Le diverse scale della relazionalità. Edvard Ravnikar e la Piazza della Rivoluzione a Lubiana

Luka Skansi, Susanna Campeotto

La Piazza della Rivoluzione[1] di Lubiana di Edvard Ravnikar è stata letta finora, prevalentemente e coerentemente, attraverso le lenti del rapporto tra politica e architettura negli anni del socialismo jugoslavo[2]. Tuttavia, il progetto realizzato, come lo conosciamo oggi, è il risultato di un lungo processo caratterizzato da diverse riconfigurazioni volumetriche e funzionali. Sebbene nasca in origine da un’idea di costruire, su questo luogo, un tempio del socialismo, nel corso del tempo il progetto si arricchisce di tutta una serie di attività, architetture e spazi, trasformandolo da memoriale della Rivoluzione a complessa centralità urbana, economica, sociale e ovviamente politico-amministrativa. In tal senso si potrebbe ipotizzare come piazza della Rivoluzione rappresenti, più che un particolare esempio di campidoglio socialista, un progetto che parla dell’unicità dell’esperienza jugoslava. Un’esperienza che, per essere descritta e compresa, necessita di una riformulazione delle canoniche definizioni dei rapporti tra politica e cultura architettonica, tra aspirazione alla modernità, storia dell’architettura e stratificazione della città.

  1. Il progetto come processo

Il concorso del 1959 chiedeva ai professionisti invitati di riprogettare l’area del giardino del Convento delle monache Orsoline. Sulla nuova piazza si sarebbe affacciato il Palazzo dell’Assemblea del Popolo e nelle immediate vicinanze si trovavano i più importanti edifici pubblici risalenti al XIX secolo, come il Teatro dell’Opera e il Museo Nazionale. Il ricco e grande monumento alla Rivoluzione doveva essere il fuoco simbolico dell’intera composizione.

La proposta vincitrice di Edvard Ravnikar prevedeva inizialmente uno spazio vuoto, largo quanto l’intero isolato e senza salti di quota, caratterizzato dalla presenza di due torri prismatiche triangolari di venti piani – che avrebbero ospitato le istituzioni – sul fronte meridionale e dal Monumento alla Rivoluzione sul lato occidentale. Qui una folta vegetazione concludeva lo spazio e costituiva una cintura verde in continuità con il parco degli Eroi, a contrappunto delle chiome verdi del Rožnik e del Castello di Lubiana, visibili sul lato opposto. L’edificio sul lato nord-ovest di piazza del Congresso doveva essere abbattuto e, mediante un’operazione di demolizione selettiva di una porzione del convento, veniva creato a est un sistema di piazze minori verso la città storica, a prosecuzione ideale del parco Zvezda. In termini di dimensioni, questa zona corrispondeva all’isolato barocco, che tuttavia non viene incluso direttamente nello spazio centrale della nuova piazza della Rivoluzione: un edificio basso[3] e un piccolo blocco separato di testa si interponevano tra il nuovo intervento e le porzioni conservate della preesistenza, ribattendone le lunghezze. L’intero complesso era escluso dal traffico veicolare e i parcheggi erano disposti a raso, lungo le strade di accesso chiuse.

Questo primo progetto, che presentava già tutti gli elementi di quello definitivo (piazza, torri, monumento, completamento dell’isolato barocco), si trovava in un’importante posizione di cerniera tra la città antica e quella moderna e faceva parte di un’operazione programmatica volta a conferire a Lubiana il carattere di una capitale nazionale. Per rispondere a questo obiettivo, particolare enfasi era posta sul carattere dello spazio in direzione nord-sud e la misura degli isolati circostanti stabiliva le zonizzazioni del nuovo intervento. Lungo uno stesso asse si susseguivano le torri, il vuoto della piazza e il Palazzo dell’Assemblea. Il monumento era collocato vicino alle torri, in una posizione tale da non poter essere risparmiato da una «competizione formale e dimensionale» (Ravnikar 1962a) con l’architettura della piazza.

Il collegamento del complesso con gli spazi urbani limitrofi, da realizzarsi mediante la creazione di una serie di nuovi ambienti, non risultava in questa fase completamente elaborato e la stessa commissione aveva commentato il progetto vincitore suggerendo di considerare la soluzione presentata «principalmente come un'idea di base di programma urbanistico, piuttosto che come una proposta di pianificazione precisa»[4] (M. Š. 1960).

Piazza della Rivoluzione nel suo assetto definitivo mantiene i medesimi elementi base, ciò che cambia (oltre alle funzioni dettate dalle contingenze) è la loro configurazione spaziale[5].

La piazza viene allargata, si perdono le assialità e il nuovo intervento esce dalla divisione geometrica dettata dagli isolati circostanti. Diventa un luogo completamente pedonale e le automobili sono collocate in un livello interrato di parcheggio. Si passa da una piazza vuota e rigorosamente asettica a uno spazio percorribile su più livelli, il cui valore primario è dato dal movimento prospettico, dalla distanza, dalla prossimità, dalla vicinanza e dalla separazione tra le cose.

I volumi prismatici delle due torri vengono ruotati e ridimensionati in altezza e nonostante entrambe le torri abbiano 12 piani, le sagome sono ineguali grazie al trattamento irregolare e vario del tetto. Questa variazione sul tema permette di evitare il potenziale freddo monumentalismo della simmetria, consentendo di avvicinare la massa del nuovo intervento al paesaggio urbano più ampio. Quanto centrale fosse questo tema per Ravnikar lo dimostra la sua prima presentazione del progetto in una rivista di settore, dove include l’immagine dei due edifici nelle viste della città barocca, dal ponte di Jurij Zaninović e Josef Melan[6], e dagli spazi di Jože Plečnik.

Il monumento alla Rivoluzione si colloca sempre lungo il confine occidentale della piazza, ma poggia su un sistema di piastre caratterizzate da piccoli dislivelli e si distanzia dalle torri, ottenendo così un «allontanamento dalla visione assiale e immobile del monumento» in favore di «proporzioni più vicine all’uomo moderno» (Ravnikar 1962a).

A est, verso la città storica, lo spazio si riempie di molti e diversi elementi, mentre nella precedente versione il rapporto antico-nuovo era risolto con il vuoto di due piccole piazze. Un ruolo fondamentale è svolto dal parallelepipedo basso e lungo dell’odierno Maximarket, la cui lunghezza viene aumentata fino quasi a toccare l’ampliamento del Ginnasio Plečnik. L’edificio, attraverso la sua geometria apparentemente elementare, svolge in realtà un ruolo cruciale, ossia quello di unire una serie di volumi e spazi irregolari tra loro autonomi (facciate interne del blocco edilizio barocco e spazi secondari del complesso delle monache): l’unità spaziale ottenuta diventa, come si vedrà in seguito, la base della trasformazione del contenuto funzionale della Piazza della Rivoluzione.

Il processo di variazione, durato fino al 1982 e avvenuto anche quando il progetto sembrava aver raggiunto una propria compiutezza, mostra il suo progressivo arricchimento interiore a partire da un’idea che, come sostiene Ravnikar, «non era altro che un’incognita», con l’obiettivo di «trovare un linguaggio architettonico che, a livello psicologico, diventi molto differenziato, ricco ed eccitante» (Ravnikar 1974). Una chiave di lettura per questo luogo caratterizzato da una forte multiscalarità e dalla composizione dello spazio mirata alla sovrapposizione di piani visuali è fornita dallo stesso Edvard Ravnikar nell’articolo pubblicato dalla rivista “Sinteza” nel settembre 1974. Il testo viene accompagnato da 32 fotografie scattate dall’autore, corredate dalle relative didascalie, che descrivono l’intervento a partire dal suo rapporto plastico con il contesto – territoriale e urbano – per poi proseguire, con continui salti di scala, fino alla significazione dei dettagli.

Per comprendere più a fondo le specifiche relazioni spaziali e linguistiche che il complesso di Piazza della Rivoluzione intesse con le scale della città e con le sue stratificazioni storiche, e le ragioni compositive volte ad ottenere equilibrio tra le parti del progetto, vale la pena analizzare i singoli elementi base che lo costituiscono: la piazza, le torri, il completamento dell’isolato barocco e il Maximarket Emona, il monumento.

  1. La piazza

Già nel progetto presentato per il concorso, l’assetto del complesso ruotava attorno ad un grande vuoto centrale. Si trattava di un piano in cemento caratterizzato da un disegno geometrico di pavimentazione, che andava a configurare uno spazio compiuto, quasi un tappeto di misura monumentale contornato dagli edifici che ospitavano le massime autorità del tempo. Il giardino delle monache Orsoline era in effetti l’unico spazio urbano che poteva ospitare dimensionalmente questa espansione della città, ma se in una fase iniziale era necessario alludere ad una «funzionalità afunzionale» (Ravnikar 1974) per rispondere alle richieste del bando, nel corso del processo di elaborazione del progetto, il compito assunto dall’architetto è quello di trasformare uno spazio politico asettico in un luogo di vita, capace di mettere in relazione le nuove dimensioni della città.

Collocare le istituzioni nel solco della Storia antica e dare a Lubiana una scala e un’immagine che la città non aveva mai avuto – la scala di una città dell’800: monumentale e polifunzionale (Vodopivec 2000) – era, in un momento di piena ricostruzione, un’operazione importante per conferirle il carattere simbolico di una capitale nazionale. Plečnik stesso aveva cercato, attraverso i suoi molti progetti, di fondare l’immagine della città su un carattere di continuità – anche liberamente interpretato – con il passato. Si segnala al proposito la serie di progetti urbani per Lubiana, alcuni realizzati altri rimasti a livello ideativo, tra gli anni ’30 e gli anni ’50: dal Mercato alla sistemazione della Ljubljanica, dall’asse della Vegova ulica alla Biblioteca Nazionale, dalle architetture ecclesiastiche al giardino di Ognissanti a Žale, dal progetto del nuovo parlamento alla sistemazione del castello. 

Nell’assetto proposto in occasione del concorso, la memoria dell’insediamento romano veniva rievocata con enfasi dallo spazio vuoto tra le due torri, conclusione monumentale dell’ampio boulevard alberato che avrebbe dovuto connettere – sempre lungo la direzione del cardo – Gregorčičeva ulica con Erjavčeva cesta. I due prismi, simmetrici rispetto al lato, costituivano un portale nella direzione nord-sud che incorniciava il Palazzo dell’Assemblea del Popolo. La posizione reciproca degli edifici e rispetto al vuoto della piazza implicava una percezione visiva statica e una relazionalità monodirezionale di carattere monumentale, associabile più alla tradizione del realismo socialista che ai complessi rapporti spaziali di Plečnik.

Nel processo progettuale che caratterizza l’intera opera di Edvard Ravnikar, la simmetria viene spesso resa imperfetta e l’assialità viene deviata. Piazza della Rivoluzione non fa eccezione e, attraverso progressive variazioni di accento, lo spazio acquisisce pluridirezionalità, e quindi vita. Il vuoto della piazza viene ridimensionato, diventando così più largo e più corto e dunque si negano le divisioni geometriche determinate dagli isolati. Le torri, conseguentemente, vengono traslate verso ovest e questa alterazione dei pesi lungo l’asse longitudinale fa sì che esse perdano la loro assialità in favore di una più complessa triangolazione tra le torri, il palazzo governativo e la tomba degli Eroi.

Persa la direttrice unica del cardo, tutto il margine inferiore, costruito, viene posizionato esattamente sul sedime delle mura settentrionali del castrum di Emona: la traccia della storia – come in molti progetti di Plečnik per Ljubljana, su tutti l'intervento sulla Vegova ulica – viene posta alle fondamenta della costruzione del nuovo, come manifestazione della stratificazione umana e urbana della città[7].

Ma è la realizzazione di un grande parcheggio completamente interrato che porta ad una variazione fondamentale: la piazza perde il suo perimetro definito dai parcheggi a raso in favore di un ambiente sociale unico e attraversabile, su più livelli. Tutti i suoi fronti sono accessibili superando dei lievi salti di quota. Scale, rampe e piccoli passaggi guidano il movimento attraverso lo spazio e una galleria urbana, luogo di vita metropolitana a misura d’uomo, accompagna al livello ipogeo l’andamento dell’edificio Emona. Ciò che prima era margine lineare, diventa così progressivamente «una cintura con opportunità di fare acquisti, di incontrarsi senza disturbo, di rilassarsi e di osservare; una cintura senza automobili, anche se sono vicine, una cintura polivalente con sorprese, aperta al vento e alla pioggia, al freddo e al caldo. In sintesi, si tratta di un esterno in cui incontriamo molte cose a cui siamo normalmente abituati in un interno» (Ravnikar 1974).

Questi principi seguivano le riflessioni più innovative nel contesto del dibattito internazionale, in particolar modo quelle scaturite dal CIAM del 1951[8] e confluite nelle diverse forme nel lavoro dei membri del Team X. Nodale era la questione della pedonalizzazione e in un contesto più ampio di ripensamento delle centralità urbane, messe fortemente in discussione dal costante allargamento dei confini delle città e dalle distruzioni belliche, che avevano portato alla ridefinizione delle teorie di pianificazione degli anni precedenti.

  1. Le torri

Le torri, a differenza della proposta iniziale, sono ruotate di 90° in una posizione non perfettamente simmetrica rispetto alla piazza. Una tale operazione evoca la tensione data dai due rilievi (Grajski hrib e Šišenski hrib) che stringono la città, integrando le nuove figure nella topografia del luogo, e cambia completamente la natura dello spazio tra esse, caratterizzato ora da forze non più assiali e parallele, ma convergenti in due fuochi, in favore di un coinvolgimento diretto dell’essere umano all’interno dello spazio celebrativo.

Gli edifici alti sono costruiti secondo uno schema strutturale “ad albero”, con un nucleo portante centrale, solai a sbalzo e facciate libere, rivestite in sottili lastre di marmo di Pohorje.

I basamenti, svuotati, rivelano la costruzione dell’edificio e si incastrano nei due podi di accesso alle torri. A est, la sede della Ljubljanska Banka (TR2) presenta nel suo volume inferiore lo stesso rivestimento in lastre di marmo, mentre a ovest, ai piedi della torre direzionale della compagnia Iskra, (TR3) viene utilizzato il mattone faccia a vista. Questa scelta è dettata dal fatto che si tratta di un’architettura che ospita una diversa funzione: la biblioteca tecnica dell’Università. Si separano dunque, linguisticamente oltre che funzionalmente, le destinazioni d’uso, mantenendo, seppur con materiali differenti, il medesimo carattere dinamico della pelle esterna.

Nel trattamento delle facciate appese, Ravnikar si attiene alle teorie Semperiane, filtrate attraverso l’esperienza di Wagner e Plečnik: il curtain wall, costituito da un’alternanza serrata di lastre e lamelle accoppiate, se percepito in lontananza diventa una plissettatura di pietra capace di vibrare nell’atmosfera, senza tuttavia smaterializzare i volumi. Il tema moderno del brise soleil come generatore di luci e ombre viene qui declinato per tutta l’altezza, utilizzando un modulo semplice, composto da due lastre di marmo locale avvitate tra loro: una più larga perpendicolare alla facciata mostra il suo spessore sottile, una più stretta viene montata inclinata. Il risultato di questa tessitura, percepita dai passaggi che dalla città storica portano verso piazza della Rivoluzione, è quello di uno «spazio tattile come spazio di completa intimità, senza larghezza, e quindi violentemente verticale, senza orizzonte» (Ravnikar 1974). Un dettaglio così semplice dal punto di vista costruttivo consente di rendere le facciate tridimensionali, nonostante la loro grande superficie. Rende inoltre il rapporto visivo con le torri una costante esperienza cinetica: mentre l’osservatore cammina, i due oggetti continuano a cambiare sia nelle tessiture dei prospetti (a volte aperte, a volta semiaperte, a volte completamente chiuse) che nella loro mutevole relazione data dalla forma triangolare – e dunque mai statica – dei prismi.

I due tetti mantengono la medesima orditura verticale nelle pieghe del rivestimento, ma le altezze diverse e il trattamento irregolare consentono alle torri di essere percepite come simili ma non identiche, negandone definitivamente la simmetria. Se visti dallo spazio interno alla piazza, questi dispositivi alludono alla guglia del campanile della chiesa delle Orsoline, quando invece ci si trova di fronte alla chiesa, «l’incongruenza tra la nuova facciata delle torri e quella classicista è mascherata dallo stesso tetto in rame della torre e dall’aggiunta dell’edificio 2» (Ravnikar 1974). 

  1. Il completamento dell’isolato barocco e l’edificio Emona[9]

Il rapporto tra città storica e nuovo intervento si esplicita con chiarezza nella soluzione adottata per l’aggancio all’isolato barocco e nel Maximarket / Emona, edificio chiave per l’intero complesso. Il lungo parallelepipedo, accentuato orizzontalmente rispetto alla prima versione di concorso, contemporaneamente collega e delimita l’area del cortile dell’ex monastero (oggi piazza Plečnik) e la piattaforma di piazza della Rivoluzione. Si tratta di una delimitazione “dialettica”: l’edificio è in grado di relazionarsi con entrambi i vuoti, con entrambe le scale – sia con la piazza “barocca”, secondo misure praticamente preottocentesche, sia con quella moderna, monumentale. Il passaggio tra le due è rappresentato da un sottopassaggio, che unisce i due spazi, senza intaccarne le rispettive integrità. 

L’edificio Emona, al pari delle torri, presenta una struttura portante centrale. Questo consente la realizzazione di un piano terra arretrato e trasparente (che ben si presta alla funzione commerciale), con un passaggio che invita chi proviene dal centro storico ad attraversare piazza Plečnik procedendo in direzione leggermente obliqua, verso l’ampliamento del ginnasio, e a scoprire successivamente piazza della Rivoluzione offrendo una prospettiva non frontale e ricca di dettagli espressivi.

Il volume sospeso di due piani è interamente rivestito in lastre di marmo, e la facciata, interrotta solo nel mezzo da un’ampia vetrata in corrispondenza delle scale mobili, viene articolata con un ritmo verticale dato da una serie di increspature che evocano, per forma e funzione, le “lesene” della Rinascente di Albini, ossia la soluzione applicata per coprire le tubature degli impianti.

Non a caso centro commerciale si chiama Emona, e riporta sulle fasce marcapiano come unico elemento decorativo il logo “e”. Questa lettera ricorda, anche in caso di eventuali variazioni funzionali, la natura intimamente archeologica del luogo: citando l’antico, il vero cuore vitale dell’edificio è la sua galleria pubblica collocata sotto il livello del suolo. Si tratta di uno spazio coperto su cui si affacciano i negozi, illuminato da numerosi lucernari e da due patii ricchi di vegetazione. Dal basso, nuovi scorci delle torri si offrono ai visitatori.

La lunga galleria commerciale termina in due spazi aperti: a nord uno spazio aperto con scalinata riporta al livello della piazza, mentre a sud si apre l’ingresso al foyer del Cankarjev Dom, in corrispondenza delle antiche mura romane.

L’edificio Emona è concettualmente analogo alla soluzione adottata da Plečnik tra il 1931 e il 1939 per il mercato centrale, lungo la Ljubljanica. Anche in questo caso un lungo margine costruito consente viste selezionate di alcune porzioni notevoli di città verso il Castello, mentre il basamento è interamente attraversabile, si apre con piccole pause verso il fiume, accoglie i visitatori nei suoi spazi pubblici sotto il livello del terreno; soprattutto, riorganizza una serie di spazi retrostanti alla cortina edilizia di impianto medievale, conferendogli unità e scala.

In tal senso, verso la città antica, la piccola piazza dedicata al maestro sloveno è uno spazio di grande suggestione su cui affacciano l’edificio barocco delle Orsoline, reso permeabile al piano terra, e il ginnasio di Plečnik con la testata ampliata da Ravnikar, verso piazza della Rivoluzione. Qui, si incontrano tre colonne isolate secondo il principio di «condensazione dello spazio alle congiunzioni di grandi lati dell’ambiente costruito, dove singole parti dello spazio confluiscono in altre, e le cose in questo passaggio le annunciano con la loro attrattiva» (Ravnikar 1974).

  1. Il monumento

Il monumento alla Rivoluzione, nella sua prima collocazione, occupava l’intera area a ovest prolungando così idealmente la fascia verde, al di là di Šubičeva cesta. L’opera in sé, ancora da definire, si trovava perfettamente allineata – e la relazione viene sottolineata da due muri paralleli che isolano lo spazio dal resto della piazza – con il già presente Monumento agli eroi di Lubiana, realizzato nell’omonima piazza dall’architetto Edo Mihevc con lo scultore Boris Kalin, nel 1950.

Sarà necessario attendere il 1962 per vedere gli esiti plastici del concorso per il Monumento alla Rivoluzione: il primo premio viene assegnato all’opera proposta dallo scultore Drago Tršar insieme all’architetto Vladimir Braco Mušic che aveva progettato la vasca d’acqua e il sistema di piastre su cui avrebbe poggiato il monumento, alterando, anche in questo caso, le rigide assialità.

La soluzione figurativa, come riscontrato da Ravnikar stesso in riferimento ai progetti presentati, segue il «tono di pensiero dominante caratterizzato da un deciso allontanamento dalla concezione statuaria del compito monumentale» e si esprime attraverso un linguaggio plastico diverso, che «fa appello ad altre capacità e percezioni umane» (Ravnikar 1962a).

La sua nuova posizione, ora decisamente indipendente dalla massa edilizia degli edifici, circondata da una quinta verde e visibile su un campo molto più ampio – dagli accessi in prossimità della città antica – «suggerisce la possibilità di una forma ampia e completa, con una maggiore potenza simbolica e un'espressività più diretta ed essenziale» (Ravnikar 1962a) in relazione al contesto architettonico contemporaneo.

  1. Conclusioni

L’evoluzione progettuale della Piazza della Rivoluzione consente di comprendere più a fondo il passaggio verso una fase post statuaria – e, in termini architettonici, post monumentale – che caratterizza una stagione unica dell’architettura jugoslava. Una metodologia applicabile alle arti plastiche, come alla composizione spaziale e tettonica, alla ricerca di una relazionalità complessa e stratificata tra le parti, tra le scale, tra gli elementi. La particolare concezione che sottende la costruzione di ogni elemento di piazza della Rivoluzione consente così, per tutto il complesso, sia il continuo salto percettivo tra contesto, figura e dettaglio, sia la permeabilità dei volumi in attacco a terra, al fine di trasformare uno spazio mono assiale e politico in un luogo di movimento pedonale polifunzionale e sensoriale.

Nel mezzo, oltre vent’anni di modifiche e cambi di committenza hanno comportato variazioni, decentramenti, nuove relazioni secondo una «crescita interiore che non può essere compresa dalla sequenza dei fatti, poiché si tratta di un processo i cui punti di partenza iniziali potrebbero essere la conseguenza di supposizioni errate che, mentre vengono messe alla prova, ci insegnano ancora molto» (Ravnikar 1974).

Note

[1] Dal 1991 Piazza della Repubblica.

[2] Per la redazione del presente articolo è stata consultata sia la bibliografia recente che ha affrontato una trattazione più politica delle vicende legate a Piazza della Rivoluzione (Stierli, Kulić 2018), (Kulić 2013;2014), (Cibic 2018), sia quella più storiografica, prevalentemente slovena (Zupan 2003), (Žnidaršič 2004), (Koselj 2005), (Hočevar, 2018). Quest’ultima pubblicazione in particolare, in cui è confluita parte della tesi di. Rok Žnidaršič, sebbene dia informazioni esaustive sulle ragioni del progetto, non precisa nel dettaglio le strategie compositive e tettoniche fondamentali per gli Autori nell’opera di Ravnikar. Di Jasmina Cibic si segnala inoltre la performance For our Economy and Culture (Biennale di Venezia 2013).

[3] Si fa riferimento all’edificio che sarebbe poi diventato il centro commerciale Emona, ma in questa fase la sua funzione non era definita.

[4] Tutte le citazioni dallo sloveno presenti nel testo sono riportate in italiano con traduzione a cura degli autori.

[5] Sulle ragioni economiche ed amministrative che portano alla ridefinizione funzionale del progetto, cfr. (Žnidaršič 2004), (Zupan 2003).

[6] Jurij Zaninović e Josef Melan furono rispettivamente l’architetto (allievo di Otto Wagner) e l’ingegnere che realizzarono il ponte dei Draghi a Lubiana tra il 1900 e il 1901.

[7] Lacerti delle mura romane emergono nel parco che si affaccia su Erjavčeva cesta di fronte al Palazzo Presidenziale e a ridosso del margine meridionale dell’ex convento delle Orsoline, ove è necessario avvicinarsi per poterle osservare e traguardare poi lo sguardo verso la città antica.

[8] Particolarmente rilevanti sono, in questo contesto, le posizioni critiche di quello che divenne poi il Team X negli anni tra il 1954 e il 1959. Si vedano: (Tyrwhitt 1952) e (Zuccari Marchi 2020).

[9] L’edificio solo in seguito si chiamerà Maximarket.

Bibliografia

CIBIC J. (2018) – Spielarum. Distanz, Berlino.

HOČEVAR, M., et al. (2018) – Prostor za vse: Anketa o trgu republike, Trajekt, zavod za prostorsko kulturo, Ljubljana.

KOSELJ N. (2005) – Od maxi revolucije do mini republike: Maximarket in Trg republike. Arhitektov bilten: AB, 167/168 [35], 88-95.

KULIĆ V. (2013) – Edvard Ravnikar’s Liquid Modernism: Architectural Identity in a Network of Shifting References, 101st Annual Meeting of the Association of Collegiate Schools of Architecture, San Francisco, March 21-24.

KULIĆ V. (2014) – “The Scope of Socialist Modernism: Architecture and State Representation in Postwar Yugoslavia”. In V. Kulić, T. Parker e M. Penick (a cura di), Sanctioning modernism. Architecture and the making of postwar identities, University of Texas press, Austin.

MALEŠIČ M. (2018) – “Revolution square, Ljubljana”. In: M. Stierli, e V. Kulić (a cura di), Toward a concrete utopia: architecture in Yugoslavia 1948-1980, The Museum of Modern Art, New York.

RAVNIKAR E. (1962a) – “Spomenik revolucije. Nagrajeni in odkupljenu osnutki z natečaja”. Naši razgledi, 12, (XI), 230-231.

RAVNIKAR E. (1962b) – “O rešenju Trg Revolucije u Ljubljani”. Arhitektura Urbanizm, 13, 19.

RAVNIKAR E. (1963) – “Oblikovanje ljubljanskega mestnega središča”. Naši razgledi, 24, (XII), 490-491.

RAVNIKAR E. (1974) – “Trg revolucije, Ljubljana”. Sinteza, 30-31-32, 81-96.

ŠLAJMER M. (1960) – “Natečaj za ureditev novega Trga revolucije v Ljubljani 1960”. Arhitekt 4, 50-53.

ŠLAJMER M. (1962) – “Trg Revolucije u Ljubljani”. Arhitektura Urbanizm, 13, 18.

STIERLI M. e KULIĆ V. (2018) – Toward a concrete utopia: architecture in Yugoslavia 1948-1980, The Museum of Modern Art, New York.

TYRWHITT J., SERT L. e ROGERS E. N. (a cura di) (1952), – CIAM 8. The Heart of the City: towards the humanisation of urban life, Pellegrini and Cudahy/Lund Humphries, New York/Londra.

VODOPIVEC A. (2000) – “Ljubljana: Jože Plečnik und Edvard Ravnikar. Von der Interpretation der antiken Architektur zum klassishen Ideal”. In: V. Magnago Lampugnani (a cura di)., Die Architektur, die Tradition und der Ort. Regionalismen in der europäischen Stadt, Wüstenrot Stiftung, Ludwisburg und Deutsche Verglas-Anstalt GmbH, Stuttgart München.

VODOPIVEC A. (2010) – “Edvard Ravnikar: Revolution Square in Ljubljana - The poetic Illusion of the Metropolis”. Oris, 62 [XII], 54-65.

VODOPIVEC A., ŽNIDARŠIČ R. (a cura di), (2010) – Edvard Ravnikar. Architect and Teacher. SpringerWienNewYork, Wien.

ŽNIDARŠIČ R. (2004) – “Metoda projektiranja Edvarda Ravnikarja”. AB, 165-166, 8-31.

ZUCCARI MARCHI L. (2020) – The Heart of the City: Legacy and Complexity of a Modern Design Idea, Routledge, Londra.

ZUPAN G. (2003) – “Revolution square”. In: 20th Century Architecture - from Modernist to Contemporary: guide to Architecture, Zbirka Dnevi evropske kulturne dediščine, Ljubljana.

TYRWHITT J., SERT L. e ROGERS E. N. (a cura di), (1952), – CIAM 8. The Heart of the City: towards the humanisation of urban life, Pellegrini and Cudahy/Lund Humphries, New York/Londra.

VODOPIVEC A. (2000) – “Ljubljana: Jože Plečnik und Edvard Ravnikar. Von der Interpretation der antiken Architektur zum klassishen Ideal”. In: V. Magnago Lampugnani (a cura di)., Die Architektur, die Tradition und der Ort. Regionalismen in der europäischen Stadt, Wüstenrot Stiftung, Ludwisburg und Deutsche Verglas-Anstalt GmbH, Stuttgart München.

VODOPIVEC A. (2010) – “Edvard Ravnikar: Revolution Square in Ljubljana - The poetic Illusion of the Metropolis”. Oris, 62 [XII], 54-65

VODOPIVEC A. e ŽNIDARŠIČ R. (a cura di) (2010) – Edvard Ravnikar. Architect and Teacher, SpringerWienNewYork, Wien

ZUCCARI MARCHI L. (2020) – The Heart of the City: Legacy and Complexity of a Modern Design Idea, Routledge, Londra.