Architettura, narrazione e l’arte di vivere
Kostas TsiambaosIntroduzione
Questo
articolo trae spunto dall'idea della filosofia come "arte del vivere"
- sostenuta dal filosofo Alexander Nehamas nel suo libro The
Art of Living[1]
-
per evidenziare una connessione nascosta tra l'architettura, come
pratica
creativa, e il racconto della creazione del sé. L'interesse
della
filosofia per l’arte della vita ha una
lunga storia; inizia con la
"ἑαυτοῦ
ἐπιμελεῖσθαι"
(la cura di sé) trattata
nei primi testi platonici, per poi trasformarsi nella ricerca della
perfetta
"compresenza di vita e teoria" in Aristotele, successivamente promossa
da pensatori moderni come Montaigne, Nietzsche e Foucault come la
coltivazione
di una "dimensione estetica della vita". Friedrich Nietzsche in
particolare, uno degli eroi intellettuali di Le Corbusier, considerava
la
creazione artistica solo nella sua dinamica di storia di auto-creazione
e non
come espressione di una rappresentazione trascendente.
Attraverso
una breve storia immaginaria, sosterrò che il valore e
l'impatto di una
creazione architettonica non possa essere sempre definito
intrinsecamente
poiché non esiste una "formula" da seguire per realizzare
una grande
architettura, proprio perché ogni creazione architettonica
esemplare è sempre
costruita sull'impalcatura di una biografia personale. Allo stesso
modo, se
ogni influente opera architettonica si basa sulla biografia
dell'architetto,
allora il potenziale creativo dell'architettura non può che
essere intrecciato
con la questione di una narrativa del sé. In altre parole,
il valore, l'impatto
e l’autorevolezza dell'architettura sono legati alla
creazione dell'architetto
come persona tanto quanto, se non più, che alla creazione
architettonica stessa.
Il racconto fantastico che segue, che è comunque basato su
persone ed eventi
reali, viene proposto come esempio.
Jeannerex
La
nostra storia inizia intorno al 1890, nell'ufficio del famoso
professore di Beaux-Arts Georges.
Un giorno Georges
riceve una lettera anonima (figura 1). La apre e legge con orrore:
"L'eclettismo è destinato a morire per mano di un ragazzo
che un giorno
creerà un nuovo tipo di architettura." Immediatamente, e
senza pensarci
due volte, decide di agire. Ordina a uno dei suoi migliori studenti,
Auguste,
di trovare il ragazzo e farlo "sparire" (fig. 2). Auguste
effettivamente trova il giovane, ma esitando a ferirlo, lo guida verso
un picco
remoto sulle montagne del Giura. Lega e abbandona il ragazzo
lì, sperando che
qualcuno lo trovi e lo salvi (fig. 3). Fortunatamente Charles, un
artista
locale, trova il ragazzo nel mezzo del nulla e decide di farlo crescere
come
suo figlio. "Gli insegnerò tutto ciò che so",
pensa. "Farò di
lui un pittore, un decoratore o un architetto." (fig. 4). In seguito
gli
dà persino un nome. "Lo chiamerò Jeannerex!"
Crescendo
Jeannerex è sempre più interessato
all'architettura. A un certo punto,
tuttavia, si rende conto che tutto ciò che aveva letto nei
libri di
architettura non era l'unica verità. Per questo motivo,
pieno di curiosità,
decide di recarsi a Delfi per scoprire quale sia la vera architettura
(fig. 5).
Arrivato a Delfi, cerca un oracolo. Ma l'oracolo che lo riceve non
risponde
alla sua domanda (fig. 6). Gli dice invece che è destinato
ad attaccare
l'architettura del passato e creare una propria architettura. Piuttosto
deluso,
Jeannerex decide di lasciare da parte le sue domande senza risposta e
viaggiare
più lontano ...
Mentre
si avvicina in barca alla città di Atene, vede da lontano
una collina (fig. 7).
Laggiù c’è qualcosa di strano. Lo sa,
l'aveva già visto nei libri, ma da qui
sembra non sconosciuto, inquietante. Deve camminare fin
lassù.
Senza
perdere tempo, decide di raggiungere l'Acropoli. La vista della roccia
da
vicino è piuttosto irritante, se non addirittura scioccante.
Il Partenone è
bianco e lucido, i suoi marmi appaiono luminosi e gelidi. Jeannerex
rimane di
fronte al tempio, incapace di andare avanti, immobilizzato dallo
spettacolo.
"Quindi questa è la realtà ... questa
è l'unica verità!" Pensa. Deve
fare qualcosa ... deve reagire prima che sia troppo tardi.
Combatterà o si
schianterà!
La
battaglia è dura e senza un vincitore certo (fig. 8).
Jeannerex si difende ma
si ferisce, perdendo l'occhio sinistro. Il Partenone è
potente ma la sua
identità è ora rivelata. La sua immagine
è alterata, la sua storia viene
riscritta (figura 9).
Ferito ed esausto, Jeannerex decide di lasciare Delfi e tornare a casa. Sulla via del ritorno, tuttavia, incontra la Sfinge, che ferma i passanti ponendo loro un enigma (fig. 10): "Prima della sua nascita è dentro di noi. Dopo la sua nascita ci siamo dentro. Cosa c'è? "Jeannerex rimane in silenzio, pensa un po' e poi risponde:" È l’architettura! Prima di essere costruita è dentro di noi, come idea, ma una volta costruita, possiamo entrare e abitarla ". La Sfinge risponde:" Sì, questa è la risposta esatta".
Arrivato a Parigi, Jeannerex è sicuro di voler diventare un architetto (fig. 11). Sulla sua scrivania, il suo sguardo è attratto da un piccolo libro. Sulla sua copertina legge: "Colui che sciolse i famosi enigmi e fu il più sapiente." Guarda fuori dalla finestra. Dietro il vetro, immagina per sé un nuovo... Con il passare del tempo, inizia a parlare, scrivere, disegnare, costruire cose mai apparse prima. È una nuova architettura. L'architettura di Jeannerex o, con il suo nuovo nome, l'architettura di El Corbusier! (fig. 12).
Questa è la mia piccola storia fantastica, in cui, tuttavia, si possono riconoscere, in ordine frammentato e casuale, alcuni fatti, persone ed eventi reali della vita di Le Corbusier. Si potrebbe riconoscere, ad esempio, Auguste Perret, nel cui ufficio il giovane Jeanneret lavorò per 14 mesi nel 1908-1909, e Charles l'Éplattenier, il primo insegnante di Jeanneret all'Ecole d'Art di La Chaux-de-Fonds dal 1900 a 1904. Si potrebbero anche riconoscere i luoghi in cui l'architetto viaggiò; dalle montagne del Giura, dove si dedicava controvoglia all’escursionismo con suo padre, Georges, a Delfi, all'Acropoli di Atene e, naturalmente, a Parigi, la città moderna che ha segnato l'inizio di una nuova vita e la creazione di un nuovo nome (Le Corbusier) per il giovane Jeanneret.[2]
Altrettanto reale è la rottura con l'eclettismo accademico delle Beaux-Arts, che è stato simbolicamente introdotto all'inizio della nostra storia. La "lotta" contro il Partenone può anche essere riconosciuta come un tema centrale della vita creativa di Le Corbusier, come descritto in modo drammatico dall'architetto stesso e dalla maggior parte degli storici, studiosi della sua vita, delle sue idee e delle sue opere. Infine, la parziale cecità di Le Corbusier dall'occhio sinistro fa riferimento a un evento reale, anche se non avvenne sull'Acropoli di Atene nel 1911, ma ebbe luogo nel 1918, la notte in cui l'architetto stava completando il suo dipinto intitolato La Cheminée; un dipinto purista in cui Jeanneret aveva rappresentato in modo astratto il Partenone, come lui stesso ha raccontato.[3]
Quanto sopra, ingredienti reali o fantastici, sono stati costruiti sull’impalcatura di un mito antico molto noto, l’Edipo Re di Sofocle, che sembrava adattarsi. E in realtà non ci sono voluti molti sforzi per collegare la biografia di Le Corbusier al mito di Edipo. Ma approfondirò questa connessione più avanti.
La persona prima dell'architetto
Stiamo
parlando di architetti emblematici, come Le Corbusier, e del loro
lavoro, un
progetto seminale, un'opera di riferimento che ha il potere di
arricchire nel
tempo e in molti modi il lavoro di altri architetti e studenti di
architettura.
Questa influenza di importanti opere di architettura può
essere immediata e ovvia
– nel caso della semplice imitazione della forma - o
indiretta come riferimento
più generale a concetti, metodi di progettazione o tecniche
di costruzione.
Questa influenza indiretta è considerata l'unica legittima,
dal momento che la
riproduzione formale di un'opera architettonica sembra essere
totalmente priva
di significato. In effetti, non è difficile convenire sul
fatto che, se, ipoteticamente,
un architetto contemporaneo ricostruisse accuratamente, di nuovo oggi,
dieci delle
opere più importanti del 20° secolo, non sarebbe un
grande architetto anche se
tutte le qualità architettoniche pure (geometria
composizione, layout, scala,
costruzione, materiali, dettagli) fossero esattamente le stessi. Questo
può
sembrare ovvio ma è allo stesso tempo un paradosso
poiché ci dice che: a. I
criteri della grande architettura non
possono essere solo architettonici e b. Un grande architetto non è solo uno che fa grande
architettura. Teniamo a mente questo paradosso per il momento.[4]
Stiamo
anche parlando del lavoro di un architetto considerato attraverso la
sua
biografia. L’architetto in questione è Le
Corbusier, di cui ci sembra di sapere
tutto: dove e come è cresciuto, chi era la sua famiglia e
quanto erano buoni o
cattivi i rapporti con suo padre, sua madre e suo fratello, quali erano
i suoi
maestri, dove ha lavorato e con chi, dove ha viaggiato e cosa ha fatto
esattamente durante i suoi viaggi, cosa ha scritto o pensato, cosa ha
dipinto o
disegnato, quali lettere ha mandato e a chi, quali erano le sue
relazioni con
le donne e di che tipo, come trascorreva le sue estati, cosa gli
piaceva
mangiare, come gli piaceva dormire, cosa amava e cosa odiava.[5]
Questo
interesse singolare da parte degli architetti, alla biografia di un
altro
architetto è spiegato anche da qualcos'altro:
dall’opinione consolidata, anche
se non sempre ovvia, che il racconto della biografia di una persona
creativa possa
dirci qualcosa di importante sul suo lavoro. C'è da qualche
parte, sotto la
superficie, un’idea che mette in relazione
l'unicità del lavoro con l'unicità
della persona; una certa logica secondo cui il lavoro architettonico
non
sarebbe stato altrettanto importante se la vita dell'architetto non
fosse stata
così interessante. E questa logica diventa più
provocatoria e stimolante nel
momento in cui realizziamo che architetti molti importanti, incluso Le
Corbusier, non avevano frequentato una scuola di architettura, non
avevano
nemmeno il titolo di architetto, ma divennero grandi architetti
attraverso un
impressionante e singolare percorso di auto-creazione; un percorso che
include
diverse influenze, letture, apprendistati, viaggi, amicizie, ecc. Come
ha detto
una volta Le Corbusier: "Sono autodidatta in tutto, anche nello
sport".[6]
Questa
aura epica che circonda il progetto dell'auto-creazione è
una caratteristica comune
tra gli "eroi" dell'architettura moderna. Al di là di
valori, delle
priorità e dei concetti comuni, ogni importante opera
architettonica è
riconosciuta come unica proprio perché il percorso seguito
dal suo creatore
potrebbe essere solo suo e di nessun altro. Qui non parliamo
più del progetto
come modello, ma della biografia come modello. Il fatto è
che se ripetere il
primo (l’opera) sembra improbabile, è impossibile
assomigliare alla seconda (la
persona). Le biografie, per definizione, non
possono essere ripetute. Come si può allora
diventare grandi come i propri
eroi?
Il
filosofo Alexander Nehamas discute di come l'idea della filosofia come
arte del
vivere (quella che viene chiamata "la vita filosofica") caratterizzi
l'opera di grandi pensatori moderni e contemporanei come Montaigne,
Nietzsche e
Foucault[7].
Questa idea inizia con la "cura di sé"
(ἑαυτοῦ
ἐπιμελεῖσθαι)[8],
che incontriamo nei primi testi platonici come conoscenza dell'anima[9],
e quindi nel mix ideale di vita e teoria in Aristotele come, come un
desiderio
riflessivo[10],
fino a
ad arrivare ai grandi pensatori della modernità. La
differenza è che questi
ultimi stanno progressivamente declassando il quadro normativo o di
incentivazione del "vivere bene" (εὖ ζῆν)
mantenendo il dibattito
sulla cura di sé come un'arte che non segue né un
metodo esatto né obbedisce a
regole strettamente definite.
In
questa prospettiva si assume che una vita virtuosa non possa essere
definita a
priori se non si da uno standard di vita ottimale comune per tutti.
Quindi, se
le società antiche potevano concordare strutture etiche
comuni e modelli tipici
della vita - e in una certa misura imporli - nella
modernità, al contrario, le
persone descrivono e seguono una dimensione estetica
della vita basata su una narrazione della loro biografia come analogia
di una
creazione artistica[11].
E nell'arte, anche se ci sono alcuni modelli e valori standard o
universali, i
criteri per ciò che è bello, di successo, buono,
nuovo, corretto, unico,
importante ecc. Ecc. Stanno diventando molto più liberi,
instabili e aperti.
Inoltre
Nehamas, usando l'esempio del Socrate platonico, afferma che le cose
erano
aperte fin dall'inizio e mai chiaramente definite[12].
Egli sottolinea anche che, proprio come nell'arte, il successo
è direttamente
correlato alla cura di sé, poiché
originalità, autenticità, unicità,
ecc. sono
concetti correlati solo nell'ambito
di un percorso strettamente personale. Ecco perché, quando
parliamo di arte, la
"formula" teorica non esiste a priori, ma viene sempre determinata a
posteriori.
Per
mettere in relazione quanto sopra al nostro caso, diremmo che
l’interesse per
la biografia di un architetto è giustificato nella misura in
cui può
descrivere, retrospettivamente, una
sorta di teoria. Mentre da nessuna parte si trovano scritti i criteri
della
grande architettura perché li si possa leggere e seguire, il
racconto della
vita di una persona importante risulta giustificare il valore
indiscutibile e
il successo del suo lavoro straordinario.
Ciò
che è interessante nel caso di Le Corbusier è che
ha affermato egli stesso fin
dall'inizio questo legame tra la sua vita e il suo lavoro. I modi in
cui
drammatizzava gli eventi della sua vita, raccontava le sue esperienze,
registrava documenti, pubblicava opinioni, giustificava le sue scelte,
riscriveva la sua storia, ecc. Tutti questi definivano una
ricostruzione della
propria vita, una "tecnologia del sé", per citare Michel
Foucault[13].
Ecco perché molti storici e teorici hanno scritto su come,
nel caso di Le
Corbusier, questa costruzione parallela della sua vita e del suo lavoro
sia
stata interamente cosciente e mirata.
Infatti,
il famoso architetto non ha mai nascosto il suo "segreto" ai giovani
architetti che avessero voluto seguire un percorso anlogo. Nel suo noto
libro
intitolato Entretien si legge:
Un
giorno, alcuni giovani studenti dell'Ecole des
Beaux Arts di Parigi mi hanno chiesto di tenere un workshop. Ho
declinato il
loro invito. "Bene, allora dacci un consiglio" [...] Sono passati
alcuni
anni. Con grande insistenza, alcuni studenti delle Beaux-Arts mi hanno
chiamato
nuovamente a inaugurare un corso Corbusier. "Grazie, cari giovani
amici,
ma devo dire di no. Cosa dovrei insegnare? Una filosofia di vita? [14]"
La
"filosofia della vita". Quella era l'unica lezione di architettura
che Le Corbusier potesse insegnare. Ma avrebbe potuto davvero insegnare
questa
lezione? E cosa esattamente si sarebbe insegnato? Si può
insegnare la filosofia
della vita? Le Corbusier era piuttosto dubbioso e lasciò la
domanda senza
risposta. Tuttavia, ha insistito. Criticò ogni tipo di
insegnamento ritenuto
utile a guidare la creazione architettonica, ma non era ancora riuscito
ad
avvicinarsi al nucleo essenziale del problema. Non era riuscito
perché non aveva
realizzato quale fosse la creazione originale che precede ogni altra
creazione:
L’insegnamento
in questo paese difficilmente vi ha
ispirato a dedicarvi alla lotta creativa o alla costante battaglia con
voi
stessi.[15]
È
così che torniamo alla cura di sé, alla
costruzione del sé, alla lecorbuseriana
"filosofia della vita" che è stata identificata come una
"battaglia costante", come una "lotta creativa" con se
stessi. È in questa lotta che i giovani architetti
dovrebbero concentrarsi
prima di - e al fine di - diventare architetti creativi. Inoltre, Le
Corbusier abbastanza
presto aveva definito l'architettura come una "pura creazione della
mente", ponendo la mente come fondamento dell'architettura che desidera
diventare Arte[16].
Ma
cosa significava e perché era accessibile solo a coloro che
fossero riusciti a
vincere la battaglia con loro stessi?
Nehamas
ci direbbe di non cercare qualcosa di più tangibile
perché, comunque, quando
parliamo dell'arte di vivere e della cura di sé, non
c'è una formula. E ci
ricorderebbe anche che una persona come Socrate può essere
un esempio, anche se
né lui né nessun altro potrebbe descrivere il
modello della (sua) buona vita.
Chi si aspetterebbe, comunque, che qualcuno come Socrate, che aveva
iniziato la
sua carriera in architettura (la sua vera professione era un
tagliapietre)
sarebbe diventato un grande filosofo?[17]
Wie man wird, was man ist[18]
È
noto che il mito di Edipo esisteva
molto prima di Eschilo, Euripide e Sofocle, già dall'era
omerica. E,
naturalmente, ha continuato il suo corso nella storia, attraverso varie
letture, interpretazioni e variazioni: l'Edipo di Aristotele, Ovidio,
Seneca,
Hegel, Nietzsche, Freud, Cocteau, Pasolini, Ricoeur e molti altri
ancora. Nel
racconto che ho presentato all'inizio, si incontrano di nuovo tutti gli
elemento basilari del mito di cui risultasse facile un'identificazione
indiretta con la biografia di Le Corbusier.
Un'altra
variazione del mito, questa volta lecorbuseriana, è
legittima nel momento in
cui isoliamo il riferimento alla cura di sé, al delfico
"conosci te stesso",
e leggiamo il mito come l'analogo di una "promenade architecturale"[19],
come viaggio evolutivo di auto-conoscenza.[20]
Seguendo questa
idea, come nella
ricostruzione del mito di Edipo di Sigmund Freud[21],
possiamo sostenere che nel caso di Jeannerex il conflitto con il padre
abbia il
suo analogo nel conflitto con la storia architettonica consolidata
mentre il
desiderio di unione con la madre si trasformi - seguendo il processo
psicoanalitico della sublimazione - in un’architettura nuova
(moderna) sia come
attività artistica che come ricerca intellettuale. Quanto
alla sua cecità, si era
manifestata durante una reale, battaglia psicologica, contro il
Partenone, il
"padre" reverendo dell'architettura occidentale. E, come in Sofocle,
anche qui, l'ignoranza della verità può essere
completa anche se gli occhi sono
aperti, mentre la conoscenza può essere terrificante anche
se gli occhi non
vedono.[22]
Secondo
uno degli eroi intellettuali di Le Corbusier, Friedrich Nietzsche, il
modello
dell’individuo creativo era chiaramente il genio artistico.[23]
Gli artisti erano personalità veramente creative, le
più importanti[24]
o, al contrario, solo personalità veramente grandi potevano
diventare grandi
artisti.[25]
Il
racconto di Jeannerex diventa così istruttivo e allo stesso
tempo rimane
inaccessibile; istruttivo perché offre un esempio da imitare
ma inaccessibile
perché l'esempio che offre (il racconto della vita di una
persona) è un esempio
che è impossibile che qualcuno copi.
Allo
stesso tempo, il racconto è usato come mezzo per trascendere
le basi e i limiti
oggettivi della creazione architettonica per stabilire una distinzione
sociale;
una distinzione (nell’accezione utilizzata da Bourdieu) tra
gli architetti e l'Architetto.
I film recenti sulla vita e il lavoro di figure importanti come Louis
Kahn, Rem
Koolhaas e Bjarke Ingels non sono altro che sforzi contemporanei di
narrare una
biografia singolare e allo stesso tempo delle costruzioni retoriche
usate all’interno
di una strategia di persuasione[26].
Sebbene ci sia sempre una certa tendenza a presentare gli
architetti-protagonisti
come persone normali con inclinazioni, fissazioni o passioni proprie di
tutti
gli uomini, questi documentari narrativi non possono che comunicare il
messaggio dell'unicità degli architetti di cui trattano.
Infatti, quanto più
questi architetti-professionisti sembrano "normali" tanto
più diventano
distanti come architetti-modello, perché è
impossibile spiegare come o perché
qualcuno che è "solo uno di noi" possa, allo stesso tempo,
emergere
come una persona non comune, famosa ed eccezionale[27].
Questa
è, in breve, la morale di tutte queste narrazioni: la
persona conta davvero più
del progetto. Il valore, l'impatto e l’autorevolezza
dell'architettura sono
legati alla creazione dell'architetto come persona tanto quanto - se
non più – che
alla stessa creazione architettonica. Ecco perché il
progetto creativo è sempre
costruito sull'impalcatura di una vita esemplare; esemplare non in
senso morale
ma nel senso estetico della cura di sé. Ma cosa questo
significhi esattamente,
ognuno di noi dovrà scoprirlo da solo.
Indagare
sugli usi della narrazione in relazione alla biografia dell'architetto
consente
una posizione critica rispetto al fondamento, all'identità e
al contesto
dell'architettura. Questo è l'unico modo che abbiamo per
risolvere l'enigma
paradossale: se vuoi diventare come me non provare a imitarmi.
Note
[1]
Nehamas,
Alexander. The Art of Living, Socratic
Reflections from Plato to Foucault. Los Angeles: University
of California
Press, 1998.
[2]
Il cambio di
nome è indicativo del
primo passo verso
una nuova costruzione di sé. Per una interpretazione della
micro storia del
Viaggio in Oriente di Le Corbusier's vedi:
Tsiambaos, Kostas. “Après
l’écrasement: d’Eleusis à
Delphes” in L’invention
d'un architecte. Le voyage en
Orient de Le Corbusier, Paris: Fondation Le
Corbusier-Éditions de la
Villette, 2013, pp. 340-351.
[3]
Mi riferisco
al quadro intitolato La Cheminée.
Vedi: Iuliano, Marco. “Montage d’Orient”
in L’invention
d'un architecte, op.cit. pp. 414-423.
[4] Sulla
questione dell’autenticità nell’opera
d’arte, vedi: Goodman, Nelson. Languages
of Art, an Approach to a Theory of
Symbols. Indianapolis: Bobbs-Merrill, 1968, pp. 99-123.
[5] Vedi:
Baker, Geoffrey H.. Le Corbusier, the
Creative Search: The Formative Years of Charles-Edouard Jeanneret.
New
York: Van Nostrand Reinhold, London: E & F N Spon, 1996,
Brooks, H. Allen. Le Corbusier’s
Formative Years,
Charles-Edouard Jeanneret at La Chaux-de-Fonds. Chicago and
London: The
University of Chicago Press, 1997, von Moos, S. and Rüegg,
Arthur (eds.). Le Corbusier before Le
Corbusier. New
Haven, CT: Yale University Press, 2002, and Richards, Simon. Le Corbusier and the Concept of Self.
New Haven, CT: Yale University Press, 2003.
[6]
Le
Corbusier. Entretien avec les
étudiants
des écoles d’architecture. Paris:
Éditions Denoël, 1943
[7]
Nehamas,
op.cit.
[8]
Φέρε δή,
τί ἐστιν τὸ
ἑαυτοῦ
ἐπιμελεῖσθαι
- μὴ
πολλάκις
λάθωμεν
οὐχ ἡμῶν
αὐτῶν
ἐπιμελούμενοι,
οἰόμενοι
δέ - καὶ πότ´
ἄρα αὐτὸ
ποιεῖ
ἅνθρωπος;
Ἆρ´ ὅταν τῶν
αὑτοῦ
ἐπιμελῆται,
τότε καὶ
αὑτοῦ; Plato. Alcibiades
A', 128a.
[9]
Ψυχὴν
ἄρα ἡμᾶς
κελεύει
γνωρίσαι
ὁ ἐπιτάττων
γνῶναι
ἑαυτόν.
Plato.
Alcibiades A', 130e.
[10]
Per
Aristotele il vivere bene è legato a uno sguardo riflessivo
sulla vita, una
domanda costante sul suo significato. Vedi: Hughes, Gerard J.. The Routledge Guidebook to Aristotle’s
Nicomachean Ethics. London: Routledge, 2013.
[11]
“On the
Philosophical Life, An Interview with Alexander Nehamas”. The Harvard Review of Philosophy, vol.
VIII, 2000, p. 32.
[12]
Ibid., p.
24.
[13]
Martin, L.
H., Gutman, H. and P. H. Hutton (eds.). Technologies
of the Self: A Seminar with Michel Foucault, University of
Massachusetts
Press, 1988.
[14] Le Corbusier Talks with Students, from the schools of architecture. New York: Princeton University Press, 1999, p. 4.
[15]
Ibid., p.
16.
[16]
Secondo
Aristotle il fatto che qualcuno sia un buon architetto è
determinato dal tipo
di case che costruisce. Ma la questione della buona vita è
legato solo al fatto
di viverla. In Gerard, op.cit., p. 120.
[17]
Socrate seguì la professione del padre,
Sofroniskos, secondo
Porphyry ma anche secondo to Diogene Laertio. Pausania ci ha anche
trasmesso
che nei Propilei c’era un rilievo
marmoreo, che si diceva avesse realizzato Socrate. “Tu sei
uno scultore,
Socrate, e hai realizzato statue dei nostri governanti impeccabili in
bellezza”
(citato in Platone, Repubblica,
Libro
Settimo).
[18]
Dall’ultimo
libro di Friedrich Nietzsche intitolato Ecce
Homo, Wie man wird, was man ist.
[19]
Come nella promenade architecturale
di Le Corbusier.
[20]
Vedi: Segal,
Charles. Oedipus Tyrannus: Tragic Heroism
and the Limits of Knowledge. New York: Twayne Publishers
(Macmillan), 1993
and Dawe, R. D.. Sophocles. Oedipus Rex.
Cambridge: Cambridge University Press, 2006.
[21]
La frase: ὃς τὰ
κλείν᾽
αἰνίγματ᾽
ᾔδει καὶ
κράτιστος
ἦν
ἀνήρ (Chi conosce i fomosi enigmi e fu un uomo
sapiente)
dall’Edipo Re di Sofocle era scritta nell’ex libris
di Sigmund Freud secondo
Ernest Jones. Il disegno di questo timbro ex libris, raffigurante Edio
contro
la Sfinge, era stato disegnato per Freud dal viennese Bertold
Löffler in 1901. Vedi:
Pichler, Gerd. “Bertold Löffler's Bookplate for
Sigmund Freud”. Psychoanalysis and
History, vol. 12, issue
1, January 2010, pp. 7-14.
[23]
Uno dei
libri preferiti del giovane Jeanneret era un’edizione di Ansi parlait Zarathoustra
(Così parlò Zarathustra) tradotto da
Henri Albert. Vedi: Brooks, op.cit., p. 174.
[24]
Leiter,
Brian. Nietzsche and Morality.
Oxford: Oxford University Press, 2007, chapter 9.
[25]
Questa
ammirazione per gli artisti e per tutti quegli elementi che possono
esprimere
attraverso la loro arte si trova, simile, in Freud.
[26]
Penso a My Architect (2003)
di Nathaniel Kahn’s, a Rem
(2016)di Tomas Koolhaas, e a Big Time
(2017) di Kaspar Astrup Schröder. Il fatto che alcuni di
questi film siano
stati diretti dai figli dei famosi architetti crea una struttura senza
dubbio
edipica (benché irrisolta?).
[27]
Tale narrazione postmoderna di solito evita una
visione critica dell'evoluzione e della promozione del protagonista
come
professionista riconosciuto a livello internazionale. Allo stesso
tempo, le
tipiche rappresentazioni di un "eroe" o di un "genio" non
possono non emergere. È significativo che nel recente film Big Time, il racconto della vita e del
lavoro di Bjarke Ingels segua
una struttura tipicamente eroico-edipica: a. i primi anni (la sua
famiglia /
Bjarke da bambino) b. la sfida-minaccia (andare negli Stati Uniti /
minaccia costituita
dai mal di testa) c. la vittoria (successo negli Stati Uniti /
superamento del
problema di salute) d. la donna - matrimonio (finalmente trova il suo
altro
significante / costruirà la propria famiglia).
Bibliografia
ARMSTRONG R. (2009) – “Oedipus as Evidence: The Theatrical Background to Freud's Oedipus Complex”. PSYART: A Hyperlink Journal for the Psychological Study of the Arts (December).http://www.psyartjournal.com/article/show/armstrong-oedipus_as_evidence_the_theatrical_backg
[last accessed 29 July 2015].
BAKER G. H. (1996) – Le Corbusier, the Creative Search: The Formative Years of Charles-Edouard Jeanneret, Van Nostrand Reinhold - E & F N Spon, New York - London.
BROOKS A. H. (1997) – Le Corbusier's Formative Years, Charles-Edouard Jeanneret at La Chaux-de-Fonds, The University of Chicago Press, Chicago.
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