Irma e Maria che si erano abbattuti consecutivamente sull’isola. In quell’occasione Martha Kohen, partner accademico della UNESCO Chair in “Sustainable Urban Quality” della Sapienza, già preside della scuola di architettura di Gainesville e di Montevideo, con un gruppo di docenti di Puerto Rico e di accademici americani ha avviato l’ipotesi di organizzare un ciclo di ricerche progettuali (nel 2021 è prevista la quarta edizione) intitolato Puerto Rico Re_Start, finalizzato a produrre indirizzi e linee guida a supporto del processo di ricostruzione, coinvolgendo nel confronto professionisti locali, imprenditori, politici, istituzioni pubbliche e private locali, ecc. L’edizione Puerto Rico Re_Start 1 si è concentrata sul caso di San Juan esplorando diverse aree urbane e periferiche danneggiate dagli uragani, fra le più povere e difficilmente accessibili; l’edizione Puerto Rico Re_Start 2 ha sviluppato progetto per la costa Nord, in particolare ad Ovest di Puerto Rico, in luoghi dal potenziale pregio turistico ed insediamenti abbandonati; l’edizione Puerto Re_Start 3 ha affrontato il difficile caso della costa Ovest, quella meno urbanizzata, oggetto di interesse per ipotetici sviluppi dell’industria del turismo, già in parte occupata da industrie di biotecnologia. Puerto Re_Start 4 (programmata per settembre 2021) si applicherà allo studio della costa Est e delle montagne interne. La ricerca si è svolta attraverso workshop collaborativi a cui hanno preso parte studenti portoricani, statunitensi, italiani e di altre nazionalità (studenti Erasmus e in mobilità extraeuropea presso la Sapienza Università di Roma). Alcuni dei temi sono stati approfonditi dopo il workshop attraverso tesi di laurea o nei corsi di studio semestrali tenuti dalle diverse sedi accademiche coinvolte, e sono stati in parte pubblicati (Canella, Del Monaco, 2018; Del Monaco, 2018).

La terza edizione si è svolta completamente on-line nel marzo 2020. Per ciascuna edizione il workshop Puerto Rico Re_Start è stato affiancato da un vero e proprio convegno di studi che aveva luogo a fine giornata. In particolare, come ha spiegato durante il suo intervento Edwin Melandez, Director of the Center for Puerto Rican Studies all’Hunter College di New York, quella di Puerto Rico, dopo gli uragani, è risultata una «devasted economy: nel 2018 si prevedeva che il Prodotto Interno Lordo sarebbe diminuito del 11,2 percento, che si sarebbero contati 90 miliardi di danni, e 21 miliardi di spese assicurative; 100.000 case danneggiate, 80% delle quali quasi distrutte». Inoltre l’economista portoricano ha messo in luce il grave problema dell’esodo e dello spopolamento: circa il 40% dei portoricani dopo l’Uragano Maria è emigrato negli Stati Uniti (Chicago, New York e Florida). Tanto che oggi, tenendo conto della migrazione tradizionale delle giovani generazioni verso gli USA, i due/terzi dei portoricani vivono negli Stati Uniti d’America – hanno il passaporto americano, ma non votano per il presidente – ed hanno lasciato l’isola; più della metà della popolazione riceve un sussidio mensile statale di circa 600 euro con cui tende a sopravvivere. Le azioni intraprese dal governo federale hanno avuto lo scopo di «risolvere il problema delle residenze illegali, fornire aiuto medico di lungo termine, ridurre delle tasse (EITC, CTC)». Questi dati danno consistenza quantitativa alla metafora utilizzata da Lucio Barbera[6] nell’intervento di chiusura del workshop Puerto Rico Re_Start 1 (2018) per descrivere il caso oggetto di studio: l’isola di Puerto Rico è un insediamento affetto da “Anemia Urbana”[7].

“Relocate Renaturalise Reconnect”

Il contributo di Sapienza all’edizione del 2020, Puerto Rico Re_Start 3, guidato da chi scrive con il tutoraggio del dottore di ricerca Matteo D’Emilio, ha proposto un intervento nella zona ovest dell’isola concepito in modo integrato al resto del territorio, tenendo conto degli studi elaborati nell’edizione 1 e 2, e sintetizzandolo col titolo “Relocate Renaturalise Reconnect”. Il lavoro si è in parte ispirato, come per i casi precedenti, oltre che agli indirizzi di ricerca definiti da Martha Kohen e dal Center for Hydro-Generated Urbanism per l’impostazione scientifica dell’iniziativa, agli studi di Kristina Hill e di altri centri di ricerca che si occupano di temi di progetto analoghi: «The best approach I know of can be simply described using three categories of actions: to protect, renew, and re-tool»[8]. Il gruppo Sapienza (sei studenti provenienti dalla Tunisia, dalla Romania, dall’Indonesia, dalla Cina e dal Medio Oriente, un docente e un tutor) ha ricevuto dagli organizzatori il compito di studiare l’insediamento di Aguadilla. Il lavoro si è svolto con i tempi di un ex tempore gestito on-line durato circa tre giorni. Le azioni di progetto proposte sono sintetizzate a scala territoriale e per gli aspetti metodologici con gli elaborati che seguono (Fig. 6-7).

Relocate: le zone costiere colpite dagli allagamenti e dagli uragani hanno posto il problema di rilocalizzare e trasferire gli abitanti degli insediamenti costieri compromessi in aree più sicure: una ipotesi potrebbe essere quella dei cosiddetti insediamenti “Complementarios” (vedi Mapas Diagnosticos - Memorial del Plan de Uso de Terrenos della Junta de Planificacion, 2015), avviando un processo ineludibile di politiche e di incentivi.

Rinaturalizzare: In particolare gli insediamenti collocati ai piedi delle colline interne potrebbero risultare i più favorevoli per riorganizzare il territorio, concentrando strutture turistiche nuove e più sicure nella zona costiera, riorganizzare il settore agricolo (compreso quello dell’agriturismo) sia in pianura che in collina in modo più efficiente ed aggiornato.

Ricollegare: per attuare il suddetto programma si propone la realizzazione di una nuova rete ferroviaria infrastrutturale. Due sistemi di metropolitana leggera (primaria e secondaria) e una funivia utile alle connessioni degli insediamenti interni localizzati sulle colline e sulle montagne interne che risulterebbero densificati dopo il trasferimento degli abitanti dalla costa.

Invece di proporre il riutilizzo della linea ferroviaria, oramai in disuso, che serviva le piantagioni di canna da zucchero e che corre lungo il confine dell’isola (un’infrastruttura obsoleta), lo schema proposto prevede l’attuazione di un’importante linea metropolitana primaria che collega San Juan a Ponce e Ponce ad Aguadilla, seguendo uno schema “a V”, per una lunghezza complessiva di quasi 170 km – un investimento tutto sommato realistico. La linea primaria su ferro potrebbe essere integrata da una linea su ferro secondaria e da una rete di funivie alimentate dalla produzione di energia del sistema interno dei bacini idrici (che potrebbe essere potenziato e riutilizzato là dove è inattivo). Il nuovo sistema di mobilità integrato potrebbe attrarre diversi tipi di investitori e dar luogo ad uno standard più elevato della qualità della vita, in grado di attrarre nuovi abitanti, tanto gli anziani a vivere sull’isola di Porto Rico in condizioni climatiche favorevoli o i più giovani per iniziare la loro attività in un contesto che richiede nuove energie e innovazione con il supporto di sussidi orientati.

Il sistema di mobilità integrato potrebbe favorire diversi tipi di turismo (escursione, soste brevi in occasione di crociere) e per promuovere nuove forme di turismo nelle aree interne, legate alla riscoperta di prodotti alimentari locali, frutta, agricoltura, ecc., considerando che la maggior parte dei prodotti alimentari, inclusi quelli di derivazione agricola, nonostante il clima eccellente, attualmente è importato.

L’obbiettivo generale previsto è massimizzare l’effetto con interventi circoscritti, realizzando infrastrutture diversificate, aumentando il valore del suolo, il grado di sicurezza, il tenore di vita, creare le condizioni per un nuovo tipo di attività produttive e incentivare l’occupazione.

Conclusioni provvisorie

L’esperienza condivisa durante l’iniziativa di Puerto Rico Re_Start ha permesso di verificare, studiando una vicenda realistica quanto, nonostante l’eventualità che si reiterino condizioni di emergenza e di pericolo – categoria che alcuni esperti distinguono dal rischio[9] – l’identificazione con un certo tipo di cultura insediativa sia un fattore di resistenza nell’identità culturale dei portoricani. Nonostante sia palese il rischio di abitare in residenze unifamiliari del tipo steel frame structure, pronipoti del sistema Ballon Frame e del sistema Levitt, soprattutto mal realizzate e localizzate in aree a rischio.

Molti fra gli abitanti di Puerto Rico, anche quelli che appartengono a classi sociali in difficoltà, non rinunciano al mito della casa unifamiliare, senza essere in grado di tenere in ordine e coltivare un giardino o un orto, dato il clima, sarebbero semplicissimi da coltivare integrando il proprio manage familiare. Il disagio diffuso fra gli abitanti, oltre che economico, è evidentemente anche sociale: sull’isola è rimasta prevalentemente la popolazione più debole (per età, cultura e censo). Gli architetti più in vista a Puerto Rico, parte integrante dell’élite culturale architettonica statunitense, come Johnathan Marvel[10] (Fig. 8) e Francisco Javier Rodríguez-Suárez, hanno illustrato durante il convegno parallelo al workshop alcuni progetti redatti dai loro uffici e dai loro studenti per la ricostruzione: eleganti e raffinate case individuali prefabbricate che corrispondono all’idea dell’alloggio temporaneo trasportabile, anche su ruote, relativamente a basso costo, energeticamente autosufficiente. Sembra non essere cambiato molto dal tempo in cui Mr Levitt sosteneva: «We are not builders, We are the General Motors of the housing industry»! Tra l’altro il “Tiny House Movement”, «an architectural and social movement that encourages living a simpler life in a smaller space», come spiega un articolo del Financial Times dello scorso maggio, il cui successo è ritornato nel 2008 con la crisi finanziaria, ma più recentemente con una serie Netflix Tiny House Nation (Chen, 2020), dimostra che la preferenza per questo tipo di soluzione residenziale non è solo un fenomeno per dropouts ma la soluzione che interessa milioni di followers sul link Instagram, con circa 1,47 milioni di post, collegati all’hashtag #tinyhouse.

Ed è per questo, dunque, che le soluzioni proposte attraverso l’esercizio progettuale sviluppato in questi ultimi anni dalla UNESCO Chair della Sapienza per Puerto Rico, hanno cercato di assecondare la resistente adesione della maggior parte degli abitanti locali al modello insediativo suburbano, che molti studiosi attribuiscono al successo intramontabile di Walden di Henry David Thoreau, caposaldo irrinunciabile per l’identità culturale americana (Updike, 2004), nella misura in cui ha attecchito in un’isola dei Caraibi in cui la cultura ispanica vive ibridata a quella nordamericana. Così da ritornare a considerare l’ipotesi di realizzare infrastrutture su ferro e rovesciando l’interpretazione del funzionamento urbano di San Juan: da centro storico-coloniale circondato da una periferia a città metropolitana di circa 500.000 abitanti – dunque abbastanza simile ad una città come Palermo – con un centro turistico sull’acqua.

L’intento complessivo è stato quello di cercare di includere entro un’idea strutturata per interventi di lungo termine, ragionando sul potenziamento delle infrastrutture su ferro entro un quadro di interventi economicamente ammissibili, l’indirizzo dei tecnici locali, che invece tendono a vendere soluzioni a basso costo e di rapida distribuzione di massa, continuando ad alimentare il modello residenziale unifamiliare suburbano.


Note

[1] In particolare, Puerto Rico è un’isola caraibica localizzata nell’Atlantico, è stata una colonia della corona spagnola e dal 1898, dopo la guerra ispanico-americana, è divenuto un territorio non incorporato degli Stati Uniti d'America.

[2] È ormai consolidato il fatto che la società contemporanea dalla metà degli Ottanta in poi sia considerata La società del rischio, come il lavoro di Ulrik Beck ha anticipato e spiegato.

[3] I lavori di J.L. Sert all’Havana (Cuba) e in Sud America influenzarono molto la cultura architettonica portoricana.

[4] Mignucci A. cita José Fernández, Architecture in Puerto Rico, (New York: Architecture Book) Publishing, 1965, p. 134, 240.

[5] http://puertoricorestart.org.

[6] Lucio Barbera, chairholder dell’UNESCO Chair in «Sustainable Urban Quality and Urban Culture, notably in Africa» della Sapienza ha preso parte con docenti e studenti italiani ai workshop Puerto Rico Re_Start come partner accademico della University of Florida.

[7] Vedi Lucio Barbera’s Twitt #urbananemia: «human settlement physically and functionally appears to be still in a good state but the demographic, social, economic and cultural resources are in a continuous silent decrease. The first symptoms of URBAN ANEMIA is the necrosis of marginal settlements» UNESCO;

https://twitter.com/hashtag/urbananemia?src=hash.

[8] Interview with Kristina Hill, https://www.asla.org/ContentDetail.aspx?id=28548

[9] «… Il rischio è la forma che assume un pericolo quando viene trasferito nella sfera di ciò che può essere amministrato. La natura è piena di pericoli, ma è la tecnica moderna che tende a rappresentarli come rischi, ad esempio quantificandone la probabilità e attribuendo loro un costo», Raffaele Alberto Ventura (2020), Radical choc: Ascesa e caduta dei competenti.

[10] Marvel Architects; https://marvelarchitects.com/work/resilient-power-puerto-rico/100.

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