La modernizzazione rurale in Lituania dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta: dalle agro-città funzionaliste all’approccio regionalista

Marija Drėmaitė



Pianificazione regionale e modernizzazione rurale

L'urbanizzazione e l'industrializzazione delle repubbliche baltiche – Lituania, Lettonia ed Estonia – durante l’occupazione sovietica (1940-1990) hanno avuto un’importante ricaduta socio-economica. Infatti, la prospettiva di uno sviluppo economico di lungo periodo ha messo in luce una possibile struttura territoriale.

La ristrutturazione forzata del settore agricolo – che ha avuto un impatto diretto su quasi il 70% della popolazione lituana proprietaria di terreni - aveva un duplice obiettivo: l'eliminazione delle fattorie a conduzione familiare che erano il nucleo portante della proprietà privata e una maggiore assimilazione tra città e campagna, in linea con le direttive del Partito Comunista. Nel 1947, il Partito adottò la risoluzione Sulla costruzione di fattorie collettive nelle Repubbliche Socialiste Sovietiche di Lituania, Lettonia ed Estonia, disponendo che le fattorie collettive modello fossero dotate di tecnologie moderne per promuovere la collettivizzazione agricola. Nel 1952 quasi il 93,8% della popolazione rurale della Lituana, che comprendeva ancora 343.200 aziende private (Butkevičius 1980, 9–10), era stata indotta a confluire nelle fattorie collettive, al punto che il Settimo Congresso del Partito Comunista Lituano proclamò la fine della collettivizzazione nella Lituania sovietica.

Questo processo forzato suscitò il malcontento e la resistenza popolare, anche perché, in questa prima fase, furono istituite solo poche comunità modello a scopo prevalentemente propagandistico. La localizzazione dei principali insediamenti rurali veniva individuata in base ai piani per la riorganizzazione delle singole repubbliche in zone destinate a diverse produzioni, ai quali facevano seguito piani più dettagliati e progetti specifici per l’ubicazione e la configurazione dei singoli centri agricoli e industriali.

Il Consiglio Economico Regionale della Lituania, attivo dal 1959 al 1964, produsse un Piano a lungo termine per lo sviluppo urbano e industriale che indicava l'ubicazione degli impianti industriali e degli insediamenti rurali e l’apertura di nuove strade, oltre a suggerire l'uso corretto delle risorse idriche e le soluzioni ai problemi generati dalla simultaneità tra urbanizzazione e ristrutturazione agricola (Drėmaitė 2017, 116–145). Nel 1960 l'architetto Steponas Stulginskis predispose una Metodologia di pianificazione per i distretti rurali dell'intera repubblica che fu poi utilizzata come base per la pianificazione regionale. Delle tenute agricole a conduzione familiare che esistevano prima della Seconda Guerra Mondiale, ne furono smantellate quasi 115.000 tra il 1967 e il 1991. Nel 1975, la Lituania contava 3.089 insediamenti rurali, suddivisi in due categorie: centrali (1.542) e secondari (1.547) (Butkevičius 1980, 99). Nel 1983 il 64% della popolazione rurale lituana viveva negli insediamenti agricoli collettivi (Vėlyvis 2000, 25–31).

L’urbanizzazione rurale poneva due problemi di architettura. In primo luogo, si trattava provvedere alle abitazioni dei contadini costruendo case unifamiliari con fattoria annessa oppure residenze collettive. Il secondo problema riguardava la configurazione e le funzioni dei nuovi insediamenti agricoli collettivi. Su questi temi le posizioni cambiarono radicalmente nel corso degli anni: inizialmente si scelse di trapiantare tipologie abitative urbane nei contesti rurali, alla fine invece ripresero vigore le tradizioni architettoniche regionali, nel solco della sperimentazione architettonica postmoderna.

Gli anni Sessanta: standard urbani per insediamenti rurali

L'urbanizzazione rurale procedette quasi esclusivamente attraverso la collettivizzazione forzata. Dal punto di vista ideologico, i kolchoz (le fattorie collettive) e i sovchoz (le fattorie collettive statali) avrebbero promosso la sovietizzazione dello stile di vita. Ogni kolchoz era organizzato in zone funzionali: un centro, una zona residenziale, una zona industriale e i terreni agricoli. Col tempo, i residenti abbandonavano i villaggi impoveriti dalla collettivizzazione, anche perché mancavano agronomi con una solida formazione. Alla fine degli anni Cinquanta, con la modernizzazione del Partito Comunista Sovietico, Nikita Kruscev propose di dotare gli insediamenti rurali di una qualità di vita urbana, anche per attrarre i talenti necessari. Kruscev propose di sostituire milioni di villaggi con un numero molto minore di agro-città di 10.000 abitanti (Pallot 1993, 211–231). Nel 1961 fu costruita nei pressi di Mosca l’agro-città Zarya Kommunizma (Alba del Comunismo), presentata come modello.

Secondo il nuovo programma, tutti i kolchoz avrebbero dovuto essere ricondotti a tre categorie: quelli centrali, con infrastrutture consolidate, un centro amministrativo e alloggi per i dipendenti delle aziende agricole collettive; quelli secondari, con comunità residenziali impegnate esclusivamente nell'attività dell’aziende, quelli da non sviluppare, i cui residenti sarebbero stati trasferiti in un kolchoz centrale. Il Piano di Sviluppo della Repubblica Socialista Sovietica della Lituania prevedeva 2.200 insediamenti potenziali (di cui 1.150 centrali e più di 1.000 secondari) e 1.300 comunità da non sviluppare (Drėmaitė 2017, 116–145). [Fig. 1]

Quello che seguì fu il periodo più estremo dell'urbanizzazione rurale sovietica. Furono abolite le proprietà agricole familiari, vietando alle famiglie di tenere animali domestici, si costruirono condomini nelle campagne, stravolgendo il rapporto della popolazione con l'ambiente.

L’insediamento sperimentale di Dainava, costruito per i 1.000 dipendenti dell'azienda avicola statale (sovchoz) di Leonpolis nella Lituania centrale su progetto di Virginijus Šimkus, Ramūnas Kamaitis, Algimantas Staskevičius (1965-1969), fu trasformato in un’agro-città, una sorta di modello per i villaggi lituani del futuro. Dainava esemplificava il concetto di moderno insediamento di carattere urbano: il terreno fu livellato per costruire il centro amministrativo con gli edifici pubblici, tra cui il primo centro commerciale in un villaggio lituano. Tutte le strade intorno a Dainava furono asfaltate e un’area di 3,2 ettari fu riservata a parco; gli orti individuali vicino alle case furono sostituiti da quelli collettivi, una vera e propria novità per una comunità di villaggio.

La piazza centrale di Dainava era circondata da condomini di due o tre piani: una volta costruiti, anche gli edifici di servizio avrebbero dovuto essere organizzati in modo diverso da quello tradizionale. A questo scopo, a una distanza di circa 200-300 metri dalla zona residenziale, fu costruita una grande struttura a un piano con magazzini distinti per ogni appartamento. [Fig. 2] Come nelle città, i garage per le automobili furono concentrati in un unico grande parcheggio. Anche gli animali erano stati concentrati in un'unica stalla comune. Per quanto progressista dal punto di vista igienico-sanitario, questa soluzione estrema fu accolta negativamente dai residenti per la sua scomodità.

Dainava era l’esempio più chiaro di una politica che mirava a «trapiantare la città nel villaggio», tanto che nel 1971 ricevette il Premio di Stato dell'URSS. Le reazioni furono contrastanti: già durante i lavori di costruzione fu chiaro che i condomini non erano adatti ad alloggiare i contadini, i quali avevano bisogno di cucine, cantine e locali di servizio più spaziosi. In seguito, nei pressi del parco di Dainava, furono costruite una serie di case in mattoni a un piano con annessi appezzamenti agricoli.

Gli anni Settanta: la ricerca di un’identità regionale

Nel 1967 i nuovi insediamenti rurali, così uniformi e simili ai quartieri urbani, diventarono oggetto di critiche: erano architettonicamente freddi e privi dell'atmosfera accogliente tipica dei villaggi (Kalmykova 1968, 15–22). Da un punto di vista ideologico, si riteneva che i moderni insediamenti rurali sovietici non dovessero assomigliare ai grandi complessi residenziali urbani, né ai vecchi villaggi. Si trattava di progettare un insediamento rurale innovativo, tanto più che i nuovi indirizzi politici miravano a concentrare le istituzioni culturali e i servizi di consumo nel nucleo centrale dei villaggi. Dando priorità alla progettazione dell'urbanizzazione rurale, erano previsti alloggi diversificati per gli agricoltori (non più i condomini a due o tre piani).

In questo periodo le tre repubbliche baltiche furono incoraggiate a prendere l'iniziativa; nel 1968 il compito della pianificazione degli insediamenti rurali passò a istituzioni di livello locale, come i Dipartimenti di Progettazione di Costruzioni Agricole Collettive istituiti nel 1966 in Estonia e nel 1968 in Lituania. Furono banditi concorsi di progettazione, si organizzarono conferenze di architettura a livello regionale e si tenne la prima rassegna architettonica sovietica dedicata ai kolchoz, incoraggiando la realizzazione di progetti pilota.

Il periodo dalla metà degli anni Settanta agli anni Ottanta segnò una crescita stabile per la produzione agraria delle repubbliche baltiche. I sovchoz più floridi investivano nella realizzazione di nuove abitazioni, mentre i presidenti dei kolchoz si contendevano il primato anche nel campo della sperimentazione architettonica e della pianificazione, riprendendo l’idea della città-giardino (Kalm 2009, 128–147). Questo fu un periodo d’oro per molti giovani architetti di talento, che cominciarono a realizzare le proprie idee con grande entusiasmo. Le case che non seguivano gli standard erano sempre di più, mentre cominciavano a sorgere i grandi edifici amministrativi che aggregavano i servizi collettivi e le attività culturali. Spesso questi grandi complessi sfruttavano al meglio la topografia per ottenere una posizione scenografica di impatto paesaggistico. Il titolo di un articolo di un architetto lituano sintetizza perfettamente il nuovo corso: Proteggete i nostri villaggi dalle strutture urbane! (Šešelgis 1984, 4).

Nel 1978 un ulteriore impulso alla costruzione di case unifamiliari arrivò dalla sessione plenaria del Partito Comunista Sovietico. Si riaffermò la convinzione che migliori condizioni di vita avrebbe costituito un’attrattiva anche per gli agronomi più esperti. Presto questa ideologia si materializzò nella cosiddetta Casa Alytus prodotta nella Lituania meridionale dalla Alytus Experimental Home Construction Factory, che realizzava case a pannelli con struttura in legno dall'aspetto tradizionale: una sorta un compromesso tra il tentativo di riportare le case unifamiliari negli insediamenti rurali senza rinunciare all'industrializzazione edilizia e all'assemblaggio. [Fig. 3, 4]

Esperimenti di città giardino

Tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta cominciarono ad emergere comunità agricole collettive moderne, radicate nel paesaggio circostante che si identificavano nelle tradizioni architettoniche regionali.

Nel 1974-1975, le case unifamiliari isolate costituivano il 60% di tutte le abitazioni della Repubblica Socialista Lituana (Butkevičius 1980, 105). Un numero crescente di case fu costruito secondo progetti ad hoc, mentre facevano la loro comparsa i nuovi complessi amministrativi e culturali caratterizzati da una spiccata espressività architettonica e da una collocazione paesaggistica scenografica. I progettisti adottarono diverse strategie compositive: sfruttarono la topografia evitando intersezioni stradali ad angolo retto e adottarono diverse tipologie abitative, anche le case bifamiliari a schiera. Per riqualificare il patrimonio edilizio preesistente, venivano incoraggiati nuovi innesti nei villaggi esistenti.

La gestione della prospera rete di aziende agricole collettive della Lituania sovietica segnava un punto di equilibrio tra l’asservimento dei contadini, il paternalismo industriale di matrice ottocentesca - animato dall’onnipotente presidente del kolchoz - e i metodi di coltivazione collettiva (l'approccio del vaso comune). I presidenti dei kolchoz più produttivi ingaggiarono una sorta di competizione per la costruzione di nuovi centri amministrativi e culturali, assumendo un architetto a tempo pieno che sovrintendesse all’attività costruttiva di routine e si facesse interprete delle crescenti ambizioni identitarie della collettività.

La comunità modello di Juknaičiai, un sovchoz centrale nella Lituania occidentale, diventò un caso emblematico, grazie alle ambizioni del suo presidente e alla ricchezza dell’architettura regionale alla quale si rivolsero gli architetti del tardo modernismo. Zigmantas Dokšas, il nuovo presidente, aveva l’aspirazione di dare vita a un ambiente che favorisse e rispecchiasse il benessere della comunità. Nel 1974, il piano per la sistemazione di Juknaičiai e dell’adiacente parco segnò una svolta nell’ambito dell'architettura rurale, proponendo un’originale sintesi tra forme scultoree, architetture monumentali e modellamento del paesaggio. Su iniziativa del presidente, il parco e gli edifici collettivi accolsero opere di famosi artisti lituani. In questa fase, l'amministrazione del sovchoz aprì due posizioni: una per un architetto e l’altra per un progettista di interni. Sulla base di quanto aveva visto all'estero, il presidente Zigmantas Dokšas diede il via libera alla costruzione di edifici residenziali svincolati dagli standard.

In nuovi interventi residenziali variavano dalle case con appartamenti su due livelli (di un piano e mezzo e due piani e mezzo) di Edmundas Vičius, alle case per otto appartamenti di Stanislovas Kalinka. Anche gli edifici collettivi erano caratterizzati da linee fluide, con facciate in mattoni rossi e tetti a falda. L’impianto introverso della casa di riposo, per esempio, richiamava un monastero. Il principale punto di riferimento verticale di Juknaičiai era una torre dell'acqua con un piccolo tetto di tegole rosse e un segnavento tipico della regione. L’adiacente centro benessere progettato da Stanislovas Kalinka nel 1977, accoglieva la sauna e la lavanderia, ma assomigliava a una chiesa.

Juknaičiai fu uno dei kolchoz modello più visitati dell'intera Unione Sovietica proprio grazie all’unicità delle sue architetture. Dopo i primi riconoscimenti in occasione di una rassegna sovietica, nel 1988 fu il primo e unico kolchoz a ricevere l'ambito Premio Lenin. Questo riconoscimento, che generò un ulteriore interesse, sancì il cambiamento di rotta in corso nell'architettura degli insediamenti rurali. [Fig. 5, 6]

Conclusioni

Per comprendere la specificità della pianificazione rurale nelle repubbliche baltiche bisogna considerare la loro forzata, relativamente tardiva, sovietizzazione a partire dal 1940, come pure la persistenza delle vecchie tradizioni di vita e di lavoro nelle singole fattorie. Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, la crescita dell'economia agraria e, parallelamente, le aspirazioni di una giovane generazione di architetti e pianificatori, ebbero un impatto determinante sul paesaggio fisico e culturale delle campagne lituane. Per quanto costituite in conformità con le direttive sovietiche, le comunità rurali baltiche riuscirono a conservare e sviluppare alcune caratteristiche distintive. Emerge, tra l’altro, una ricerca di assetti insediativi originali e un approccio socialmente motivato e personalizzato al tema della residenza. A questo fanno da contraltare i grandi centri amministrativi che reinterpretano gli elementi dell’architettura regionale alla ricerca di un ambientamento virtuoso nel paesaggio naturale.

Dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta, l'architettura degli insediamenti rurali delle repubbliche baltiche cambiò radicalmente, passando dalla ripetizione monotona di edifici e appezzamenti agricoli standardizzati a complessi architettonici molto più ambiziosi. Lo storico dell'architettura Mart Kalm (2007, 352–373) ha equiparato questo cambiamento del paesaggio rurale baltico alla creazione di oasi nel paesaggio rurale sovietico industrializzato. I progettisti cercarono di dare vita a un nuovo tipo di comunità rurale che non replicasse completamente i quartieri popolari urbani, ma nemmeno i villaggi tradizionali. Nel corso degli anni, cambiarono gli obiettivi: dall’agro-città alla reinterpretazione della città-giardino adattata alla fisionomia dei diversi luoghi.

Nel 1989, un anno prima dell'indipendenza, la Repubblica Socialista Sovietica della Lituana contava 750 kolchoz con 280.000 lavoratori e 275 sovchoz con 118.500 lavoratori (Tarybų Lietuvos enciklopedija 1988, 265). Il sistema di agricoltura collettiva in Lituania terminò con la dichiarazione di indipendenza l'11 marzo 1990, ma formalmente si protrasse fino al 25 luglio 1991, quando il neoeletto parlamento democratico lituano approvò la riforma agraria che avviò lo smantellamento dell’assetto precedente. La sperimentazione socialista nel campo dell'urbanizzazione rurale ha indubbiamente contribuito a modernizzare gli standard di vita di molti lituani, ma è stata imposta col terrore. Questo rischioso tentativo si è concluso con la fine del sistema dei kolchoz.

Bibliografia

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Tarybų Lietuvos enciklopedija (Enciclopedia della Lituania Sovietica) 1988.

VĖLYVIS J. (2000) – Vienkiemiai Lietuvoje 1945–1989 metais [Fattorie in Lituania nel periodo 1945–1989]. Vilnius.