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Il volume di Mario Botta è un tentativo riuscito di
ripercorrere attraverso scritti e riflessioni, cinquant’anni di
professione. L’autore accende i fari sui temi di architettura a
lui più cari, dallo spazio dell’abitare, allo spazio del
sacro, dall’importanza e dalla bellezza della città
europea alle contraddizioni urbanistiche dei nostri tempi. Non mancano
considerazioni di fondo sull’impegno alla fondazione
dell’Accademia di Architettura e del teatro
dell’architettura di Mendrisio, ma soprattutto i lunghi e
articolati capitoli con i quali l’autore salda il debito di
riconoscenza, verso i Maestri, del calibro di Le Corbusier, Carlo
Scarpa e Louis I. Kahn che lo hanno accompagnato nel suo fare
architettura.
L’autore continua prediligendo, con argomentazioni approfondite e
riflessioni chiare e lineari i temi dell’abitare,
dell’intreccio tra la luce e l‘architettura, della
relazione tra l’opera e i valori cosmici dell’intorno, e
della relazione tra il progetto architettonico e progetto dello spazio
pubblico, come questioni centrali nell’avanzamento
dell’architettura e come risposta tecnica ai bisogni immateriali
di una comunità.
Gli insegnamenti ricevuti dai Maestri, vengono reinterpretati e
filtrati, come il caso di Carlo Scarpa, indicato nella dialettica tra
storia e progetto, ed arrivando ad affermare la non esistenza del
restauro senza la pura invenzione.
L’omaggio continua per le architetture corbuseriane che diventano
capaci di cogliere il futuro per una nuova bellezza dello spazio
vitale, e al lavoro con Louis Kahn per Venezia antesignano dei limiti
del progresso tecnologico
Il prodotto editoriale si articola secondo puntuali riflessioni sui temi più cari dell’autore. Riguardo Luce e gravità,
per Mario Botta nell’opera di architettura la luce genera lo
spazio, senza luce non esiste lo spazio. Lo spazio generato dalla luce
diventa anima del fatto architettonico. La luce è
un’entità naturale che sussiste al di là del fatto
architettonico, che nel confronto con l’opera costruita trova la
propria ragione d’essere nello scorrere del tempo. Per
l’autore, la luce è il segno visibile della relazione tra
l’opera e i valori cosmico dell’intorno, è
l’elemento che modella l’opera nello specifico contesto
ambientale. Relaziona architettura e contesto. Sullo Spazio Pubblico,
la cultura del progetto insieme al pensiero urbanistico deve
confrontarsi con le critiche condizioni che presiedono allo spazio di
vita dell’uomo, alle prese con la inquietante crisi ecologica. Il
pensiero architettonico dovrà interrogarsi sulla dimensione
etica della vita collettiva chiedendo di affrontare la dimensione
civile del progetto secondo i canoni di spazi e architetture tali da
definire contesti sociali autenticamente civili. La marginalizzazione,
la negatività, la mancanza di modelli identitari stanno alla
base della relazione non verificata tra, spazio pubblico e vita
associativa. Tale intreccio invece ha fatto grandi le tradizioni
architettoniche e urbane dell’intero occidente, depositandosi
come memoria della tradizione nelle nostre città.
In un delicato momento storico in cui impera un processo
dis-identitario e di globalizzazione, l’autore affronta il tema
della Città europea.
La ricerca di una possibile identità passa attraverso il senso
di appartenenza ad un territorio e pertanto ad un naturale riferimento
all’immagine della città. La città come punto di
riferimento dentro un territorio fisico, riscopre oggi talune
prerogative proprie della sua stessa storia. La condizione di centro
urbano, che raccoglie storia e memoria dettano al cittadino intuizioni
che lo rassicurano a riscoprire gran parte della sua identità.
Lo spazio che ci circonda diventa territorio di memoria con una storia
che ci appartiene e riconosciamo parte del nostro essere. Per Mario
Botta la città diventa una grande lezione di architettura in
quanto offre l’insegnamento che non è possibile vivere
senza passato e che i territori della memoria diventano condizione
indispensabile del vivere presente.
Nell’affrontare i temi sulla sacralità dello spazio,
l’autore narra delle esperienze a partire dal clima post
‘68 in cui un processo di desacralizzazione dello spazio si
contrapponeva alla tradizione sacralità del rito. Interpretare
la casa divina dentro il tessuto della casa dell’uomo diventa
compito che ogni architettura del sacro ha sempre affrontato. Il tema
della sacralità del luogo diverso da ogni altro diventa
condizione di espressione di valori simbolici, rispetto al tessuto
urbano quotidiano. La storia dei luoghi sacri è anche la storia
di uno spazio architettonico che evoca emozioni incommensurabili tali
da far sorgere nuove emozioni. Un caso a parte è la compiutezza
del monastero che nella tradizione della città europea ha goduto
della centralità rispetto al tessuto edilizio dell’intorno.
Nella parte finale del volume l’autore si rivolge ai Maestri.
Nell’epoca del disegno informatico la linea virtuale non riesce
più a comunicare la sensibilità ed a esprimere
differenze. Il lavoro della generazione attuale si stacca totalmente
dalla tradizione scarpiana, secondo cui il costruire nasce dal sapere
artigiano che condiziona immagini forma materiali e capacità e
poetica dello spazio. Il disegno di Carlo Scarpa è conoscitivo,
il nostro è miseramente rappresentativo. Due mondi diversi e
lontani, con una sensibilità diversa ed enorme. Di Carlo Scarpa,
l’autore ne cita le sensibilità verso i materiali tali da
trarre il meglio anche da quelli più poveri alla stregua di
grandi architetti come Borromini, Michelangelo e Raffaello. Saper fare
architettura era un modo di servire l’umanità.
Mario Botta è stato ragazzo di bottega di Le Corbusier,
nell’atelier a Venezia per il nuovo progetto dell’ospedale.
La tradizione di interpretare e creare nelle trasformazioni in atto,
nuove proposte, tali da cogliere il futuro e modellarlo in una nuova
bellezza dello spazio, pongono le architetture corbuseriane come
riferimenti della cultura architettonica del XX Secolo.
Infine l’omaggio e il rapporto con Louis Kahn che suggeriva di
interpretare le architetture attraverso gli aspetti più segreti.
Le architetture parlano attraverso il silenzio, spingendo l’uomo
a riannodare la memoria di altri uomini. Le nuove visioni di Louis Khan
insieme alla capacità di andare oltre i problemi e
l’intuizione dei limiti dello sviluppo tecnologico sono elementi
ereditati per le architetture dell’autore.
Nei tempi della decrescita felice e del tempo lento contro la
ipervelocità globale, pur tra nostalgiche immagini di un tempo
perduto e pacate visioni degli attraenti spot televisivi, la storia e
la tradizione rimangono custodi di un certo primato
dell’architettura. Proprio le architetture, e si suoi elementi
compositi rimangono i testimoni assoluti di spazi capaci di resistere
al processo dis-identitario della globalizzazione. Al di fuori di
queste due offerte estreme, sembrano talvolta svanire, tanto la
finalità sociale di un costruire mediante il progressivo
consenso di tanti protagonisti, quanto la specificità formale e
materiale, ma pure teorica, artistica e utopica, di dover reinventare
il quadro di fondo adatto ad un rito sociale, antico come la storia
della città. L’autore pertanto si rivolge in questo senso,
spingendo in avanti la volontà di prefigurare strategie di
rinnovamento nel dibattito sull’architettura, ripercorrendo e
rivedendo attraverso scritti e riflessioni, cinquant’anni di
professione. Accanto la didattica e la ricerca dell’accademia di
Mendrisio, si vuole rafforzare la riflessione attorno alla disciplina e
dare visibilità ai nuovi interessi transdisciplinari che
influenzano e determinano il progetto di architettura ed il ruolo
sociale dell’architettura stessa. Prendere il passato e metterlo
in prospettiva al futuro è una questione di fondo
imprescindibile.
Nei temi affrontati di Mario Botta si manifesta la volontà di
coinvolgere nella composizione, la città, la storia la memoria.
L’architettura assume un ruolo fondamentale per affermare il
concetto di identità ma diventa occasione di verifica per
rendere trasmissibili i valori dell’architettura, il saper creare
patrimonio accanto all’antico e non sopra l’antico. Ricerca
di identità tra storia e progetto, ma anche equilibrio tra
tipologia e morfologia urbana, appaiono indispensabili nel quadro della
contemporaneità, appaiono necessari per suggerire ancora
nuove chiavi di lettura per il progetto dei futuri paesaggi urbani, per
inventare luoghi unici, a fronte di pezzi di città
caratterizzati da degrado sociale, dispersione e mancanza di
identità.
Umberto Minuta
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