Dalla mente al foglio, passando per la mano. Attualità dello schizzo nel progetto di architettura

Chiara Vernizzi



Considerazioni introduttive
L’Oxford Dictionary definisce il termine concept come «un’idea astratta», ma anche come «un progetto o un’intenzione», o declinandolo filosoficamente come «un’idea o un’immagine mentale che corrisponde ad alcune entità distinte o a loro caratteristiche essenziali…».

Da questa definizione inizia una riflessione sul ruolo che il termine assume in ambito progettuale, focalizzando l’attenzione sullo schizzo di progetto come esito primario del processo di definizione dell’idea, e analizzando, a titolo esemplificativo, gli esiti degli approcci di due figure centrali nel panorama del progetto di architettura, pur nelle forti differenze in merito agli esiti grafici e progettuali.

Dallo studio dei disegni conservati presso il Fondo Nervi al CSAC dell’Università di Parma e dall’osservazione di alcuni schizzi di Renzo Piano esposti presso la Fondazione Renzo Piano a Pegli (Genova) prendono infatti le mosse le considerazioni che seguono, ricordando che già il Vasari, nella seconda metà del Cinquecento scriveva:

gli schizzi chiamiamo noi una prima sorte di disegni, che si fanno per trovare il modo delle attitudini e il primo componimento dell’opra. E sono fatti in forma di una macchia, accennati solamente da noi in una sola bozza del tutto.

La coinvolgente rilettura della traduzione in italiano del breve testo di Paolo Belardi dal titolo Why Architects still draw, ha inoltre sollecitato una rilettura del ruolo fondativo dello schizzo progettuale come momento di esportazione da sé dell’idea e del suo successivo sviluppo, delineando un momento di dialogo intimo, preliminare a qualunque ulteriore definizione più accurata dell’opera architettonica.

Impossibile anche non ricordare le numerose riflessioni di Franco Purini sul disegno, che «…contiene quattro aspetti principali, il vedere, il pensare, il comunicare, il ricordare, che lo ritraggono come un quadrato ideale» (Purini in Disegnare 2010, p. 14). In particolare, si vuole qui richiamare la concezione del disegno che da un lato induce a pensare e dall’altro è esso stesso frutto del pensare, ossia frutto di quel disegno interno a cui fa riferimento Federico Zuccari: l’esito dell’interazione tra pensiero e mano (Docci in Disegnare 2010, p. 3).

Di particolare interesse, a valle della riflessione sullo schizzo, risulta inoltre il confronto tra gli schizzi preliminari di un’opera e la sua versione finale realizzata, alla ricerca delle geometrie presenti fin dai primi disegni ideativi e della loro trasformazione in architettura. Proprio alla Fondazione Renzo Piano sono infatti esposti in sequenza alcuni schizzi affiancati dal disegno definitivo (o esecutivo) e dalle immagini fotografiche delle architetture effettivamente realizzate, consentendo il confronto tra la concretezza della realizzazione e le sue radici creative.

Renzo Piano ha scritto, in più occasioni: «Faccio edifici molto complessi, ma io disegno sempre a mano: è in questo modo che imparo a conoscere l’oggetto su cui lavoro».

In questa affermazione è già contenuto tutto il significato del disegno a mano libera inteso come estensione immediata della mente, quindi, ma anche come strumento di conoscenza, di dibattito interiore, definizione e affinamento dell’idea. Schizzi spesso sbilenchi, talvolta imprecisi e sproporzionati, sempre fuori scala, con metodi proiettivi utilizzati in modo intuitivo spesso non rigoroso, ma che, per chi ha studiato le discipline artistiche e architettoniche, sempre traspaiono anche nell’elaborazione spontanea, realizzata di getto; sappiamo bene, infatti, che il disegno di progetto si avvale di codici e regole che ne fanno una vera e propria lingua.

Mentre nella fase iniziale dell’iter progettuale il disegno si configura come uno strumento di comunicazione delle idee del progettista e, come tale, può assumere forme anche molto personalizzate, viceversa il disegno di progetto ha infatti una funzione strettamente comunicativa e deve essere organizzato attraverso un vero e proprio linguaggio, dotato di un suo vocabolario e di una sua sintassi.

L’efficacia degli schizzi risiede invece nel loro essere tracciati a mano libera, senza ausili quali riga e squadra, da movimenti della mano talvolta incerti e dall’essere spesso corredati da annotazioni testuali alle quali si intrecciano, delineando un processo inventivo diacronico ed evolutivo (Dal Co in Conforti, Dal Co 2007, p. 23).

Gli schizzi diventano strumenti di lavoro i cui esiti andrebbero studiati come veri e propri documenti di archivio, in quanto ogni interpretazione di un’architettura dovrebbe prendere avvio dall’analisi delle molteplici stratificazioni che vi si sono depositate durante il processo creativo, analizzando i vari elaborati in cui si sedimentano i processi di ideazione e selezione che rendono efficace la finalità funzionale e (talvolta) simbolica che perseguono (Dal Co, ibid.).

Secondo Manfredo Tafuri, infatti: «i disegni di architettura (vanno) interpretati appunto come tracce archeologiche, a partire dalle quali un testo si scompone». (Tafuri in C.S.A.C. 1983, pag. 24)

Mentre Dorfles dice che:

…ritengo necessario giudicare il Disegno di Architettura come un’operazione artistica a sé stante, svincolata da quelle che possono essere le caratteristiche dell’edificio che venga eventualmente costruito in un secondo momento sulla base del primitivo disegno. (Dorlfes in C.S.A.C. 1983, p. 34)

Gli autori e il panorama culturale
L’approccio al progetto dei due autori, Pier Luigi Nervi e Renzo Piano, viene quindi letto attraverso l’analisi di quello che è il contributo e lo sviluppo dell’idea primigenia, nella sua evoluzione condotta proprio attraverso lo strumento grafico diretto, manuale, inteso non solo come medium comunicativo, ma anche (e soprattutto) come momento di verifica, maturazione e conoscenza dell’idea progettuale in un dialogo intimo e personale che pian piano trasforma l’idea (il concept) in qualcosa che deve essere comunicato tramite un linguaggio codificato, dando vita ad elaborati grafici redatti secondo le normative vigenti, attraverso i quali viene descritta la realizzazione dell’opera, tramite documenti oggettivi capaci di comunicare in modo univoco le intenzioni del progettista.

Diversi critici, storici dell’architettura e progettisti si sono espressi sulla controversa questione del valore intrinseco del disegno e dello schizzo di architettura, inteso come opera in sé compiuta; per questo, una panoramica sulle principali interpretazioni in tal senso risulta necessaria nel momento in cui ci si accinge alla lettura e all’interpretazione del corpus grafico di autori quali Pier Luigi Nervi e Renzo Piano, per contestualizzare da un lato gli elaborati in un dibattito culturale di fatto mai esaurito, ma anche per contribuire alla corretta interpretazione dei grafici con i dovuti strumenti critici.

Luigi Grassi applica la distinzione crociana tra arte e non-arte al disegno d’architettura e considera solo il disegno di mano dell’artista, mentre non ritiene meritevole di attenzione il disegno esecutivo; anche Bruno Zevi contrappone i disegni originali ai grafici di progetto ed attua una distinzione in cui è implicita quella tra opera d’arte e disegno di mestiere; Renato De Fusco, invece, applica i risultati dello strutturalismo linguistico allo studio dell’architettura e considera il disegno architettonico come linguaggio, senza, però, considerare le diverse scritture del disegno. Vittorio Gregotti invece, valuta attentamente l’intenzione progettuale e pone l’accento sul rapporto esistente tra la preferenza per determinati mezzi di rappresentazione e le culture del progetto. Luigi Vagnetti intende documentare la trasformazione del linguaggio grafico degli architetti e degli ingegneri e comprendere le componenti storiche dello strumento grafico; per Vagnetti, non c’è alcuna relazione analogica tra rappresentazione grafica ed architettura realizzata. Klaus Koenig e Tomàs Maldonado affrontano diversamente il problema del rapporto tra disegno ed iter progettuale, mentre Vittorio Magnago Lampugnani relaziona la «forma di presentazione» al «proposito intellettuale dell’autore».

Un momento fondamentale del dibattito è il convegno sul disegno d’architettura organizzato dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università degli Studi di Parma nell’ottobre 1980. In questa occasione Arturo Carlo Quintavalle individua storicamente e contestualizza i modelli interpretativi che hanno dato luogo alle diverse letture del disegno progettuale (da una parte il disegno visto solo in funzione dell’opera realizzata; dall’altra il disegno considerato come valore autonomo).

A questo variegato panorama culturale si riferisce la lettura delle opere grafiche di Pier Luigi Nervi e Renzo Piano, che ci hanno lasciato uno straordinario corpus di disegni che include schizzi, progetti preliminari, definitivi e un granissimo numero di disegni esecutivi e di viste assonometriche e prospettiche.

Alla luce di queste diverse interpretazioni espresse dagli storici e dai critici dell’architettura, il problema delle “scritture” e della loro storia è stato affrontato considerando con attenzione il tipo di grafica prescelto dai due autori, individuando variazioni nel corso del lungo periodo esaminato, ma anche in progetti coevi. L’esame delle “scritture” si è dimostrato particolarmente importante per comprendere il complesso sistema di rapporti fra il progettista e la cultura del suo tempo.

L’analisi effettuata sui disegni di Pier Luigi Nervi è stata impostata suddividendo gli elaborati relativi ai progetti esaminati indagando i progetti in modo orizzontale, concentrandosi in modo preciso sull’analisi degli aspetti grafici espressi soprattutto nei disegni autografi di Nervi, in particolare gli schizzi riconducibili al primo momento creativo e di dimensionamento delle parti più o meno strutturali ma anche di controllo del rapporto tra il contesto e la nuova architettura.

Gli schizzi di Pier Luigi Nervi, riferibili alla copiosa documentazione conservata nel Fondo Nervi presso il CSAC di Parma, sono per lo più costituiti da minute notazioni al tratto, quasi sempre corredati da appunti e quote, e oscillano tra la pura intuizione strutturale e la puntuale soluzione dei problemi costruttivi (Figg. 1 - 2).

Il segno, quasi sempre tracciato a matita, è sempre preciso e netto, e denota la forte personalità dell’autore oltre ad un’ottima padronanza degli strumenti di rappresentazione. L’attenzione è sempre rivolta in modo mirato a tematismi specifici, indagati secondo codici proiettivi adeguati e segni grafici differenziati e sempre utilizzati in modo consapevole, volti a definire un linguaggio personale che, insieme alle annotazioni descrittive o a veri e propri appunti, fissano l’attenzione in modo specifico su aspetti costruttivi, formali o percettivi dell’opera (Fig. 3).

I disegni di Renzo Piano delineano uno stile inconfondibile grazie alla peculiarità del loro aspetto grafico; il segno, non meno della scrittura, è sempre netto e si percepisce veloce, costante e sicuro. La variazione grafica è funzionale solo al variare dei temi. I suoi disegni illustrano quanto Piano sia teso alla ricerca della coerenza tra forma e struttura, della concezione strutturale e di quella formale, mirando ad integrare tra loro composizione e costruzione, recependo in pieno, anche se con esiti formali e strutturali molto differenti, la lezione di Pier Luigi Nervi.

L’utilizzo di strumenti diversi nella definizione degli schizzi ideativi vede la matita, per lo più (in Pier Luigi Nervi spesso anche la matita rossa e blu, a correggere le linee iniziali), ma anche il pennarello nero o colorato, (spesso verde, in Renzo Piano), con punte di diverso spessore; le annotazioni sparse che arricchiscono di spunti il corredo grafico; gli studi, seppure schematici, che fin dalle prime fasi considerano l’orientamento in relazione all’esposizione solare.

Schizzi veloci, travolta fatti di poche linee, talaltra più accurati e definiti, che ci raccontano in ogni caso della poetica architettonica e del linguaggio progettuale, espresso in armonia con quello grafico codificato finale, vera cifra stilistica dello studio e del suo titolare (Figg. 4 - 5).

L’appunto e la correzione sono spesso annotati anche sulle prime stampe (o copie) del progetto redatto in forma definitiva, segno di un costante lavoro di affinamento dell’idea, sulla falsariga di quanto già i maestri del passato (ad esempio, Pier Luigi Nervi) erano soliti fare per passare poi i disegni ai collaboratori di studio, che sviluppavano le idee traducendole in elaborati grafici redatti secondo i codici e le scale di rappresentazione normalizzati e unificati.

Claudia Conforti individua negli schizzi di Renzo Piano:

…tre le scale aggredite simultaneamente dai segni progettuali: quella organica del manufatto, carpita dagli spaccati ortogonali e/o prospettici; quella del dettaglio tecnicamente risolutivo, che esprime evidenza formale allo spazio e alla sua costruzione, anch’essa trasferita in sezioni; e quella geografica, a largo respiro, che controlla l’impatto del nuovo edificio sul sito. A quest’ultima soltanto è riservata la rappresentazione planimetrica riassuntiva, nella quale il progetto è al centro di una rete di relazioni che l’architetto ha attentamente scandagliato. (Conforti 2007, pp. 7-8)

Tratto che accomuna gli schizzi dei due autori, pur nei diversissimi esiti grafici ed architettonici, è la compresenza di indicazioni ed annotazioni riguardanti soluzioni riferite a letture interscalari, evidenziando il rapporto tra fatti costruttivi ed esiti percettivi, cui entrambi dedicano grande attenzione fin dalle prima fasi ideative.

In molti schizzi compaiono in entrambi indicazioni sul montaggio degli elementi, aspetto verso il quale già nelle prime fasi ideative si manifesta una grande attenzione, delineando un modo di concepire l’architettura che tratta insieme la forma e la struttura, che pensa all’una non in funzione dell’altra, ma come due entità e aspetti che si appartengono e compenetrano, venendo di fatto a coincidere negli esiti architettonici progettati.

In entrambi sappiamo infatti quanto la ricerca di soluzioni strutturali e costruttive non standardizzate siano cifra stilistica delle loro realizzazioni architettoniche, pur sottolineando ancora una volta la differenza delle architetture finali, dei materiali utilizzati e anche degli esiti grafici dei rispettivi approcci allo schizzo ideativo e al processo di costruzione del progetto che si viene ad articolare tramite esso.

Considerazioni conclusive
Con l’avvento dell’informatica, ormai diversi decenni fa, come noto il disegno di architettura ha ampliato i propri confini, modificando progressivamente il processo progettuale e amplificando gli strumenti espressivi della composizione architettonica, divenendo al contempo mezzo di rappresentazione e strumento di sviluppo e controllo del processo progettuale.

Peculiare è che in questo processo le tecnologie informatiche non siano rimaste funzionali all’espressività dell’idea ma siano diventate mezzo per estendere i progetti e, in conseguenza, mezzo per creare un nuovo linguaggio architettonico.

Le tendenze innovative nella rappresentazione digitale possono essere sinteticamente ricondotte a tre aspetti distinti, relativi rispettivamente alla verifica e all’immediata fruizione del modello di progetto, cioè alla realizzazione di un ambiente tridimensionale in cui il progettista possa immergersi in un’esperienza virtuale; alla comunicabilità del progetto stesso, al suo adeguamento ai mezzi ed agli strumenti espressivi del mondo contemporaneo, caratterizzati da multimedialità e multidimensionalità; e soprattutto all’ingresso prepotente del mezzo informatico nel processo ideativo e progettuale, suggerendo, supportando e talvolta determinando spazi e geometrie della futura realtà, senza che questo renda obsoleta la fase degli schizzi ideativi a mano libera.

Il momento in cui l’idea della forma del progetto germina e viene a definirsi, consente sempre agli autori di esprimersi in modo totalmente soggettivo e spesso svincolato dalla rigidezza dei codici e delle norme di rappresentazione del progetto, talvolta dando vita a veri linguaggi grafici o “metagrafici”, attraverso i quali la creatività progettuale dà vita ad un complicato gioco di rifacimenti ed invenzioni, in quel complesso e paziente gioco di tessiture che sfocia nello schizzo ideativo.

Concetti ben espressi da Mario Botta, ben enfatizzando il ruolo culturale, meditativo e formativo che ancora oggi deve avere il disegno a mano libera delle preliminari fasi ideative, in un suo recente scritto dice:

Con il passare del tempo la matita si è trasformata in un prolungamento della mano stessa: incominciai ad abituarmi ad averla tra le dita, come accade con la sigaretta per il fumatore. La matita non è solo uno strumento per il disegno, ma aiuta a frapporre le pause, predispone il pensiero: si può forse dire che la matita è lo strumento che trasporta l’idea al disegno… è uno strumento di ricerca, non di rappresentazione. (Botta 2020, p. 7)


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