Recensioni

Mendes da Rocha

Architettura come vita

La percezione che si ha leggendo il libro La città per tutti – una selezione di scritti di Paulo Mendes da Rocha curati e tradotti in italiano per la prima volta da Carlo Gandolfi[1] è di introdursi in una sorta di diario personale. Sfogliarne le pagine, soffermandosi sulle frasi brevi e incisive accompagnate da schizzi dal tratto sottile, consente al lettore di compartecipare ai segreti un architetto sensibile, vigile e ricettivo, e di carpire informazioni essenziali che non si è autorizzati, in prima battuta, a conoscere. Una collezione di nove brani costituisce la struttura del volume, esemplificativi di una serie di questioni affrontate dal pensiero e contenute nelle opere dell’architetto paulista. Note, discorsi, riflessioni personali non riconducibili a un corpus teorico-critico coeso quanto a una dichiarazione di poetica che mescola a una certa laconicità – tipica di alcuni grandi figure dell’architettura lusofona – una profonda saggezza derivante dalla consapevolezza che Mendes da Rocha ha avuto – e impersonato, nel corso della sua esperienza come architetto e docente – della finalità civica e sociale di cui è investito il ruolo dell’architetto.

La chiave di lettura del libro la fornisce il curatore nel suo saggio di chiusura L’architetto come giocoliere – in cui la memoria degli incontri personali e l’analisi del pensiero del Maestro si uniscono nel ritratto umano di una figura mitica che aleggia distante ma al contempo amica, affabile, vicina – che individua in quelle «frasi, che sembrano spesso aforismi, quasi appunti, pietre miliari sulle quali occorre sempre tornare» testimonianze assimilabili a «punti programmatici di un manifesto»[2]: il rapporto con la natura, con la storia e con la città, l’esperienza personale, vissuta, come sommatoria di momenti necessari alla formazione di una coscienza progettuale, e ancora l’abitare, la tecnica, la giustizia sociale, lo sviluppo del territorio, l’America. Temi vasti – cruciali per la cultura architettonica del XX secolo – elaborati con naturalezza attraverso un linguaggio diretto che emerge dalle consuetudini di un modo di fare curioso e rigoroso, fatto da azioni ripetute – costruire leggeri modelli di carta, disegnare alla lavagna, conversare fumando una sigaretta[3] – che invitano a considerare il progetto come un’operazione di grande semplicità, che scandisce lo scorrere della vita.

L’esperienza di Mendes da Rocha non fu, tuttavia, altrettanto semplice. Espulso dalla Universidade de São Paulo nel 1969 con un decreto della dittatura militare, per esservi riammesso soltanto un decennio dopo, il periodo più fecondo della sua produzione architettonica coincise quasi integralmente con quello dell’insegnamento. Negli anni Ottanta, il Brasile aveva già definito la sua immagine verso il mondo – descritta, superficialmente, come brutalismo minimalista[4] – ma l’opera di Mendes da Rocha, seppur connotante questo processo, non fu oggetto di ricerche e pubblicazioni se non dalla metà degli anni Novanta[5]. Tra le più recenti, La città per tutti costituisce un ulteriore tassello per la comprensione di una figura particolarmente attuale per l’attenzione alla dimensione politica e al rilievo sociale del mestiere dell’architetto.

Dei molti temi che ricorrono nei testi, la questione della tecnica assume un ruolo centrale. Per Mendes da Rocha, l’architettura è anzitutto manifestazione di una rigorosa consapevolezza costruttiva, strumento fondamentale di controllo formale e garanzia di progresso. «Mi sono abituato a riporre fiducia nel potere di trasformazione della tecnica», scrive in Genealogia dell’immaginazione, «nella premeditazione e nello sguardo che progettano azioni utili, desiderabili, che realizzano promesse e speranze con una produttività celebrativa, nonostante la miseria del mio paese»[6]. Proprio in Brasile, annota Luigi Snozzi a seguito di un suo viaggio, «ci si trovava in un mondo in cui la speranza di un futuro migliore non era semplicemente la speranza comune di tutti, ma l'impulso dietro ogni idea e attività»[7]. Un’operosità gioiosa governa la corretta gestione della prassi costruttiva, traducendosi in un’eleganza austera delle forme, generata dal legame chiaro e coerente tra struttura e spazio, tra economia dei mezzi ed esecuzione, una “nonchanlance”[8] – come definita da Gandolfi in un altro suo scritto, rintracciabile in edifici come il Padiglione Brasiliano di Osaka (1970) o il Museu Brasileiro da Escultura (1988) – che nasce non tanto da intuizioni fantasiose, quanto da una «particolare procedura di mobilitazione della conoscenza, quella architettonica», prassi operativa in grado di accorciare la distanza tra «ragione e immaginazione»[9]. È il «rigor da técnica que tudo fique em pé»[10] – la capacità della tecnica di far stare in piedi le cose – ciò che sostanzia il processo progettuale, costituendone la ragione e misurandone le conseguenze, ed è la sua applicazione a rendere manifesta «l’abilità dell’uomo di trasformare lo spazio in cui vive sulla base di un interesse sociale e attraverso una visione aperta e rivolta al futuro»[11].

Non sussiste separazione tra lo spazio della città e lo spazio dell’architettura che si fondono a rappresentare un’idea di vita collettiva, fiduciosa nel futuro. Puntare a un ordine sociale inclusivo e democratico, con l’obiettivo di scardinare la segregazione fisica imposta alla città contemporanea da logiche di mercato, è un’operazione militante che trova forma in una serie di dispositivi urbani aperti, sviluppati in sezione negli innumerevoli schizzi, come la Praça do Patriarca (1992) o il Museu dos Coches (2015), in cui una serie ricorrente di meccanismi spaziali – passaggi, attraversamenti su più quote, transizioni spaziali scandite dagli elementi della costruzione – configurano luoghi disponibili ad accogliere manifestazioni possibili della città di tutti, e immaginati come «una sorta di belvedere, da cui si possa osservare la realtà, intesa soprattutto come proiezione nel futuro e visione di una città che sia aspirazione per tutti»[12].

Per Mendes da Rocha lo spazio è pubblico per definizione: il privato (che «esiste solo nella nostra mente»[13]) tende a smaterializzarsi nello spazio della città definendo una permeabilità biunivoca di persone e atmosfere. Questo approccio ricorre non soltanto nei grandi edifici urbani che progetta, ma anche nelle abitazioni – come nella sua Casa a Butantã (1960) – dove l’abitare acquista valore politico, assumendo dentro di sé le condizioni della città. «Per quanto piccola la casa possa essere in quanto città, essa non sfugge ai nomoi che regolano lo spazio collettivo. L’architettura è e resta una questione di tutti»[14]; caratteristica primigenia ed ereditaria del modo di fare architettura di Mendes da Rocha, per sua stessa ammissione: «la nozione di protezione è assente nell’architettura brasiliana […] Si entra da una porta, e si esce da un’altra»[15].

Vale la pena chiedersi – in un momento storico in cui si è ormai sedimentata la nozione che l’architettura intercetti ambiti d’intervento che valicano i suoi confini disciplinari tradizionalmente intesi – quanto l’architetto debba perseguire una certo tipo di militanza contro un sistema apparentemente inscalfibile. «Lunga vita alla resistenza!»[16]: così Snozzi incitava Mendes da Rocha a proseguire la battaglia per le sue idee. Forse, oggi, più che resistere, si tratta di tornare riconsiderare un coinvolgimento attivo per muoversi verso un’architettura più umana, che si basi su «una pratica di cura e attenzione […] flessibile e innamorata della vita»[17] e che possa fungere da farmaco per il mali della città[18].

Leggere le parole di Mendes da Rocha in La città per tutti, è un invito a intraprendere questa strada, gioiosamente.

Luigiemanuele Amabile

[1] Tra i volumi del curatore su Paulo Mendes da Rocha: Gandolfi C. (2018) – Matter of Space. Città e architettura in Paulo Mendes da Rocha, Accademia University Press, Torino e Gandolfi C. (2023) – Paulo Mendes da Rocha, infraestructural, Ediciones Asimétricas, Torino

[2] Gandolfi C. (2021) “L’architetto che giocava con gli aquiloni”. In P. Mendes da Rocha, La città per tutti, a cura di C. Gandolfi. Nottetempo, Milano, 100.

[3] Si veda il film documentario It’s all a Plan / Tudo é projeto, diretto da Joana Mendes da Rocha, Patrícia Rubano, Brasile, 2017 (74’), presentato alla Triennale di Milano il 7 giugno 2022.

[4] Gandolfi C., Matter of Space, cit., 234-245.

[5] Si vedano Aa. Vv. (1996) – Mendes da Rocha. Gustavo Gili, Barcelona; Spiro A. (2002) – Paulo Mendes da Rocha. Bauten und Projekte. Niggli, Sulgen; Artigas R. (a cura di) (2007), Paulo Mendes da Rocha. Projects 1957-2007. Rizzoli, New York; Pisani D. (2013), Paulo Mendes da Rocha. Tutte le opere. Electa, Milano.

[6] Mendes da Rocha P., “Genealogia dell’immaginazione”. In Op. cit., 13.

[7] Snozzi L. (2002), “Long Live the Resistence!”. In Spiro, op. cit, 9.

[8] Gandolfi C., Matter of Space, cit., 234-245.

[9] Mendes da Rocha P., op. cit., 15-16.

[10] Dal Co F. (2006) – Paulo Mendes da Rocha: Listen to and observe a master. The Hyatt Foundation/The Pritzker Architecture Prize, New York.

[11] Mendes da Rocha P., op. cit., 17.

[12] Ivi, 74.

[13] Gandolfi C., Ivi, 105.

[14] Biraghi M. (2021) – Questa è architettura, Einaudi, Torino, 150.

[15] Mendes da Rocha P. (2002). In Spiro, op. cit., 27.

[16] Snozzi L. (2002). In Spiro, op. cit., 9.

[17] Ingold T. (2021). Corrispondenze, Raffaello Cortina, Milano, 15.

[18] Biraghi M., op. cit., 152.

Scheda libro

Autore: Paulo Mendes da Rocha    
A cura di: Carlo Gandolfi
Titolo: La città per tutti
Sottotitolo: Scritti scelti
Lingua del testo: Italiano
Editore: Nottetempo
Caratteristiche: 16x22 cm, 112 pagine, brossura, bianco e nero
ISBN: 978-88-7452-900-1
Anno: 2021