Disegno e Progetto

Livio Sacchi



Il disegno e il progetto costituiscono due insiemi, in parte sovrapposti.

Considerazioni sul progetto

Chi progetta sa che il progetto è un vero e proprio ragionamento creativo, con le sue classiche articolazioni filosofiche in deduttivo o analitico da una parte, induttivo o sintetico dall’altra. L’architettura in generale e il progetto in particolare sono fondati sulla ragione e sulla capacità di ragionamento dell’architetto: un ragionamento rivolto a se stessi e agli altri. Non a caso, a proposito del “mistero” della creazione artistica, Stefan Zweig ha scritto: «la massima virtù dello spirito umano consiste nel provare a rendere comprensibile a se stessi ciò che all’inizio sembra incomprensibile»[1].

Tuttavia, il progetto d’architettura si sta trasformando in qualcosa di molto diverso da ciò a cui siamo abituati. La contemporaneità ci obbliga a porre la questione in modalità trans-scalare, in grado di lavorare cioè simultaneamente a scale diverse, e soprattutto con un approccio che guarda a quell’insieme unitario – al cui interno, nei fatti, si svolge la nostra vita – derivante dalla sommatoria fra ambiente costruito e ambiente non costruito. L’architettura è il prodotto creativo che, grazie al progetto, emerge dalle relazioni fra tutti noi, esseri umani nel nostro insieme, e l’ecosistema in cui viviamo. Un edificio insomma – più che visto come oggetto, più o meno riuscito, che si va ad aggiungere a un territorio o a una città rispondendo, più o meno efficacemente, a una serie di funzioni – è qualcosa che deve garantire l’equilibrio ambientale nell’antropocene, l’era in cui l’umanità ha iniziato a incidere, in maniera sensibile quanto negativa, sull’ambiente, ma anche quella in cui essa si sente – o almeno dovrebbe sentirsi – ospite e non padrona della Terra: la nostra casa comune.

In termini filosofici generalissimi, il progetto vale come: «l’anticipazione delle possibilità: cioè qualsiasi previsione, predizione, predisposizione, piano, ordinamento, predeterminazione ecc., nonché il modo di essere o d’agire che è proprio di chi fa ricorso a possibilità» (Abbagnano 1987, p. 701).

L’oggetto di tale anticipazione non è necessariamente qualcosa di materiale, anche se ciò si determina proprio in architettura. In termini altrettanto generali, De Fusco osserva che «la progettazione in senso lato è un’attività che precede (o dovrebbe) ogni azione umana sia individuale, sia soprattutto collettiva» (1984, p. 1). L’aspetto di previsione insito nell’attività progettuale è dunque fondamentale quanto saldamente radicato nella storia.

Nel 1615 Vincenzo Scamozzi nella sua Idea della Architettura Universale ha riassunto la capacità di prevedere dell’architetto nel concetto di praecognitio, che letteralmente significa cognizione preliminare, ovvero riconoscere in anticipo. […] Scamozzi fonda peraltro il suo concetto di praecognitio sul brano tratto dalla Metafisica di Aristotele (“ars est universalium cognitio, experientia vero singularium”), dove con tale enunciato, secondo l’interpretazione di Leon Battista Alberti, egli dà la precedenza all’arte e all’aspetto speculativo. Pertanto l’architettura in sostanza consiste in un’attività intellettuale speculativa a carattere decisamente teleologico. (Oechslin 2004, pp. 62-63)

Ancora Scamozzi precisa il rapporto tra ideazione, progetto ed esecuzione con sorprendente chiarezza. L’edificio è definito «un habito scientifico che risiede nella mente dell’architetto» e il disegno di progetto è il mezzo con cui l’architetto comunica la propria «invenzione». Con il progetto, insomma, si prova a prevedere e a costruire ciò che ancora non esiste: il futuro. Ma parlare di quest’ultimo è sempre imprudente: è indispensabile riflettere «prima di fare un passo qualunque, nel tentativo di anticipare il futuro, cioè, come ammoniva il grande filosofo Emmanuel Lévinas, ‘l’assolutamente Altro’, in tutta la sua impenetrabilità e inconoscibilità» (Bauman 2018, p. 6).

Considerazioni sul disegno

Partiamo da una testimonianza di Franco Purini:

È quasi impossibile, per gli studenti di oggi, immaginare come era il percorso di un progetto quando si disegnava a mano. La qualità del segno individuale permeava ogni momento del lavoro conoscitivo e creativo, dando ad esso una originalità e una identità direttamente proporzionali a quella del segno stesso. […] Nella mia concezione dell’architettura il disegno ha sempre avuto un ruolo determinante, configurandosi come il luogo nativo dell’idea, uno spazio teorico e immaginifico solo all’interno del quale può venire alla luce l’embrione di una composizione. Il disegno è l’espressione individuale per eccellenza, l’ambito di una scrittura architettonica che rappresenta integralmente il soggetto progettante. (Purini 2012, p. 57)

È ancora così? Sarà ancora così? Quel che è certo è che non è possibile parlare di progetto senza parlare di disegno, un ambito strettamente affine a quello progettuale, e altrettanto importante per il nostro mestiere, che ha sempre occupato una posizione centrale nella preparazione, nella pratica professionale e nell'attività di ricerca e comunicazione di ogni architetto.

Oltre agli aspetti ideativi richiamati da Purini, il principale obiettivo tecnico del disegno è esprimere chiaramente e univocamente, per mezzo di due sole dimensioni (quelle del piano della rappresentazione, poco importa se fisicamente tale o se invece digitale), la tridimensionalità dello spazio architettonico. Obiettivo non facile, che prevede un processo scientifico di “traduzione” dal 3D al 2D nei due versi. Il disegno architettonico è infatti articolabile in due sottoinsiemi: disegno di rilievo e disegno di progetto. Il primo procede dall’esistente, essendo caratterizzato da una dinamica che dalla realtà dell'edificio tende alle due dimensioni del foglio. Il secondo precede invece la costruzione dell'architettura. È segnato dall'intenzionalità di pre-figurare ai fini della produzione ed è caratterizzato da una dinamica che dalla bidimensionalità del foglio tende all'organizzazione spaziale dell'opera da costruire. Ma, a ben guardare e al di là di tali distinzioni, qualsiasi definizione di disegno implica una tensione verso il progetto, dalla quale non è esente nemmeno il rilievo.

Nel 2014 fu pubblicato il libro di David Ross Scheer The Death of Drawing, che fa il punto sull’argomento. A chi attribuire la responsabilità di tale fine? Naturalmente alla nuova, o seconda, rivoluzione digitale in generale, e alla diffusione del BIM, Building Information Modelling, in particolare.

Non sappiamo in che misura l’ipotesi della scomparsa (o almeno del tramonto) del disegno come strumento di elaborazione progettuale dell’architettura sia realistica. Più facile è concordare sull’inizio di una nuova stagione, diversa da quella del passato anche più recente, e sulla necessità di rispondere ai cambiamenti con la rifondazione delle nostre abitudini progettuali. Siamo insomma alla fine di un paradigma progettuale che ha storicamente funzionato per almeno cinque secoli e sulla soglia di una nuova era: una seconda rivoluzione digitale dunque, la cui principale sfida è la riduzione del gap, creato proprio dalla prima, tra progetto, sempre più virtuale, e costruzione, inequivocabilmente reale, per richiamare la nota dicotomia utilizzata da Maldonado.

Cosa ne sarà del disegno? Siamo destinati a perderlo e a perdere il rapporto tra la sua stessa manualità e quella propria dei processi costruttivi? La rappresentazione sarà sostituita dalla simulazione? Tutto sommato ci auguriamo di no, consapevoli del fatto che le novità si aggiungono a ciò che le precede senza mai totalmente esautorarle e che la rappresentazione, in architettura, gioca e continuerà a giocare un ruolo centrale. Gadamer scrive in proposito:

La rappresentazione resta […] legata in un senso essenziale all’originale che si presenta in essa. Ma è di più di una semplice copia di quello. Che la rappresentazione sia un’immagine, e non l’originale stesso, non significa nulla di negativo, non è una diminuzione di essere, ma indica piuttosto una realtà autonoma. Il rapporto dell’immagine con l’originale si presenta quindi in modo fondamentalmente diverso da quello che si verifica nel caso della copia. Non si tratta più di un rapporto a senso unico. Che l’immagine abbia una sua realtà, significa, per l’originale, che proprio nella rappresentazione esso si presenta. Nell’immagine, l’originale presenta se stesso. […] Ogni rappresentazione di questo tipo è un evento ontologico, e entra a costituire lo stato ontologico del rappresentato. Nella rappresentazione, questo subisce una crescita nell’essere, un aumento d’essere. Il contenuto proprio dell’immagine è definito ontologicamente come emanazione dell’originale”. (Gadamer 1983, pp. 174-175)

Il tramonto della stagione in cui il disegno è stato considerato strumento di pura comunicazione dell’architettura lo riporterà al suo più concreto ruolo di strumento della riflessione progettuale? Se siamo poi convinti di trovarci agli albori di una nuova era per l’industria edilizia, quest’ultima sarà davvero in grado di produrre più velocemente, a costi inferiori e con minori emissioni, un ambiente costruito e infrastrutturato, digitalizzato, condiviso, sostenibile, accessibile, inclusivo, efficiente e intelligente in vista delle gigantesche dimensioni assunte dal mercato globale delle costruzioni? In molte parti del mondo è già così. Forse:

non ha senso piangere su ciò che è accaduto. Singoli architetti potranno restare fedeli ai propri valori, se lo vorranno, ma la disciplina nel suo insieme è già impegnata in una sfida radicalmente diversa. In architettura, le condizioni determinate dalla simulazione, che appaiono sterili alla luce della tradizione, possono offrire nuove possibilità se viste con occhi diversi. Per continuare a fare gli architetti, dobbiamo cambiare le nostre idee. (Ratti 2014, p. 71)

Conclusioni

Chiudiamo citando quanto osservato David Chipperfield:

oggi, se vogliamo rimanere importanti e perfino continuare a esistere, dobbiamo certamente ridefinirci attraverso un’alleanza con gli interessi dell’ambiente. […] Il valore del progetto sta nel suo rappresentare desideri e ambizioni, non solo nel soddisfare una funzione o fornire soluzioni accurate, e la sua importanza dipende da come lo si realizza. (Chipperfield 2020)

Nel progetto contemporaneo la eco-sostenibilità è dunque conditio sine qua non. Ma è importante anche ricordare che il progetto deve interpretare le aspettative dei fruitori e della società e deve consentire di realizzare a un edificio ben fatto: il compito dell’architetto non si esaurisce nell’atto progettuale, ma continua per l’intera fase costruttiva e oltre. La rivoluzione digitale ha dunque cambiato la nostra progettualità: oltre a sustainable e a participatory, aggettivi e locuzioni inglesi quali virtual, parametric, open source, interactive, resilient e altri costituiscono i segnali di come una inedita visione del mondo sia confluita all’interno dei processi progettuali. Lo stesso BIM demanda al modello tridimensionale dell’edificio l’intera organizzazione di dati eterogenei, consentendo la simulazione delle procedure di cantiere necessarie alla realizzazione.

Un‘architettura – o, più semplicemente, un edificio – potrà poi diventare in un futuro prossimo un “distributore” di servizi e, soprattutto, un terminale per ottenere dati? Siamo convinti che la catena di produzione del guadagno nella filiera dell’industria delle costruzioni si stia ampliando con elementi e dinamiche nuove; la più semplice da esplorare è l’architettura di servizio (ovvero l’assistenza specializzata e digitalizzata allo sviluppo dei progetti) per arrivare alla gestione e manutenzione del fabbricato inteso come oggetto in continua trasformazione, corredato da dispositivi in grado di offrire prestazioni diverse e captare dati. La conoscenza delle abitudini dei residenti, al pari di ciò che accade con la telefonia cellulare e i social media, avrà, in un futuro non lontano, valore maggiore di quello attribuito all’immobile stesso in quanto tale.

Ora, al di là della dicotomia professione/impresa, come si attualizza il nostro nuovo ruolo? L’architetto sarà soltanto colui che definisce il progetto o sarà anche in grado di gestire direttamente tali servizi? Un simile scenario sarà poi compatibile con le attuali normative che regolano la professione? Quale, infine, il ruolo giocato dall’architetto del prossimo futuro su di uno scacchiere così complesso? Marginale, temiamo, se la progettualità resterà puro gioco formale. Centrale, ci auguriamo, se sarà invece in grado di rispondere seriamente alle sfide della contemporaneità.

Siamo convinti che gli insegnamenti del passato, da soli, restino indispensabili ma non siano più sufficienti: dobbiamo guardare avanti. Saremo premiati nella misura in cui saremo capaci di rinnovare il nostro approccio all’architettura e al mestiere. In un’intervista rilasciata nel 1984 a Eva Mayer, Jacques Derrida parlò di «inizio di un’architettura non-rappresentativa», delineando una relazione «completamente nuova tra la superficie, il disegno, e lo spazio, l’architettura»[2]. Possiamo pensare a una stagione in cui il progetto si riconfiguri come una forma di puntuale decostruzione grafica digitale dell’architettura, finalmente mirata alla sua costruzione?

Un tema importante all’interno di questo discorso è infine costituito dall’intelligenza artificiale. Richiederebbe spazi che qui non abbiamo. Ci limitiamo, per concludere, a ricordare ciò che ha scritto di recente in proposito Mario Carpo:

Evidentemente, le tecniche numeriche mettono nuovi mezzi a disposizione degli architetti e designer dei nostri giorni, e gli architetti e designer possono e devono farne il miglior uso possibile – perché se non lo fanno loro, lo faranno altri. Ma immaginare che una nuova generazione di computer possa sostituire interamente il lavoro creativo degli architetti (come Negroponte e altri immaginavano alla fine degli anni Sessanta, e molti riprendono a immaginare oggi) non è né utile né intellettualmente interessante. Certo, l’intelligenza artificiale di oggi ha capacità stupefacenti. Ma anche se uno di questi nuovi ‘cervelli elettronici’ fosse capace di sviluppare progetti automatici (e questo giorno non sembra imminente), non vedo quale committente potrebbe preferire una di quelle macchine a uno di noi. Non foss’altro perché noi continuiamo a costar meno – purtroppo. (Carpo 2020)


Note
[1] S. Zweig, Il mistero della creazione artistica, conferenza tenuta a Buenos Aires il 29 ottobre 1940, in El misterio de la creación artistica, Sequitur, Madrid 2008, p. 15. Ed. it. Il mistero della creazione artistica, Pagine d’Arte, Aprica (CH) 2017 (nella versione italiana, manca il brano citato).

[2] Cfr. V. Magnago Lampugnani (a cura di) (1987)– Der Abenteuer der Ideen. Architektur und Philosophie seit der industriellen Revolution, Internationale bauaustellung. Berlin; il testo è stato poi parzialmente ripubblicato in «Domus», 671, 1986 e in J. Derrida, Adesso l’architettura, F. Vitale (a cura di), Scheiwiller, Milano 2008, 94-95.

Bibliografia

ABBAGNANO N. (1987) – "Progetto", in Dizionario di filosofia. UTET, Torino. 

BAUMAN Z. (2018) – Città di paure, città di speranze. Castelvecchi, Roma.

CARPO M. (2020) – “Storia brevissima, ma si spera veridica, della svolta numerica in architettura”. Casabella 914 (ottobre).

CHIPPERFIELD D. (2020) – “In lode della bellezza, di fronte alla crisi”. Domus, 1045 (aprile). 

DE FUSCO R. (1984) – Il progetto d’architettura. Laterza, Roma-Bari. 

GADAMER H. G. (1983) – Verità e metodo. Bompiani, Milano. 

GREGOTTI V. (2014) – Il Disegno come strumento di progetto. Marinotti, Milano.

LÉVINAS E. (1979) – Le temps et l’autre. PUF, Paris.

MALDONADO T. (1992) – Reale e virtuale. Feltrinelli, Milano.

OECHSLIN W. (2004) – ““Visioni”: paravento linguistico o futuro ben delineato? Per un richiamo ai compiti e agli scopi dell’architettura”. Dizionario dell’architettura del XX secolo, Immagini e temi, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma. 

PURINI F. (2012) – Scrivere architettura. Alcuni temi sui quali abbiamo dovuto cambiare idea. Prospettive, Roma. 

RATTI C. (2014) – Architettura open source. Verso una progettazione aperta. Einaudi, Torino. 

SCHEER D.R. (2014) – The Death of Drawing. Architecture in the Age of Simulation. Routledge, London and New York.