Stato di cose. Le terme di Peter Zumthor

Luigi Coccia




Montagna, pietra, acqua, costruire in pietra, con la pietra, dentro la montagna, costruire fuori dalla montagna, essere dentro la montagna: il tentativo di dare a questa catena di parole una interpretazione architettonica ha guidato il progetto e, passo dopo passo, gli ha dato forma. (Zumthor 1997, p. 56)

Sono passati 30 anni dai primi studi elaborati da Peter Zumthor per le Terme di Vals, un progetto esemplare, una storia d’amore tra la pietra e l’acqua. É un intervento che ha suscitato da subito l’interesse della critica, su di esso si è scritto tanto e, avvalendosi delle suggestive immagini associate alla realizzazione, si è analizzata l’opera per comprendere il senso di quella atmosfera più volte richiamata dall’autore ed efficacemente esplicitata nella costruzione. Perché ritornare a parlare di questo progetto?

Il tempo di elaborazione e di realizzazione dell’opera (1991-1996) ha consentito all’autore di interrogarsi sul processo creativo, di meditare sul rapporto tra teoria e pratica, di trovare le parole per esplicitare il suo modo di progettare. Architektur Denken e Atmosphären (Zumthor 1999, 2006), sono i titoli di due libri pubblicati rispettivamente nel 1999 e nel 2006 che raccolgono alcune riflessioni sul suo modo di intendere l’architettura, sulla sua passione per le cose che conduce alle cose. Il progetto per le Terme di Vals è una opportunità per approfondire il concetto di “stato di cose” (Zumthor 2003, p. 26). sviluppato da Peter Handke, più volte citato da Peter Zumthor, espressione associata al riconoscimento e alla sperimentazione del luogo pensato in termini di stato di cose, ossia di condizione in cui le cose si manifestano e concorrono alla identificazione di uno specifico contesto spaziale. Handke parla di fedeltà alle cose, cercando ogni volta di tradurre l’esito delle sue osservazioni in descrizioni esperibili come fedeltà al luogo raccontato, rinunciando a tutto ciò che è superfluo. Zumthor apprezza lo sforzo di Handke finalizzato a rendere testi e descrizioni parte integrante dell’ambiente a cui si riferiscono e, con il medesimo approccio, fonda la sua ricerca progettuale sulla presa d’atto dello stato delle cose. Il disegno viene assunto come strumento rivelatore dell’essenza del luogo. Esso non si limita a descrivere lo stato di fatto palesandone i caratteri essenziali, ma costituisce l’innesco di un processo immaginativo che, sulla base delle conoscenze acquisite, conduce ad un possibile sviluppo, ossia ad una riconfigurazione architettonica del sito in conformità allo stato originario delle cose. È proprio la conformità, intesa come adeguatezza della forma sperimentata alla forma rilevata, a restituire quella fedeltà alle cose di cui parla Handke, una ricerca di corrispondenza dell’architettura alla realtà.

La montagna, la pietra e l’acqua sono le entità fisiche identificative del luogo naturale, sono le stesse entità che hanno concorso alla formazione e alla connotazione del luogo artificiale, l’architettura delle terme. La conformità dell’opera al sito è espressa da una spazialità assimilabile ad una manipolazione del suolo, ad un sofisticato lavoro di sottrazione che produce cavità abitabili assorbite ma non mimetizzate nel contesto. L’impianto non si mostra come un edificio ma come una topografia, ossia come una matrice geometrica organizzativa dello spazio interno ed esterno, matericamente omogeneo, esplicitato come fatto tettonico.

Il rapporto tra architettura e contesto è tematica controversa, da sempre dibattuta, a volte elusa o poco esplorata nella recente produzione architettonica. Tale tematica fa da sfondo alla tesi sul Regionalismo critico formulata da Kenneth Frampton nei primi anni Ottanta, orientata verso la messa in valore di aspetti localistici, fattori specifici del sito, in contrasto alle tendenze omologanti, effetto dirompente della globalizzazione. Frampton ritiene il Regionalismo una concezione critica, piuttosto che uno stile, e si sofferma sulla descrizione di alcune opere in cui gli aspetti localistici si rendono evidenti. Sono dunque gli esiti delle ricerche progettuali e non i profili degli architetti o le loro teorie a costituire l’oggetto di questa indagine critica che conduce al riconoscimento di uno spirito regionalistico. La rilettura del progetto sviluppato da Zumthor per le Terme di Vals costituisce una opportunità per verificare la rispondenza di questa opera ai requisiti espressi da Frampton, ma soprattutto per valutare l’attualità di una sperimentazione progettuale che favorisca lo sviluppo di una «cultura forte e carica di identità, che mantenga tuttavia aperti i contatti con la tecnica universale». (Frampton 1984, p. 22)

Le terme di Vals: architettura e contesto

L’impianto termale occupa l’estremità settentrionale di un piccolo villaggio che si distende lungo la valle di Vals nel Cantone dei Grigioni in Svizzera. L’area è racchiusa da un complesso di alberghi e condomini realizzati negli anni Sessanta, manufatti edilizi piuttosto anonimi che si discostano dalle tipiche costruzioni del nucleo originario definito da piccole case isolate che richiamano gli antichi fienili in pietra con tetti in legno. Nulla di tutto questo sembra attrarre l’attenzione di Zumthor nella messa a fuoco del tema. Nessun segno antropico associato al contesto urbano viene assunto come riferimento nella definizione dell’impianto termale, ciò nonostante, la sperimentazione progettuale non si indirizza verso l’esplorazione di uno spazio atopico. Il rapporto con il contesto si esplicita nella formulazione del tema: «esprimere un intenso rapporto con l’energia primigenia e la geologia del paesaggio montuoso, con la sua imponente topografia». (Zumthor 1997, p. 56) Su un sito segnato dalla orografia e dalla idrografia, a più di 1.200 metri di altitudine e in prossimità di una sorgente di acqua che sgorga dal sottosuolo a 30°, Zumthor intraprende la ricerca sul nuovo spazio termale rinunciando da subito alla integrazione della nuova struttura con quelle preesistenti che si dispongono nell’immediato intorno.

L’idea progettuale si manifesta sin dai primi schizzi. Tratti di colore nero, ottenuti attraverso l’applicazione di un materiale tenero, un carboncino, tracciano le prime geometrie planimetriche. La tecnica grafica evoca l’azione progettuale a sua volta esplicativa di una intenzionalità: generare uno spazio attraverso la riconfigurazione topografica del sito. I disegni sono essenziali, i gesti sono rigorosamente controllati, i campi cromatici misurati e circoscritti. Blocchi scuri disposti su un reticolo ortogonale emergono su uno sfondo chiaro e alludono ad una azione di taglio esercitata su una massa. Le figure di forma quadrangolare hanno dimensioni variabili e sono sottolineate da segmenti azzurri tracciati lungo il perimetro che alludono a infiltrazioni d’acqua tra i blocchi lapidei di forma stereometrica. La sperimentazione progettuale prosegue con l’elaborazione di altri disegni eseguiti con la medesima tecnica. Le masse si allontanano, si addensano o si diradano, i vuoti interstiziali appaiono compressi o dilatati, segnalati da superfici cromatiche azzurre e gialle, che individuano ambiti specifici: vasche d’acqua, aree di sosta e di passaggio. La sequenza dei disegni di studio descrive il progressivo approfondimento del tema prefissato e la concatenazione di parole, montagna-pietra-acqua, adoperata nel suo enunciato, indirizza le scelte progettuali.

I disegni esplorano il luogo di intervento, ma rimandano ad altri luoghi geograficamente e storicamente connotati, impressi nelle immagini attivate dalla memoria, «immagini di luoghi che mi sono noti, che mi hanno impressionato», scrive Zumthor, «immagini di luoghi quotidiani o particolari che custodisco dentro di me come incarnazioni di determinate atmosfere e qualità». (Zumthor 2003, p. 34) Immagini di luoghi naturali plasmati dall’acqua e dal vento o modellati da azioni estrattive scandite da fasi di taglio che hanno generato salti di quota e livellamenti, geometricamente marcati dai fronti di cava. Ma anche immagini di luoghi segnati dall’operato di antiche civiltà, come quelli dei siti archeologici in cui permangono i resti di massicce murature solidamente ancorate al terreno.

Nella sua raffigurazione complessiva, il progetto delle Terme di Vals evoca una grande pietra porosa disposta su un terreno in declivio: se a monte il volume scompare perché completamente assorbito nel suolo, a valle emerge mostrando all’esterno la sua porosità. Geografia e storia si fondono dando vita ad una architettura del suolo, messa in opera di un ordine artificiale della natura. Questo ambiente arcaico ricorda i basamenti dei templi dell’antichità romana, come le sostruzioni dei santuari laziali, poderose masse murarie che definivano le basi di appoggio degli edifici. Con la scomparsa dei templi che si ergevano sulla sommità, ciò che resta di questi luoghi sacri è il basamento che si staglia anche qui sul terreno in declivio. Sul lato rivolto verso valle le masse murarie si smaterializzano dando origine a sequenze di nicchie o criptoportici, ambienti di sosta o di passaggio coperti da volte a botte, luoghi freschi d’estate e riparati d’inverno.

Le Terme di Vals assimilano e rielaborano questo antico principio costruttivo, generatore di spazi abitabili ricavati nello spessore del basamento. «Volevo costruire i muri utilizzando enormi blocchi di pietra massiccia», dichiara Zumthor,

avevo immaginato una struttura di roccia massiccia e invece persino il pezzo più grande a disposizione mi sembrava piccolissimo! La delusione fu enorme. Però camminando nella cava notai dei mucchi di lastre sottili, tagliate per farne dei pavimenti. La cava era piena di questi pannelli sottili e vidi che trattare la roccia in quel modo era la maniera più semplice e veloce. Compresi allora che con elementi sottilissimi avrei dovuto ricreare la solidità e l'uniformità di un blocco unico di roccia. (Stec 2004, p. 10)

Zumthor definisce la sua architettura come un «sistema geometrico di caverne» (Zumthor 2007, p. 41), come una concatenazione di spazi vuoti idealmente scolpiti in un blocco lapideo, concretamente generati dalla disposizione di muri in calcestruzzo rivestiti in liste di pietra locale, lo gneiss verde, che ordite orizzontalmente, con fughe quasi impercettibili, restituiscono l’idea di una concrezione geologica. «Non puoi progettare un vuoto», scrive Zumthor, «ma puoi disegnare i suoi confini, ed è allora che il vuoto prende vita» (Stec 2004, p. 8). La sperimentazione progettuale si traduce in un esercizio di confinamento dello spazio che oltre a delimitare gli ambienti indirizza gli spostamenti tracciando i percorsi e segnando i punti di sosta. Tutto ciò si evince nei disegni che preludono ad una spazialità immaginata che aspira alla concretezza, dando voce a qualcosa che non ha ancora trovato un posto nel mondo concreto. Le raffigurazioni architettoniche possono dunque rendere particolarmente evidente l’assenza dell’oggetto reale all’interno di uno specifico contesto e alimentare il desiderio di presenza. Così facendo, «il disegno di architettura cerca di visualizzare l’atmosfera che l’oggetto emana nel proprio sito con maggiore precisione possibile» (Zumthor 2003, p. 11) senza che essa risulti disturbata da elementi estranei o accidentali.

Si comprende il ruolo del disegno nella ricerca condotta da Zumthor: solo assumendo le qualità dell’oggetto desiderato scaturite dalla interazione con il contesto, il disegno riuscirà ad anticipare quella atmosfera apprezzabile nel momento in cui l’opera sarà costruita ed entrerà a far parte del mondo concreto. Nell’intento di acquisire le qualità dell’oggetto desiderato, il disegno non dovrà fare ricorso a virtuosismi grafici o a raffigurazioni realistiche.

Se la rappresentazione non presenta più nessun punto scoperto in cui penetrare con la nostra immaginazione e capace di suscitare la curiosità per la realtà possibile dell’oggetto rappresentato, allora la rappresentazione diventa essa stessa l’oggetto del desiderio. (Zumthor 2003, p. 11)

Zumthor insiste sulla necessità di tenere sempre acceso il desiderio per l’oggetto reale, per ciò che sta oltre la rappresentazione, giungendo a sostenere che quando la rappresentazione non annuncia più alcuna promessa essa si esaurisce in sé stessa.

I disegni elaborati per le Terme di Vals sono tutt’altro che realistici. Sono sintetici ed astratti, incisivi ed evocativi, capaci di restituire l’idea che guida e indirizza le scelte progettuali. Al contempo i disegni sono l’esplicitazione dello sviluppo formale, la descrizione dei passaggi logici che conducono al risultato atteso. In questo senso i disegni sono premonitori: anticipano ciò che sta per divenire.

La sequenza degli schizzi di studio rende palese il principio fondativo dell’impianto termale enunciato dal disegno della pianta, assunta come generatrice dello spazio. Architettura e contesto coincidono, l’una condiziona l’altro e viceversa. Lo spazio, idealmente scolpito nel blocco basamentale, fluisce tra grosse masse assumendo una configurazione labirintica: in alcuni punti esso si mostra chiuso, contenuto dalle murature, dal carattere intimo e recondito; in altri punti si mostra aperto, sfugge al contenimento e si insinua dappertutto favorendo la perlustrazione di ambienti comunicanti. Zumthor sostiene che l’architettura conosce due possibilità fondamentali di creazione spaziale: «il corpo chiuso che isola uno spazio al suo interno, e il corpo aperto che racchiude una porzione spaziale connessa alla continuità infinita» (Zumthor 2003, p. 16).

Nel complesso termale di Vals i due concetti spaziali coesistono: gli spogliatoi e i servizi, il bagno caldo e il bagno freddo, la sauna e la doccia turca ma anche il “bagno di fiori” e la “pietra che suona” sono tutte piccole cavità abitate, “corpi chiusi”, isolati e dislocati su un piano segnato da continue variazioni altimetriche raccordate da scale e rampe che, oltre a tracciare le percorrenze, modellano le vasche d’acqua e accompagnano la progressiva immersione del corpo. I disegni anticipano tutto questo, descrivono le traiettorie dei possibili attraversamenti dello spazio termale: frecce unidirezionali invitano il visitatore ad un percorso solitario; frecce bidirezionali preludono ad uno spostamento che favorisce gli incontri. Lo spazio attraversato si mostra compresso o dilatato a seconda della traiettoria seguita. Nel passare da un ambiente all’altro il numero di gradini non è mai lo stesso, variano le quote dei pavimenti, le dimensioni degli spazi, le loro altezze, così come la larghezza o la profondità dei passaggi è ogni volta differente. Lungo i tragitti solitari, contrassegnati da piccole scale ricavate tra le masse murarie, il campo visivo è limitato; lungo i restanti, contraddistinti da rampe e slarghi, il campo visivo si amplia consentendo una percezione più estesa dello spazio apprezzabile in termini planimetrici e altimetrici. Il tutto esprime una sensazione di scoperta, il piacere che si prova muovendosi in un luogo sconosciuto, o meglio esplorando uno spazio naturale. «Nella costruzione delle terme di Vals volevamo far sì che la gente vagasse liberamente» scrive Zumthor, «volevamo produrre un’atmosfera in cui il visitatore si sentisse sedotto più che guidato» (Zumthor 2007, p. 42).

Senza soluzione di continuità, lo spazio interno si prolunga verso l’esterno generando “corpi aperti”: isole e terrazze, determinate da una estrusione del piano di calpestio, emergono dall’acqua contenuta entro bacini e piscine, liquide intrusioni nel monolite. La pietra verde locale che riveste le pareti con lastre sottili ritorna nel disegno delle pavimentazioni interne ed esterne realizzate con lastre di formati variabili, restituendo l’idea di una materia che tagliata orizzontalmente si presenta sotto forma di superfici più ampie. Dal punto di vista architettonico, la disposizione delle pietre produce una impressione monolitica: non solo le superfici di calpestio ma anche i pavimenti delle vasche, le scalinate, le sedute, le soglie delle porte sono in pietra. Tutto si sviluppa secondo lo stesso principio di stratificazione della materia.

Nel passaggio dall’interno all’esterno, varcando le soglie, intese come punti di interazione tra architettura e paesaggio, lo spazio prevalentemente introverso acquisisce un carattere estroverso, si apre verso la montagna antistante, ritrova un contatto fisico e visivo con la natura.

I due concetti spaziali esplorati da Zumthor nella progettazione dell’impianto termale sono ulteriormente rafforzati dalla luce, naturale o artificiale, che produce ombre sulle masse lapidee e riflessi sulle acque. Oltre alla luce, il suono contribuisce ad accentuare l’atmosfera del luogo, in particolare quello prodotto dall’acqua, mossa durante le abluzioni che si rinfrange sulle pareti. Guidati da una luce che filtra dall’alto attraverso strette feritoie, punti di discontinuità tra i solai di copertura, i visitatori attraversano le cavità interne fino a raggiungere quelle esterne. Le percezioni luminose e sonore sono molto differenziate a seconda delle caratteristiche geometriche degli spazi e delle specifiche destinazioni d’uso. L’esperienza della luce e del suono cambia passando dalla vasca centrale più pubblica, dove la luce naturale proveniente dall’alto e dalle vetrate laterali è più intensa e i rumori sono più diffusi, alla vasca di acqua più calda, racchiusa in uno spazio angusto, stretto ed alto, che ricorda quello di una grotta. Qui la luce è artificiale, proviene dal fondo della vasca, filtra attraverso l’acqua e si diffonde nell’aria satura di vapore. Le pareti di pietra che delimitano lo spazio non presentano aperture, per cui il suono prodotto al suo interno viene trattenuto e crea echi suggestivi, adatti alla meditazione. Alla penombra delle cavità interne si contrappone la luce che inonda gli spazi aperti disposti intorno alla piscina scoperta e quelli aperti ma coperti che, insinuandosi tra le masse murarie, si protendono verso valle a marcare il ciglio del monolite incastonato nel suolo.

Le terme di Vals: architettura regionalista

Kenneth Frampton pubblica nel 1980 Critical Regionalism: modern architecture and Critical History e pone le basi per una riflessione sullo sviluppo dell’architettura regionalista. Saranno alcuni saggi divulgati nel 1983 (Frampton, 1983, 1983b) e il capitolo aggiuntivo alla sua Storia dell’architettura moderna dal titolo Regionalismo critico: architettura moderna e identità culturale, pubblicato in Italia nel 1986, a fornire spunti per l’approfondimento della tematica. In apertura del quinto capitolo del suo libro Frampton riporta una lunga citazione di Paul Ricoeur sul fenomeno della universalizzazione che, pur conducendo ad un avanzamento del genere umano, determina la distruzione del «nucleo generatore di grandi civiltà e grande cultura» intorno al quale la vita prende forma e assume significato, divenendo «nucleo etico e mitico del genere umano». «Abbiamo la sensazione che questa unica civiltà mondiale eserciti allo stesso tempo una sorta di attrito o di logoramento a danno delle risorse culturali che hanno creato le grandi civiltà del passato», sostiene il filosofo francese, giungendo a ritenere che la partecipazione alla civiltà moderna non presuppone la cancellazione dell’intero passato culturale. Quindi la sfida secondo Ricouer è «come diventare moderni e fare ritorno alle origini; come far rivivere una vecchia civiltà assopita e prendere parte della civiltà universale» (Frampton 1986, p. 371).

La risposta alle questioni sollevate da Paul Ricoeur può essere cercata all’interno della tesi sostenuta da Kennet Frampton sul Regionalismo critico. Se il concetto di regione è associato ad un ambito spaziale in cui si riconosce una cultura dell’abitare e del costruire che si è trasmessa di generazione in generazione, il concetto di regionalismo fa riferimento ad una attitudine progettuale contemporanea che, rinunciando al totale asservimento alle tendenze espresse dalla globalizzazione, spesso tradotte in forme omologate e conformiste, persegue un approccio critico di intervento che, con tecniche costruttive innovative, sperimenti forme capaci di riscoprire e valorizzare le qualità dei luoghi e le specifiche identità. Questa capacità di interagire con le risorse culturali, in molti casi intrinseche nello stato dei luoghi, ossia nel singolare intreccio tra natura e artificio, conduce alla messa a punto di una metodologia progettuale che assume una valenza universale, partecipando così alla civiltà moderna. Il Regionalismo critico non è espressione di una architettura vernacolare, prodotto spontaneo che nasce dall’interazione tra clima, cultura, mito e mestiere, ma identifica, come sostiene Frampton, quelle scuole regionali di recente formazione, «la cui aspirazione principale è rispecchiare e trattare gli specifici elementi costitutivi sui quali esse si fondano» (Frampton 1986, p. 371). Nel perseguire questo obiettivo, il Regionalismo critico sperimenta una architettura radicata alla tradizione moderna ma al contempo legata al contesto geografico e culturale, propone un approccio progressivo nell’esercizio del progetto mediando tra localismo e globalismo.

L’esperienza progettuale costituisce il supporto della teoria sviluppata da Frampton sul Regionalismo critico giungendo a formulare un elenco di caratteri o meglio, come lui stesso precisa, “attitudini” ricorrenti in questa “concezione critica”. A partire dalla enunciazione dei sette punti riportati nel quinto capitolo dalla Storia dell’architettura moderna dal titolo Regionalismo critico: architettura moderna e identità culturale, si sottopone a verifica il progetto di Peter Zumthor per le terme di Vals i cui caratteri possono essere ricondotti alla teoria delineata da Kenneth Frampton.

Il primo punto riguarda il rapporto con la modernità. Pur contrastando la modernizzazione, il Regionalismo critico «rifiuta di abbandonare quegli aspetti emancipatori e progressisti dei retaggi dell’architettura moderna», (Frampton 1986, p. 386) ma si allontana dalla ottimizzazione normativa, dalla utopia nonché dalla esplorazione a grande scala. Le terme progettate da Zumthor sono una sperimentazione a piccola scala che guarda al passato con uno spirito assolutamente moderno, trasformandolo radicalmente. Nel progetto si assiste ad un fertile intreccio tra tradizione e innovazione. Zumthor utilizza materiali legati alla cultura locale con tecniche costruttive contemporanee che si avvalgono della esperienza modernista. Analizzando i disegni costruttivi si trovano tutte le esperienze del moderno, dal trattamento dello spazio ai metodi seriali di costruzione, a dimostrazione che il carattere artigianale, riconosciuto da alcuni critici, gioca in realtà un ruolo marginale.

Il secondo punto che contraddistingue il Regionalismo critico è il non porre enfasi sull’oggetto isolato, ma attribuire importanza al territorio. A tale proposito Frampton parla di “luogo-forma”, ambito in cui ha inizio e si esaurisce l’azione del costruire. Sperimentare una architettura che parte dalle cose e ritorna alle cose, è questa la finalità dichiarata e messa in pratica da Zumthor. Il contesto alpino, esplicitato dalla catena di parole “montagna, pietra, acqua”, rinnova la sua presenza nell’opera costruita, una spazialità architettonica che non si manifesta come un vero e proprio edificio ma come un frammento artificiale di contesto. Zumthor è attratto da quelle costruzioni che danno l’impressione di essere solidamente ancorate al terreno e di essere parte integrante dell’ambiente a cui appartengono. L’impianto termale costituisce la realizzazione di una analoga situazione, una raffinata integrazione tra architettura e contesto, un “luogo-forma” assimilabile a quelle opere che sembrano dire: «sono così come mi vedi ed è qui che devo stare» (Zumthor 2003, p. 14).

Il terzo punto è così enunciato: «il Regionalismo critico promuove la realizzazione dell’architettura come fatto tettonico, piuttosto che la riduzione dell’ambiente costruito a una serie di episodi scenografici mal assortiti» (Frampton 1986, p. 387). La tettonica, come arte del costruire tenendo assieme struttura, materiale e percezione spaziale, contraddistingue l’impianto termale di Vals, un’opera concepita da Zumthor come un “sistema geometrico di caverne”, realizzata in pietra locale, lo gneiss verde, che con la sua mirabile orditura conferisce all’architettura l’immagine di una concrezione geologica. L’idea tettonica si rafforza ulteriormente nell’ancoraggio dell’opera al suolo, nella intenzione di «collocare il nuovo bagno termale in un rapporto particolare con l’energia originaria, con la realtà geologica del paesaggio montano e con l’impressionante ripidezza del sito» (Steiner 1997, p. 27).

In definitiva l’opera è il risultato di una interazione con la specificità del contesto, è assorbita ma non mimetizzata nel luogo, mostra con evidenza la sua artificialità ma rinuncia ad una manifestazione puramente scenografica.

Il quarto punto pone l’accento sul carattere locale: il Regionalismo critico accentua alcuni fattori specifici del sito. Come si è detto, nel progetto delle terme di Vals la topografia è assunta come matrice tridimensionale in cui si inserisce la struttura. Nel sottolineare la specificità del luogo, Frampton si sofferma anche sulla luce locale «agente primario attraverso cui vengono rivelati il volume e il valore tettonico dell’opera» (Frampton 1986, p. 387).

La luce, prevalentemente artificiale, contraddistingue gli spazi interni: «in una caverna si deve fare ricorso alla luce artificiale», scrive Friedrich Achleitner, «e le modalità di illuminazione utilizzate da Zumthor rimandano ad esperienze lontane del mondo alpino e recuperano le più antiche memorie della luce in montagna» (Achleitner 1997, p. 61). Dall’interno all’esterno si compie il passaggio dalla penombra alla luce: quel “sistema geometrico di caverne” ottenuto attraverso azioni di scavo esercitate sul grande monolite incastonato nel suolo si trasforma in terrazze e patii che si proiettano verso il paesaggio. Le differenti sorgenti luminose sottolineano le valenze degli ambienti, la luce, alternandosi da naturale ad artificiale, concorre alla costruzione e alla percezione dello spazio.

Intorno alla percezione dello spazio si articola il quinto punto del Regionalismo critico. Frampton ritiene che le qualità di un ambiente debbano essere riscontrate non solo dal punto di vista visivo ma anche tattile. Si sofferma sulla mutevole intensità luminosa riscontrabile negli ambienti, sulle sensazioni di caldo e freddo, sui diversi gradi di umidità, sui movimenti dell’aria e sulla emanazione degli odori, ma anche sulla propagazione dei suoni in ambienti geometricamente differenti. Sono temi che ricorrono nella ricerca sviluppata da Peter Zumthor e conducono alla definizione del concetto di “atmosfera”. I ricordi, le immagini e le idee incarnate nella memoria personale guidano il processo progettuale confluendo nella creazione di quella che l’architetto ama definire “atmosfera”. Spesso descrive in modo accurato e appassionato alcuni ricordi spaziali associati alla sua infanzia:

mi ricordo del rumore della ghiaia sotto ai miei piedi, della lucentezza moderata del legno di quercia lucidato delle scale; sento lo scatto della serratura al rinserrarsi della pesante porta di casa alla mie spalle; mi vedo avanzare lungo l’oscuro corridoio verso la cucina, l’unico spazio propriamente rischiarato della casa. (Zumthor 2003, p. 7)

E poi si chiede: «sono in grado come architetto di progettare atmosfere come queste? Sono in grado di restituire la stessa intensità e densità?» (Zumthor 2007, p. 17).

La progettazione delle terme di Vals può ritenersi un esperimento ben riuscito.

Nel sesto punto Frampton pone l’attenzione sul concetto di “vernacolo locale”, ritenendo che il Regionalismo critico possa occasionalmente inserire «elementi vernacolari reinterpretati come episodi disgiunti all’interno di un tutto». (Frampton 1986, p. 387) L’astrazione della forma che contraddistingue l’impianto termale progettato da Zumthor è talmente dominante da lasciare poco spazio ad elementi vernacolari. Indubbiamente la tessitura della pietra che riveste le massicce pareti ricorda antichi muri di contenimento ricorrenti nelle zone di montagna ma la tecnica realizzativa è talmente raffinata e innovativa che i tradizionali muri a secco si trasformano nel cosiddetto “muro composito di Vals”: il calcestruzzo aderisce monoliticamente al rivestimento in strisce sottili di pietra lievemente sfalsate, che restituiscono l’idea di un tessuto. Questa mirabile reinterpretazione del muro a secco, che si afferma come soluzione dominante nella configurazione architettonica dell’opera, non può essere ritenuta “vernacolare”. A tale categoria potrebbero essere ricondotti alcuni elementi che si mostrano come episodi disgiunti in quanto contrastanti con il materiale dominante, lo gneiss verde che riveste l’intero monolite. Sottili tubi da cui sgorga l’acqua, posizionati sulle pareti di contenimento ad intervalli regolari, ringhiere disegnate da esili profili di sezione circolare disposte sul ciglio delle terrazze e delle logge, eleganti porte di accesso alle stanze per le terapie sono tutti elementi costruttivi realizzati in un materiale antico, l’ottone, una lega ossidabile formata da rame e zinco. Episodi disgiunti all’interno del tutto sono anche i rivestimenti in legno scuro utilizzati negli spogliatoi, dai quali affiorano le tecniche trasmesse a Zumthor dal padre durante il giovanile apprendistato di ebanista. Tutti questi elementi, seppure contrastanti con l’immagine dominante dell’opera ed evocativi di antiche tradizioni locali, non sono facilmente assimilabili all’idea di vernacolo. In definitiva, analizzando l’opera si riconosce la tensione «verso una cultura mondiale su basi regionali, quasi come se questa fosse la premessa per raggiungere una forma appropriata della pratica contemporanea» (Frampton 1986, p. 387).

Nel settimo ed ultimo punto si afferma che il Regionalismo critico tende a prosperare in quegli interstizi culturali che sfuggono alla tensione ottimizzante della civiltà universale e si sottrae alla dimensione satellitare imposta dalla cultura globale dominante e da satelliti da essa dipendenti e dominati. In questi interstizi culturali matura un approccio progettuale che, attribuendo valore al luogo, alla storia, alla tradizione, si traduce in una intellettuale reazione alla globalizzazione. La sensibilità dimostrata da Zumthor nella ideazione delle terme di Vals diventa una opportunità per rendere palese una metodologia progettuale che va oltre la specificità del contesto locale, un atteggiamento critico che, sfuggendo alla “tensione ottimizzante” assume comunque una valenza universale. All’interno di un ragionamento sulla ricerca architettonica contemporanea, tra singolarità e universalità, tra dimensione locale e globale, risulta molto efficace una considerazione espressa dall’architetto:

spesso ho l’impressione che gli edifici in grado di sviluppare una presenza particolare nel proprio luogo soggiacciano a una tensione interiore che rinvia oltre, al di là di quel luogo. Essi costituiscono il proprio luogo concreto attraverso il loro testimoniare del mondo. In essi ciò che deriva dal mondo si è coniugato con ciò che è locale. Se un progetto attinge esclusivamente al preesistente e alla tradizione, se ripete quello che il suo luogo gli prestabilisce, mi manca il confronto con il mondo, mi manca la presenza del contemporaneo. E viceversa, se un’opera d’architettura riferisce unicamente del corso del mondo e racconta visioni, prescindendo dal coinvolgimento attivo del luogo concreto, sento la mancanza dell’ancoraggio sensuale dell’edificio nel proprio luogo, sento la mancanza del peso specifico di ciò che è locale. (Zumthor 2003, p. 34)

Peter Zumthor fonda il suo studio nel 1979 e le sue prime importanti realizzazioni risalgono alla metà degli anni Ottanta. Le sue opere non compaiono nel capitolo dedicato al Regionalismo critico che Kenneth Frampton aggiunge nella seconda edizione della sua Storia dell’Architettura Moderna pubblicata nel 1985. Nel 2012 Kenneth Frampton visita lo studio del “santo della montagna”, così è chiamato Zumthor a Haldenstein, un remoto villaggio nel cantone svizzero dei Grigioni attorniato dalle montagne, dove vive e lavora. Il documentario The practice of Architecture: Visiting Peter Zumthor diretto da Michhael Blackwood (2012) è incentrato sull’intervista condotta da Frampton a Zumthor. Muovendosi tra modelli e disegni, a partire dai primi lavori pionieristici e tra questi le terme di Vals, l’architetto si sofferma sulla sua inclinazione al minimalismo, alla valorizzazione del paesaggio, della luce e dei materiali e sulla teoria che informa il suo stile straordinariamente preciso.

L’esperienza progettuale condotta in anni recenti da Peter Zumthor può ritenersi una conferma della tesi sostenuta da Kenneth Frampton, verso la metà degli anni Ottanta, in Regionalismo critico: architettura moderna e identità culturale. Pur radicandosi al sito e recependo le specificità del contesto, le sue opere sono in grado di trasmettere contenuti universali, in definitiva possono essere ritenute l’espressione di un fertile dialogo tra luogo e mondo.

La Svizzera, con i suoi complessi confini linguistici e con la sua tradizione cosmopolita, ha sempre dimostrato forti tendenze regionaliste. Il principio cantonale di ammissione ed esclusione ha sempre favorito forme espressive estremamente dense: il Cantone privilegia la cultura locale mentre la Federazione facilita la penetrazione e l’assimilazione di idee esterne. (Frampton 1986, p. 380)

Bibliografia

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