Tramandare l’immateriale. Temi della cremazione per l’architettura funeraria

Alessandra Carlini




Le tre immagini che aprono questo scritto addensano nei silenzi l’eco del tempo e immortalano nella fissità della macchina da presa la transitorietà della vita (Fig. 1). È il cinema di Yasujirō Ozu1 e la sequenza filmica scandisce i tre momenti rituali della cremazione2 – il rogo del corpo, il commiato del corteo funebre, la sepoltura delle ceneri – definendo l’orizzonte entro il quale indagare una pratica funeraria che alimenta la riflessione sulla ri-semantizzazione dei luoghi destinati al culto dei morti.

Sotto la spinta delle tendenze multireligiose e laiche, di una diversa sensibilità cattolica3 e delle recenti emergenze sanitarie, la cremazione sta prendendo sempre più vigore anche in occidente ponendo specifici temi tipologico-formali al cimitero moderno.

Lì dove non c’è più un corpo a testimoniare l’esistenza umana (Bachelard 1989; Sozzi 2004), è il luogo stesso a offrire la materia utile a trasformare l’assenza in presenza (Schama 1997; Ricoeur 2004). Paesaggi delle ceneri, nuove forme della memoria, recuperano, rinnovandole, le spazialità della tradizione cimiteriale4. La conservazione entro urne, a meno delle evidenti differenze dimensionali, ritrova immagini saldamente ancorate nella tradizione ottocentesca e mediterranea del cimitero-città (Ariès 1998), legate alla pratica di inumare in terra realizzando campi-santi e di tumulare in colombari generando pareti e recinti. La dispersione delle ceneri apre opzioni care alla tradizione nordeuropea del cimitero-natura lavorando tra le maglie delle potenzialità espressive offerte da una vegetazione addomesticata per accompagnare il culto dei morti (Morin 2002; Grimal 2005), all’interno di spazialità modellate sul rapporto bosco-radura o sulla dimensione rurale del paesaggio. Luoghi destinati alle ceneri nei quali gli elementi tipici della composizione architettonica ‒ raccogliere/disperdere, recingere/diffondere, soglie per mediare e precisare, ordine del movimento per orientare e gerarchizzare ‒ possono ancora concorrere a definire valori identitari e caratteri spaziali di questi nuovi settori cimiteriali.

Cremazione e «lavoro di memoria»5

Se, come affermano gli antropologi, le pratiche funerarie servono per allontanare dallo sguardo l’inevitabile disfacimento del corpo (Morin 2002; Bachelard 2006, 2007) e la manifestazione architettonica del lutto esprime il contenimento dell’angoscia davanti alla morte (Giedion 1969; Ariès 1998), la cremazione e i paesaggi generati dalla sepoltura delle ceneri presentano alcune specificità.

Innanzitutto, nella pratica dell’incinerazione il fuoco purificatore interviene su una materia ancora intatta, non corrotta, liberando ciò che è perituro ‒ le carni (Morin 2002) ‒ dal processo di decomposizione: la cremazione annulla la corrispondenza tra materia del corpo e materia del ricordo generando nei congiunti il timore di non poter contare sulla presenza di un luogo riconoscibile capace di tramandare la memoria (Sozzi 2004; Urbain 1998). Questo cambiamento di scala, dal corpo alle ceneri (Hintermeyer 2013), assegna alla sepoltura un diverso valore. La tomba, che nell’inumazione e nella tumulazione, è ancora memoria del corpo che lì giace, sua misura e monumentum (Ariès 1984), perde la consistenza materiale e, ad assumere la valenza di sepolcro, è il luogo stesso che accoglie le ceneri. Come osserva Edgar Morin (2002, p. 139) «L’apparente opposizione fra cremazione e sepoltura si sfalda se si considera che la cremazione non distrugge tutto il cadavere: le ceneri infatti vengono conservate».

Se nella deposizione dell’urna ancora una traccia tangibile può essere assunta a mantenere la forma del ricordo nello spazio e nel tempo, nella dispersione le ceneri diventano un tutt’uno con il luogo dello sversamento, con la forza rigeneratrice della natura protesa in una dimensione senza tempo. Lo scopo dell’intervento di architettura diventa allora quello che Simon Schama (1997, p. 25) attribuisce al valore patrimoniale del paesaggio come palinsesto nel quale «La memoria [assume] la forma del paesaggio. […] l’assenza [diventa] presenza»6.

La dimensione immateriale connaturata nel destino delle ceneri ci costringe a un «lavoro di memoria» (Ricoeur 2004) che non si accontenta della reiterazione meccanica di un ricordo appagato dalla corrispondenza tra tomba e corpo sepolto, ma che deve svolgere un continuo esercizio di rimemorazione. In questo senso i paesaggi delle ceneri rinunciano sempre più alla forte caratterizzazione individuale dello spazio di sepoltura cercando di avvicinare la dimensione individuale e collettiva del «lavoro di memoria», di tenere insieme il riconoscimento dell’impianto cimiteriale come unità formale e l’identificazione della sepoltura come variazione compositiva subordinata, dominando il rapporto tra le parti e il tutto.

Spazi recinti e boschi per la deposizione delle urne

Nelle culture che conservano i resti della cremazione, urna e ceneri costituiscono da sempre un’unità inscindibile. L’oggetto, l’urna, tramanda il ricordo sia quando è deposta in luoghi reciti, dove il limite definisce ciò che è sacro (Ariès 1984), sia quando è sepolta lì dove è la natura stessa a essere sacra e quindi indivisibile (Eliade 2008).

Nel primo caso la forza evocatrice dell’architettura è definita dal rapporto tra recinto funerario e campo circoscritto. Poco importa se lo spazio delimitato e introverso, destinato a dare forma significante al lutto e alla memoria, è ancorato a un’impostazione monumentale o naturalistica; se è un quadriportico di urnari a bordare un campo vuoto e assolato o se la definizione della stanza a cielo aperto è affidata a bordure di arte topiaria che abbracciano un prato punteggiato d’urne. In entrambi i casi, l’atto del tracciare un limite ha ritualizzato un luogo, separando un interno governato dalle leggi della memoria da un esterno, indistinto e svincolato dal ricordo; di dentro, affinché il lutto possa trovare la sua dimensione più privata, la tensione spaziale è di tipo verticale, saldando il rapporto tra terra e cielo per annullare
la percezione della vita che scorre d’intorno. Tuttavia, se il recinto di urnari, proposto da Paolo Zermani per il Tempio Crematorio di Parma7 (2006-09), è solidamente radicato nel modello del camposanto ottocentesco e nel suo archetipo, il Camposanto di Pisa (XIII sec.), per le spazialità ottenute attraverso l’uso di masse arboree i riferimenti più diretti vanno cercati nel lavoro di paesaggisti come Gudmund Brandt, Carl Theodor Sørensen, Palle Schimidt, Sven-Ingvar Andersson, in quell’estetica dell’architettura del verde che, all’inizio del Novecento, fa da terreno di coltura per le applicazioni funerarie del Nord Europa (Latini 1998) (Fig. 2 e 3).

Quando non è più l’atto del recingere a definire ciò che è consacrato al ricordo, la deposizione delle ceneri trova, nel modello della necropoli nei boschi8, la possibilità di incarnare un rapporto più intimo con la natura attingendo a un paesaggio primordiale. Il precedente imprescindibile è il Cimitero Sud di Stoccolma (1920-61), Skogskyrkogården (“Cimitero del Bosco”), realizzato da Erik Gunna Asplund e Sigurd Lewerentz9: un manifesto non scritto, ma modellato nel paesaggio a testimoniare l’equilibrio propugnato tra artificio e natura, espressione del lutto che si compie nella collettività del ricordo.
Recenti sperimentazioni di sepolture in seno alla natura (Cimitero Berestein10, Olanda, Arch. Sylvia Karres & Bart Brands, 2000) sfruttano la dimensione delle nicchie cinerarie, ben più piccole rispetto al loculo per il feretro, per innalzare le urne all’interno di cippi disseminati nello spazio indistinto del sottobosco, ribadendone l’ordine del movimento pluridirezionato e non orientato (Fig. 4). Come spesso accade, le forme risalgono il tempo e, nella memoria del “già visto”, recuperano l’immagine di antiche pietre, infisse nel terreno per marcare il luogo della sepoltura e tramandare il ricordo del defunto.

Tumuli, orti e bordure per la dispersione delle ceneri in natura

Scegliere la dispersione vuol dire manifestare un desiderio di ricongiungimento diretto alla natura. Più della conservazione entro urne, il carattere indistinto dello sversamento promuove una concezione della morte che trova sollievo nell’identificazione con gli elementi naturali. È alla forza evocatrice della rigenerazione che viene affidato il compito di tramandare il ricordo (Fig. 5).

Mircea Eliade (1907-1986) sottolinea spesso le continue interferenze che, nella storia delle religioni, vedono intrecciarsi culti della fertilità e culti funerari. «[Spesso] la vita si manifesta mediante un simbolo vegetale. Questo equivale a dire che la vegetazione diventa una ierofania - incarna e rivela il sacro. […] Un frammento (un albero, una pianta) vale il tutto (il Cosmo, la Vita)»11.

Quando Sigurd Lewerentz realizza il Cimitero di Malmö12 (Svezia, 1916 e segg.), un campo seminato a grano viene individuato come luogo preposto allo sversamento delle ceneri. Il paesaggio agricolo, nel suo mutamento ciclico e nel rinnovamento stagionale, diventa ierofania (Eliade 2008).

Nel cimitero Sud di Stoccolma (Erik Gunna Asplund e Sigurd Lewerentz, 1920-61), un tumulo viene innalzato davanti al Crematorio e marcato da un boschetto di pini ai piedi dei quali avviene lo sversamento delle ceneri (Latini 1998). Il culto della memoria si compie attraverso la forza evocatrice di forme archetipiche.

A Mariebjerg13 (Gudmund Brandt, 1926-33), cortine arboree, a gradiente di permeabilità visiva variabile, distinguono dimensioni spaziali pubbliche, semipubbliche, private nelle quali i congiunti possano maturare il rito della dispersione senza il rischio di camminare accidentalmente sulle ceneri, protetti dai venti che potrebbero travolgerli. L’elaborazione del lutto confida nella natura, nella sua capacità di consolazione alla mortalità (Schama 1997).

È in questi precedenti che trovano ragione le migliori pratiche architettoniche contemporanee, nelle quali il rito della dispersione delle ceneri assume la forma di orti conclusi da bordure vegetali o di rigonfiamenti di suolo che rievocano tumuli monumentali (Cimitero di Neubiberg14, Germania, Arch. Emanuela von Branca e Adelheid Countess Schönborn, 2000; Cimitero Nieuwe Ooster15, Paesi Bassi, Arch. Sylvia Karres & Bart Brands, 2005). All’interno del giardino delle rimembranze16 – settore cimiteriale deputato ad accogliere la dispersione delle ceneri – Acqua e Terra sono i due elementi che guidano il commiato: l’acqua (nebulizzazioni, rivoli, fonti) come veicolo di accompagnamento delle ceneri e la terra (tappeti erbosi, cuscini fioriti, acciottolati) come materia di ricongiungimento alla natura. Un’architettura che attinge il proprio repertorio indifferentemente dalla natura primordiale o da quella addomesticata (Grimal 2005), realizzando frammenti esemplificativi di qualità di paesaggio che travalicano il limite del tempo e assumono in sé il significato di sepoltura (Eliade 2008).

Conclusioni

Nei campi assolati delle radure o all’ombra degli alberi nel sottobosco; definiti dai limiti stereometrici degli urnari o cinti da bordure di arte topiaria, i nuovi paesaggi delle ceneri offrono luoghi in grado di dare forma al ricordo, accompagnando lo svolgersi della memoria nello spazio e nel tempo. Seppellire le ceneri entro urne, dà luogo a colombari, campi, cippi commemorativi configurati come antichi segnacoli funerari, oppure è la natura stessa che si offre alla dispersione, contrapponendo radure sottratte a una piantumazione continua e recinti arborei scolpiti nella materia vegetale, conformando segni d’acqua, cespugli, tappeti erbosi e acciottolati. Modelli consolidati nella cultura architettonica e sperimentazioni più recenti delineano un panorama di riferimento capace di scongiurare il rischio di interventi risolti come banale servizio municipale e rilanciare la ricerca architettonica in favore di configurazioni alternative al cimitero intensivo, nelle quali l’individualità della sepoltura si spegne dentro l’idea di collettività.

Partendo da ciò che resta di un passato secolare e attingendo dal deposito della storia incarnato nei luoghi, è forse possibile immaginare spazi per la memoria nei quali possano convivere due dimensioni: quella collettiva, dell’identificazione sociale di una comunità, delle sue tradizioni, della sua lunga durata, e quella individuale, legata all’intimità del ricordo personale. Come già avvenuto nella storia, ripensare i luoghi di sepoltura vuol dire rinnovare i valori culturali della comunità che li realizza. «Se ogni città moderna presuppone un cimitero, ogni volta che si scopre un cimitero antico si ha la prova che nei paraggi si trova una città scomparsa. La necropoli è l’inverso della città, a seconda dei casi, il rovescio o il dritto, poiché essa, doppio idealizzato della città, è la perfetta riproduzione dell’ordine socio-economico dei vivi». La frase con la quale Michel Ragon (1986, p.45) apre il secondo capitolo de Lo spazio della morte, appare, per la cultura architettonica contemporanea, come un monito e, al tempo stesso, un’ispirazione.

Note

1 Fotogrammi dal film L’autunno della famiglia Kohayagawa (Kohayagawa-ke no aki. The End of Summer. 1961), regia di Yasujirō Ozu (1903-63).

La cremazione è una pratica funeraria che prevede l’incinerazione del feretro. In Italia l’adozione della Legge 130 del 2001, oltre a regolamentare la costruzione di crematori e ridefinire le modalità di sepoltura delle ceneri, rimuove il divieto di dispersione in natura. All’interno dei cimiteri possono essere quindi previste le seguenti modalità di sepoltura delle ceneri: deposizione delle urne cinerarie in colombari di urnari o all’interno di nicchie a terra; dispersione delle ceneri in natura in spazi appositamente identificati e configurati, noti come campo per lo spargimento delle ceneri, giardino del ricordo o della meditazione, giardino delle rimembranze.

3 Nei paesi di tradizione cattolica, la cremazione trova concrete possibilità di intervenire significativamente nella conformazione del paesaggio cimiteriale a partire dal 1963, quando il Concilio Vaticano II emana l’Istruzione denominata De Cadaverum Cremazione: Piam et constantem con la quale si stabilisce che l’incinerazione non è in contrasto con la religione cristiana. Ulteriori passaggi significativi nella direzione di una più ampia accettazione della pratica della cremazione si hanno nel 2007, quando la Conferenza episcopale italiana, attraverso la Commissione episcopale per la liturgia, pubblica un sussidio pastorale che integra il fondamentale rituale per le esequie. Il sussidio Proclamiamo la tua risurrezione prevede, nel IV capitolo, liturgie particolari per i funerali in caso di cremazione.

4 Per un approfondimento sui caratteri tipologico-formali del Cimitero-natura e del Cimitero-città si veda: (Franciosini e Carlini 2012), (Franciosini 2011), (Lotus 38 1983), (Carbonara 1958).

5 Partendo da due saggi freudiani (Ricordare, rielaborare, ripetere del 1914 e Lutto e malinconia del 1918) la formula del «lavoro di memoria» viene usata da Paul Ricoeur (2004) per esprimere la distanza tra l’operazione meccanica del ricordo vissuto come coazione a ripetere, e l’esperienza di memoria vissuta come esercizio di rimemorazione. Per un approfondimento del tema si veda in particolare la terza aporia della sua trattazione sulla problematica della memoria (La memoria ferita e la storia, pp. 71-98).

6 Per un approfondimento del tema si veda anche Paul Ricoeur (2004), in particolare la seconda aporia della sua trattazione sulla problematica della memoria (Immaginazione e memoria, pp. 63-70).

7 Ferrari M. (2010) – Figure nella nebbia. Casabella, 791, 26-33.

8 Il modello della sepoltura in seno alla natura viene anticipata dall’iconografia della tomba di Jean-Jacques Rousseau sull’Isola dei Pioppi di Ermenonville. Per un approfondimento del tema si veda (Teyssot 1983).

9 Sul progetto per il Cimitero Sud di Stoccolma esiste ampia letteratura. Si vedano, in particolare: Porphyrios D. (1983) – Classico, cristiano, socialdemocratico. L’architettura funebre di Asplund e Lewerentz. Lotus, 38, 71-78; Constant C. (1994) – The Woodland Cemetery: Toward a Spiritual Landscape. Byggförlaget, Stockholm; Johansson B. (1996) – Tallum. Gunnar Asplund’s & Sigurd Lewerentz’s Woodland Cemetery in Stockholm. Byggforlaget, Stockholm; Flora N., Giardiello P. e Postiglione G. (2001) – Sigurd Lewerentz 1885-1975. Electa, Milano; Torricelli C. (2012) – “La morte come passaggio. Sacro e arcaico nell’architettura di Sigurd Lewerentz”. IN_BO Ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura, [e-journal] 4.

10 Una descrizione del cimitero è contenuta in: De Leo E. (2006) – Paesaggi Cimiteriali Europei. Mancosu Editore, Roma.

11 Eliade M., Trattato di storia delle religioni, pp.183-184.

12 Per un approfondimento del Cimitero Est di Malmo si veda: Constant C. (1998) – Il cimitero est di Malmö: La lenta scoperta del valore assoluto della semplicità. Casabella, 659, 40–65; Flora N., Giardiello P. e Postiglione G. (2001) – Sigurd Lewerentz 1885-1975, Electa, Milano; Torricelli C. (2015) – “Inserti urbani e visioni di paesaggio. La tensione tra progetto e luogo nei cimiteri di Sigurd Lewerentz”. IN_BO Ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura, [e-journal] 8.

13 Per un approfondimento del cimitero di Mariebjerg (Gudmund Brandt, 1926-33) si veda: (Latini 1998); Arkitectur DK, 4 (1990).

14 Per un approfondimento del cimitero di Neubiberg si veda: Von Schonbörn A. (2005) – “Monaco di Baviera: il cimitero di Neubiberg”. In: Felicori M. (a cura di), Gli spazi della memoria. Luca Sessella editore, Roma.

15 Per un approfondimento del cimitero di Nieuwe Ooster si veda: (Franciosini 2011).

16 Noti anche come giardini del ricordo o della meditazione, o come campi per lo spargimento delle ceneri, vengono introdotti nella normativa italiana dalla legge Legge 130 del 2001.

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