Perspecta e
la produzione mediatica dell’architettura postmoderna
americana
AnnMarie
Brennan
Fig.
1 - Copertina del numero 9-10 della rivista
Perspecta,
Fig.
2 - Copertine di Perspecta 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Fig.
3 - Copertina del numero monografico dedicato agli USA di
Casabella Continuità, diretta da Ernesto N. Rogers, 1963
Fig. 4 -
Copertina del numero monografico dedicato agli USA di
L'Architecture d'aujourd d'hui, 1965
Fig.
5 - L'articolo del 1961 della rivista Progressive
Architecture sulla ‘Scuola di Philadelphia” in cui
è ritratto Louis Kahn
Introduzione [Figura 1]
Per
capire il significato di un singolo numero di una rivista studentesca,
(il numero 9/10 del 1966) bisogna prima comprendere
l’ambiente in
cui si è sviluppata. Fondata presso la Yale School of
Architecture nel 1952,
«Perspecta» è la più antica e
longeva rivista
studentesca di architettura degli Stati Uniti. Questa rivista si
contraddistinse rispetto agli altri periodici di architettura
perché fu tra le
prime ad approcciarsi a tematiche legate al progetto dal punto di vista
artistico, storico e teorico e, per molti aspetti, potrebbe essere
considerata
come la sede in cui la teoria dell’architettura, passando per
l’Italia, giunse
sulle rive americane.
Prodotta
dagli studenti laureandi di architettura di Yale, la rivista promosse e
pubblicò
articoli di studiosi e professionisti. Henry-Russell Hitchcock,
architetto,
storico, collaboratore di «Perspecta»
6, dichiarò nel 1960: «Perspecta
non ha mai ambito a pronunciare l’ultimo giudizio sui temi da
essa trattati.
Molto spesso, invece, si è fatta strumento di diffusione e
di prima analisi di progetti
d’avanguardia. Si tratta di un servizio che, nel nostro
Paese, le riviste
professionali e le riviste di dottrina più tradizionali, per
loro vocazione,
non si sono mai spinte a offrire»
[1].
Anni dopo, come decano della Scuola di Architettura di
Yale, Robert Stern sosteneva che «segnò
l’inizio di una nuova forma di discorso critico
sull’architettura. Anche
se «Perspecta»
non fu mai una pubblicazione presente sul mercato di massa,
il suo
impatto nel settore fu di straordinaria importanza. La rivista
è stata - e
continua ad essere - un esempio culturale per la Scuola di Architettura
di Yale
e una presenza importante nella comunità del
progetto»
[2].
In
una pubblicazione che celebrava il 50° anniversario
di «Perspecta»,
Stern sostenne che l’idea della rivista fosse
attribuibile all’architetto George Howe dopo la sua nomina a
direttore del
Dipartimento di Architettura di Yale nel gennaio 1950. Parafrasando
l’introduzione di Howe pubblicata nel numero 1
di «Perspecta»
egli sosteneva che «Gli
studenti di Yale, anche se professionalmente inesperti, erano comunque
chiari osservatori
della scena architettonica contemporanea. Credeva che gli studenti, e
non i
professionisti, fossero in grado di cogliere nuove idee e di
interpretare i
lavori del passato e del presente in un’unica
continuità
»[3].
[Figura 2]
Tuttavia,
Norman Carver, uno dei redattori del primo
numero di «Perspecta», insieme a Joan
Wilson e Charles Brickbauer, negò che il giornale fosse
un’ideazione di Howe. «La prima ragione [della
nascita del
giornale]» scrive Norman Carver, «è
stata
la nostra frustrazione per la mancanza di progetti stimolanti e la
totale
assenza di contenuti che caratterizzavano le riviste di architettura
commerciale dell’epoca». «La seconda
ragione, comunque legata alla prima», continua Carver,
«… è stato il piacere per le lezioni
stimolanti e le discussioni con
insigni critici e figure come Lou Kahn, Phillip Johnson e Bucky Fuller.
Nonostante molto di questo materiale si sia rivelato effimero, parte di
esso ha
costituito uno degli aspetti tra i più importanti della
nostra formazione
architettonica e, per questo, abbiamo ritenuto che esso dovesse essere
efficacemente preservato e diffuso
»[4].
L’architettura
italiana ha sempre influenzato la pedagogia architettonica americana.
Tuttavia,
subito dopo la seconda guerra mondiale, l’arrivo degli
architetti dall’Europa
che riproponevano i principi di un’architettura modernista
portò a
un’eliminazione dei corsi di storia
dell’architettura dai curricula di studio
delle università americane. Tuttavia, lentamente,
in «Perspecta», iniziavano ad apparire
scritti di Storia sul
Rinascimento italiano.
Alcuni
numeri furono animati teoricamente da un particolare architetto o
storico/critico italiano come il caso
di «Perspecta»
13/14, in cui Peter Eisenman pubblicò il suo studio sulla
Casa del Fascio di
Giuseppe Terragni
[5]
e gli
utopisti radicali Paolo Soleri e Manfredi G. Nicoletti, pubblicarono
articoli
sul tema dell’Utopia
[6].
I 23 numeri pubblicati tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni
Novanta, evidenziano,
attraverso la pubblicazione di articoli di Francesco Dal Co e George
Teyssot
che trattano temi di storia dell’architettura e
dell’origine del progetto nella disciplina,
un punto di vista particolare verso l’Italia e in particolare
verso la Scuola
di Venezia. Questi articoli, accompagnati da altrettanti articoli di
autori e
storici americani come George Hershey, Jennifer Bloomer e Robert
Segrest, si
occupavano di argomenti legati alla storia dell’architettura
italiana estrapolati
da autori come Vitruvio, Piranesi e Filarete. Nonostante questo comune
interesse
per la storia dell’architettura italiana, e i numerosi
contatti con le teorie
dell’architettura provenienti da Venezia durante gli anni
Novanta, Manfredo
Tafuri non contribuì mai alla rivista, e il suo nome fu
raramente citato durante
tutti i cinquant’anni di vita. Solo successivamente, con i
numeri di «Perspecta» pubblicati
all’inizio del XXI
secolo, Tafuri iniziò ad essere citato nei testi. Al di la
dell’assenza inspiegabile
di Tafuri c’è stato però un particolare
numero di «Perspecta» che mirava a dare
vita ad un movimento di
architettura
americana, e che si è ispirato direttamente ad una rivista
di architettura
italiana: il numero 281 di «Casabella
Continuità».
Significato
di «Perspecta»
9/10
Il
numero 9/10 di «Perspecta» fu
molto
significativo in quanto fu la prima doppia uscita della rivista. Curato
da un
giovane Robert A.M. Stern, che mise insieme una schiera di autori che
contraddistingueranno
la scena architettonica dei vent’anni successivi, il numero
fu caratterizzato
dal noto dibattito White/Gray e, soprattutto, quello che Kate Nesbitt
definì “lo
storicismo postmoderno”
[7].
Questo scritto cerca di
analizzare «Perspecta»
9/10 e l’ambiente in cui si è sviluppato nel
tentativo di dimostrare che
attraverso le azioni curatoriali selettive di un
“redattore”, la rivista
intendeva definire un movimento americano di architettura postmoderna
analogo
all’ascesa e al successo dell’arte americana del
dopoguerra. Mentre una prima
architettura moderna sembrava spesso molto vicina alle teorie e alle
idee dell’arte
moderna, per l’architettura postmoderna lo sguardo fu rivolto
altrove, all’interno
della disciplina stessa. Nell’ambito
dell’architettura non si stava guardando al
contenuto dell’arte americana del dopoguerra, ma piuttosto,
con più probabilità,
ad alcuni giovani architetti, che sotto l’egida
dell’Arte Moderna e la tutela del
maestro Philip Johnson, si muovevano nell’ambiente della
cultura americana del
dopoguerra, allo stesso modo di come ci si muoveva nel corrispondente
mondo dell’arte.
«Perspecta» 9/10
si impose come voce polemica dei molti articoli di
Stern il quale successivamente fu associato nella sua carriera a
portavoce dei
“Grays”, o piuttosto,
di un’architettura storicista postmoderna americana. Queste
pubblicazioni comprendono la mostra e il catalogo
40 Under 40: An
Exhibition of
Young Talent in Architecture (1966),
New
Directions in American Architecture, (1969),
Gray
Architecture as
Post-Modernism, or Up and Down from Orthodoxy (1976)
e
New
Directions in
Modern American Architecture: Postscript at the Edge of
Modernism (1977)
[8].
Tutte queste
pubblicazioni ebbero l’effetto di una sorta di editoriale
retroattivo per
Perspecta
9/10 riproponendo i principali
argomenti dei suoi autori/architetti e pubblicando nuovamente il loro
lavoro.
Durante
la metà degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta ci
furono una serie di
pubblicazioni analoghe che si occuparono dello sviluppo storico
dell’architettura
americana, come ad esempio
American
Architecture and Urbanism (1969) di Vincent Scully,
The Rise of an
American Architecture 1815 – 1915 (1970) di
Edgar
Kaufmann così come i numeri monografici delle riviste
internazionali «Casabella Continuità»
pubblicato nel 1963
[9]
e «Architecture d’Aujourd’hui»
nel 1965,
quest’ultimo dedicato all’architettura
contemporanea americana
[10].
[Figura 3 e 4]
A
differenza dei precedenti numeri
di «Perspecta»,
che pubblicavano interviste e articoli di architetti che hanno
insegnato nella
scuola di Yale, la linea editoriale di Stern privilegiò la
divulgazione di
articoli di storici dell’architettura come Vincent Scully e
George Hershey alla
ricerca di giovani architetti in grado di definire un nuovo movimento
dell’architettura americana. I numeri non includevano una
dichiarazione
editoriale o un’introduzione, tuttavia, la presenza di un
indice contenente
l’elenco dei nomi degli autori/progettisti associati ognuno a
una breve
biografia, suggeriva il tentativo di far emergere un nuovo movimento
nell’architettura americana.
Gli autori della Scuola di
Philadelphia [Figure 5]
Robert
Venturi, Charles Moore e Romaldo Giurgola sono tre architetti che hanno
pubblicato articoli su Perspecta 9/10
e tutti furono selezionati per ricoprire l’incarico di
Preside della Yale School of Architecture, dopo il ritiro di Paul
Rudolph. Sosteneva Stern, «questi
architetti erano in gran parte sconosciuti tranne che
per «Perspecta»
9/10»[11].
Secondo Stern,
il modo in cui ha conosciuto questi giovani e poco conosciuti
architetti è
stato per mezzo di una serie di presentazioni e incontri casuali con
amici,
insegnanti e altri architetti.
Denise
Scott Brown, nell’articolo
Team 10, Perspecta
10 and the Present State of Architectural Theory,
descriveva
i contenuti di
questo numero e proponeva questo nuovo gruppo di architetti americani -
che
comprendeva Venturi, Moore, Giurgola e Kahn - come coloro maggiormente
in grado
di definire il cambiamento dei valori dell’architettura
americana. Perspecta, secondo Scott-Brown, «cattura lo
spirito del momento in quello che
può o non può essere un nuovo punto di partenza
per l’architettura americana»
[12].
Anche se il gruppo non era ufficiale, questi architetti erano
«a capo di una serie di piccoli studi individuali,
insegnanti part-time il cui lavoro ha qualcosa in comune».
L’uso
della storia dell’architettura all’interno della
pedagogia architettonica nel dopoguerra
fu trattato in modo molto diverso. Ad esempio, le scuole come la GSD
[Graduate
School of Design] ad Harvard sotto l’influenza di Gropius,
non avevano insegnamenti
di storia dell’architettura all’interno del
curriculum universitario. Venturi
ottenne il Rome Prize e frequentò l’American
Academy di Roma per due anni, dal
1954 al 1956, interessandosi profondamente della storia
dell’architettura
italiana,
[13]
studiando i capolavori architettonici di Michelangelo e di Borromini.
Charles
Moore fu un grande viaggiatore e visitò l’Italia
durante le ricerche per il suo
Ph.D. a Princeton sul tema “Acqua e Architettura”.
Per queste e per molte altre
figure, l’Italia fu un’esperienza che
aprì i loro occhi fornendo una visione sul
significato che la storia ha per l’architettura. Mentre
Giurgola, essendo italiano,
già apprezzava la storia dell’architettura
all'interno dello storicamente già
ricco ambiente italiano, e di conseguenza l’apprezzamento per
la storia e la
tradizione faceva parte di una sensibilità innata, un
requisito indispensabile
per fare quello che avrebbe poi descritto in un altro giornale
studentesco, «Precis», come un approccio etico
all'architettura
[14].
Stern
affermò di aver scoperto l’opera di Charles Moore
attraverso un articolo di
Donlyn Lyndon pubblicato nel numero monografico sull’America
di «Casabella continuità» ed
è
all’interno
delle pagine di questo articolo del 1963 che possiamo trovare
ciò che forse fu
l’ispirazione di Stern a trattare, in
«Perspecta» 9/10, certi argomenti teorici. Nel
1965, Lyndon, che era partner di
Moore
nello studio Moore Lyndon Turnbull Whitaker, scrisse
l’articolo principale
Filologia
dell’architettura americana, che trattava di un
nuovo tipo di architettura che
si ribellava a quelle regole diffuse dalle generazioni precedenti,
caratterizzate in particolare da un modernismo irrigidito e
demoralizzato che
usava un “vocabolario facile” e funzionava come una
sorta di “gergo”
comunicando con gli altri architetti, ma non in grado di
“esplorare
significativi modelli di vita”. Lyndon, sottolineando il
rapporto vitale tra gli
architetti e i media all’interno del dibattito
dell’architettura scriveva: «La
stampa architettonica internazionale mantiene in maggior contatto
reciproco i
singoli professionisti d’ogni paese di quanto questi stessi
non siano con la
loro propria società e i loro problemi; conseguentemente ne
nasce una
propensione a sviluppare chiusi linguaggi convenzionali di forme, che
si
rivelano significativi solo per quanti sono mentalmente orientati in
modo
analogo.»
[15].
In
una critica all’eredità
dell’architettura moderna del dopoguerra, Lyndon sostenne
che questa nuova generazione di giovani architetti presenti nel suo
articolo
condivideva una crescente insoddisfazione nei confronti della maggior
parte
dell’architettura contemporanea, che aveva «troppo
facilmente formalizzato il
suo approccio, applicando canoni senza pensieri
»[16].
Gli architetti descritti da Lyndon erano stati
“eretici” perché il loro lavoro era
considerato come una protesta contro i concetti e le forme della
generazione
precedente, un’architettura di vuoto modernismo che aveva
portato a “fini
inefficaci”
[17].
Molte
Americhe in una
La panoramica
di Lyndon sullo stato attuale dell’architettura negli Stati
Uniti presentava
molti degli stessi architetti e progetti che Stern prese in
considerazione nei
suoi numeri di «Perspecta». Tra questi
architetti
descritti sia nell’articolo di Lyndon che
nella «Perspecta» di
Stern erano presenti: Louis Kahn, Robert Venturi,
Philip Johnson, Mitchell, Giurgola, Kallman, McKinnell e Knowles
(entrambi sul
progetto Boston City Hall) e Charles W. Moore. Inoltre, il numero di
«Casabella» conteneva un editoriale
illuminante di Ernesto N. Rogers che, forse, anticipava il dibattito
White/Gray
che seguirà negli anni Settanta. Nell’editoriale,
“Molte Americhe in una”, Rogers
sosteneva che «gli americani non si curano più
soltanto del presente e del
futuro ma recuperano il loro passato; cercano di affermare una
tradizione in
cui poter costituire, attraverso le molteplici parole, un linguaggio
unitario
che, al di là delle origini filologiche, possa esprimere una
realtà autonoma e
scevra di debiti verso le esperienze altrui»[18].
Nonostante la ricerca di un linguaggio unificato, Rogers rileva che due
diverse
Americhe possono coesistere rendendo il paese ricco di
“scontri dialettici”. Tuttavia,
nonostante questo successo, non riescono a scoprire un ambiente
“figurativo” o
una lingua per esprimere questa loro diversità. Scrive
Rogers a proposito: «Questa società
è attratta da due poli opposti: da una parte si determinano
i problemi della
metropoli germogliata dallo sviluppo industriale, sia con
l’affrontare i grandi
temi richiesti dai suoi bisogni pratici, sia usando gli strumenti
tecnici negli
stessi organismi; dall’altra parte l’opposizione
alla metropoli suggerisce
architetture piccole, modeste costruite in legno e con altri semplici
mezzi.»[19]
Molti anni
dopo, nell’articolo New Directions in Modern
American Architecture: Postscript
at the Edge of Modernism, Stern continuò la
“filologia” dell’architettura di
Lyndon, chiedendo un linguaggio architettonico comunicativo che fosse
incorporato
con il significato culturale[20].
Come nei suoi scritti precedenti, Stern citava Venturi e Moore come i
fondatori
dello storicismo postmoderno, segnalando un passaggio da un formalismo
moderno
autonomo a un nuovo modo di affrontare il progetto di architettura che
affermava il suo significato culturale. Questo mutamento si ritrova in
particolare
attraverso la facciata, tema evidente nell’opera di Venturi,
nel contesto della
città, essenza del lavoro di Giurgola, e infine
nell’idea di una memoria
culturale. Questi tre temi sono stati sintetizzati da Stern come
contestualismo, allusionismo e ornamentalismo.
Conclusioni
Stern fu
affascinato dagli
architetti Venturi, Giurgola e Moore dal momento in cui
iniziò a considerare
quei progettisti in grado di comprendere il valore della storia
dell’architettura all’interno del progetto,
affermando che: «Questi architetti
erano persone colte che potevano parlare di architettura, non solo in
termini di
dadi e bulloni o del corrente lavoro di tutti i giorni, riferendosi a
Mies, Le
Corbusier o Wright, ma riferendosi a Michelangelo,
all’urbanistica e al contesto
architettonico. Ciò era in contraddizione con
l’architettura autoreferenziale
di quei giorni»[21].
E non diversamente da
Soane, Alberti, o Palladio, questi architetti avevano iniziato a
scrivere, nuovamente,
del loro lavoro in modo autoriflessivo e sistematico.
È
importante notare che quando molti di questi giovani architetti
arrivavano a
un’età matura intorno ai primi anni Settanta,
l’economia americana era in
declino e c’era un’urgente necessità di
trovare lavoro. Era il tempo di
polemizzare sul momento contemporaneo e di sfruttare pienamente lo
strumento
della rivista per chiarire un proprio punto di vista
sull’architettura, come lo
stesso Stern sostenne scrivendo: «Abbiamo
scritto molto. ... Abbiamo polemizzato sul crollo, o sul crollo
apparente, di
quella che avevamo definito architettura moderna, una fine apparente
dei grandi
e anonimi edifici per uffici aziendali. E così, i giovani
architetti come me o
Peter Eisenman e altri hanno sistematicamente cercato di sconvolgere
quella
struttura prevalente - senza ambiguità, sfidando la sua
credenza sulla base di quello che credo
sia stata definita correttamente una visione più ampia di
ciò che sono le
responsabilità di un architetto e le sue
possibilità»
[22].
Se
la teoria architettonica può essere intesa come
autoriflessione del processo di
progettazione da parte dell’architetto, unita alla
capacità di fornire una
spiegazione testuale e visiva, allora il numero 9/10
di «Perspecta» e gli
articoli di Venturi, Giurgola e Moore in esso
contenuti realizzano questo presupposto. Con l’architetto
come redattore-curatore
e collettore selettivo di informazioni, dimostriamo l’intento
di fabbricazione
di una teoria americana dell’architettura negli Stati Uniti,
passando per
Italia, attuata mediante lo strumento della rivista.