Scuole di Scuola Romana

Anna Irene Del Monaco




Questa breve nota ha lo scopo di ripercorrere sinteticamente alcune esperienze di progetto, studio e didattica sul tema dell’edilizia scolastica e universitaria svolta da almeno tre generazioni di architetti romani, attivi durante il Novecento a Roma e in altre città italiane, e di evidenziare gli esiti, in termini di forma urbana, del rapporto fra le soluzioni progettuali proposte per l’architettura delle scuole e le parti di città in cui esse sono state realizzate.
Un rapido riscontro delle fonti bibliografiche e della letteratura permette di rilevare che il maggior fermento propositivo corrispose ai periodi in cui furono attuati programmi politici nazionali; fra questi le fasi più significative corrispondono agli anni fra la fine dell’Ottocento e il Ventennio fascista, agli anni fra il secondo dopoguerra e gli anni Settanta, e ad alcuni interventi fra gli anni Ottanta e Duemila; questi ultimi, in particolare, hanno visto la realizzazione di nuovi campus universitari o loro estensioni. Ripercorrendo da presso le esperienze che tentarono di attuare gli studi e le teorie illuministe sull’organismo scolastico moderno di Jean-Jacques Rousseau, Robert Owen e Johann Heinrich Pestalozzi, vediamo che esse trovarono continuità, circa un secolo dopo, nel concetto di “scuola attiva” di John Dewey e di Maria Montessori, che in Italia ebbero i primi esiti, ad esempio, nelle “Case dei Bambini”: la prima fu realizzata a San Lorenzo nel 1907 e fu il primo tentativo di «riorganizzazione di una vita sociale avente come fulcro la scuola» e di «riforma strutturale dell’agglomerato urbano» (Cicconcelli 1958, 859).
Nel quadro delle vicende del dopoguerra e fra le personalità della scuola di Roma che più contribuirono al tema dell’edilizia scolastica Pasquale Carbonara, allievo di Enrico Calandra, ebbe un ruolo fondamentale, anzi fondativo come testimonia il volume Edifici per l’istruzione, edito da Vallardi nel 1947. L’importante attività di ricerca che egli contribuì ad impostare e condurre, almeno durante la prima fase, dai primi anni Cinquanta, – traguardando sempre i riferimenti internazionali più avanzati –, coinvolse il gruppo dei suoi allievi, Ciro Cicconcelli, Diambra de Sanctis, Alberto Gatti, Alberto Carpiceci, Fausto Ermanno Leschiutta) presso il Centro Studi per l’Edilizia scolastica del Ministero della pubblica Istruzione. Attività di ricerca documentata dai “Quaderni del centro studi per l’edilizia scolastica” pubblicati dal 1953 al 1963, attraverso fascicoli che avevano come obiettivo la sollecitazione di una riforma della normativa per l’edilizia scolastica, a cui si aggiunse il numero 25 della rivista “Rassegna di Architettura” del 1952 ed i volumi di Architettura Pratica del 1954 che trattavano gli edifici scolastici.
Ciro Cicconcelli, in particolare, co-autore della sezione 7^ (Gli edifici per l’istruzione) de Architettura Pratica (Utet 1954), fra i protagonisti del rinnovamento e degli studi sull’edilizia scolastica, fu direttore del Centro Studi dal 1958, in continuità col maestro Pasquale Carbonara; riferendosi al primo decennio del Ventesimo Secolo, osservò che in quegli anni non vi era ancora un livello qualificato di studi sull’edilizia scolastica e che il principale riferimento fossero ancora chiese e caserme, rispettivamente elaborate sulla base della tradizione inglese e di quella tedesca «[…] Le città proseguirono nel loro caotico sviluppo, diventano sempre più grandi e, se in fatto di urbanistica esistono alcuni principi generali, non ve n’è nessuno per quel che riguarda il dimensionamento delle scuole e la distribuzione di queste nella trama cittadina. Si costruiscono edifici scolastici senza accorgersi dell’importanza che essi hanno per l’organismo urbano e senza vederne chiaramente gli aspetti economici, pedagogici e sociali inquadrati nella stessa vita della comunità» (Cicconcelli 1958, 853).
Ma occorre evidenziare che già nella prima formulazione del 1904 del progetto Une Cité Industrielle, formulato di Tony Garnier, pubblicato solo nel 1918, erano incluse le scuole oltre ai complessi residenziali, le strutture sportive e gli ospedali, secondo una tesi taylorista che analizzava l’importanza dell’igiene e dei fattori sanitari come luce, aria, ventilazione, vegetazione (Guillén 2008).
Scorrendo la rassegna di progetti raccolta in Architettura Pratica da Cicconcelli e soffermandosi sulle date, si comprende che l’architettura modernista tedesca avesse proposto esperimenti innovativi sulle scuole almeno dieci-quindici anni prima rispetto alle realizzazioni italiane. Fra i progetti degni di segnalazione: il plesso scolastico a Berlino-Neukölln di Bruno Taut (1927), la scuola professionale di Angerstrasse ad Amburgo di F. Schumacher (1927) e la Scuola riformata al Bornheimer Hang a Francoforte di Ernst May (1927). Anche gli schemi tipologici realizzati a Roma fra il 1923 e il 1927 sono confrontabili ad alcune scuole tedesche come la Scuola media femminile costruita a Darmstadt nel 1900 (Cicconcelli 1958, p. 853).
I temi progettuali dell’edilizia scolastica, quindi, hanno avuto un’importanza notevole fra gli architetti accademici romani (e più in generale italiani), poiché coincisero con i provvedimenti per la modernizzazione del paese e dunque con le nuove sperimentazioni pedagogiche da attuare entro un programma di trasformazioni urbane che in un primo momento, in termini numerici, apparvero interpretabili alla stregua del programma INA-Casa – come in più occasioni testimoniò Cicconcelli, sebbene il trend demografico previsto durante gli anni Sessanta non corrispose alla realtà. Nei progetti redatti si integrarono sperimentazioni sugli aspetti tipologici e igienico-sanitari e sui sistemi costruttivi, per realizzare un’edilizia che fosse contemporaneamente di qualità e di massa.

Marcello Piacentini – Innocenzo Sabbatini – Augusto Antonelli – Vincenzo Fasolo – Mario De Renzi – Ignazio Guidi – Mario Moretti

Gli anni fra il Piano Regolatore del 1883 (Alessandro Viviani) e il Piano Regolatore del 1909 (Edmondo Sanjust di Teulada) videro lo sviluppo urbano di alcuni quartieri entro e fuori dalle Mura Aureliane di Roma (Esquilino, Prati di Castello, Appio-Latino, Prati delle Vittorie, Salario, Garbatella, Città Giardino Aniene, ecc.); in particolare, durante la sindacatura di Ernest Nathan (1907-1912), si avviarono i provvedimenti per attuare i servizi pubblici nell’ambito dei quartieri realizzati sulla base del Piano Regolatore del 1883 (Esquilino, San Lorenzo, Appio, ecc.). Quindi, per contribuire a risolvere il problema dell’analfabetismo si realizzarono nuove scuole incrementando il numero degli studenti da circa 30.000 ad oltre 40.000. Nel corso del Ventennio «la scuola diventò per il regime politico una delle fonti di indottrinamento dei giovani»: si realizzano scuole per una cifra pari a 24 milioni di lire (circa 20 milioni di euro) e venne istituito un Ufficio tecnico per l’edilizia scolastica diretto da Mario Moretti, progettista del Liceo ‘Torquato Tasso’ in Via Sicilia.
La maggior parte degli edifici realizzati in quegli anni si relazionano al perimetro dell’isolato urbano secondo un sistema a corte o semi-corte, e stabiliscono un rapporto gerarchico, anche attraverso i paramenti architettonici, con la morfologia urbana del quartiere. In generale, ciò che si osserva nei primi nuovi progetti di edilizia scolastica a Roma all’inizio del secolo scorso, infatti, è il tentativo di coordinare il problema dell’inserimento del nuovo edificio nel tessuto urbano ed i principi della nuova pedagogia che si vanno diffondendo in tutta Europa, in particolare la questione delle “Scuole all’aperto”, dunque l’uso di spazi di ingresso, terrazze, logge, giardini interni o che circondano l’edificio, sebbene nell’edilizia scolastica romana l’impianto interno risulti caratterizzato da corti o semi-corti simmetriche, e dal sistema aule-corridoio fino agli interventi degli anni Sessanta (Bonavita 2005, pp. 76-79) che si riferiscono, invece, a modelli diversi.
Il concorso bandito nel 1925 per “Quattro edifici scolastici a Roma” dall’Associazione Artistica fra i Cultori d’architettura – ente culturale nel quale Gustavo Giovannoni ebbe un ruolo primario fino alla metà degli anni Trenta e che influenzò culturalmente le trasformazioni urbane e architettoniche della capitale – dimostra l’importanza del dibattito romano sugli edifici scolastici in quegli anni. Fra i progetti presentati, pubblicati su “Architettura e Arti Decorative” nel 19261, si distinguono quelli redatti da Alberto Calza Bini, Luigi Ciarrocchi, Roberto Marino, Achille Petrignani, Marcello Canino, Gaetano Rapisardi, Mario De Renzi e Giuseppe Wittinch, Vittorio Cafiero.
Sempre negli stessi anni, Innocenzo Sabbatini e Mario De Renzi, indiscussi maestri romani, si cimentarono nei seguenti progetti: l’Asilo infantile “Luigi Luzzatti” alla Garbatella (1927-1930) la cui loggia si presenta come una citazione di Villa Lante di Giulio Romano al Gianicolo, ispirata al linguaggio classicista – non distante dalle scelte di Mario De Renzi per alcune case modello alla Garbatella (Lotto 24) del 1929 – affermando fin dagli anni Venti il concetto di “casa-scuola” – una casa aulicamente interpretata nel caso dell’asilo di Sabbatini – che continuerà ad essere considerato fino alle realizzazioni degli anni Cinquanta; la Scuola elementare Filippo Corridoni (1932-1935) a Fano, una versione “romana” del razionalismo rispetto alla scuola progettata da Ignazio Guidi, che analizzeremo in seguito, un progetto tutto svolto nell’ortodossia “nordica” del linguaggio razionalista.
 
Nel quartiere Esquilino, in particolare, il primo realizzato nella Roma postunitaria, diversi anni dopo il primo nuovo edificio realizzato dagli uffici Tecnici Comunali2 “Pilo Albertelli” (1879), si realizzò la scuola Di Donato considerata un esperimento che superava l’idea di scuola come caserma o come ospedale: l’amministrazione indisse un concorso e «il progetto vincente è dell’architetto Augusto Antonelli (1885-1960), ‘valoroso’ funzionario del Comune di Roma», progettista della Scuola Elementare Quattro Novembre al Testaccio, «che il 22 settembre 1923 viene incaricato del progetto esecutivo» (Severino 2019, p. 8). L’edificio, alto tre piani fuori terra e disposto attorno ad una corte con campi da gioco, è segnato da elementi decorativi tipici del più colto “cinquecentismo”, ricorrenti nelle architetture romane della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento e da apparati architettonici di completamento delle dimore urbane dei secoli passati (logge, altane) più che di edifici specialistici moderni, a voler segnare, l’idea di “casa-scuola”.
Parallelamente, sul lotto lungo Via Nino Bixio, prende forma quello che diverrà dopo pochi anni l’Istituto industriale Galileo Galilei. Nel 1917, infatti, a «seguito della ritirata di Caporetto, avvenne il trasferimento temporaneo nella capitale dell’Istituto Industriale ‘A. Rossi’ di Vicenza per i suoi studenti profughi e per alcuni studenti romani, in Via di San Basilio, mentre le officine furono localizzate in baracche davanti al ‘Mercato delle Erbe’ su Via Nino Bixio»3. Nel 1923, intanto, venne varata la Riforma Gentile; la scuola non fu più considerata “scuola di libera ricerca”, ma “canale di mobilità e promozione sociale”. Quindi, l’Istituto Industriale, che svolgeva già corsi per l’istruzione premilitare (montatori, motoristi di aviazione, specializzazione per telegrafisti) , del quale si andava realizzando la nuova sede, proseguì secondo il modello “scuola-officina”. Nel 1920, quindi, fu bandito dal Consiglio di Amministrazione un pubblico concorso per la costruzione dell’edificio che «fu vinto dal progetto presentato da Marcello Piacentini (1881-1960)» (Severino, Ibidem). La realizzazione del progetto, tuttavia, proseguì in più fasi per mancanza di fondi e il completamento avvenne sotto la responsabilità dell’ingegner Mario Tommasetti, che modificò in parte il progetto, aggiungendo un piano nel corpo principale (si intuisce per via della facciata muta sulla corte interna), dal carattere severo e ispirato agli edifici industriali, mentre i capannoni furono i primi ad essere realizzati con la supervisione di Piacentini. Nel 1923 anche il Liceo Mamiani, istituito nel 1885, si trasferì nella nuova sede di Viale delle Milizie, costruita su progetto di Vincenzo Fasolo; lo schema planimetrico definisce una sequenza di cortili semi aperti intersecati da un corpo centrale che termina con un portico estroflesso sulla corte di ingresso che ne qualifica il carattere gerarchico, fra i più citati esempi del cosiddetto “barocchetto” romano. Fasolo aveva già realizzato nel 1912 la Scuola Cadlolo su Lungotevere Tor di Nona, un singolare edificio, non lontano dal Liceo Virgilio costruito fra il 1936-37 da Piacentini su Via Giulia.
Un progetto rappresentativo di altri edifici pubblici è la Scuola “Mario Guglielmotti” – oggi Scuola elementare Alessandro Manzoni – progettata da Ignazio Guidi (altro valorosissimo architetto funzionario del Comune di Roma) nel 1932 in Via Vetulonia nel quartiere Appio-Latino. L’edificio, le cui impostazione planimetrica non ha potuto non tenere conto di un edificio preesistente, è uno dei primi edifici razionalisti realizzati in Italia4, rimaneggiato negli anni Cinquanta con l’aggiunta di un piano. Su questa scuola scrive Gaetano Minnucci nel 1933: «è un edificio scolastico del Governatorato di Roma; esso sorge a pochi passi dalle monumentali e severe Mura Aureliane, in vista di Porta Latina e poco lontano da Porta Metronia; è la prima scuola italiana concepita da cima a fondo di dentro e di fuori, con criterio e con spirito nuovo, di oggi. Tutto ciò dice che anche gli organi tecnici ed artistici ufficiali, gli uffici che per la loro funzione e per la loro atmosfera sembravano in Italia meno “novecentizzabili” hanno finalmente aperto le finestre all’aria pura dell’architettura del nostro tempo. […] Tutte le aule sono provviste di canne di ventilazione con valvole di regolaggio; […]» (Minnucci 1933, p. 23-35). Le affermazioni di Minnucci, fra i più abili, raffinati e colti progettisti della sua generazione, sono testimonianza della temperie culturale di quegli stessi anni.


Pasquale Carbonara – Ludovico Quaroni – Ciro Cicconcelli – Luigi Pellegrin – Alberto Gatti/Diambra De Sanctis – Claudio Dall’Olio – Sergio Lenci – Lucio Barbera – Giuseppe Rebecchini

L’attività didattica e di ricerca di alcuni docenti della Facoltà di Architettura di Roma affiancarono o anticiparono alcune iniziative ministeriali nel primo ventennio del dopoguerra, come la “Commissione Ministeriale per l’elaborazione dei nuovi Programmi, istruzioni e modelli per le scuole elementari e materne” (D.M. 9 febbraio 1945) del Ministro De Ruggiero, “Commissione Nazionale d’inchiesta sulla riforma della scuola (1947-49)” del Ministo Guido Gonnella e la “Riforma della Scuola Media” del 1962 del Ministro Gui.
Nel numero di “Rassegna Critica di Architettura” del 1952 e nei Quaderni del Centro Studi del Ministero (1953-65), Ciro Cicconcelli propone come esempio di rilievo il progetto della scuola realizzata da Scharoun a Darmstadt nel 1951 e, in Architettura pratica, qualche anno più avanti, estende la ricognizione alla scuola progettata da Günter Wilhelm a Stoccarda nel 1952-54; entrambi sono casi dimostrativi della traduzione in qualità spaziale e forme architettoniche dei principi educativi più avanzati in quegli anni, fra i quali le teorie del neuropsichiatra infantile tedesco Erich Stern e del suo libro Jugendpsichologie (Psicologia dei Giovani, 1923) – è prima volta, ricorda Cicconcelli (1952, p. 8), che una scuola è progettata da un architetto che «si pone di dare al bambino non uno spazio metrico ma uno spazio psicologico in quanto “forma del conosciuto”» (Kant). Questo tipo di soluzioni, assieme alle teorie già da tempo diffuse ed attuate nelle realizzazioni del primo trentennio a Roma della “scuola aperta” sono interpretate nei rispettivi progetti da Ciro Cicconcelli e da Diambra de Sanctis con Alberto Gatti nel cimento concorsuale consegnato per il “Concorso nazionale per progetti di scuole elementari” bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione. La rivista “Rassegna Critica di Architettura” del 1952 pubblicò cinque dei sette progetti segnalati (non tutti pervenuti alla redazione per i tempi di stampa). Il primo premio fu assegnato agli architetti Alberto Gatti e Diambra de Sanctis, il secondo premio a Ciro Cicconcelli (che l’anno precedente aveva vinto il primo premio), per un Progetto di scuola a 5 aule. L’intento del Servizio centrale per l’edilizia scolastica del Ministero era, attraverso questi concorsi, finanziare alcune piccole scuole nell’area attorno a Salerno. La scuola tipo progettata da Gatti-de Sanctis trovò esito realizzativo in tre scuole che si differenziano per il numero di classi, da due a cinque: a San Giuseppe di Cava dei Tirreni, San Martino di Cava dei Tirreni e nella frazione di Marini – è recentissima (giugno 2021) la notizia (www.lacittadisalerno.it) della chiusura di quest’ultima per mancanza di iscritti, solo quattro bambini, a proposito dell’attuale trend demografico.
Risalgono alla metà degli anni Cinquanta e inizi anni Sessanta anche i progetti di Ludovico Quaroni per la scuola di Canton Vesco (1955) e di Rosignano Solvay (1961), quest’ultima progettata col giovanissimo Mario Guido Cusmano (legge 9, 8, 1954 n. 645), entrambe impostate sull’idea di unità modulari (classi) disposte attorno ad uno spazio di aggregazione comune, entro un recinto e sotto uno stesso tetto, cioè un’idea di organizzazione spaziale associabile a quella di una “casa a corte”. Ma anche in questo, come in altri casi, l’idea di spazio selezionata dai progettisti corrisponde alla migliore possibilità di ottimizzare le quantità edilizie ed il programma funzionale rispetto alle dimensioni del lotto ed al carattere del tessuto urbano circostante. Più avanti Cicconcelli continuò ad elaborare studi sulle scuole, ed a progettarne alcune con il collega e sodale Luigi Pellegrin, autore di diversi innovativi plessi scolastici fra cui il Complesso scolastico Marchesi a Pisa del 1974, sperimentatore di sistemi di prefabbricazione e di relativi brevetti, sistema molto diffuso in quegli anni, quando «una politica attenta alla qualità spin[s]e alla sperimentazione tanto che, come raramente avviene in Italia, tra il 1958 e il 1963 [furono] depositati circa 200 brevetti che testimoniano di una fase di ricerca e di imprenditorialità diffusa e innovativa» (Cupelloni 2014).
Anche Sergio Lenci, infatti, nella Scuola di Formello – progettata con Fausto E. Leschiutta, Vittore Martelli, Eduardo Micheletti, e l’ingegner Roberto Leonori – in seguito ad un appalto concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione, in attuazione del programma sperimentale di edilizia scolastica previsto dalla legge 18 dicembre 1964 n. 1358. Il fine principale del programma era quello di promuovere l’interesse verso la prefabbricazione nel settore dell’edilizia scolastica e di qualificare le ditte interessate. Lenci progettò con il medesimo sistema una “Scuola per bambini minorati della vista a Roma”  lungo Via Gregorio VII. «[…] Il sistema costruttivo Leonori consiste in una serie di elementi in cemento armato prefabbricati in stabilimento ed essiccati naturalmente, trasportati su camion e montati in sito per mezzo di gru cingolate. I pezzi si incastrano uno nell’altro e sono sigillati con getto di cemento o con saldature delle placche di acciaio incorporate nei pezzi stessi. […] Il sistema costruttivo deve inoltre consentire di ottenere, mediante agevoli spostamenti, o abolizioni di elementi interni di separazione, una diversa distribuzione degli ambienti. Saranno preferiti i sistemi mediante i quali si possano ottenere ambienti di notevoli dimensioni, senza l’ingombro di pilastri o elementi strutturali interni. Come debbano essere interpretate le due esigenze sopra riportate è chiarito nei molti scritti di Ciro Cicconcelli, direttore del Centro Studi per l’edilizia scolastica del Ministero della Pubblica Istruzione, e in particolare in “La progettazione nell’edilizia scolastica prefabbricata” nei nn. 4-5 dei ‘Quaderni del Centro Studi per l’edilizia scolastica’. […] Cicconcelli da molti anni va conducendo un discorso che si può sintetizzare nella formula ‘a istruzione eguale per tutti deve corrispondere un livello edilizio uguale per tutti’. Tale livello può essere garantito dalle industrie e in particolare dalla prefabbricazione; la prefabbricazione può essere offerta come soluzione ‘ready made’ anzi è possibile, quando siano stati risolti alcuni nodi fondamentali, ripetere lo stesso progetto. Infatti se si pensa a quante migliaia di scuole si debbano costruire nel nostro paese, non ha senso l’idea di fare di ognuna di esse un oggetto particolare; anzi si è molto più sicuri dei risultati se si arriva alla standardizzazione, che si ottiene appunto attraverso gli appalti con i prefabbricati. […] Il sistema di prefabbricazione Leonori, impiegato nella scuola di Formello, risponde in pieno a queste richieste, ed in più, ci sembra abbia un potenziale espressivo che esalta la possibilità della prefabbricazione in cemento armato contro quella in metallo, e indica una strada diversa da quella della cosiddetta prefabbricazione pesante, cui si deve tutto sommato la diffusa diffidenza circa le possibilità figurative della prefabbricazione in cemento armato». (Lenci 1969, pp. 324-338). La citazione di Lenci descrive una serie di problematiche e restituisce le questioni salienti del dibattito culturale e tecnico di quei decenni.
Sui “Quaderni del Centro Studi” (nuova serie n. 3) è presente, tra gli altri, Claudio Dall’Olio con il suo progetto per il concorso per il Liceo Scientifico a S. Benedetto del Tronto redatto verso la metà degli anni Sessanta, secondo un impianto planimetrico articolato in unità modulari corrispondenti ad aule e servizi che circondano il modulo più ampio, corrispondente all’aula magna, e si distribuiscono sul lotto urbano secondo una trama aperta e dialogante con l’ambiente urbano circostante. Nello stesso quaderno il Centro Studi pubblica alcuni interessantissimi progetti redatti nel corso di Saul Greco, con testi di commento firmati da Sergio Lenci, Saul Greco ed Ermanno Leschiutta che trattano de “l’organizzazione della scuola a carattere tecnico e professionale come elemento della pianificazione”, in particolare i “Campus” scolastici come struttura della scuola per la città-territorio (fra gli studenti del corso Ciucci, De Giorgio, Muntoni, Pazzaglini, Toccafondi): «una concentrazione di servizi scolastici qualificati per specialità ed attrezzatura ed opportunamente relazionati e dimensionati rispetto alla città-territorio può rappresentare una struttura integrante sulla quale la residenza può poggiare come su uno dei càrdini fondamentali; «si ipotizza cioè un piano di intervento nella programmazione scolastica per nuclei concentrati e distribuiti nel territorio» (Lenci 1963, p. 28).
Questo insieme di questioni, progetti e studi, condotti parallelamente alle vicende dello sviluppo urbano e residenziale, ebbero quasi certamente un’importanza diretta e indiretta per il modo in cui furono concepiti gli esperimenti sulla progettazione dei campus universitari realizzati, dagli anni Sessanta in poi, intendendo «l’università di massa come ricerca di un nuovo modello» (De Carlo 1968).
Se dai primi anni Cinquanta il corso di Pasquale Carbonara – nel quale un seminario fondamentale, secondo la testimonianza degli allievi, era tenuto da Ciro Cicconcelli – era incentrato attorno al tema della progettazione delle scuole, negli anni fra il 1963 ed il 1966 i corsi di Ludovico Quaroni sperimentarono il tema dell’Università. In quei corsi si formarono come docenti e studenti la maggior parte di coloro fra gli architetti romani che si cimentarono di seguito nella professione sul tema degli edifici scolastici ed universitari (Barbera 2019, p. 58).
Oltre al contributo rilevantissimo sull’edilizia scolastica italiana, Ciro Cicconcelli e Luigi Pellegrin progettarono nel 1969 un interessantissimo progetto di concorso per l’Universidad Autonoma de Barcelona.
Fra le personalità citate, Lucio Barbera, vinse il concorso (appalto assegnato e progetto definitivo consegnato, ma non realizzato per sopraggiunte condizioni di instabilità politica conseguenti alla guerra del Chad) per il Campus di Sebha in Libia nel 1972, dai cui schemi tipologici sono in parte tratti quelli dei nuovi uffici centrali dell’Università di Basilicata realizzati a Potenza, progettati dallo stesso autore nel 1990 – un sistema “spinale” di edifici-ponte ritmicamente-metricamente scandito, che nelle intenzioni progettuali avrebbe dovuto attraversare la valle con l’intento di connettere pedonalmente la città storica e i più recenti servizi, entrando dal tetto uno spazio-galleria, reinterpretata come variante moderna ed ispirata ai criptoportici dei palazzi imperiali romani, ponendo l’edificio universitario come soluzione indiretta per un intervento di ri-organizzatione urbana e territoriale. Barbera, inoltre, realizzò un complesso scolastico a Napoli, entro un’area più ampia progettata come parco pubblico ad Avellino a Tarsia nel 1984, inserita nel più ampio sistema di circa cinquanta interventi da egli stesso coordinato, per la ristrutturazione urbana e ambientale attuata in seguito al terremoto dell’Irpinia del 1980, il Parco Ventaglieri. L’intervento anticipa un tipo di progetti urbani che integrano funzioni e servizi pubblici per la formazione, riqualificazione ambientale e sociale in un sito topograficamente articolato, ricostruendo l’identità urbana di un luogo con preesistenze storiche; il progetto ha ottenuto riscontri positivi da parte degli abitanti, come testimonia il sito web dell’associazione Parco dei Ventaglieri.
Altra personalità di progettista romano che si è distinta sul tema dell’edificio universitario è Giuseppe Rebecchini; laureatosi con Quaroni sul tema dell’Università di Tor Vergata ne realizzò, negli anni successivi, alcuni interventi, e inoltre progettò e realizzò nuovi edifici, ampliamenti e ristrutturazioni per l’Università di Udine, di Firenze, di Bologna, di Ferrara, di Foggia, di Catanzaro.
Sullo sfondo di questo insieme di interventi, concepiti spesso ad una scala territoriale ampia, c’era il noto Progetto 80, che non ebbe nessun riscontro attuativo, ma risultò l’ultima elaborazione politica e tecnica concepita a scala nazionale, proposta dai governi del centro-sinistra fra il 1969 e il 1971, relativa al programma economico nazionale per il quinquennio 1971-75.
Nel corso dell’ultimo ventennio, dai primi anni Duemila, Paolo Portoghesi, Franco Purini, Laura Thermes e Raffaele Panella hanno contribuito e diverso titolo, i primi per il progetto urbano, l’ultimo per quello architettonico – oggi nelle responsabilità di Orazio Carpenzano –, alla progettazione del Campus di Pietralata (non ancora realizzato) di Sapienza Università di Roma5. Questa esperienza rappresenta il compimento di una lunga serie di studi e consultazioni che hanno origine alla fine degli anni Ottanta con Diambra Gatti e Paola Coppola Pignatelli (1997), allieve di Pasquale Carbonara, per conto di Sapienza assieme ad altri colleghi del Dipartimento DPAU, col fine di dare una base conoscitiva alle trasformazione del patrimonio immobiliare universitario ed il suo adeguamento alle nuove necessità didattiche e di ricerca.
Questa breve testimonianza, quindi, ha inteso documentare, considerando la brevità della trattazione, quanto il tema di progetto delle scuole e dei campus universitari abbia rappresentato un’esperienza della cultura architettonica romana, parallelamente ai programmi politici influenzati, perfino condizionati, oltre che dai nuovi principi pedagogici e sociologici, anche e soprattutto dalle condizioni specifiche della forma urbana entro cui gli interventi sono stati realizzati, collaborando assieme all’architettura della residenza e degli altri servizi, ad imprimere il carattere dei luoghi e a determinarne gli esiti in termini di qualità urbana, per un’idea politicamente efficiente e innovativa di città pubblica.

Note
1 Cesare Valle, Concorso per i progetti di quattro edifici scolastici a Roma, in “Architettura e Arti Decorative”, maggio 1926.
2 Antonella Bonavita, ibidem. Nella Guida citata si censiscono 48 scuole delle quali 22 aperte fra il 1870 e il 1900 delle quali 14 realizzate in ex conventi e palazzi esistenti e 7 di nuova edificazione. Fra le scuole realizzate nei primi trent’anni del Novecento a Roma si distinguono i seguenti istituti: Pilo Albertelli, Regina Margherita, Enrico Pestalozzi, Vittorino da Feltre, Regina Elena, Ruggero Bonghi, Edmondo De Amicis, Dante Alighieri, IV Novembre, Di Donato; essi hanno seguito le nuove normative: 1859 Legge Casati, 1888 Istituzioni tecnico igieniche nazionali per la costruzione degli edifici scolastici e le nuove indicazioni pedagogiche attuate tenendo conto della specializzazione degli spazi all’aperto.
3 https://www.itisgalilei.edu.it/it/home-ita/la-storia.html
4 L’asilo S. Elia di Giuseppe Terragni è del 1936-37.
5 Altri edifici scolastici dei medesimi autori (Panella e Thermes) sono stati pubblicati in altri contirbuti da chi scrive, in particolare in un volume del dottorato DRACo, Il poligrafo.

Bibliografia
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COPPOLA PIGNATELLI P., Mandolesi D. (1997) – L’architettura delle università. cdp Editrice, Roma.
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LENCI S. (1963) – “I “Campus” scolastici come struttura della scuola per la città-territorio”. Quaderni del centro studi per l’edilizia scolastica, Nuova serie, 3.
LENCI S. (1969) – “Due edifici scolastici realizzati con elementi prefabbricati in cemento armato nella zona di Roma”. Industria del Cemento, 4.
MINNUCCI G. (1933) – “Scuola elementare in Roma, Arch. Ignazio Guidi”. L’Architettura, 1.
SEVERINO C. G. (2019) – L’Esquilino a scuola. La Federico Di Donato di via Nino Bixio. Il Cielo sopra l’Esquilino, 32, 8; https://www.cielosopraesquilino.it/lesquilino-a-scuola-la-federico-di-donato-di-via-nino-bixio/; Severino è autore anche di Roma. Esquilino 1870-1911 ...e nel centro del progettato quartiere una vastissima piazza..., Gangemi 2019.
VALLE C. (1926) – “Concorso per i progetti di quattro edifici scolastici a Roma”. Architettura e Arti Decorative, (maggio).