Recensioni

Narpozzi

Un “Fantastique” de bibliothèque 

Marino Narpozzi è un architetto colto e originale, vigile e sopraffino. Sicuramente merito di questo suo “atteggiamento intellettuale” proviene da quell’universo rossiano di cui ha fatto parte, per tanti anni, come allievo e collaboratore del grande Maestro ma anche e soprattutto di un rapporto inscindibile tra l’attività di ricerca, l’insegnamento e il progetto. Leggere i suoi saggi, sapientemente raccolti e riorganizzati dai curatori, Anna Maritano e Francesco Saverio Fera, nel libro Marino Narpozzi. Conversazioni in-disciplinate è come entrare nel mondo intimo di uno studioso, fatto da un universo di libri, addentrandosi in una ricerca che interroga gli aspetti più reconditi della disciplina, i legami e le costanti, «ma anche delle contraddizioni epistemologiche e fondative del fare architettura». Narpozzi, scrivono i curatori del volume, «a suo modo è un collezionista di libri, collezionista non sistematico», questo si intuisce soffermandosi sulle citazioni e sulle note presenti in questo libro, e aggiungono, che la sua collezione è «una biblioteca di frammenti e di memoria fatta per la costruzione di un originale percorso intellettuale». Questi molteplici scritti di Narpozzi, organizzati come “somma di parti distinte”, sono elaborati in un ampio arco temporale, scritti fra l’Italia e la Francia, dove Narpozzi ha insegnato e lavorato, e traggono origine da riflessioni universitarie, studi e ricerche condotte tra Venezia, Parigi, Nantes e Genova, “molteplici mondi diversi” organizzati in ordine non cronologico ma per tematiche che hanno contraddistinto alcune delle ricerche dell’autore nel corso della sua vita di progettista ma soprattutto di accademico militante. Pensieri che, come sottolineano i curatori, «non sono mai netti ma precisati tramite la rappresentazione della complessità del reale», da un mondo di riferimenti, anche visivi non solo bibliografici, visti nella loro interezza e riassumibili in queste due parole, molto care alla generazione dell’autore e soprattutto alla generazione di maestri da cui proviene: “progetto” e “conoscenza”. Queste due parole riassumono il contenuto di questo libro, assieme a “composizione” che, non casualmente, ritorna costantemente nei vari scritti. La composizione, che attraverso il disegno dell’architetto, diventa «una lingua comune alle arti così dette sorelle – che ha il compito di – rendere visibile il nucleo emozionale che dà sostanza all’opera» perché, sostiene sempre l’autore, è nello sforzo «di rappresentare i movimenti dell’animo – che essa stessa – tende a coincidere con l’idea, il concetto che sta alla base di ogni narrazione». Poi vi è la questione tipologica, che ci interessa «nella sua capacità in quanto strumento classificatorio dell’architettura, di rendere possibile l’approfondimento del concetto di forma architettonica e di far risaltare l’emergenza di alcune forme tipiche», ma anche la critica del progetto di architettura e, soprattutto, tema forse più caro a Narpozzi, l’insegnamento della disciplina. Proprio di quest’ultimo aspetto, balza all’occhio in questi scritti, il costante rimando all’insegnamento, che dimostra il legame continuo dell’autore con la scuola e la ricerca. L’insegnamento, che entra in una profonda crisi se diventa pura tecnica, perché «non ha più niente a che vedere con il pensiero» e «perde di ogni efficacia», parole sacrosante, che si oppongono a quel «pragmatismo elevato a sistema» dove «l’intenzione non è più insegnare una conoscenza, bensì inculcare una tecnica». Parole che oggi hanno un peso sempre maggiore, perché oramai viviamo in un’epoca troppo dipendente da quella «cultura del puro esistente» dove «tutto ciò che accade è bene in quanto accade e questo è stato preso per verità estetica, producendo immagini prive di profondità». La vera immagine è conoscenza e per sognare, non si devono chiudere gli occhi, si deve leggere, scriveva Foucault nella sua prefazione al libro La tentazione di Sant’Antonio di Flaubert che, non casualmente, compare in una breve nota bibliografia, riportata in fondo al saggio introduttivo dell’autore intitolato Il mio guardaroba e dalla quale è stato preso in prestito il titolo Un “fantastico” da biblioteca (Un “Fantastique” de bibliothèque) per questa recensione. Ma cosa ci fa capire questo libro? La necessità costante per un architetto di non abbandonare mai e continuare costantemente l’approfondimento di quel filo del discorso sulla disciplina e l’esigenza di riportare sempre queste riflessioni all’attualità, interrogandosi sull’oggi attraverso un tentativo di interpretazione e messa in discussione della contemporaneità, dei suoi limiti e delle sue derive, «interrogandosi sul senso proprio dell’operare» e rifiutando quella parcellizzazione disciplinare che, come afferma l’autore, «non significa rinunciare alla possibilità di una teoria dell’architettura, significa solo ammettere l’impossibilità di definire principi, regole astratte e metastoriche. L’errore sta proprio nel descrivere delle genesi lineari degli stessi concetti teorici, come se le parole avessero conservato il loro senso e le idee la loro logica». Infine, alcune parole anche sulle immagini raccolte e sapientemente selezionate in questo libro. La scelta dei curatori è quella di pubblicare due progetti di Narpozzi, la Casa dell’Elba e il Teatro di Martigues, per mostrare, scrivono, «l’intreccio della ricerca di Narpozzi sull’architettura, così da trasformare le opere in parole scritte di “pietra”». Scelta significativa nella costruzione di questo volume, perché è attraverso l’opera costruita che avviene la verifica della sua formulazione intellettuale, in cui gli aspetti compositivi ed espressivi giungono a compimento instaurando quel dialogo necessario e senza tempo con il luogo che, nelle architetture di Narpozzi, non è mai inteso in maniera “astratta” o “puramente concettuale”.


Tommaso Brighenti





Curatori: Anna Maritano, Francesco Saverio Fera
Titolo: Marino Narpozzi. Conversazioni in-disciplinate
Lingua: Italiano
Editore: Aión, Firenze
Caratteristiche: 24x17 cm, 152 pagine, brossura, bianco e nero
ISBN: 978-88-98262-78-64
Anno: 2019