“Të bëjmë fshatin si qytet!” L’urbanizzazione delle aree rurali nell’Albania socialista

Federica Pompejano



A seguito della fine della Seconda guerra mondiale, l’Albania si ritrovò sotto il governo di una dittatura, i cui ideali politici trovarono convergenza nell’ideologia socialista. L’Albania, che fino ad allora era stata considerata il paese economicamente più arretrato del continente europeo e fortemente caratterizzato da una società tradizionalmente agraria (Kopsidis e Ivanov 2018, p. 36; Brochert 1975, p. 177), iniziò un rapido processo di modernizzazione che portò all’industrializzazione di aree urbane e all’urbanizzazione di aree rurali. Fin dagli anni Cinquanta, questo sviluppo fu economicamente sostenuto dalle sovvenzioni di altri paesi socialisti dell’Europa orientale e dall’Unione Sovietica. Nel processo di costruzione del nuovo ordine dell’Albania socialista, i due principali gruppi sociali della moderna società albanese erano costituiti da operai e da contadini che, insieme all’intelligjencia, formavano la classe operaia (Czekalski 2013, p. 82).

Nell’agosto del 1945, la Legge sulla Riforma Agraria introdusse il principio secondo il quale «la terra appartiene al proprio coltivatore» consentendo la confisca di tutte le grandi proprietà terriere comprese quelle appartenenti alle comunità religiose. Le terre confiscate furono ridistribuite alle famiglie contadine, che fino ad allora possedevano poco, o nessun, terreno coltivabile. La Riforma Agraria del 1945 fu il primo passo verso la costruzione della nuova vita socialista e costituì la prima iniziativa socioeconomica attuata dal regime a forte impatto politico e culturale sulla popolazione contadina. La portata della coercizione politica di Hoxha trovò esemplificazione nell’assoggettamento delle masse all’ideologia socialista, evidenziando cosa intendesse il Partito con stretta e diretta “relazione democratica” con lo stato (AQSH 1950, pp. 2-5). Gli esiti culturali dei processi di modernizzazione trovarono riscontro nell'apertura di scuole e servizi pubblici e sanitari, e si concretizzarono nella grande campagna contro l’esteso analfabetismo della popolazione. Il processo di collettivizzazione andò, seppur lentamente, di pari passo con la costituzione di cooperative e aziende agricole statali (Czekalski 2013, p. 72), terminando solo verso la fine degli anni Sessanta.

Allo stesso tempo, il regime decise di porre ulteriore enfasi sulla bonifica di terre paludose e saline da convertire in terreni produttivi (Brochert, 1975, p. 181). Le principali paludi della pianura albanese, come quelle della piana del Myzeqe e della piana di Korça, furono bonificate e trasformate in terreni agricoli produttivi dotati di un sistema di irrigazione su vasta scala. Osservando attentamente l’attuale territorio albanese, è ancora possibile notare l’estensione della rete idrica composta da fiumi principali, corsi d’acqua e laghi preesistenti a cui il regime aggiunse nuovi bacini idrici, canali di irrigazione e invasi. In seguito alla bonifica dei terreni paludosi e salini, furono realizzate molte opere di arginatura o deviazione di corsi d’acqua al fine di creare vaste superfici irrigue attraverso la realizzazione di opere di terrazzamento. Furono, inoltre, modellati  i fianchi di colline e i profili montuosi di mezzacosta che, da nord a sud, trasformarono i dolci pendii in fasce di terreni agricoli e gli alpeggi in campi arabili.

La via verso la modernizzazione socialista prevedeva anche grandi opere pubbliche per la produzione e fornitura di energia elettrica, specialmente nelle aree rurali e, nel 1967, 730 villaggi rurali, corrispondenti al 29% del totale dei villaggi rurali esistenti fino a quell’anno nel paese, vennero dotati di energia elettrica (Instituti i Studimeve Marksiste-Leniniste 1974, p. 408). Tenendo fede alla pomposa campagna propagandistica, le direttive della seduta plenaria del Comitato Centrale del Partito del Lavoro Albanese, tenutasi nel dicembre 1967, anticiparono all’8 novembre 1971 il raggiungimento dell’obiettivo di fornitura elettrica in tutte le aree rurali; una priorità che il partito di Hoxha aveva inizialmente previsto di raggiungere entro la fine del 1985[1] (Fig. 1). 

In questo contesto, il paesaggio, l’urbanistica e l’architettura vennero posti al servizio di processi di industrializzazione e di urbanizzazione attuati per mezzo di una rigida pianificazione e gestione centralizzata, con il supporto di sovvenzioni economiche per lo sviluppo del paese erogate, fino al 1961, dall’Unione Sovietica e, successivamente, fino al 1978, dalla Repubblica Popolare Cinese (Mëhilli 2017, p. 98).

Inoltre, nell’Albania socialista, le questioni legate allo sviluppo urbanistico e alla definizione della nuova architettura risultarono essere fortemente legate alle previsioni demografiche e alle rigide pianificazioni quinquennali, in vista dei futuri sviluppi dell’industria pesante e leggera e del settore agricolo, nonché subordinate a politiche di nuclearizzazione della famiglia messe in atto contro le pratiche di convivenza tradizionale dei nuclei patriarcali allargati. L’espansione di città esistenti e la fondazione di nuovi villaggi e centri urbani furono quindi fortemente condizionate e regolate, tanto dallo sviluppo industriale, quanto dall'economia delle terre arabili e produttive, e dal rapido processo di razionalizzazione dei materiali e di riduzione dei costi di costruzione.

La costituzione delle Cooperative Agricole e delle Aziende Statali Agricole: la nuova ruralità del dopoguerra

Fin dall’inizio del processo di collettivizzazione, che fu implementato parallelamente all’attuazione della Legge di Riforma Agraria del 1945, l’incessante propaganda del regime per la promozione della formazione e definizione della nuova società socialista e moderna, condizionò un certo linguaggio urbanistico, architettonico e costruttivo, in linea con la nuova ideologia socialista, al fine di favorire i necessari fenomeni di urbanizzazione. Questi ultimi trovarono riflesso, in modo significativo, nelle impellenti trasformazioni del paesaggio rurale. Nel trasformare una ruralità, fino ad allora, di tipo feudale in una moderna ruralità socialista, l’Albania adottò due principali tipi di economie rurali: la Ndërmarrja Bujqësore Shtetërore (NBSH), ossia l’Azienda Statale Agricola, e la Kooperativa Bujqësore e Kooperativa Blegtorale (KB), ossia, rispettivamente, la Cooperativa Agricola e la Cooperativa Zootecnica[2]. Questi modelli economici trovarono corrispondenza in due principali tipi di insediamenti rurali: i centri agricoli socialisti di nuova costruzione, fondati su terreni bonificati o in aree rurali ritenute cruciali per lo sviluppo e la meccanizzazione del settore agricolo, e gli insediamenti cooperativi comprendenti sia villaggi esistenti, sia villaggi di nuova fondazione (Faja, Sukaj and Shehu 1990, p. 4). Tuttavia, la maggior parte delle cooperative agricole nacque a partire da villaggi singoli che, in seguito, vennero economicamente raggruppati con villaggi o insediamenti agricoli limitrofi, per formare unità cooperative di produzione agricola più grandi. Come anche riportato da Brochert (1975, p. 185) il numero delle Aziende Statali Agricole passò da 13 nel 1947 a 32 nel 1968, mentre il numero delle Cooperative Agricole diminuì da 1208 nel 1967, a 643 nel 1970 (Geço 1973, p. 37). Ciò accadde come conseguenza dell’impellente necessità di trasformare in proprietà statale, la proprietà cooperativista, attraverso la conversione delle grandi Cooperative Agricole in Aziende Statali Agricole, sotto il diretto controllo e gestione centralizzata dello Stato.

La collettivizzazione della terra, la meccanizzazione del settore agricolo insieme alla progressiva statalizzazione delle maggiori Cooperative Agricole, furono procedimenti operativi attuati in parallelo ad una rapida urbanizzazione delle campagne. Il processo di urbanizzazione si sviluppò su di un lungo arco temporale, e fu concepito come un processo complesso, strettamente legato e coordinato all’ideologia politica socialista, ai processi di industrializzazione, al rafforzamento dei rapporti di produzione socialisti, all’intensificazione della produzione agricola, alla campagna di elettrificazione del Paese, all’attuazione dei masterplan urbanistici delle città e, infine, all’intensa propaganda di sviluppo socioculturale e coercizione ideologica del regime. L’intento socialista di ridurre il divario socioeconomico e culturale tra le aree urbane e quelle rurali trovò convergenza proprio nell’urbanizzazione e nel tentativo di creazione di appositi insediamenti che fossero strumentali alla formazione della nuova società albanese[3] (Fig. 2).

Pertanto, lo sviluppo di nuovi insediamenti rurali costituì un aspetto cardine nella trasformazione del paesaggio rurale del Novecento albanese, così come il futuro abbandono di questi territori rurali, in seguito al crollo del regime dittatoriale, contribuì durante i primi anni Novanta alla costruzione dei paesaggi rurali dell’Albania contemporanea. Nell’ipotesi di facilitare l’intensificazione della produzione agricola e industriale e di massimizzare gli scambi e approvvigionamenti, gli insediamenti minori sarebbero dovuti gravitare intorno a quelli maggiori e, a loro volta, quelli maggiori avrebbero dovuto essere in stretta connessione con le principali città. Questa disposizione avrebbe dovuto rispecchiare sul territorio il sistema comunista di relazioni economiche, produttive e socioculturali, determinando la struttura funzionale degli ambienti e degli spazi (Gutnov et al 1968, p. 27). Il processo di urbanizzazione delle campagne, tenendo fede alla spinta ideologica socialista, si manifestò anche attraverso quegli schemi logistici specifici tra aree rurali e aree urbane che il regime tentava di attuare fisicamente sul territorio. La costituzione di economie agricole cooperativiste e statalizzate, insieme alla meccanizzazione della produzione agricola, portarono necessariamente alla riorganizzazione del villaggio tradizionale albanese. Di particolare interesse sono infatti gli insediamenti agricoli fondati sulla base dei principi della pianificazione rurale socialista con l’intento di creare e rafforzare la cooperazione tra classe operaia e classe contadina, diminuendo i divari socioculturali ed economici tra contesti urbani e rurali anche attraverso la riorganizzazione urbanistica degli spazi e l’inserimento di nuovi edifici nel contesto rurale. Come anche riportato da Londo (2022, p. 26) «L’individuazione dei mutamenti spaziali secondo il principio di riduzione delle differenze tra città e villaggio […] può essere classificata secondo un sistema gerarchico dal macroregionale al microregionale, fino alla scala locale». A livello territoriale, il cambiamento dello “spazio” rurale trovò una corrispondenza nello sviluppo di masterplan per il governo e la disciplina, a diverse scale, della nuova ruralità socialista del dopoguerra. Tuttavia, come anche riportato da Mëhilli (2017, p. 160), l’intricata pianificazione centralizzata e l’inesperienza di professionisti e tecnici precedettero e rinviarono, nel paese, la nascita e l’evolversi di un costruttivo dibattito sull'urbanistica.

La configurazione generale del villaggio socialista albanese

Dall’analisi dei documenti archivistici conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato (AQSH) e l’Archivio Centrale Tecnico delle Costruzioni (AQTN) di Tirana, è stato possibile ripercorrere l’evoluzione di massima del quadro normativo urbanistico durante gli anni del regime socialista, individuando nei principali documenti, i punti più salienti riguardo le direttive sulla zonizzazione funzionale e sui principali edifici caratterizzanti il masterplan del villaggio socialista albanese.

La zonizzazione funzionale del nuovo villaggio rurale socialista era composta dalla zona residenziale (zona e banimit) e dalla zona economica (zona ekonomike) disposte a formare un insediamento raggruppato secondo differenti schemi. Gli schemi variavano in relazione all'orografia del terreno, ma anche in base alla distanza dalle strade statali che, a loro volta, erano determinanti nel definire il futuro sviluppo urbanistico del villaggio rurale.

Le architetture che formavano la zona residenziale erano principalmente edifici residenziali, individuali e collettivi, gli spazi pubblici comuni disposti tra di essi, le strade e le piazze, i parchi e i campi sportivi, il centro del villaggio composto da spazi di verde pubblico e da edifici socioculturali e amministrativi. La zona economica si componeva di diversi edifici a seconda dell’economia rurale (Cooperativa Agricola o Azienda Statale Agricola) e vocazione produttiva (zootecnica, agricola o industriale/stoccaggio) che era stata assegnata. Anche se non adiacente, solitamente la zona economica era posta in prossimità della zona residenziale per facilitare il pendolarismo dei lavoratori (Fig. 3).

A partire dagli anni Cinquanta il percorso verso i processi di standardizzazione dell’architettura riguardò anche la progettazione dell’edilizia rurale. Il metodo, mutuato dall’Unione Sovietica, consisteva nella progettazione e nello sviluppo di tipi-standard applicabili in ogni settore, in diversi contesti e su larga scala[4]. La tipizzazione (tipizimi), o standardizzazione (standardizimi), era considerata il metodo progettuale e di produzione principale da adottare nei vari settori produttivi del paese, così come era considerata fondamentale al fine di una progettazione architettonica efficiente e funzionale e nello sviluppo della nuova urbanistica socialista[5]. In Albania, i processi di tipizzazione e di standardizzazione furono integrati da una costante ricerca e dibattito intorno al carattere nazionale dell’architettura (karakteri kombëtar i arkitekturës). Il carattere nazionale dell’architettura doveva plasmarne la forma e i volumi, derivando dallo studio, l’approfondimento e l’analisi dei caratteri storici dell’architettura tradizionale locale al fine di evitare il rischioso impatto della monotonia nel linguaggio formale della nuova architettura socialista[6]. Come in altri paesi socialisti, anche in Albania gli studi intorno alle tipologie abitative rurali furono vari e portarono alla produzione di un ampio repertorio di soluzioni praticabili che, durante tutta la durata della dittatura, evolsero da progetti di case unifamiliari a un piano e semplici villette a schiera a due piani, a residenze collettive multipiano. Quest'ultima tipologia venne maggiormente progettata, e poi realizzata, nelle aree periurbane e nelle nuove città a vocazione industriale. Dalla fine degli anni Settanta, e in seguito alle direttive del Decreto del Presidio dell’Assemblea Popolare (DPAP) no. 5747/1978 che auspicava l’aumento dell’indice di edificabilità, e quindi l’aumento della densità abitativa nelle campagne, senza ulteriore compromissione dei terreni agricoli produttivi, le abitazioni da realizzare nei villaggi delle Cooperative Agricole dovevano avere un’altezza minima di due piani e, possibilmente, essere disposte secondo masterplan che prevedevano raggruppamenti di case a schiera. Nei maggiori centri rurali facenti parte di Aziende Statali Agricole, il Decreto indicava come preferibile, la costruzione di abitazioni collettive (banesa kolektive) di altezza complessiva pari a tre o quattro piani. Il processo di tipizzazione e di standardizzazione fu applicato anche ad altre componenti del nuovo villaggio rurale socialista, come le scuole elementari e materne, gli edifici amministrativi, comunali e di assistenza sanitaria, gli esercizi commerciali statali, i cosiddetti Magazina Popullore (MAPO) e, nei villaggi più piccoli, la tipizzazione riguardò anche l’architettura degli edifici culturali come la Casa della Cultura (Shtepi Kulture or Vatra Kulture) e del Museo del Villaggio (Muzeu i Fshatit). Nel tessuto urbanizzato e nel portfolio architettonico del nuovo villaggio rurale socialista albanese, al centro del villaggio (qendra e fshatit) fu assegnato un ruolo chiave nel disegno propagandistico del regime. Concepito come un insieme architettonico e uno spazio pubblico con funzione socioculturale e di propaganda, il centro era formato dalla piazza principale e dalle vie centrali intorno alle quali sorgevano gli edifici socioculturali, amministrativi e commerciali. Il qendra e fshati era lo spazio previsto per lo sviluppo quotidiano della nuova vita sociale e culturale della moderna ruralità socialista. Pertanto, fu considerata come l'unità di zonizzazione più importante del masterplan, attorno alla quale impostare e strutturare lo sviluppo residenziale e l’eventuale futura espansione del villaggio rurale.

Infine, anche per la zona economica furono sviluppati progetti-tipo (projekt-tip) atti a facilitare e a sveltire la costruzione di magazzini per la raccolta e lo stoccaggio dei prodotti agricoli, depositi per il ricovero e la manutenzione dei macchinari agricoli, officine meccaniche e stalle per l’allevamento intensivo del bestiame.

Verso lo sviluppo di un’urbanistica per la nuova ruralità socialista

La costruzione del socialismo richiese, anche nel settore agricolo, la creazione di nuovi e sempre più massicci complessi territoriali agricolo-industriali, destinati a raggruppare la massa operaia e contadina in determinati punti geografici, logisticamente strategici non solo all’industria e all’agricoltura, ma anche alla propaganda ideologica del regime. I futuri architetti e urbanisti socialisti vennero considerati gli «organizzatori [del] processo sociale nel tempo e nello spazio» (Gutnov et al, 1968, 7) incaricati di trovare una struttura territoriale e spazio-funzionale che corrispondesse alle nuove economie rurali.

Il 9 agosto 1947, una Commissione per lo studio dei progetti per i masterplan dei nuovi centri rurali, composta principalmente da rappresentanti dei vari settori del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e da rappresentanti del Ministero dei Lavori Pubblici, del Ministero dell’Istruzione, Ministero della Sanità e del Comitato Centrale delle Cooperative, si riunì per discutere alcune questioni relative alla progettazione e alle caratteristiche dei nuovi insediamenti rurali (AQSH, 1947, 4). La Commissione convenne riguardo la particolare idoneità delle zone pianeggianti e collinari ad ospitare i nuovi insediamenti rurali. Le zone da privilegiare avrebbero dovuto essere quelle la cui superficie avesse assicurato ad ogni famiglia contadina un appezzamento di terreno di circa 800-1500 m2 e la possibilità di una futura espansione territoriale dell’insediamento stesso. La fase progettuale dei masterplan fu inizialmente affidata alla neonata Azienda Statale per lo Studio, i Progetti e i Collaudi (Ndërmarrja Studime, Projekte, Kolaudime)[7] che operava sotto la supervisione del Ministero dei Lavori Pubblici e in stretta collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e i rappresentanti di altri Ministeri. Nel masterplan di ogni nuovo insediamento rurale, avrebbe dovuto essere esplicitato il numero delle future famiglie residenti, le tipologie e il numero degli edifici da costruire. Nell’affrontare i diversi aspetti della pianificazione, la Commissione del 1947, affidò a ciascun Ministero compiti diversi e specifici. Ad esempio, al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali venne affidato il compito di progettare le tipologie abitative rurali più idonee e in relazione alla vocazione produttiva agricola o zootecnica e alle direttive economiche e demografiche dell’insediamento. Il Ministero della Salute fu incaricato di pianificare in quale dei nuovi insediamenti rurali costruire piccoli ambulatori medici, mentre il Ministero dell'Istruzione venne preposto all’identificazione del numero di edifici scolastici, di livello elementare e superiore, da costruire sulla base del numero di famiglie previsto dal masterplan, oltreché alla supervisione della fase di studio e progettazione di edifici socioculturali e spazi pubblici, quali piccoli cinema, biblioteche e sale di lettura, campi sportivi e piazze.

Tuttavia, dieci anni dopo, nel 1956, lo sviluppo e l’implementazione della pianificazione urbanistica dei nuovi villaggi e centri rurali risultava essere ancora critica: gli unici masterplan effettivamente elaborati e attuati, erano quelli di alcune Stazioni di Macchine e Trattori (Stacionet e Makinave dhe Traktoreve – SMT, insieme ai i masterplan dei villaggi rurali di Orman-Pojan e Nishavec, due piccoli centri rurali collocati nella pianura di Maliq (AQSH 1956, p. 32). In generale, ciò che emerse da un rapporto presentato nel 1956 dall’allora Ministro delle Costruzioni, Josif Pashko, fu che, nel primo decennio di instaurazione del regime, la mediocrità e inefficienza della progettazione urbanistica nelle aree rurali e urbane era dovuta all’insufficienza di specialisti e tecnici e alla mancanza di un sistema centrale stabile che potesse assicurare un’efficiente organizzazione, gestione e controllo degli enti di pianificazione (AQSH 1956, pp. 34-35).

Per superare la difficile situazione, Pashko suggerì l’istituzione, presso il Ministero delle Costruzioni, di un dipartimento di pianificazione urbana dedicato allo sviluppo dei progetti urbanistici, e «[…] per beneficiare dell’esperienza dei paesi socialisti, in particolare [dell’esperienza] di quelli simili al nostro paese, [c’è bisogno di] inviare ingegneri e architetti [per l’acquisizione di competenze tecnico-scientifiche]. […] [e] di prolungare la permanenza degli architetti bulgari operanti presso il Settore Urbanistico della Ndërmarrja ‘Projekti’» (AQSH 1956, p. 38). Alle precedenti misure riportate nella relazione di Pashko, venne allegata anche una primissima bozza di Decisione del Consiglio dei Ministri (DCM) in cui si delineavano e si affrontavano le problematiche evidenziate in merito alla redazione dei masterplan delle città e dei nuovi insediamenti agricoli e industriali e alla costruzione di edifici nelle aree rurali.

Successivamente alle osservazioni critiche di Pashko, vennero emanati due importanti atti legislativi. Il DCM n. 2974, 12 ottobre 1959, “Sulla redazione, approvazione ed attuazione dei piani regolatori delle città e dei centri abitati”, e il Regolamento “Sulla progettazione edilizia nelle città e nei centri abitati”, complementare al sopracitato DCM, per la disciplina della progettazione edilizia nelle aree urbanizzate. Nella premessa introduttiva del Decreto, scritta dallo stesso Pashko, venne dichiarato che il Regolamento fosse «basato sulla nostra esperienza del costruire in città e nei centri abitati del nostro paese», con riferimento alla «letteratura [tecnica] straniera» (AQSHa 1961, p. 8). Il DCM n. 2974/1959 fu approvato con DCM n. 282, 16 agosto 1961, e firmato dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri, l'ingegner Spiro Koleka[8]. Nello stesso periodo, a coadiuvare questi primi tentativi di regolamentazione dei lavori di edificazione nelle aree rurali urbanizzate, venne emesso anche il Decreto del Presidio dell'Assemblea Popolare n. 3303, 24 luglio 1961, “Sull’economia del fondo nelle opere edilizie ed altre opere” allo scopo di limitare e sanzionare l'uso abusivo di terreno produttivo agricolo e disciplinare le opere edilizie nelle campagne. Questi tre atti legislativi sono da ritenersi di fondamentale importanza in un contesto che, fino a quel momento, avvallava lavori edilizi a monte di una progettazione urbanistica fittizia.

Sull’onda della regolamentazione edilizia nelle aree rurali e urbane innescata da Pashko, nell'ottobre del 1961, il Ministero dell'Agricoltura in collaborazione con il Ministero dell'Edilizia pubblicarono un opuscolo, contenente delle linee guida, intitolato Pianificazione Urbana dei Centri Agricoli (Projektim Urbanistik i Qendrave Bujqësore). Questo opuscolo venne concepito come un prontuario di indicazioni generali per la selezione delle località più idonee alla fondazione di nuove zone residenziali e produttive per le Cooperative Agricole con informazioni, materiali e dati normativi per la redazione dei masterplan. Queste linee guida ebbero lo scopo principale di informare specialisti quali agronomi, zootecnici, tecnici edili e gli organi direttivi e amministrativi delle Cooperative Agricole (AQSHb 1961a, p. 64/1) traendo ispirazione dalle direttive del 4° Congresso del Partito del Lavoro d’Albania (PLA), durante il quale Enver Hoxha chiese di «prestare attenzione allo sviluppo futuro dei villaggi, che [avrebbero dovuto] consistere non solo di centri economico-agricoli, ma anche di importanti insediamenti residenziali, culturali ed educativi, per rappresentare realmente il nuovo villaggio socialista» (AQSHb 1961, p. 64/3).

L’importanza di queste linee guida risiede nell’essere, de facto, il primo tentativo ufficiale pratico-operativo di regolamentazione urbanistica e costruzione di opere edilizie nelle aree rurali. Tra i contenuti vennero inserite anche informazioni in merito al clima nelle varie zone del paese e la composizione geologica generale del terreno delle zone rurali pianeggianti, alle condizioni degli aspetti da considerare per l'ubicazione delle aree residenziali e produttive e alle circostanze che avrebbero consentito il trasferimento dei villaggi esistenti e il conseguente spostamento della popolazione. Lo schema urbanistico avrebbe dovuto variare in relazione all’orografia del terreno, con la proposta di adottare in maniera preferenziale una maglia urbana quadrata nelle aree pianeggianti e una disposizione degli edifici lungo le curve di livello nel caso di terreno collinare (Fig. 4).

La zona residenziale avrebbe dovuto trovarsi ad un'altitudine maggiore rispetto alla zona produttiva ed essere suddivisa in un'area amministrativa, socioculturale e abitativa. Inoltre, l'organizzazione del nuovo villaggio rurale avrebbe dovuto tener conto delle condizioni locali, prestando attenzione agli edifici preesistenti, soprattutto a quelli di valore storico (AQSHb 1961, p. 64/14). All'interno della zona residenziale del nuovo villaggio rurale socialista, l'unità spaziale più piccola e più importante avrebbe dovuto essere l’appezzamento o parcella individuale (ngastër individuale) che doveva essere assegnato a ciascuna famiglia della Cooperativa Agricola (AQSHb 1961, p. 64/16). L’appezzamento o parcella individuale, avrebbe dovuto essere composto dal cortile davanti alla casa (oborri para shtepisë), dal lotto edificabile per la costruzione della casa d’abitazione (trualli e shtëpisë) e dall’orto o piccolo giardino coltivabile (kopështi) [Fig. 5]. L’appezzamento o parcella individuale, di forma rettangolare, avrebbe dovuto avere una superficie massima di 300 m2, comprensiva della superficie destinata alla costruzione della casa d’abitazione; quest'ultima doveva essere posta trasversalmente, lungo l'asse longitudinale del lotto, a 3-5 m di distanza dalla strada e a 4-6 m di distanza dalle abitazioni dei lotti adiacenti.

La zona di produzione, comprendente anche la zona intermedia ausiliaria, avrebbe dovuto essere collocata in posizione favorevole rispetto ai principali collegamenti viari e ai terreni coltivati a foraggio, prestando attenzione a proteggere i fabbricati dall'esposizione ai venti. Essa avrebbe dovuto comprendere l'insieme di quegli edifici e costruzioni ausiliarie destinati all'agricoltura intensiva, alla conservazione e allo stoccaggio dei prodotti agricoli e ai servizi connessi allo svolgimento dell’attività agricola, nell’ottica di una crescente massimizzazione della meccanizzazione dei processi di lavoro.

Nella breve ricostruzione generale dell’excursus legislativo in materia di progettazione e regolamentazione urbanistica delle aree rurali dell’Albania socialista, queste linee guida possono essere collocate tra i primi tentativi di incorporazione dei principi dell’ideologia socialista nella pianificazione urbanistica applicata al peculiare contesto albanese, in un periodo in cui, per il regime, la stessa disciplina urbanistica nascente costituiva un “terreno incerto” e sperimentale, sia dal punto di vista operativo, pratico e teorico. Questo documento segna infatti l'inizio di una serie di future ordinanze, decreti e regolamenti che costituiranno importanti riferimenti legislativi per lo studio dell'evoluzione della disciplina urbanistica nell’Albania socialista del Ventesimo secolo. Questa serie di riferimenti legislativi avrà il suo culmine nel 1978 con l’emissione del Decreto del Presidio dell’Assemblea Popolare (DPAP) no. 5747 “Per la redazione, approvazione e attuazione dei piani regolatori di città e villaggi” and villages” e il relativo Regolamento “Per la redazione e attuazione dei piani regolatori di città e villaggi” approvato con DCM n. 47, 10 luglio 1978 (AQSH 1978a, p. 70, AQSH 1978b, p. 102).

La fine degli anni Settanta coincise anche con la scissione dagli accordi bilaterali con la Cina e con il conseguente duro periodo autarchico del Paese. Il testo introduttivo del sopracitato Decreto rispecchiava chiaramente questo momento storico iterando che, tra le priorità e gli obiettivi principali della Repubblica Popolare Socialista dell’Albania, continuava ad esserci:

[…] la progettazione e costruzione di città e villaggi di ispirazione socialista e fisionomia nazionale, contro ogni influenza [derivante] dall'ideologia borghese e revisionista; per la concentrazione e l'aggregazione [razionale] degli edifici, [con l’intento di] salvaguardare il più possibile i terreni agricoli, e specialmente la terra coltivabile; per [fornire] la soluzione agli attuali problemi urbanistici e prospettive sulla base di studi scientifici (AQSH 1978a, p. 63).

Nel ribadire la fedeltà del regime di Hoxha ai principi fondamentali del socialismo, l’importanza di quest’ultimo atto normativo ricadde proprio nel costituire il primo documento, dall'inizio della dittatura, dimostrante intenzioni esplicative in merito alle responsabilità, a livello di governo centrale e locale, nei processi di pianificazione e regolamentazione urbanistica, superando un periodo prolungato di incertezza professionale teorico-operativa nel campo, causato dall'inesperienza di professionisti e autorità, durante il quale la nascente disciplina urbanistica dell’Albania socialista si trovava in una situazione tanto confusa, quanto più sperimentale. Tuttavia, nonostante la suddetta dichiarazione di intenti presentata come priorità del regime, la dittatura considerò le questioni legate all'architettura e all'urbanistica nei contesti rurali per lo più secondarie rispetto alle tematiche e ai processi legati allo sviluppo dei piani industriali. In generale, nell’Albania socialista mancava un vero e proprio dibattito professionale e teorico pubblico al di fuori della propaganda ideologica. Nonostante nella seconda metà degli anni Settanta il dibattito intorno al ruolo dell'urbanistica e dell'architettura avesse cominciato a suscitare qualche interesse, esso rimase sempre subordinato alle finalità produttive ed economiche in relazione all'impellente necessità di industrializzare il Paese.

Note

[1] Si noti come la data 10 novembre 1971 sia stata scelta, dal Comitato Centrale del PLA, proprio per la sua corrispondenza con le celebrazioni per il 30° anniversario della Fondazione del Partito del Lavoro d’Albania (PLA).

[2] La prima Cooperativa Agricola fu costituita l’11 novembre 1946 nel villaggio di Krutja, distretto di Lushnjë, nella piana del Myzeqe, Albania centrale (Skarço 1987, p. 27).

[3] La massima “Të bëjmë fshatin si qytet!”, ossia “Facciamo del villaggio una città!”, fu tra le più comuni utilizzate dalla propaganda del PLA per promuovere l’urbanizzazione delle aree rurali.

[4] La terminologia utilizzata è presa in prestito e tradotta dalla letteratura sovietica. Nei documenti albanesi consultati, con riferimento ai processi di standardizzazione, si leggono i termini: standardizimi (standardizzazione), tipizimi (tipizzazione) e projekt-tip (progetti-tipo).

[5] Va inoltre sottolineato che, parallelamente alla crescente evoluzione della disgregazione dei rapporti politici ed economici con gli altri stati del Blocco Sovietico e con la Cina, dalla fine degli anni Settanta, accanto al concetto di tipizzazione, fu introdotto il processo di semplificazione dei progetti (thjeshtimi i projekteve) con l’obiettivo di risparmiare sempre più materie prime da costruzione e ridurre i costi di produzione e costruzione.

[6] Pompejano F. (2021), “Materialising Modernity in Rural Socialist Albania”, in A. Tostões, Y. Yamana (Eds), Proceedings of the 16th Docomomo 2020+1 International Conference, Inheritable Resilience: Sharing Values of Global Modernities, Tokyo (JP), 29 August-2 September 2021, Vol. 3, 950-955, Docomomo International & Docomomo Japan, Tokyo Japan, ISBN 987-4-904700-71-6.

[7] Con la creazione della Ndërmarrja Projekti nel 1947, questo organo di governo, vigilato dal Ministero dei Lavori Pubblici, fu soppresso. A sua volta, la Ndërmarrja Projekti fu poi soppressa e sostituita nel 1965 dall’Instituti Shtetëror të Projektimeve (ISP), ovvero l’Istituto Statale di Progettazione. Quest’ultimo fu definitivamente sostituito nel 1973 dall’Instituti i Studimeve dhe i Projektimeve të Urbanistikës dhe Arkitekturës (ISPUA), ovvero l’Istituto per lo Studio e la Progettazione dell’Urbanistica e dell’Architettura. Articolato in otto settori, l’ISPUA era un organo subordinato al Ministero delle Costruzioni. A livello locale, gli Zyrat e Urbanistikës dhe Projektimit (ZUP), ovvero gli Uffici di Pianificazione e Progettazione Urbana, dislocati nei ventisei distretti, erano incaricati di coadiuvare operativamente l’ISPUA nell’attuazione dei compiti tecnici e metodologici a livello locale.

[8] La Decisione del Consiglio dei Ministri (DCM) n. 2974, 12 ottobre 1959, “Sulla redazione, approvazione ed attuazione dei piani regolatori delle città e dei centri abitati” e del Regolamento complementare “Sulla progettazione edilizia nelle città e nei centri abitati” approvato con Decreto del Consiglio dei Ministri n. 282, 16 agosto 1961, sarà successivamente rivista nel 1970 dal nuovo Ministro delle Costruzioni, l’ingegner Shinasi Dragoti (AQSHb 1970, pp. 1-16).

Bibliografia

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*Acknowledgments

Questo contributo è stato redatto nell’ambito del progetto di ricerca intitolato “Materializing Modernity – Socialist and Post-socialist Rural Legacy in Contemporary Albania (MaMo)” finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma di Ricerca e Innovazione Horizon 2020, Accordo di ricerca “Marie Skłodowska-Curie Action – Individual Fellowship – Grant Agreement No. 896925” (https://cordis.europa.eu/project/id/896925).