L’Abaco e il Nodo. Costruzioni nel disegno di Mario Ridolfi

Andrea Alberto Dutto




La manualistica architettonica italiana della prima metà del XX secolo introduce nuove tecniche di rappresentazione che intervengono nella mediazione tra saperi costruttivi e poetiche progettuali ma che rimangono a lungo fuori dai riflettori della critica. Nel 1981, Carlo Guenzi, curatore del volume antologico dedicato alla manualistica italiana tra il 1750 e il 1950 (1981, p. 14) segnalava che «il modo di rappresentare dei manuali, […] di articolare il testo alle tavole, così come l’uso dei formati, meriterebbe una specifica trattazione e analisi». A distanza di circa quarant’anni da quel monito – e a valle di alcune ricerca svolte (Motta et alii, 1995; Barucci 1984) – la manualistica appare ancora un terreno fertile e ampiamente inedito, in particolare per gli studiosi della figurazione architettonica.

In questo saggio, ci concentriamo in particolare sul disegno ricerca manualistico di Mario Ridolfi che trova una prima matura espressione nella redazione del Manuale dell’Architetto CNR (1946) e successivamente nel Ciclo delle Marmore (pubblicato postumo; Ridolfi et alii, 1997).

Per Ridolfi il Manuale dell’Architetto CNR costituisce una occasione di verifica dei portati teorici che egli espone in alcuni saggi, pubblicati a partire dal 1940, che lo identificano come fautore della normalizzazione degli elementi costruttivi (Ridolfi 1940) e di una revisione delle tecniche del disegno architettonico (Ridolfi 1943). L’osservazione analitica che egli conduce sulla sua prassi progettuale, già a partire dagli anni ’30, lo porta infatti alla conclusione che il disegno svolga un ruolo decisivo nella mediazione tra sapere tecnico e qualità estetica dell’architettura (Cellini e D’Amato 2005).

Presenteremo quindi alcune riflessioni sul disegno architettonico-manualistico di Ridolfi, facendo riferimento a tre temi teorici, ovvero: la mediazione tra i saperi e le pratiche dell’edilizia; la trasmissibilità dei repertori costruttivi tradizionali; la classificazione delle varianti morfologiche degli elementi architettonici e urbani. Queste riflessioni fanno capo ad un’ipotesi epistemologica secondo la quale il disegno per Ridolfi costituirebbe un dispositivo di trasmissione della conoscenza architettonica tra manuale e progetto. Più specificamente il disegno interviene come meccanismo di trasmissione delle tecniche di progetto operante nell’ombra del funzionamento ‘superficiale’ manuale (noto prosaicamente come strumento di ausilio o prontuario di soluzioni ready-made per progettisti pigri). L’ipotesi sarà argomentata attraverso due strumenti grafici tipicamente manualistici che Ridolfi utilizza sia nei suoi manuali che nei progetti, ovvero: l’abaco e il nodo.

Inizieremo quindi esaminando l’abaco in riferemento alle tavole dei serramenti redatte da Ridolfi per il Manuale dell’Architetto CNR, e passeremo poi al tema del nodo, trattando il Ciclo delle Marmore (Ridolfi et alii, 1997), un manuale – a cui Ridolfi dedica l’ultimo decennio della sua vita – che documenta le tecnologie vernacolari nell’appennino umbro e le interpreta anche liberamente nel progetto di alcune case unifamiliari. Entrambi questi due manuali manifestano una relazione esistenziale con il loro autore; come ricorda Francesco Cellini (1997, p. 10): 

come era già accaduto fra il 1941 e il 1943, quando il vuoto professionale e morale, conseguenza della guerra e dell’occupazione tedesca, gli aveva suggerito quella straordinaria sistematizzazione dell’esperienza passata che generò il Manuale, negli ultimi anni della sua vita un altro vuoto (sentimentale, professionale, civile) viene colmato da Ridolfi con la traduzione e sublimazione in exempla della sua esperienza professionale e della sua poetica. 

Dal manuale al progetto. L’abaco

Il Manuale dell’Architetto CNR nasce con l’obiettivo esplicito di dotare i progettisti architettonici, attivi nella ricostruzione post-bellica, di uno strumento agile per la consultazione di dati tecnici e procedure edilizie collaudate. A questo obiettivo esplicito si aggiunge poi un secondo obiettivo – che possiamo definire implicito – e che riguarda il manuale nella sua concezione e nel modo attraverso cui esso illustra i problemi progettuali. Uno specifico dispositivo grafico che contribuisce a definire questo obiettivo implicito è l’abaco che Ridolfi impiega in numerose tavole del Manuale dell’Architetto CNR e, in particolare, nella sezione F “Opere finite della costruzione.”

L’abaco svolge la funzione di classificare le varianti morfologiche degli elementi edilizi sulla base di parametri quantitativi. Esso viene applicato, ad esempio, nella rappresentazione del problema dei nodi orizzontali della finestra in legno (Ridolfi et alii 1946, tav. F 4d) (Fig. 1) in funzione di criteri prestazionali che riguardano: i materiali e le configurazioni di assemblaggio dei serramenti, degli infissi e dei rivestimenti. L’abaco illustra le variazioni compositive che intervengono nella configurazione del nodo del serramento (scala 1:5) in funzione della variazione di alcuni elementi parametrici – riportati in ascissa e in ordinata – come il telaio, l’anta fissa o mobile su uno oppure entrambi i lati del telaio. Dal punto di vista del ‘servizio’ al progettista, l’abaco funziona come un repertorio di serramenti quotati e pronti all’uso. Dal punto di vista dello sforzo dell’autore, l’abaco è il risultato di una riflessione sui meccanismi combinatori del progetto che eccedono la sola questione dei serramenti.

La manualistica testimonia infatti una varietà di applicazione dell’abaco a diversi problemi progettuali e a diverse scale. Un esempio è quello degli abachi tipologici elaborati da Alexander Klein nei suoi studi sull’existenz minimum, e diffusi in Italia da Enrico Agostino Griffini con il suo manuale Costruzione razionale della casa (1932). Nei suoi abachi Klein mostra le variazioni morfologiche che intervengono nelle piante del tipico appartamento berlinese, in funzione di due variabili quantitative, ovvero: la profondità del corpo edilizio (in ascissa) e la superficie utile (in ordinata) (Fig. 2). Questo abaco si conclude con alcune caselle lasciate vuote (con rettangoli segnaposto) che indicano condizioni svantaggiose da un punto di vista distributivo. Queste caselle vuote dimostrano anche che la logica combinatoria dell’abaco eccede sempre la soluzione ad un problema. L’abaco quindi non è solo uno strumento di classificazione di figure ma è un meccanismo di composizione che può anche produrre figure che non rispondono più al problema che le ha originate e che pertanto restano fuori dall’abaco (come caselle vuote).

L’abaco riguarda anche operazioni combinatorie che intervengono nel progetto urbano. Un esempio è offerto dal Piano Regolatore Generale di Terni (1950-1959) in cui Ridolfi utilizza l’abaco per mettere in scena la forma come punto di incontro tra le disponibilità economiche dell’imprenditoria locale e le dinamiche di sviluppo e frazionamento di un tessuto urbano di medie dimensioni (Cellini e D’Amato 2005, pp. 76-78). L’abaco ha in ascissa l’indice di fabbricabilità e, in ordinata, la superficie del lotto. Dall’incrocio di questi due vincoli scaturisce la prefigurazione di «schemi edilizi» a blocco, a blocchi multipli, a corte aperta e in linea (Fig. 3). Il Piano di Terni, infatti, come ricordano Cellini e D’Amato (2005, p. 74) «non si risolse solo in una città, ma in un contributo, ancora oggi esemplare, alla ricerca di strumenti normativi, di regolamenti efficaci e chiari, di simbologie grafiche, di tecniche sintetiche e limpide di rappresentazione […] per costituire un esempio generalizzabile […] con la stessa logica generativa del Manuale».

L’abaco ridolfiano va quindi diversificato da altre tipologie di abachi tipologici che mirano a raccogliere figure planimetriche sulla base delle analogie formali delle piante. Le figure che popolano gli abachi di Ridolfi negano sistematicamente il Tipo come criterio di classificazione fondato sull’analogia morfologica, e sottolineano invece la comune origine in una sequenza di istruzioni che connettono – come in un algoritmo – due parametri quantitativi alla volta. A volte questo ‘algoritmo’ giunge a una soluzione errata (o non possibile) e la rispettiva cella dell'abaco viene quindi lasciata vuota.

In sintesi, l’abaco che appare nei disegni di Ridolfi ha due caratteristiche: una esplicita e l’altra implicita. La caratteristica esplicita concerne l’abaco come collezione di soluzioni pronte all’uso in funzione di alcuni parametri edilizi o vincoli costruttivi. La caratteristica implicita è invece il meccanismo di regole che sta alla base della struttura dell'abaco; essa richiede uno sforzo di decodificazione delle regole che sottendono la costruzione dell’abaco e le procedure di elaborazione delle soluzioni incasellate. Questa qualità implicita dell’abaco è interessante dal punto di vista dello studio della figurazione architettonica perché consente di stabilire affinità tra i meccanismi combinatori che riguardano diversi problemi di composizione architettonica e urbana; ovvero tra i sistemi di regole implicite che riguardano abachi esplicitamente orientati a problemi diversi del progetto. 

Dal progetto al manuale. Il nodo

Il disegno costituisce quindi per Ridolfi il fulcro di pensiero che transita tra conoscenza e costruzione (tra manuale e progetto) e che connota il mestiere come «ambiguamente collocato fra cultura intellettuale e cultura materiale» (Cellini 1983, p. 14). A distanza di trent’anni dalla pubblicazione del Manuale dell’Architetto CNR Ridolfi manifesta ancora un interesse per la costruzione di «un corpus di conoscenze trasmissibili e separabili dalle singole occasioni» (Cellini e D’Amato 2005, p. 33) e, tra il 1970 e il 1980, redige i disegni per il Ciclo delle Marmore: «un libro di lavoro sotto forma di manuale» (Ridolfi et alii, 1997, p. 26).

A differenza dei disegni elaborati tra gli anni Quaranta e Sessanta – improntati a un rigoroso modello classificatorio – quelli delle Marmore si distinguono per un certo grado di improvvisazione dato da aggiunte occasionali e continue rielaborazioni dei progetti di dodici case nella località umbra (Ridolfi et alii, 1997, p. 10). Nel Ciclo delle Marmore, Ridolfi sembra mettere a nudo il suo pensiero progettuale, esprimendosi con segni a mano libera che testimoniano un serrato rapporto col dettaglio e una dialettica tra geometria e vincoli tecnici (Moschini e Rattazzi 1997).

Come ha osservato Claudio d’Amato, uno dei temi chiave del Ciclo delle Marmore è quello dei «nodi tettonici derivanti dall’incontro di elementi costruttivi continui e discontinui, […] tra materiali ed elementi differenti» (Ridolfi et alii, 1997, p. 18). Il nodo interviene nella intensificazione dei segni e nella dilatazione della rappresentazione ovunque il problema tecnico manifesti la richiesta di una soluzione ad hoc.

Ridolfi impiega il nodo per zoomare su un problema costruttivo. Il nodo esprime un certo isomorfismo tra il problema costruttivo e la tecnica di disegno. Questo è il caso, ad esempio, dei nodi costruiti secondo un procedimento centrifugo – dal centro verso i margini del foglio – secondo un vortice che evolvendo intercetta progressivamente nuovi elementi costruttivi e frammenti del progetto. Ciò appare ulteriormente enfatizzato dall’uso della pianta centrale che caratterizza la maggior parte dei progetti delle Marmore (Cellini 1983; Cellini e D’Amato 2005, pp. 122-131).

In molti casi il nodo risulta dalla manipolazione delle convenzioni del disegno (la scala e l’orientamento dei piani di proiezione ortogonale) e dalla relazione tra elementi di scale diverse (dalla figura del dettaglio costruttivo alla forma complessiva dell’edificio).

Variante scalari del nodo sono ben espresse nel progetto di Casa De Bonis I (Fig. 4) dove il nodo condensa tre diverse rappresentazioni della casa, ovvero: la pianta del primo piano, delle coperture e viste di dettaglio dei serramenti (Ridolfi et alii, p. 44-55). Il nodo procede in senso centrifugo, dalla grande alla piccola scala: al centro del foglio, la pianta (scala 1:100) agisce da perno del sistema distributivo (scale e corridoi), dei dettagli in scala 1:50 (le camere), 1:10 (il disimpegno tra le camere) e 1:1 (il serramento). Esempi di nodi simili si trovano nei disegni di Casa Cresta e Casa Lina. Una tavola di Casa Lina mostra una variante di nodo scalare ribaltato (cioè dal piccolo al grande) ed applicata al disegno della scala a chiocciola in cui dal dettaglio del gradino (scala 1:1) si passa a successivi ingrandimenti (scala 1:10) (Fig. 5).

Varianti dei piani di proiezioni del nodo riguardano i nodi che combinano figure giacenti su piani diversi (orizzontali, verticali e obliqui). Questo è il caso di alcuni nodi di Casa Lupattelli, in cui pianta e sezione si integrano a vicenda sia nella rappresentazione dei livelli dell’edificio sia nelle tavole dedicate ai dettagli; un elemento del disegno agisce come nucleo del nodo e anche come perno della rotazione dei piani; in una tavola, ad esempio, il perno è dato dal profilo in sezione del telaio della finestra (Fig. 6). 

Conclusione in forma problematica

Come abbiamo visto, Mario Ridolfi utilizza il nodo e l’abaco per tradurre graficamente i procedimenti di progetto. Questi due strumenti intervengono sia nella anticipazione che nella trasmissione del suo pensiero progettuale.

Le costruzioni nel disegno di Ridolfi sembrano quindi prefigurare le procedure algoritmiche di progetto degli attuali strumenti parametrici digitali BIM orientati a potenziare le interazioni tra le fasi di progetto e di costruzione. Anticipando di oltre mezzo il BIM, il disegno di Ridolfi esemplifica un modo di progettare che non accetta passivamente le innovazioni tecniche ma che, al contrario, ambisce a tradurre i problemi tecnici in figure espressive o meglio in una poetica che fa dell’innovazione tecnica nel disegno il proprio carattere emblematico (Bonfanti 1981).


Bibliografia 

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