Disegno come conoscenza del progetto. Strumenti e processi compositivi in Francesco Cellini

Laura Pujia



Mente e mano

La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. In stato di quiete, non è un utensile senz’anima, un attrezzo abbandonato sul tavolo o lasciato ricadere lungo il corpo: in essa permangono, in fase di riflessione, l’istinto e la volontà di azione, e non occorre soffermarsi a lungo per intuire il gesto che si appresta a compiere (Focillon, 2002, p. 106). 

Il disegno, sebbene oggi assimilato nella definizione di rappresentazione, non è uno strumento a margine dell’atto progettuale bensì può coincidere «con l’intuizione e la conoscenza, anche se ciò avviene inaspettatamente» (Cellini 2016, p. 223). Per queste ragioni, tra le differenti declinazioni che il disegno di architettura può farsi carico di esprimere e di trasmettere (a clienti, a tecnici, alla stampa ecc.), il saggio intende soffermarsi su un particolare tipo di segno grafico, inteso come manifesto più intimo di un determinato processo compositivo: il disegno che appare progettando e che ha come referente lo stesso autore. È pur vero che tale apparente categoria non è mai così netta e distinta, ogni disegno non può escludere gli aspetti tecnici e artistici, tantomeno i suoi interlocutori (committenti, imprese, colleghi ecc.) o le occasioni professionali per cui è concepito (concorso, incarico, esercizio ecc.).

La relazione tra mente e mano, tra pensiero e azione, diviene il nodo interpretativo di quel simbiotico dualismo che può sussistere fra progetto e disegno. «Grazie [alle mani] l’uomo prende contatto con la dura consistenza del pensiero» (Focillon 2002, p. 105) «esse sono strumento della creazione, ma prima di tutto l’organo della conoscenza» (Ivi, p. 114). Il modello mentale, che pensa, trascrive il suo pensiero con le mani in un’azione legata necessariamente al corpo (Pallasmaa 2014). La traduzione delle proprie idee attraverso il controllo progressivo della propria fisicità, che a sua volta si aggiorna e affina col passare del tempo, permette di costruire un modo strutturato di intendere e praticare il progetto.

Le sperimentazioni avvenute a partire dagli inizi degli anni Settanta con il movimento dell’Architettura disegnata illustra, nonostante la disattenzione critica che ha imputato una certa evasione dall’architettura, un periodo storico importante per le “scuole” di Milano e in particolare, in questo contesto, di Roma (Tancredi 2002). L’immensa produzione di disegni testimonia una ricerca, culturale e tecnica, che spazia dagli esercizi progettuali in cui «l’immagine coincide perfettamente con il suo contenuto architettonico» (Purini 2002, p. 17) all’esecuzione di «disegni d’invenzione o di paesaggi teorici» (Ibidem) e, nella maggior parte dei casi, ha espresso il suo significato più autentico come «forma endemica dell’architettura» (Ivi, p. 18).

Tentando di rispondere al semplice interrogativo di qual è il disegno che serve davvero per progettare?, il fine di questa riflessione è quello di tratteggiare il significato delle opere di Francesco Cellini a partire dall’osservazione dei suoi disegni mettendo in luce le qualità e i caratteri peculiari dei suoi progetti. 

Disegno e progetto

Una serie di semplici fogli A4 è presa in esame a supporto della trattazione che pone in primo piano l’utilità del disegno come strumento di conoscenza e indagine del progetto di architettura. Qui Francesco Cellini annota, a mano libera, i suoi ragionamenti in una narrazione dai toni colloquiali e immediati, strutturata dall’alternarsi di testi con pochissime cancellature e di schizzi progettuali collegati tra loro tramite segni grafici immediati (ad esempio frecce spesso procedute dall’avverbio “così”) evidenziando una chiarezza che non ha ripensamenti. È tuttora sorprendente la precisione e la capacità comunicativa racchiusa nella sola sequenza di otto (più uno) fogli inviati via fax[1] in cui è raccolta l’idea di progetto per il Centro di canottaggio sul Lago di Corbara (1993-1996) che rimarrà verosimilmente invariata fino alla realizzazione. Dopo una concisa premessa (e richiesta di “Aiuto!”) rivolta a suoi colleghi umbri, Cellini esprime, in maniera dettagliata e precisa, i principi insediativi e le scelte compositive che, a partire dalla natura morfologica del sito, condizioneranno il progetto. Nel primo foglio (“pag. 1”) è descritto il suo posizionamento che ricade sulla sezione più acclive del terreno, dettato da ragioni pratiche il cui obiettivo principale è quello di ridurre al minimo l’impatto visivo dell’edificio nel paesaggio. Questa ipotesi, dunque, si orienta nel disporre l’architettura su due livelli e in modo ortogonale alla sponda del Lago; ciò consente, da un lato, di accogliere le imbarcazioni e, dall’altro, quasi di scomparire nel terreno: il centro nautico presenta, difatti, un solo prospetto offrendosi come una “sezione” aperta al paesaggio che termina per l’appunto con un finestrone e un balcone aggettante, sostenuto da due tiranti, che funge da belvedere sul Lago (“pag. 3”). Il sistema costruttivo, illustrato nella successiva pagina, è concepito di pari passo con l’idea complessiva di spazio e viene rappresentato nella sua elementare scomposizione per parti costituendo una sorta di “radiografia” dell’organismo architettonico (“pag. 2”). Il concetto proposto è quello di costruire attraverso l’azione di scavo del pendio seguendone, ai lati, la pendenza e di utilizzare una struttura mista composta da uno scatolare in cemento, per la sottrazione e il contenimento del terreno, e da una struttura di acciaio costituita da una serie fitta di archi acuti, per la parte fuori terra, a rievocare la sagoma di “una barca capovolta”.

La corrispondenza tra principio statico e compositivo è un carattere ricorrente in tutti i progetti di Cellini tanto da poter essere qui riconosciuta come una delle cifre stilistiche che contraddistingue la sua maniera di concepire il progetto. Un codice acquisito, quest’ultimo, fin dalla sua formazione, di stampo romano, improntata sull’istintiva capacità di comprendere alcuni aspetti pratici e fondanti la tecnica delle costruzioni[2].

Seguono altri disegni di verifica delle corrispondenze tra elementi di dettaglio e visioni d’insieme che affermano la sua poetica incline a «un’architettura precisa e dialettica, […] fatta […] di sintassi» (Cellini 2016, p. 15). Tra i fogli ricorrono: una “sezione tipo”, scomposta in due perché passante nei punti di controllo del progetto (“dietro” e “avanti”), che restituisce le misure interne alla scala dell’uomo con le azioni e gli usi contenuti, il rapporto con il contesto ai margini nonché alcune commenti tecnico-strutturali e un interrogativo sul tipo di rivestimento (“pag. 4”); le piante dei vari livelli e delle coperture, i prospetti laterali in funzione delle sezioni del terreno e alcune visioni assonometriche che mettono in luce la forza affidata all’architettura come racconto topografico (“pag. 5”, “pag. 6”, “pag. 7”). Chiudono la serie gli schizzi di studio su differenti soluzioni, poi scartate, con piccole variazioni dell’impalcato compositivo che rimane semplice e al contempo rigoroso e fedele all’idea di progetto (“pag. 8”).

Il progetto in sezione è uno degli strumenti d’indagine progettuale che Cellini adopera in maniera quasi ossessiva come momento di elaborazione costante che torna sotto più forme nella sua produzione, talvolta in modo sommario, veloce o lento, talvolta misurato con annotazioni e accurata precisione. Le sezioni rappresentano la sua maniera di ricercare lo spazio interno in relazione alla complessità dell’insieme (compositivo, strutturale e d’uso) e sono considerati, a loro volta, «luoghi dove l’architettura, come taglia da un coltello, rivela la sua interna verità» (Ivi, p. 16). Innumerevoli sono i disegni prodotti a tale scopo dagli anni Ottanta ai primi del Duemila, molti concepiti con il solo fine di controllo del progetto, fatti da Cellini per Cellini, in questo caso si pensi ad esempio alle sezioni di studio dell’imponente sistema costruttivo e impiantistico che struttura l’articolazione spaziale del progetto per il padiglione Italia nei Giardini di Castello a Venezia. Spesso il processo di comprensione del progetto, nel suo insieme, ha inizio dal piano di sezione che poi genera una tridimensionalità prospettica atta a cogliere l’essenza e il senso dell’architettura da abitare. È così che si precisano alcuni convincimenti e principi a favore di «un’architettura [che] debba innanzitutto essere capita, per poter essere esperita emozionalmente; non che sia fatta esclusivamente per indurre ammirazione o stupore. Che parli al cervello e, per esso, ai sensi e non solo a essi. Che quindi debba essere pensata perché chi la usa o la vede sappia ricostruirla intellettualmente nella sua logica formativa interna e non per essere percepita come un’apparizione, magari soltanto da qualche privilegiato punto di osservazione» (Ivi, p. 15). Ne deriva un modo di disegnare espressione del «processo conoscitivo razionale che conduce a un risultato tanto logicamente conseguente alle premesse, quanto, a priori, indeducibile a esse» (Ivi, p. 223). Ciò sussiste anche quando il disegno si carica di poesia, racchiudendo un’atmosfera e assumendo un valore pittorico-descrittivo: oltre a ricorrere all’uso di forme semplici e a una sapiente padronanza delle forze fisiche che governano la tettonica, nel progetto dello spazio interno un ruolo compositivo essenziale è ricoperto dalla luce solare, derivato dalla reinterpretazione di modelli berniniani e piranesiani[3]. La sua indagine ha portato Cellini a mettere in atto «un modo di disegnare (a mano e poi al computer) che utilizza una strategia di derivazione ottocentesca: poco nero e molto bianco, su fondo abbastanza scuro e neutro» (Ivi, p. 21).

Il tema del disegno è caro a Cellini e lui stesso, da architetto e docente, torna più volte sull’argomento. Una sua prima esperienza pratica, durante gli anni di insegnamento alla facoltà di architettura di Palermo come docente di Composizione architettonica al primo anno a partire dall’anno accademico 1988-1989, gli ha permesso di redigere Il Manualetto[4] (1991). Il volume fissa, in maniera pragmatica e semplice, le norme proprie della rappresentazione grafica dopo aver messo in rassegna quelle tecniche e costruttive; sono presenti quindi cenni su strutture (verticali e orizzontali), coronamenti e basamenti, scale, infissi e dati dimensionali. Ancora una volta l’aspetto progettuale non può essere scevro da nozioni prettamente tecniche e i suoi progetti rappresentano una chiara dimensione architettonica e un modo di lavorare che trova una coerenza fra idea e pratica.

Esemplare, a questo proposito, è la sua consuetudine nell’intendere il disegno come un palinsesto che racchiude una molteplicità di rappresentazioni e significati in un unico disegno, con l’obiettivo di comprendere le possibilità spaziali e umanistiche dell’architettura, catturando insieme più visioni e tipi di informazione. Si osservi un particolare disegno tecnico, elaborato a mano libera su una base schematica tracciata a riga e squadra sul modulo di 120, della sezione tipo del già citato Centro di canottaggio. Un modo di disegnare, da lui praticato in differenti circostanze e per molti anni, che concentra la sua attenzione sul processo logico di conoscenza e costruzione del progetto stesso e quindi «sull’esattezza numerica e sulla congruenza geometrica» (Ivi, p. 224) e non sulla qualità dei tratti. Un tipo di disegno che era in parte ispirato a quelli di Mario Ridolfi (Roma 1904 – Terni 1984), che Cellini conosce bene (Cellini e D’Amato Guerrieri 1997, 2005; Pujia 2019) grazie all’esperienza di ricerca e studio avviata in occasione del lavoro svolto per la storica rivista Controspazio (D’Amato Guerrieri 2018) dove approfondisce l’opera del maestro da cui eredita ad esempio l’uso della geometria stratificata come particolare scrittura architettonica. La trascrizione di alcune convenzioni grafiche, piuttosto consolidate, viene qui reinventata e piegata all’intenzione spaziale e architettonica fino a divenire un particolare tipo di scrittura. Ciò è in parte dettato da alcune esigenze pratiche come «la velocità di realizzazione, l’appropriatezza alle limitatissime dimensioni del [suo] studio, l’adeguatezza alla [sua] miopia ecc. [che aveva] un vantaggio concettuale rispetto ai faticosissimi disegni della pratica professionale di allora: riduceva la distanza tra progettazione e trascrizione» (Cellini 2016, p. 224).

L’elaborato in questione contiene inoltre un altro vocabolo distintivo del linguaggio progettuale di Cellini: l’uso, «controllato e ripetitivo», di un determinato misura «con una predilezione per la serie numerica 60, 120, 180» (Ivi, p. 16) da cui si evince la passione per la geometria e l’ossessione per i moduli e loro multipli. Il disegno, oltre alle quotature, accoglie una profondità di informazioni che fa apparire l’architettura quasi nella sua tridimensionalità, possiede informazioni strutturali, tecniche, impiantistiche e compositive che, contrariamente ai disegni veloci presi in esame precedentemente, affiorano in una sorta di articolato palinsesto da cui si evince una maniera piuttosto meccanica e ripetitiva di esecuzione che mette in ombra l’atto conoscitivo del progetto.

Questi disegni si palesano come necessari per l’autore, rappresentano un momento di verifica di quanto prefigurato. Il processo logico, che sta dietro al progetto, è trascritto gradualmente su carta, mettendo in modo letterario nero su bianco. Osservando gli schizzi affiora l’attaccamento al contesto che con la sua forza guida l’impostazione progettuale condizionandone il principio insediativo adottato che confluisce anche nel controllo delle soluzioni di dettaglio; si noti a titolo esemplificativo la scomposizione per fasi del processo costruttivo rappresentati con rigore in alcuni disegni tridimensionali, schematici e semplificati, che in modo analitico e accompagnati da misure e descrizioni tecniche, prevedono la comunicazione delle fasi di costruzione (Pujia 2019). 

Il significato dei disegni di Francesco Cellini

Il carattere distintivo dei disegni di Cellini si rintraccia in una duplice simbiosi tra tecnica ed espressività comunicativa, entrambe riconducibili all’uso della mano libera a sua volta accompagnato da un sapiente controllo spaziale che coniuga aspetti strutturali e insieme compositivi. Le radici della sua ricerca vanno rintracciate in alcune esperienze pregnanti come l’intensa e trainante collaborazione con Nicoletta Cosentino, ove affiora il disegno come espressione di un pensiero, vale a dire un vero e proprio manifesto intellettuale[5]. Negli anni la dimensione, piuttosto artigianale, del suo studio e del suo modo di disegnare gli ha permesso di affinare una maniera di disegnare congrua alle sue esigenze fisiche e intellettuali senza però sottrarsi alle necessità del tempo per le quali ha innovato via via gli strumenti[6].

Sebbene questo scritto non possa che cogliere soltanto parzialmente la molteplicità dei caratteri della poetica ‘celliniana’, traspare comunque con insistenza la continua scrittura di un pensiero architettonico, l’inquietudine verso il ruolo dei contesti, l’indagine sulla materia resistente degli edifici, la riflessione sulla qualità dello spazio; perché in fondo, come ricorda Focillon, mano e mente, e quindi progetto e disegno sono parte del medesimo fenomeno, e: 

Così accade che quella mano che scorre, impugnando la sua prediletta matita (ben attentamente selezionata fra mille disponibili) non è solo la padrona assoluta del foglio che sta riempiendo di connotazioni quasi automatiche; contemporaneamente, come tutti gli artisti sanno (ma non dicono), essa conosce e ragiona (Cellini 2016, p. 229). 


Note

[1] «Strumento che [all’epoca] ha anticipato, per pochissimi anni, il ruolo che oggi ha la rete nelle collaborazioni professionali» (Cellini 2016, p. 101).

[2] Cellini racconta dell’insegnamento del maestro Saul Greco (Catanzaro 1910 – Esfahan 1971) che, con le sue lezioni di statica grafica, trasmetteva l’uso delle deformazioni con un fine pratico: comprendere lo spazio. 

[3] Cellini introdurrà una tecnica ereditata da suo nonno pittore, Giuseppe, che utilizzava una carta spenta mettendo in evidenza la luce.

[4] Nato inizialmente come dispensa del Corso, poi via via affinato per la pubblicazione e ancora oggi utilizzatissimo in molti laboratori di progettazione.

[5] Per approfondire le ricerche dell’epoca si consulti il testo di F. Cellini, 1963-1973 che contiene gli anni della formazione universitaria e gli studi di architettura, il lavoro e le ricerche svolte con N. Cosentino e altri colleghi romani (Cellini 2016, pp. 233-235).

[6] Francesco Cellini non ha rifiutato l’uso del computer, spesso genera dei modelli in 3D che vengono sviluppati e completati per poi essere da lui ritoccati e messi a punto.

Bibliografia

CELLINI F. (1991) – Manualetto. CittàStudi, Firenze.

CELLINI F. (1993) – “Alcune qualità del disegno progettuale”. In: AA.VV., Il disegno di architettura come misura della qualità. Atti di convegno, Palermo, 201-203.

CELLINI F. (2006) – “Sul talento e sul gesto”. In: R.M. Strollo (a cura di), Disegno e conoscenza, contributi per la storia e l’architettura. Aracne, Roma, 93-104.

CELLINI F. (2016) – Francesco Cellini. Electa, Milano.

CELLINI F. e COSENTINO N. (1985) – “Un Sogno, un Desiderio…/ A Dream, a Desire…”. Eupalino, n. 5, 31-39.

CELLINI F., D’AMATO GUERRIERI C., DE BONIS A. e FARINA P. (a cura di) (1980) – La presenza del passato. Catalogo della mostra, Biennale di Venezia. Electa, Milano.

CELLINI F. e D’AMATO GUERRIERI C. (1997) – Mario Ridolfi. Manuale delle tecniche tradizionali del costruire. Il ciclo delle Marmore. Electa, Milano.

CELLINI F. e D’AMATO GUERRIERI C. (2005) – Le architetture di Ridolfi e Frankl. Electa, Milano.

D’AMATO GUERRIERI C. (2018) – “Controspazio come piccola rivista”. FAMagazine, 43, 33-40.

FOCILLON H. (2002) – Elogio della mano. In: Focillon H., Vita delle forme. Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 103- 130.

PALLASMAA J. (2014) – La mano che pensa. Safarà Editore, Pordenone.

PORTOGHESI P. (1985) – “Progetti di Francesco Cellini e Nicoletta Cosentino”. Eupalino, 5, 31-39.

PUJIA L. (2017) – “Strumenti e tecniche del progetto di architettura”. L’Industria delle Costruzioni, 453 (gennaio-febbraio), 100-105.

PUJIA L. (2019) (a cura di) – Trentaquattro domande a Francesco Cellini. CLEAN Edizioni, Napoli.

PURINI F. (2002) – “Tre motivi”. In: Tancredi R. (a cura di), Disegni di architettura italiana dal dopoguerra ad oggi dalla collezione Francesco Moschini AAM Architettura Arte Moderna. Edizioni Centro Di, Firenze, 17-18.

TANCREDI R. (2002) (a cura di) – Disegni di architettura italiana dal dopoguerra ad oggi dalla collezione Francesco Moschini AAM Architettura Arte Moderna. Edizioni Centro Di, Firenze.